giovedì 29 giugno 2006

La madre del terrorista

La madre del terrorista (1997, un film di Govind Nihalani)

India, Calcutta 1970.

Sujata Chakraborty (Jaya Bhaduri), ha un sonno agitato, si sveglia quando suona il telefono. Accanto a lei dorme suo marito. Al telefono qualcuno le chiede se conosce Brati Charavorty, “si è mio figlio”risponde lei. “Venga a Kantipokhar per il riconoscimento” dice la voce e interrompe il collegamento. “Che cosa significa” si chiede Sujata, ancora intontita dal sonno, senza capire. La mattina dopo, alla notizia, il marito e il figlio maggior si agitano, vogliono subito attivare i propri contatti con la polizia per cercare di risolvere il problema. Il padre (Anupam Kher) dichiara che in ogni caso, non potrà andare a Kantipokhar con la sua macchina. Solo allora qualcuno spiega a Sujata che Kantipokhar è il mortuario della polizia di Calcutta. E' la polizia che vuole qualcuno per riconoscere il corpo di Brati.




Scioccata, Sujata va a Kantipokhar con la moglie del suo figlio maggiore e si trova spinta in una stanza spoglia dove giacciono 5 corpi senza vita coperti da un telo lacero, macchiato di sangue secco. Accanto sono sedute 3 persone povere, le loro facce sono scioccate. Quando toglie il telo dal corpo da riconoscere, Sujata lo sente come uno schiaffo. Il corpo di suo figlio è crivellato di pallottole, e la sua faccia è stata pestata fino a diventare irriconoscibile. Al piede porta la targa "1084".

“Non si può portare via i corpi dei morti” dice la polizia, sono terroristi, criminali pericolosi per la società. Impotente, Sujata guarda i cinque corpi dei giovani ventenni dati alle fiamme.

Così inizia Hazaar Chaurasi Ki Maa (La madre del 1084), il film sulle origini del movimento maoista, conosciuto con il nome di Naxalbari (dal nome del villaggio dove la ribellione iniziò) nella parte nord ovest dell'India alla fine degli anni sessanta.

Il film è basato su un romanzo di Mahashweta Devi, la scrittrice e attivista bengalese, la quale ha passato la sua vita nella lotta per i diritti dei gruppi più poveri ed emarginati in India, dando voce a persone emarginate e senza potere, tramite i suoi romanzi. Oggi, dopo 25 anni, quando il movimento di Naxalbari si è esteso a molti altri stati dell'India, il film è importante per capire le motivazioni ideologiche che spinsero i suoi attivisti, almeno nei primi anni di questo movimento.

Il film è la storia della scoperta di se stessa da parte di Sujata e della scoperta di un mondo a lei sconosciuto. Sujata non capisce perché tutta la famiglia vuole far finta di non aver mai avuto una persona di nome Brati, di dimenticarlo e quando ne parla lo fa esclusivamente nominandolo come criminale e terrorista. Lei è dilaniata da un profondo senso di colpa, perché non l'aveva capito? Perché non aveva sentito le grida di dolore di suo figlio? Perché aveva continuato a vedere il ragazzo sorridente di sempre che tutti i giorni usciva da casa per andare a studiare all'università senza dare peso alle sue idee di rivoluzione per un mondo meno ingiusto?

Sujata vuole capire e così torna alla famiglia di Somu, uno degli altri ragazzi uccisi con Brati (Joy Sengupta). Poi va a trovare Nandini (Nandita Das), la ragazza e compagna di Brati, resa mezza cieca dalle torture della polizia. Questo tentativo di capire le ragioni della morte del proprio figlio portano Sujata a vedere il mondo degli oppressi e a iniziare a capire le grandi disuguaglianze che caratterizzano la società indiana. Allo stesso momento, questo viaggio di scoperta fa capire a Sujata la ipocrisia della propria vita, la vita fatta di facciata, nella quale lei stessa è calpestata ogni giorno nel suo ruolo di madre, donna e moglie.

Il film è molto forte con alcune delle attrici più brave del cinema indiano di Mumbai - Jaya Bhaduri, Seema Biswas e Nandita Das.

Seema Biswas nel ruolo di madre di Somu presenta un performance incredibile. Il suo urlo del pianto rituale quando Sujata entra nella sua casa per la prima volta (in diverse parti del India, dopo la morte di un famigliare, ogni volta che un amico o un parente entra in casa per la prima volta, c'è il pianto rituale) fa drizzare i peli. Quando c'è lei sullo schermo è difficile toglierle gli occhi di dosso.

La parte del film legata a Nandini, la ragazza di Brati, che spiega le motivazioni del movimento di Naxalbari, mi è sembrata un po’ meno efficace perché troppo pieno di parole. Sembra di vedere qualcuno recitare un libro piuttosto che una scena del film. Nandita Das al suo primo film nel ruolo di giovane e magra “naxalite” (rivoluzionaria) con la fibra di acciaio che non si piega alle torture, non è perfetta ma fa già intuire che diventerà un'attrice di grande sostanza.




Ma tra tutti gli attori del film, la migliore è Jaya Bhaduri, nel ruolo di Sujata. L’attrice è tornata a recitare per questo film dopo un intervallo di circa venti anni, ed è la sua interpretazione migliore in una carriera fatta di molti film belli. Il dolore nei suoi occhi, la sua confusione, la sua fatica di capire quello che sta succedendo e alla fine, la sua consapevolezza, tutto diventa credibile. In molte scene del film riesce a trasmettere sentimenti complessi senza gesti o parole. (nella foto sopra, Jaya Bhaduri vestita in bianco con Nandita Das)

Non è un film per passare il tempo - è un film molto impegnativo. Fa parte dell’ ormai defunto Art cinema di Mumbai che si differenziava dal cinema commerciale (masala film) di bollywood. Alla fine possiamo concordare o meno con i ragionamenti dei suoi protagonisti riguardo le cause delle disuguaglianze sociali in India e secondo loro, la necessità della violenza della loro lotta, ma sicuramente è difficile restarne indifferenti.

Personalmente non concordo con le lotte armate perché non portano a nessun cambiamento reale, sostituiscono un'oppressione con un'altra. Anche i protagonisti del film del regista Govind Nihalani arrivano alla stessa conclusione. Govind è uno dei registi dissidenti di Mumbai più importanti, iniziò la sua carriera come cinematografo nel lontano 1962. Tra i suoi film più importanti come cinematografo, c’è anche Gandhi di Richard Attenborough. Dal 1981, quando lui esordì come regista con il suo primo film, Aakrosh (la rabbia), ha seguito la strada dei film denuncia, compreso il più recente Dev, già recensito sul Kalpana.

martedì 6 giugno 2006

Non ho ucciso Gandhi

Il titolo del film mi ha molto incuriosito "Maine Gandhi Ko Nahin Mara" (Non ho ucciso Gandhi). Cosa significa “non ho ucciso Gandhi”? Lo so chi ha ucciso Gandhi, si chiamava Nathu Ram Godse e fu impiccato.

E’ il primo film del regista Jahnu Barua, prodotto dall'attore Anupam Kher, già conosciuto al pubblico italiano come il padre sikh della ragazza indiana in "Bend it like Beckham".




Trama del film: Il film è la storia di un vecchio professore, Uttam Chowdhury (Anupam Kher). Il professore è in pensione e sta perdendo la memoria. Delle volte non si ricorda che è in pensione o che sua moglie è morta un anno e mezzo fa. Delle volte si ricorda quella volta che era finito in un'aula diversa da dove doveva andare a insegnare. Il professore vive con la figlia Trisha (Urmila Matondkar) e il figlio Addi (Karan Chaudhury). Il figlio maggiore Ronu (Rajit Kapoor) vive in America.

Trisha è innamorata di Ashish ma per il matrimonio Trisha deve essere “approvata” dai genitori di Ashish perché lui non vuole sposarsi senza il consenso dei genitori. Addi, il fratello di Trisha è preoccupato, se lei si sposerà chi baderà a suo padre? “Possiamo mandarlo in un istituto”, propone, “non voglio rovinarmi la vita”. Trisha è sconcertata dall’insensibilità del fratello ma Ashish rompe ogni legame con lei – i suoi genitori hanno paura che la malattia del professore sia ereditaria e non vogliono che il loro figlio sposi Trisha.




Improvvisamente la condizione mentale del professore peggiora, comincia ad avere delle allucinazioni e più volte borbotta “Non ho ucciso Gandhi di proposito, è stata una disgrazia. Pensavo di avere una pistola giocattolo, ma qualcuno ha messo una pallottola vera alla mia insaputa e quando ho sparato, Gandhi ha attraversato la mia strada e così è rimasto ucciso.” Nessuno riesce a capire il motivo di queste allucinazioni e le condizioni del professore si deteriorano di giorno in giorno.

Addi, il figlio più giovane telefona al fratello maggiore in America e Ronu torna a Bombay.

Trisha va parlare con Sidharth (Praveen Dabas, conosciuto al pubblico in Italia come lo sposo nel film di Mira Nair, Monsoon Wedding), un altro psichiatra. Indagando si scopre il motivo di queste allucinazioni. Si tratta di una ferita dell’infanzia, mai chiusa. Quando il professore aveva 8 anni, in un gioco con altri bambini aveva sparato una freccia alla foto di Gandhi e quello stesso giorno Gandhi venne assassinato. Il padre del bambino, seguace convinto del Mahatma, si arrabbiò con il figlio per aver osato profanare la foto del Mahatma e pensa che in qualche modo il gesto del bambino abbia fatto morire Gandhi.

Lo psichiatra decide di organizzare una finta seduta da tribunale coinvolgendo un gruppo di attori per fare un processo al professore, "colpevole" per aver assassinato Gandhi. Il finto processo dichiara che non fu il bambino a sparare a Gandhi. Il professore in un momento di lucidità si guarda intorno nella finta aula del tribunale.. e riconosce che si, non fu lui ad uccidere il Mahatma, ma che ormai il Mahatma è solo un simbolo vuoto, una faccia da stampare sulle banconote, ma tutti hanno dimenticato il suo messaggio.. nessuna pensa ormai più ai suoi insegnamenti.

Commenti: La storia del film sul trauma dell’infanzia che affiora quando le memorie iniziano a morire è molto interessante e il film è molto coinvolgente. L’attore Anupam Kher, nel ruolo del professore malato è grandioso. Anche gli altri attori, soprattutto Urmila Matondkar nella parte della figlia Trisha, sono bravi. La musica del film (Bappi Lehri) anche se alle volte troppo ripetitiva, è efficace.

Se vi piacciono i film seri, questo film vi piacerà. L’unica parte che ho trovato meno convincente è il momento di lucidità del professore verso la fine. La sua predica finale, molto bella e commovente, non mi sembra molto logica con il resto del personaggio e la sua malattia.

lunedì 5 giugno 2006

Il mondo piatto

Sto leggtendo il libro del giornalista americano, Thomas Friedman, The Flat World (Il mondo piatto). La teoria di Friedman in questo libro è che dopo la revoluzione copernicana, oggi di nuovo la terra sta diventando piatta per una serie di sviluppi legati alla globalizzazione, allo sviluppo di alcuni paesi come Cina e India, e ai progressi dell'informatica. Secondo Friedman, questo mondo piatto richiede nuovi ragionamenti e nuovi comportamenti, altrimenti i popoli che non sapranno adeguarsi, resteranno in dietro. Lui si rivolge sopratutto all'America ma forse il suo discorso è altrettanto valido, anche per l'Europa.

In questo libro lui racconta le sue discussioni con una miriade di persone di diversi continenti per spiegare il proprio pensiero:

"Vi sono due cose che mi preoccupano in questo momento", disse Richard A.
Rashid, il direttore per la ricerca alla Microsoft. "La prima, il fatto che
abbiamo chiuso il passaggio di arrivo in America delle persone intelligenti. Se
tu pensi che abbiamo le più grandi università e istituti di ricerca, questi
hanno bisogno di q.i. (quoziente di intelligenza, ndr). Nel tentativo di creare
un processo che blocchi l'arrivo di emigrati indesiderabili, il governo ha
effettivamente bloccato l'arrivo delle persone desiderabili. Una significativa parte
dei laureati più bravi di nostri migliori istituti e università sono state persone, non
nate in America ma sono persone che dopo la laurea, sono rimaste qui, hanno
creato nuove imprese, sono diventati professori, ed erano i mottori del nostro
sviluppo economico.Vogliamo queste persone. In un mondo dove la q.i. è il più
importante prodotto sul mercato, devi cercare di avere il maggior numero di persone brave
che puoi avere."
Mentre leggevo queste parole, pensavo alle discussioni con Mishra, un ricercatore indiano che si trova in un centro di ricerca in Italia. Mishra è stato qui a Bologna alcuni giorni fa. Lui ha detto, "Devo finire questa ricerca, poi penso di andare in Stati Uniti, qui in Italia non c'è spazio per la ricerca. Questo non è soltanto perché sono straniero. Due ragazze italiane al nostro centro, entrambe hanno concluso il dottorato. Una di loro ha cominciato a lavorare in una farmacia e l'altra si è iscritta ad un corso per diventare maestra. Se un paese non sa prendere cura dei suoi migliori cervelli, quali opportunità può dare a noi stranieri?"

Ultimamente sento diversi indiani che vengono in Italia per lavorare presso i centri di ricerca. Pratika, figlia del mio amico d'infanzia Rahul, era a Brighton dove studiava astrofisica e doveva decidere se venire a Trieste o andare in Germania per il suo dottorato. Alla fine lei ha deciso per la Germania. Invece, Sidharth che studia in Germania, ha deciso di proseguire le sue ricerche a Trieste. Forse le università italiane hanno iniziato a cercare i cervelli migliori da altri paesi - o forse sono costretti perché non vi sono studenti italiani interessati in seguire cariere che non portano da nessuna parte?

E le teorie di Friedman, cosa significano per l'Italia? Forse anche in un mondo piatto, avranno sempre bisogno di bel paese per conoscere la storia, per ammirare le sue bellezze naturali! Non c'è bisogno che tutti i paesi abbiano ricerca e imprese di avanguardia per il proprio sviluppo! Speriamo.

Le foto per celebrare la bellezza del bel paese.






sabato 6 maggio 2006

Diario Egiziano

29 aprile 2006

Sono alloggiato presso l'hotel Intercontinental Star di Cairo. Dopo i modesti alberghi e semplici villaggi del Nepal e del Mozambico, questa volta sono in un hotel di 5 stelle. E’ un nuovo hotel nella zona di Heliopolis, il sobborgo di Cairo pieno di condomini, centri commerciali e alberghi di lusso. Questo perché questa volta sono ospite dell’ufficio regionale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il medio-oriente per una riunione che coinvolgerà 8 paesi.

Da una parte questo lusso è molto piacevole, ma allo stesso momento mi dispiace stare in questo hotel, perché diventa una barriera che mi separa dalla vita normale degli egiziani. Questa volta non avrò occasione di andare a visitare i villaggi. Se posso scegliere, preferisco possibilità di conoscere le persone comuni e le loro vite invece degli alberghi di lusso.

Invece, mi toccherà restare chiuso nella sala della riunione. Per fortuna, il 1 maggio è festivo anche qui e non dovrei avere altri impegni di lavoro. Così spero di andare al matrimonio di Shenoudah, che si sposerà il1 maggio in una chiesa di Heliopolis. Shenoudah mi aveva fatto da traduttore durante la mia ultima visita qui 5-6 anni fa. Inoltre, Gelane mi ha promesso di portarmi mi giro. Spero di andare con lei alla parte vecchia di "El Kahira", è così che gli egiziani chiamano il Cairo. E spero anche di poter visitare le piramidi.

La prima volta che ero stato qui, ero con Enzo, il quale aveva avuto un collasso vicino alle piramidi. Avevo cercato un taxi per portarlo da un medico, pensavo che aveva avuto un infarto. Invece era solo un colpo di sole. La seconda volta ero qui con Franco e subito dopo il nostro rientro in Italia, gli avevano diagnosticato un tumore al cervello, e Franco morì dopo due anni.

E’ così in ogni luogo, le memorie delle cose successe, viaggiano insieme a me per ricordarmi che niente dura, tutto passa. E’ un pensiero triste e allo stesso momento, un richiamo al attimo fuggente, di vivere la vita in pieno, anche se passare cinque giorni chiusi dentro una sala delle riunioni non si può dire “vivere la vita in pieno”!

Questa volta ho viaggiato con Alitalia. Ormai non viaggiavo con Alitalia da 8-9 anni. Ormai, la nostra agenzia di viaggi non ci propone ne anche i voli con Alitalia! Ma questo viaggio è stato organizzato dall’OMS. Quando mi hanno informato che mi prenotavano con Alitalia, il mio primo impulso era di chiedere a loro di cambiare le prenotazioni, ma poi ci ho ripensato, forse era ora di sostenere la povera Alitalia, anche se sono così spesso in sciopero. Comunque il viaggio da Bologna a Roma era un po’ comico, somigliava ai viaggi con l’Eurostar. All’inizio, quando salivi su un Eurostar “le hostess” offrivano un giornale e dei biscotti, forse lo fanno ancora in prima classe ma l’hanno smesso da un bel pezzo nella classe normale. Comunque in aereo c’erano 6-7 tra hostess e steward (gli hostess maschi, chi sa perché li chiamano steward,anche se fanno le stesse cose?), tutti belli pimpanti a sorridere e dare ben venuto. Poi niente. Ne caffè ne succo di frutta, niente. Sono passati in 4 invece per offrire una salvietta, quelle chiuse dentro le confezioni di plastica. Forse avevano deciso di dividersi il lavoro faticoso di distribuire le salviette!

Dopodiché niente,sono tornati nei loro angoli per chiacchierare e passare il tempo. Povera Alitalia, non ha soldi per offrire nessun servizio ma devono viaggiare con la flotta di hostess e steward! Alla fine quando siamo arrivati a Roma, l’equipaggio ha viaggiato nel bus con i passeggeri, forse l’Alitalia ha ridotto le macchine per il trasporto dell’equipaggio?

Arrivato a Cairo, mi aspettava un incaricato dell’OMS nella confusione della sala degli arrivi. Fuori il caldo secco era come una sberla anche se erano solo 34 gradi. Tutto sembra avvolto nella polvere, quella stessa sabbia che sembra un mare pallido dall’aereo. Non mi piace il deserto, mi fa sentire male, anche se vista dal cielo, mi fa venire l’ansia di bere acqua.

Accanto all’hotel c’è un grandissimo centro commerciale. Ho lasciato le valigie in camera e sono andato li. E’così strano vedere tutte le donne coperte dalla testa fino ai piedi. I foulard sulle teste, camici con le maniche lunghe e gonne fino ai piedi. C’è qualcuna con il velo nero e vedi solo i suoi occhi. Accanto a loro sono gli uomini con i bottoni delle camice aperte, a maniche corte, qualche volta con pantaloncini. Solo a guardarle mi fa sentire male, anche se sono cresciuto nella parte vecchia di Delhi dove la maggioranza era musulmana e dove le donne con velo nero (il burqa) erano molto comuni. Dovrei essere abituato a loro, invece solo a guardarle mi fa sentire male.

5 maggio 2006

Non ho avuto il tempo di scrivere il diario durante la settimana passata a Cairo. Oggi pomeriggio ho il volo di ritorno ma almeno stamattina ho un po’ tempo per fare i conti con questa esperienza dell’incontro con il mondo musulmano.

E’ il mondo musulmano che occupa la maggior parte delle mie riflessioni perché una visita qui non può ignorare la religione. Anche durante la riunione dell’OMS, diversi relatori venuti da diversi paesi del mondo musulmano, iniziavano la relazione con un verso del Corano o con una breve preghiera e la cosa mi lasciava ogni volta un po’ scioccato. Anche il direttore regionale dell’officio dell’OMS iniziò la sua relazione inaugurale con una preghiera musulmana. Mi chiedevo se questo è giusto in una regione dove vivono anche le altre religioni, anche se sono spesso minoranze? Vedere il lavandino basso nel toilette degli uffici dell’OMS dove le persone si lavavano le mani e i piedi prima delle preghiere di mezzogiorno, mi sembrava un anacronismo, anche se ci penso, in Italia negli ambienti di lavoro se i fumatori possono avere pausa per fumare, forse è giusto che qui,le persone possono avere pause per le loro preghiere? Ma cosa sarebbe successo se un relatore indù o cattolico invocava il suo dio prima di parlare in quell'assemblea? L'avrebbero tollerato?

Dall’altra parte ho incontrato persone dell’Iran, della Palestina e poi diversi egiziani, i quali, anche se credenti, mostravano il proprio dissenso da questo potere onnipresente della religione nelle loro vite. Comunque, anche loro hanno paura perché questo sfogo contro il velo, contro il potere dei mullah, avveniva sempre lontano dalle orecchie indiscrete, tranne in qualche caso eccezionale.

E’ per questo che mi è piaciuto Taghi, il quale esprimeva il suo dissenso in maniera netta e pubblica. Ma ho avuto paura per lui. Forse se mi trovo nella sua situazione, sarei meno coraggioso pur di fare carriera, per non isolarmi e per non dare nell’occhio?

Anche conoscere Gelane era bello. Lei non porta il velo, è educata, ha studiato in occidente, non si lascia vincolare dalle catene che legano maggior parte delle donne musulmane, ma lei si dichiara musulmana e credente. Vuole sposare solo un musulmano e l'idea di sposare un'uomo di un'altra religione, lei non lo prende in considerazione. "E se ti innamori di un uomo sbagliato?" le chiedo. No, lei muove la sua testa, lo sa che non succederà.

Gelane mi ha spiegatocce la zona dove si trova il mio albergo non è nel sobborgo di Heliopolis ma si chiama Nasr city.

Gelane mi ha fatto anche da guida. Mi ha portato al giardino di Al Azhar sulla collina davanti alla cittadella, da dove si vede tutta la parte vecchia di Cairo. Poi ha accompagnato me e Federico alle piramidi in una mattina nuvolosa e meravigliosamente fresca. Sono state delle visite molto belle.



Era già stato alle piramidi altre volte, ma le altre visite erano meno piacevoli, sia perché faceva sempre molto caldo e poi, erano visite affrettate. Invece questa volta, non c’era la fretta e potevo girare nella zona senza pensare all’orologio. E, poi, il cielo era nuvoloso.


Durante la visita ho incontrato la sua reale altezza principessa Sheikha Hissa, figlia dell’amiro di Qatar. Sheikha è stata nominata l’inviata speciale delle Nazioni Unite per le persone disabili. Anche se lei occupa questo posto da più di un anno, il mondo legato alla disabilità conosce poco di lei e molti parlano di lei in termini negativi. Pensavo che fosse pregiudizi – è una donna musulmana, porta il velo, e poi appartiene ad una famiglia reale. Per questo ho apprezzato quest’opportunità a conoscerla meglio. Le ho chiesto se potevo intervistarla e lei è stata subito disponibile. Ha voluto presentarsi come una donna qualunque, una madre singola che deve fare i conti con la famiglia e le esigenze del suo lavoro. Mi ha dato l’impressione di essere una persona forte. E’vero che sa molto poco del mondo della disabilità e ha molto da imparare, ma è anche una persona intelligente e capace.


Una delle sere invece eravamo invitati ad una crociera sul Nilo. La nave lussuosa apparteneva ad uno degli alberghi più esclusivi di Cairo. Durante la cena c’erano due cantanti per il divertimento degli ospiti. Dopo la cena vi è stato uno spettacolo della danza del ventre. Signora Samara, una donna prospera con il seno straripante in un vestito di pelle color turchese, molto aderente, sembrava uscita da un film porno con l’espressione di estasi sulla faccia, mentre girava il suo culetto in maniera provocatoria. La danza del ventre era un tremolio continuo della parte inferiore del suo corpo, molto sensuale, che mi faceva pensare ad un attacco di malaria. Dopo alcune danze, tutte uguali, lei è tornata con un altro vestito, questo volta una retina nera trasparente dalla quale si vedevano le sue sottovesti rosse, per ripetere le danze in mezzo al pubblico, toccando gli uomini, invitando le donne ad alzarsi e a provare la danza con lei.

Mi ha sorpreso vedere diverse donne egiziane vestite con il velo che si sono alzate per provare la danza con lei. Un mio amico egiziano che mi accompagnava mi ha spiegato che in Egitto questa danza è la parte integrante di 90% dei matrimoni, e durante queste danze è normale che le donne ballano con lei e che la maggior parte delle ragazze egiziane impara questa danza, nonostante la crescente islamizzazione della società. Secondo lui questa islamizzazione è cresciuta dopo i fatti dell’11 settembre 2001, ma fin’ora ha risparmiato la danza del ventre.

****

Stamattina guardavo le lezioni dell’Università Aperta sulla Rai 2 e poi sulla BBC. Sulla BBC parlavano di storia medievale con un bel documentario per spiegare, sulla Rai 2 c’era un professore seduto in studio che parlava sul concetto di modernità come se fosse seduto in un’aula di scuola e le sue parole apparivano scritte sullo schermo televisivo per facilitare la comprensione. Non c'era confronto tra i due programmi.

Penso che sia uno spreco del mezzo televisivo fare lezione come si faceva su Rai 2 ma forse sono poveri e non hanno soldi, dopo tutti i soldi che spendano per mostrare le varietà come la music farm! Infatti, ho smesso subito di guardare la Rai per lasciarmi incantare dalla bella lezione sulla BBC.

6 maggio 2006

Non penso che tornerò a volare con Alitalia un’altra volta, almeno per un po’ di tempo. Il servizio da Cairo a Milano Malpensa non era male. Ma i problemi iniziarono a Milano. Mezz’ora prima del volo, è stato annunciato il ritardo di un’ora. Poi, hanno cancellato il volo. Per un po’ alcuni hanno cominciato a gridare – Vergogna! Fate fallire Alitalia! L’incaricato di Alitalia era un ragazzo giovane, gentile ma un po’ sbrigativo. Forse aveva già visto scene simili o peggiori molte altre volte. Ha spiegato che anche se avevamo pagato per il viaggio aereo e ora ci toccava viaggiare in pullman, Alitalia non ci doveva niente, avevano già spiegato tutto nelle condizioni d’acquisto del biglietto.

Qualcuno con bambini piccoli era disperato. Alcuni altri dovevano fare ulteriori viaggi dopo l’arrivo a Bologna, e si preoccupavano per il dopo. Solite storie di passeggeri stanchi e disperati che si vedono spesso in Italia. C’era il solito sciopero dei treni iniziato venerdì sera che sarebbe durato fino a sabato sera. Il diritto dei lavoratori a scioperare è sacrosanto. Che si succede ogni settimana, non è colpa loro. Arrangiatevi signori. Benvenuti al Bel Paese.

Sono contento che Bertinotti è il presidente del senato. E spero che D’Alema diventerà il presidente della Repubblica. Mi piace D’Alema. Ma il nuovo governo potrà cambiare questa situazione disperata di Alitalia o dei trasporti pubblici? Durante il viaggio di ritorno in un pullman malridotto, con un buco in pavimento da dove entrava aria, si sentiva la tristezza e la disperazione su come il paese sembra essere ridotto.

martedì 18 aprile 2006

Donne mozambicane

Ero a Nampula nel nord del Mozambico.

Siamo andato a visitare il centro dove un gruppo di vedove ha creato una cooperativa che produce frittelle e poi li vende al mercato. Le storie che raccontavano erano simili alle storie che si raccontano in altre parti del mondo, sopratutto in Asia, che la donna non ha diritti, quando muore il suo marito, la famiglia del marito può cacciarti da casa insieme ai figli.

Poi in un incontro con il gruppo di teatro Etary è riemersa la questione del ruolo della donna nella società mozambicana (forse dovrei dire "nella società di Macua" perché eravamo a Nampula dove vivono i Macua). Il gruppo organizza spettacoli di teatro di strada per sensibilizzare la popolazione verso le malattie come la lebbra, la TBC, ecc. Nello spettacolo, la moglie quando scopre che il suo marito ha la lebbra, decide di raccogliere le proprie cose e lascia la casa. Poi, dopo qualche mese quando il marito è sulla via di guarigione, torna a casa e trova che il suo marito si è risposato e sta avendo una festa con gli amici. Lei viene cacciata da casa perché era stata cattiva, aveva osato lasciare il suo marito perché era un malato di lebbra.

Ho chiesto a loro se si poteva invertire i ruoli - ciò è, la donna avesse la lebbra e il marito la lasciasse, potrà lei risposare e poi cacciare da casa il marito quando tornerà? No, mi hanno spiegato, le donne non possono comportarsi così.

Penso che tutta la storia è montata dal punto di vista maschile. La donna premurosa che insiste che il suo marito dovrebbe farsi vedere in ospedale, la donna che da le sue capulane per la cura del marito, all'improvviso diventa cattiva perché ha paura della lebbra?

Poi, lo spettacolo mi ha disturbato anche perché secondo me aveva un immagine un po' stereotipata della lebbra tramite il personaggio del vecchio malato.

****
Ecco, alcune foto da questo viaggio:

Era il 7 aprile, il giorno della donna in Mozambico. Eravamo presso le suore comboniane a Anchilo per l'incontro di IDEA Mozambico e Anna aveva portato le capulane da distribuire alle donne.


Vidi questa ragazza alle celebrazioni per la festa della donna nel piazzale di Anchilo.


I furgoni pieni di passeggeri sulle strade di Nampula.


Si chiama Minko Dias e abita in un villaggio vicino Rapale. Parlava frasi in inglese. Secondo Anna, era una reduce della guerra.

All'ambulatorio a Namaita.


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