sabato 27 dicembre 2008

Il piacere dei libri

In questi giorni sto leggendo l’autobiografia di Margherita Hack, la famosa astronoma italiana (“Qualcosa di inaspettato – i miei affetti, i miei valori, le mie passioni”, Laterza & Figli, 2004). Quando l’ho detto alla mia moglie, il suo primo commento era, “Chi è? E’ quella che non crede in niente, quella che è completamente atea?” 
Sono rimasto un po’ sorpreso da questo commento. Ho già letto circa la metà del libro e non avevo visto Margherita Hack in questa luce. E’ vero che lei ha scritto di non essere un credente e che suo marito invece è molto credente, ma non l’avevo visto come il tratto principale della sua personalità. 
Penso che la percezione popolare delle personalità umane sia qualcosa di completamente imprevedibile, non riusciamo mai a dire perché una persona diventa famosa e quale tratto della sua personalità catturerà l’immaginazione popolare. 
E’ la prima autobiografia che ho mai letto, forse dovrei dire, che ho cominciato a leggere, nella mia vita. Non so perché non mi ero mai sentito attratto da questo genere di libri prima. 
Infatti, è stato un personaggio “famoso” che mi ha recentemente ricordato che esiste anche  questo mondo letterario che non avevo ancora esplorato. Il “personaggio famoso”, non è molto conosciuto in Italia ma è un nome importante tra gli amanti della musica classica indiana, la signora Ashwini Bhide Deshpandey. Ashwini era venuta a Bologna in novembre scorso per due concerti e avevo avuto l’occasione di parlarle. Ha una voce meravigliosa che mi aveva mandato in estasi. Durante la nostra chiacchierata, lei mi aveva raccontato che il suo libro preferito era la biografia di Marie Curie, premio nobel per gli studi sulla radioattività, scritto dalla sua figlia Eve Curie. (Nella foto Ashwini Bhide Deshpandey durante il concerto a Bologna)


Dopo questa chiacchierata con Ashwini, la prima volta che sono tornato alla biblioteca del nostro quartiere, ho cercato la biografia di Marie Curie ma non l’ho trovata. Invece ho trovato l’autobiografia di Margherita Hack. Penso che leggerò altre biografie, ho scoperto che è un genere che mi piace. 
Amo i libri, penso che siano fortunate le persone che lavorano nelle librerie e nelle biblioteche. Essere circondati da centinaia di libri, girare in mezzo a questi libri tutto il giorno, parlare dei libri e toccarli continuamente, vedere persone interessate ai libri, parlare con loro e aiutare loro a trovare il libro che cercano, cosa di più si può chiedere alla vita? 
Visitare la nostra biblioteca del quartiere Navile è molto piacevole. Loro ormai mi conoscono da tanti anni. Quando entro, c’è sempre qualcuno che si ricorda il mio nome, tutti sorridono, delle volte chiedono informazioni sui libri che ho portato in dietro, se mi era piaciuto o no, si chiacchiera un po’. Delle volte loro mi consigliano qualche libro, anche se non mi piace essere consigliato. Almeno una e delle volte due volte al mese vado alla nostra biblioteca del quartiere. 
Invece andare alla biblioteca centrale della Sala Borsa di Bologna è molto meno piacevole, forse perché è molto impersonale. La sala con il pavimento di cristallo trasparente e le rovine romane, sono bellissime e la scelta dei libri è veramente ampia, ma spesso finisco a sentirmi un po’ frustato in questa biblioteca.




Sabato scorso ero arrivato in Sala Borsa alle 09,30 e la biblioteca era ancora chiusa. Alle 10,00 aprirà, mi hanno detto. Ho passato il tempo a guardare i modelli delle proposte presentate per la nuova stazione di Bologna, esposti nella stessa  sala dove vicino al muro in fondo vi sono i banchi della biblioteca. Verso le 10,00 vi erano circa 30 persone che aspettavano l’apertura dei banchi per restituire i libri. 
Alle 10,00 in punto sono aperte le porte ed è uscito in fila un gruppo di addetti della biblioteca, spingendo qualche carrello. Che stile anglosassone e puntuale, molto professionale, ho pensato. Invece era solo un’illusione! 
Non funzionavano i computer. Forse, non si sapeva bene quale pulsante premere dentro la sala operativa per avviare il sistema. Hanno premuto un tasto e tutti i monitor si sono spenti. Dopo qualche prova, alla fine i monitor si sono accesi ma i computer sembravano bloccati. Gli addetti, la maggior parte dei quali erano dei giovani, sembravano non sapere cosa fare.  Tutti facevano delle prove, come fosse la loro prima volta alla biblioteca. 
Una di loro ci ha chiesto di portare pazienza e aspettare finché si risolvevano il problema. Sembrava irritata e risentita come la colpa fosse nostra che eravamo andati lì a tormentarli. Dopo una decina di minuti, una di loro è riuscita ad avviare il suo computer ma sembrava che tutto andava a rallento. Lasciandoci nella fila ad aspettare alcune persone arrivate dopo hanno approfittato da qualche postazione che era riuscita a far funzionare il suo computer, spostandosi nell’altra fila velocemente, non hanno un sistema per assicurare che le persone che arrivano dopo aspettano il loro turno. 
Una signora che stava dietro di me ha detto a bassa voce, “Forse potevano scrivere sul cartello che cominciamo lavorare alle 10,00 ma il servizio per il pubblico inizia alle 10,30.
Alle 10,20 alla fine sono riuscito a raggiungere una postazione. La signorina, molto bella, sembrava irritata e annoiata, con una smorfia sulla sua faccia per tutto il tempo. Forse era una lavoratrice precaria che c’è l’aveva con i responsabili per farle fare un lavoro che non le piaceva. O forse aveva dovuto alzarsi presto la mattina ed era incazzata con me. 
Sono uscita dalla Sala Borsa senza il normale senso di calore che di solito mi accompagna quando esco dalle biblioteche. 
Per mettermi di buon umore, sono andato alla nuova libreria Coop in via degli orefici. Un ottimo posto, bello e pieno di libri, con delle persone che sembrano interessate ai libri, qualche bel angolo per sedersi, bere un bicchiere di vino e chiacchierare e una vista mozzafiato dal soffitto trasparente, dove si vedono le torri di Bologna.



sabato 20 dicembre 2008

Il Magico Mondo della Musica di A. R. Rahman

Anche se la maggior parte di persone in Italia non avrà mai sentito nominare A. R. Rahman, sicuramente alcuni di loro hanno sentito la sua musica. Rahman è un musicista, compositore e cantante indiano che vive a Chennai (Madras) nel sud dell’India. Qualche anno fa una sua composizione (Hai re, hai re, rang laga ke naccio re) si sentiva ogni giorno sulla MTV italiana negli spazi tra la pubblicità.


Rahman ha anche composto musica per “Lagaan – c’era una volta in India” e per l’ultimo film di Deepa Mehta, Water (Acqua) storia di una bambina vedova costretta a vivere un ashram, entrambi film usciti anche in Italia.

Ho sentito la musica di Rahman per la prima volta nel 1992, quando è uscito “Roja”, il primo film in Hindi di Mani Ratnam. Penso che la sua musica per “Roja” sia tra le più belle composizioni della musica di Bollywood di tutti i tempi.



Da allora Rahman ha difficilmente deluso le aspettative dei suoi fans. La rivista americana “Times”, qualche anno fa, l’aveva chiamato “Il Mozart di Madras”. Rahman ha venduto più di 100 milioni di dischi, ha composto musica per il musical “Bombay Dreams” e il musical di Broadway basato sul film “Il signore degli anelli”. Ha composto musiche per diversi film internazionali, compreso per un film cinese.

Nato in una famiglia indù, Allah Rakha Rahman ha perso padre quando era un bambino e dopo qualche anno, la sua famiglia si è convertita all’islam. Forse è questa miscela delle religioni che dona un tocco speciale alla sua musica sacra – ha composto musica per le preghiere di diverse religioni, compreso alcune preghiere sufi che mi piacciono molto - per esempio dal film Meenaxi, la preghiera, “Nur tera nur, charon taraf” (Luce la tua luce sono circondato dalla tua luce), anche se era stato giudicato blasfemo dai fondamentalisti.

Anche la sua preghiera indù dal film “Lagaan – c’era una volta in India”, verso la fine del film, quando la squadra dei contadini indiani ha perso diversi giocatori, alcuni di loro sono feriti e demoralizzati, e alla sera prima del gioco finale, un gruppo di donne si raduna dentro una piccola capanna per pregare, “He palanhare, nirgun aur pyare” (O salvatore, colui senza forma, pieno d’amore) mi piace molto.

Ha anche composto un inno natalizio, tra i più belli in lingua hindi per il film Sapney – “Roshan hui raat vo aasman se uttar ke zameen pe aaya” (La notte si illuminò, quando lui scese giù dal cielo sulla terra).




2008 è stato un anno speciale per gli ammiratori di Rahman. All’inizio del 2008 è uscito Jodhaa Akbar, il film sulla vita di Akbar, l’imperatore mughal il quale aveva sposato una principessa indù Jodhaa. La preghiera sufi di questo film “Khawaja mere khawaja, dil mein samaja” (signore mio signore, vieni nel mio cuore) mi manda in uno stato di estasi (sul sito di Music Plugin, lo potete ascoltare anche in versione senza parole). La musica di Jodhaa Akbar era seria e delicata, da ascoltare più volte per poter apprezzarla.


Qualche mese dopo è arrivato “Jaane tu ya janne na”, un film romantico sulla storia di amicizia e d’amore tra due giovani. Imran Khan, l’eroe del film è diventato la nuova stella nascente di Bollywood dopo questo film. La musica del film è giovane, pieno di energia e gioia.

Poi in novembre è arrivato Yuvraaj, un film musicale ambientato a Vienna. La musica di Yuvraaj è una musica fusion dove musica classica e folk indiana si sposano con la musica sinfonica occidentale. Né il film, né la musica di Rahman hanno trovato grande successo in India, anche se personalmente mi è piaciuta molto. Le canzone di questo film sono state scritte da Gulzar, uno dei poeti più apprezzati di Bollywood e il mio favorito. La canzone, “Zingadi zindagi, kya kami rah gayi, aankh ki kor mein kyon nami reh gayi” (Vita la mia vita, che cosa ti manca, perché questo umido agli angoli degli occhi) è la mia favorita.

Alla fine dell’anno, in dicembre 2008 è uscita la musica di 2 altri due film curata da Rahman – Ghajini e Slumdog Millionaire.

Ghajini è la musica tipicamente indiana con delle melodie bellissime. Ascoltate Guzarish (richiesta) o Behka, behka (ubriaco, ubriaco) e rimarrete incantati.

Slumdog Millionaire, il nuovo film di Danny Boyle è uscito recentemente in Italia con il titolo “The Millionaire” (Il milionario) e di nuovo presenta una musica fusion, più spostata verso i gusti occidentali ma con dei tocchi della musica indiana favolosi. Ascoltate la chitarra all’inizio della versione remix di "Paper Planes" o il delicato ma complesso ritmo di "Latika’s Theme", e capirete perché tanti amano la musica di Rahman. Comunque il mio favorito è “Ringa Ringa”, la canzone più “indiana” dell’album che riprende e re-inventa una delle canzoni considerate più scandalose nella storia della musica di Bollywood – Choli ke peeche kya hai (Cose c’è dietro la mia blusa). Le cantanti sono le stesse, Alka Yagnik e Ila Arun, lo stile è uguale, il ritmo ha un eco della vecchia canzone, ma le parole sono diverse, anche se continuano ad avere forti allusioni sessuali. Mi piace molto la voce rauca e potente della diminutiva Ila Arun.



Non mi ricordo un anno con così tanti film con la musica di Rahman. Se devo scegliere la canzone che mi piace di più di tutti questi film, farei fatica a decidere. Adesso come adesso, voterei per “Khawajha mere khawaja” di Jodhaa Akbar.

E’ vero che in India quando parliamo di cantanti, di compositori e della musica hindi, finiamo sempre a parlare dei film di Bollywood, perché la musica pop indipendente dalla musica dei film, è molto limitata. Rahman ha fatto alcuni album indipendenti come il suo “Pray for me brother”, per sensibilizzare l’opinione pubblica verso gli obiettivi del millennio delle nazioni unite, e il suo più conosciuto “Ma tujhe salam” per i cinquanta anni dell’indipendenza dell’India.

Se volete sentire la musica di Rahman, troverete molte canzoni su Youtube ma anche sui siti come quello di Music Plugin – è sufficiente fare la ricerca con il nome del film o del musicista.

giovedì 11 dicembre 2008

Un nuovo racconto

Un mio nuovo racconto è uscito sul numero 18 (luglio-dicembre 2008) della rivista Incroci – semestrale di letteratura e altre scritture pubblicato da Mario Adda Editore Bari, curato da Lino Angiuli e Raffaele Nigro.


Sono ancora molto insicuro all’idea di scrivere in italiano. Quando rileggo i miei scritti in italiano su questo blog, mi sembra che siano pieni di errori e che dovrei ritornare a correggerli uno ad uno.

Forse in italiano non esiste una forma di scrittura corretta, ma esistono delle forme migliorabili molto soggettive. Il mio racconto, prima di essere inviato a Lino Angiuli era stato controllato e corretto da 3 persone, ciascuna delle quali aveva individuato degli errori e li aveva corretti ma poi anche Lino ha dovuto correggere qualcosa prima della stampa!

Il mio racconto si intitola “Viaggi”. L’introduzione al racconto scritto da Lino Angiuli riporta il seguente testo: Il viaggio, quello fisico e “quotidiano”, quello che ci fa trasferire da un luogo all’altro in treno, può costituire un momento in cui sì “incrociano” vite, culture, mondi e visioni del mondo. Ce lo dimostra questa narrazione autobiografica, limpida e intensa ...

Veramente il racconto non è autobiografico, è un racconto che trae ispirazione da cose viste o sentite, ma è sempre e soltanto un racconto. Comunque mi piace questa introduzione perché coglie il significato di questo racconto.

venerdì 5 dicembre 2008

Il colore della pelle

Ieri sera ho avuto una lunga e appassionata discussione con Chiara. Oramai ci conosciamo da quel lontano 1990-91, quando Chiara era tornata da Nicaragua e aveva letto un mio articolo sulla rivista di Aifo, dove parlavo dell’ospedale di Kimbau in Congo. Da allora Chiara vive in Congo, prima come una volontaria Aifo e negli ultimi anni come una volontaria laica della diocesi di Kenge. Quando Chiara viene a Bologna, spesso si ferma da noi. Mi piace molto Chiara e mi piace la sua sensibilità e la sua emotività e il suo ostinato desiderio di mettersi in prima fila a sperimentare su se stessa le proprie idee. Lei non si nasconde dietro una scrivania o dietro scuse ufficiali, vuole sempre scontrare direttamente contro ogni ingiustizia. Per cui è difficile che trovo argomenti dove non sono d’accordo con lei. Molte volte in passato, lei mi ha dato nuovi spunti di riflessione, un nuovo modo di guardare le questioni.

Qualche anno fa, lei mi aveva parlato delle creme e saponi a base di mercurio e a base di altre sostanze tossiche, usate in Congo per schiarire il colore della pelle, ma non ne avevamo parlato molto. Invece avevo avuto qualche discussione vivace su questo tema con alcune persone che avevano sentito Chiara parlare di questo problema e volevano lanciare delle campagne di sensibilizzazione contro l’uso di queste creme e saponi. Non ero completamente d’accordo con le loro idee, ma non ero riuscito a convincerle.

Ieri sera quando Chiara mi ha parlato di un incontro che si terrà a Roma su questo tema, allora ne abbiamo discusso. Penso che le questioni fondamentali su questo tema sono due:

(1) Le creme ed i saponi per schiarire il colore della pelle sono dannosi per la salute delle persone, contengono dei materiali cancerogeni, spesso vietati in molti paesi. Nonostante i divieti, questo tipo di prodotti si vendono anche in Europa e in Italia, sopratutto nei negozi frequentati dagli emigrati e gestiti da asiatici e africani, senza nessun tipo di controllo. Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema affinché non vi sia la possibilità di vendere questi prodotti dannosi per la salute e affinché le ditte commerciali non possono usare pubblicità ingannevole per influenzare le persone con la pelle scura.

(2) Ogni persona, qualunque sia il colore della sua pelle, è bella. Anche nero è bello perciò nessuno dovrebbe cercare di schiarirsi il colore della pelle.

Mentre concordo con il primo punto, ho alcune perplessità con il secondo ragionamento, sopratutto se a parlarne non siano i protagonisti della storia, ciò è le persone con la pelle scura, ma soltanto degli europei. Personalmente credo che tutti gli esseri umani, bianchi, neri, gialli e tutte le altre tonalità che esistono nella natura, sono belli e tutti noi dovremmo sentirci orgogliosi di come siamo, amati e valorizzati senza nessuna condizionale.

Ma se sono d’accordo con il principio, con la pratica, penso che bisogna tenere presente alcune altre considerazioni, per esempio:

(1) Quando qualcosa riguarda un gruppo di persone o un popolo, penso che sia opportuno che siano le persone di quel gruppo ad avere la possibilità e la voce per dire la propria. Se dobbiamo parlare degli emigrati, diamo spazio anche agli emigrati e non soltanto ai vari assessori, esperti, politici e associazioni. Se dobbiamo parlare del colore della pelle e chiederci perché le persone di pelle scura vogliono schiarire il proprio colore, sarebbe opportuno che vi siano alcune di queste persone a dire la propria. Purtroppo, più delle volte parliamo delle questioni senza lasciare spazio alle persone direttamente coinvolte nelle questioni.

(2) Le idee di bellezza dipendono dalla cultura e dal contesto. In Europa essere obese può essere considerato brutto, mentre in Africa, certo tipo di obesità può essere considerata bella. Se sei costretto a lavorare sotto il sole e la tua pelle diventa nera, generalmente non sarai considerato bello. Invece se sei ricco e avere la pelle abbronzata vuol dire che puoi permetterti delle vacanze alle Caraibi, allora quella pelle scura può essere considerata bella. Ciò è, se il colore della pelle è un’indicazione della ricchezza o povertà delle persone, se il colore della pelle è fonte dei privilegi o delle discriminazioni, sicuramente altre considerazioni decideranno se le persone vogliono avere la pelle più chiara o più scura.

(3) In molte culture, nero è considerato pari al cattivo, allo sporco e al diavolo, mentre bianco è pari al buono e al giusto. Guardate criticamente il linguaggio che usiamo tutti i giorni e diventa chiaro che questo modo di ragionare fa parte del pensiero profondo e inconscio di molte culture.

(4) Il colore più scuro della pelle, sopratutto nei paesi come India dove esistono persone di diverse tonalità della pelle, significa maggiori difficoltà a trovare lavoro, difficoltà a trovare un marito o una moglie. Basta guardare una rivista africana e troverete che tutta la pubblicità è basata sulle persone di pelle più chiara, se non di pelle bianca. Guardate un film indiano e vi rendete conto che non si vedono persone con la pelle più scura tra i personaggi. I famosi eroi di colore del cinema di Hollywood, non sono neri-neri, hanno la pelle un po’ chiara. Guardate la televisione brasiliana e vi accorgete che non si vedono le facce nere né anche tra il pubblico.

Penso che sia bello quando una persona scopre orgoglio dentro di se e sente che vale, anche se il colore della sua pelle è nera o gialla o marrone. Invece non è la stessa cosa se gli altri ci dicono che noi dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi, sopratutto se viviamo in una cultura dove sperimentiamo sulla nostra pelle l’impatto della nostra diversità ogni giorno.

Nelle culture dove vivono persone di colore della pelle diversa, quando uno nasce con la pelle scura, impara da piccolo che è meno gradito, è meno ben voluto, in confronto agli altri che hanno la pelle più chiara. Se siete stati dentro un gruppo di bambini di colori diversi, e avete la pelle più scura lo sperimenterete, almeno con alcune persone. Invece se avete la pelle chiara, spesso non vi accorgete di questa differenza. Trovare la propria forza e sviluppare la fiducia in se stessi, quando siete diversi, per il colore della pelle, per l’orientamento sessuale, per la disabilità, per la cultura o per la religione, non è né facile né automatico. E’ un percorso.

Poi, penso ad un’altra cosa. Se la società pensa che scuro sia meno bello, la stessa società pensa anche che più vecchio vuol dire, più brutto. E’ su questo concetto che si basa molta dell’industria cosmetica con tutte le creme per diminuire le rughe. Personalmente ritengo che ogni persona dovrebbe essere orgogliosa della propria età e delle proprie rughe, ma non andrei a sindacare agli altri che non devono usare le creme per ridurre le rughe, o altri prodotti di bellezza. Ognuno deve avere la possibilità di fare il proprio percorso per arrivarci da solo, o delle volte, non arrivarci mai.

Perché siamo più indulgenti per le persone che usano le creme per sembrare meno vecchie e meno indulgenti per le persone che usano creme per schiarirsi la pelle? Non stiamo parlando della stessa cosa, avere fiducia in se stessi, sentirsi uguali agli altri?

In India la questione del colore della pelle, sopratutto per le ragazze, può diventare una questione di vita e di morte, e non soltanto in senso metaforico. L’ho visto da vicino per le 7 sorelle di mia madre, 3 delle quali avevano la pelle più scura, e so quanto può essere insidiosa, dolorosa e persistente questa discriminazione.

Il principio dell’uguaglianza degli esseri umani è bello come principio ma in realtà fare finta che siamo tutti uguali, che discriminazioni non esistono e che le persone che cercano di schiarirsi la pelle sono soltanto degli stupidi o degli ignoranti malinformati, serve solo per assicurare che non affronteremo la discriminazione in maniera seria, né cambieremo la realtà che ci circonda.

Alla fine Chiara concordava con alcune delle mie considerazioni. Lei parlerà sopratutto sull’impatto sulla salute delle creme e saponi per schiarire la pelle, ma ha detto che solleverà le altre questioni per promuovere una riflessione.

giovedì 4 dicembre 2008

Terrore a Mumbai e la risposta dei Musulmani Indiani

Gli attacchi terroristici a Mumbai sono stati un incubo durato 3 giorni e circa una settimana dopo, ancora le proteste in India contro i politici non si placano. Mentre i volti dei giovani terroristi e la loro palese gioia nel massacro degli innocenti mi faceva sentire orrore, ma allo stesso momento le notizie che questi erano ragazzi pakistani e forse tra di loro vi erano ragazzi inglesi di origine pakistana mi facevano sentire una certa disperazione. E’ un ciclo vizioso, pensavo, già molti pensano che i musulmani e sopratutto i ragazzi musulmani di origine pakistana siano dei terroristi, e un episodio del genere che resta sui teleschermi di tutto il mondo per interi giorni, non farà che a peggiorare questa percezione e il loro senso di alienazione.

Penso che questo stesso circolo vizioso ha creato un certo grado di alienazione anche tra i musulmani indiani, i quali si sentono sotto osservazione e per ogni episodio di terrorismo, si chiede a loro di dare qualche prova della loro lealtà verso la nazione. Delle volte penso che chiediamo a loro di rinnegare la propria religione per dare prova della loro non condivisione dei valori fondamentalisti.

Resta innegabile che tra i musulmani vi sono delle frange estremiste e dei personaggi ultra conservatori, i quali sono molto aggressivi nell’esprimere la propria visione del mondo e purtroppo, la stampa e le media danno degli spazi sproporzionati alle loro esternazioni. In confronto le voci dei musulmani più moderati si sentono con molta più difficoltà, e probabilmente molti di loro hanno paura di esprimere i propri pensieri perché rischiano di diventare i bersagli delle frange estremiste.

E’ per questo motivo che la notizia della decisione del consiglio islamico di Mumbai di non seppellire i corpi dei terroristi morti a Mumbai durante la scorsa settimana è stata una decisione forte e inequivocabile. Il consiglio islamico di Mumbai ha detto che questi ragazzi non si sono comportati secondo i concetti fondamentali dell’islam di pace e fratellanza, per cui non erano dei veri musulmani e che loro non si sentono di pregare per le anime di questi ragazzi né di lasciare che essi siano sepolti nei cimiteri musulmani della città, e chiedono che questi corpi siano mandati ai paesi di origine di questi ragazzi.

Ali, un giornalista musulmano ha detto, “Condivido questa decisione perché quello che questi ragazzi hanno fatto in nome della comunità islamica e della religione, non può essere giustificato in nessun modo.”


Altri capi religiosi musulmani importanti dell’India, compreso l’imam del moschea di Delhi e il capo della comunità Dar ul-Uloom di Deoband, hanno espresso sostegno per questa decisione del consiglio islamico di Mumbai.

Penso che sia una decisione molto forte ed è un segnale forte anche ai ragazzi musulmani indiani che si sentono attratti dalla filosofia Jihadista.

Dopo secoli di convivenza in una terra dove vivono molte religioni, con alcuni momenti di lotte feroci e di barbarie alternanti con i momenti di pace, i musulmani indiani hanno trovato una versione tollerante e pacifica dell’islam, influenzata fortemente dal sufismo. A nuova Delhi, nella casa dove sono cresciuto, avevamo i vicini di casa, una famiglia musulmana da una parte e una famiglia sikh dall’altra. Jude, un ragazzo cattolico che abitava tre case più avanti ed era il mio migliore amico per alcuni anni, prima che sua famiglia decidesse di emigrare in Australia.

Quando penso ai rapporti tra le religioni in India, mi piace pensare a quelli anni come l’espressione migliore delle diversità religiose in India, dove era naturale festeggiare le feste di tutte le religioni e dove nei venti anni di convivenza, non mi ricordo né anche una volta, delle discussioni per le differenze religiose.

Negli ultimi anni ho avuto la sensazione che questa visione pacifica, tollerante e gioiosa delle religioni fosse minacciato dagli estremismi. E per questo che sono contento della scelta del consiglio islamico indiano che ha un forte valore simbolico ed è una netto rifiuto del fondamentalismo islamico e la sua cultura dell’intolleranza, dell’odio e della morte. Allo stesso momento, spero che sarà anche un esempio anche per i conservatori di altre religioni.

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