giovedì 31 dicembre 2009

Coro di Babele

Avevo letto alcuni estratti del nuovo libro di Amitabh Ghosh, “The Sea of Poppies” (L’Oceano dei Pappaveri, Neri Pozza editore, 2008) nella rivista indiana Outlook, nel 2007. Si trattava del capitolo 5, nel quale Deeti, la protagonista principale del libro e la moglie di Hukum Singh, il drogato di oppio, va a recuperare il suo marito alla fabbrica di oppio di Ghazipur.


Ogni libro di Amitabh Ghosh porta con sé la scoperta di un nuovo mondo. Per esempio, “Il Palazzo degli Specchi” era la scoperta di una Birmania alla fine del dicianovesimo secolo. “Il Paese delle Maree” era la scoperta di Sunderbans e di delfini del fiume Gange nella baia del Bengala. Quando ho letto l’anteprima del quinto capitolo di “L’Oceano dei Pappaveri”, sapevo che sarebbe stata la scoperta di un’India nuova, della quale non avevo mai sentito parlare prima, l'India dei campi e fabbriche di oppio. Per quanto ne sapevo, la guerra dell’oppio era una storia soltanto tra gli inglesi e i cinesi.

Alla fine ho letto il libro nella versione inglese, mentre ero in India nel 2008. Come faranno a tradurrlo in altre lingue, avevo pensato, mentre lo leggevo? Un giorno lo leggerò anche in italiano, mi ero promesso, per verificare di persona come avevano affrontato la traduzione del libro, i traduttori italiani!

Il linguaggio del libro

L’Oceano dei Pappaveri è un coro di voci in diverse lingue, un insieme di personaggi improbabili, provenienti da diverse parti del mondo, ciascun personaggio con la propria lingua. Il libro originale è stato scritto in inglese e affronta la diversità linguistica dei suoi personaggi principali in modo diversificato.

Deeti, suo marito Hukum Singh e sua figlia Kabutari, e altri personaggi del loro villaggio, tutti parlano la lingua Bhojpuri. Questa parte del libro è stata scritta in maniera normale – la maggior parte è in inglese e soltanto alcune frasi sono lasciate in lingua originale. Dove il contesto non chiarisce il probabibile significato di queste frasi in Bhojpuri, l’autore spiega il loro significato in inglese.

Zachary Reid, il ragazzo mezzosangue americano, figlio di una schiava nera, parla inglese americano, mentre Paulette Lambert, la figlia di un francese, cresciuta a Calcutta da una balia bengalese, sa cambiare il proprio modo di parlare secondo il contesto. Raja Neel Rattan, il nobiluomo bengalese, parla il bengalese raffinato e l’inglese degli inglesi. Tutti questi personaggi, ognuno con le sue variazioni specifiche, parlano una lingua comprensibile e tutto sommato, sono traducibili in altre lingue.

Ma vi sono due gruppi specifici di persone, per i quali, Ghosh ha inventato due modi molto particolari di parlare l’inglese. Il primo è il gruppo dei Lascari, i marinai provenienti da diversi paesi dell’Africa, dal medio-oriente, dell’oceano indiano, dal sud Asia e dall’estremo oriente. La loro lingua mescola insieme parole da diverse lingue con l’aggiunta di parole nautiche inglesi. Per esempio, Serang Ali, un Rohangiya della Birmania e capo del gruppo dei lascari, parla così:
Lambert missy scappata a sposare altro pezzo d’uomo. Molto meglio Malum Zikri dimentica lei. Ognimodo lei troppo magra. Lato-Cina lui prende bel pezzo moglie. Bella bella, davanti e dietro. Fa malum Zikri troppo troppo felice dentro.”
Il secondo gruppo è invece quello degli inglesi che vivono in India da molti anni, inseriti dentro un sistema di gerarchie e di rapporti con il loro ambiente, con il quale comunicano in un linguaggio tutto nuovo, mescolando più lingue. Per esempio, leggete queste parole del signor Doughty quando parla del vecchio re di Rashkalli:
Se mai c’è stato un gentiluomo negro, quello era lui! Il miglior indigeno che si possa immaginare, tutto preso dai suoi liquori, le sue ballerine, i suoi tumasher. Non c’era uomo in città capace più di lui di mettere su un burra-khana. Saloni luccicanti di specchi e candele. Paltan di domestici e khidmutgar. Damigiane di rosso francese e barili di simkin ghiacciato. E squisiti karibat! Ai vecchi tempi la cambusa del Rascally era la migliore in città. Niente brodaglie e pesce secco alla tavola di Rascally. I dumbpoke e i pulao non erano male, ma noi gente di mare aspettavamo il curry di pesce e il chitchky di spinaci...”
Volete fare un conto delle parole che non avete capito in questo paragrafo? Gli indiani sono vantaggiati perché se sanno Hindi, Bhojpuri o Urdu, possono indovinare il significato di maggior parte delle parole strane, ma forse alla fine, non è così importante capire il significato di ogni parola che si legge? Penso che delle volte, può essere sufficiente avere un’idea generale di quello che parlano, e il suono delle parole non capite, comunque dona una comprensione istintiva dell’ambiente e di quello che viene detto, meglio di qualunque descrizione.

Comunque, penso che i traduttori del libro, Anna Nadotti e Norman Gobetti, hanno fatto un lavoro che merita un premio per la traduzione di questo libro. Sono riusciti a trasmettere il senso delle diverse lingue e dei diversi personaggi. Nella loro nota in fondo al libro, loro parlano della difficoltà di tradurre il testo di questo romanzo e di una lettera di Ghosh che diceva: “Credo che un romanzo dovrebbe sempre avere una certa dose di rumore di fondo, che può non essere immediatamente comprensibile ma serve ad altri scopi.”

Il mondo del libro

Ghosh ha immaginato tutto un mondo per il libro. Ha creato tanti personaggi ricchi di dettagli e di ideosincrasie, come pezzi di una ragnatela, ciascun con la propria storia. Subito all’inizio del libro, il sogno di Deeti fa intuire che i vari personaggi finiranno dentro quella nave che lei ha sognato. Resta la curiosità di vedere come i diversi pezzi del puzzle troveranno il loro incastro nella storia.

Ghosh ha evidente simpatia per i personaggi messi ai margini nei vari gruppi – Kalua l’intoccabile, Zachary che non deve dimenticare il sangue nero nelle sue vene, Paulette che non ha le maniere degli europei, Jodu il ragazzo musulmano cresciuto insieme alla Paulette, Serang Ali e altri suoi compagni, i personaggi “girmitya” che si trovano insieme nella nave, e Ah Fatt, il prigionero cinese, tutti sono tracciati con simpatia e amore. Le loro parole e le loro vite hanno una dignità che normalmente i romanzi coloniali non donano a questo tipo di personaggi.

Dall’altra parte, Ghosh non lascia nessuna giustificazione nobile o romantica ai suoi personaggi inglesi. Non li fornisce nessuna scusa "civilizzatrice" spesso usata nei romanzi coloniali scritti da autori inglesi. Sono persone normali, mosse anche da egoismo, pronte a dimenticare il fairplay o la giustizia se fa comodo agli obiettivi del loro dominio. In questo senso questi personaggi sono più credibili.

In qualche sua intervista riguardo il libro, Ghosh ha parlato della brutalità dell’impero brittanico costruito sul commercio dell’oppio.

Uno dei personaggi più innovativi creati da Ghosh in questo libro è quello di Baboo Nob Kissin, il gumusta che pensa di essere l’incarnazione di una madre mitica, innamorata di dio Krishna. Il suo amore per Zachary, che lui vede come dio Krishna, è tenero anche se è ai limiti della pazzia. E’ un esempio delle complessità delle tematiche transgender sull’identità sessuale in India, diverso da come lo si affronta e teorizza in occidente.

Conclusioni

E’ stato un piacere rileggere questo libro, ma devo confessare che nell’insieme questo libro mi ha deluso un po’. Singolarmente ogni personaggio è stato creato con cura e maestria, ma il libro mi ha dato l’idea di essere costruito a tavolo. Il comune destino dei personaggi che trovano sulla nave, non mi ha dato la sensazione dell’inevitabilità delle loro vite. Non voglio dire che il libro non è bello, anzi è molto bello, ma penso che alla fine, resta un coro di babele, un coro molto bello e interessante, ma non diventa una sinfonia che ti lascia con un senso di esaltazione. Forse ciò dipende dal fatto che è la prima parte di una trilogia e percui la storia non è compiuta?

A voi invece è piaciuto questo libro? Cosa pensate dei diversi linguaggi usati in questo libro?

Note:
Cliccate qui, se volete leggere il blog di Amitav Ghosh in inglese

Potete anche scaricare il testo scritto da Ghosh “The Ibis chrestomathy” (in inglese, formato PDF), che spiega le origine e i significati di alcune delle parole “strane” che trovate in L’Oceano dei Pappaveri ( )

lunedì 28 dicembre 2009

Bollywood 2009: I film più interessanti (Parte 2)

Nella prima parte di questo articolo, avevo spiegato la mancanza di grandi film di successo nel primo quadrimestre del 2009. L’inizio del secondo quadrimestre del 2009 ha coinciso con lo sciopero di Bollywood e così non è uscito nessun nuovo film importante quasi fino alla fine di giugno.

Luck (Fortuna): Per trovare il primo film un po’ interessante del 2009, bisognava aspettare fino a luglio, e purtroppo l’inizio era un po’ deludente con il “Luck” del regista Soham Shah. Il film con diversi attori conosciuti (Sanjay Dutt, Mithun Chakraborty, Danny Dengzongpa, Ravi Kishen), era atteso sopratutto per i suoi due protagonisti principali – Imran Khan e Shruti Hasan.


Imran, nipote del attore Aamir Khan, aveva trovato molti ammiratori dopo il suo primo film “Jaane tu ya janne na” (Tu lo sai o non lo sai, 2008). Shruti Hasan è la figlia di attori Kamaal Hasan e Sarika. Lei si era già fatta conoscere al pubblico come parte di un gruppo musicale rock indiano e con questo film, era al suo debutto nel mondo di Bollywood.

Il film era un thriller con molte scene di azione. Un cattivo (Sanjay Dutt), che agisce per conto di un gruppo di scomettitori internazionali, offre un superpremio da milioni di dollari al vincitore di una gara di avventure pericolose. Ad ogni passo della gara, qualche concorrente potrebbe anche morire. Per questa gara lui fa riunire un gruppo di persone “fortunate” da diverse parti del mondo, le quale hanno già sfidato la morte almeno una volta.

Mi è piaciuto l’attore Ravi Kishen, diventato famoso per i suoi film in lingua Bhojpuri, ma ho trovato il film noioso. Il film non è stato apprezzato in India, né dal pubblico né dalla critica.

Love aaj kal (Amore oggi e ieri): Il film prodotto dal attore Saif Ali Khan, aveva come regista Imran Ali (ultimo film – “Jab we met” o “Amore arriva con il treno”, 2007). I protagonisti principali erano Saif Ali Khan, Deepika Padukone e Rishi Kapoor. Per cui le aspettative da questo film erano altissime. Questo film ha finalmente inaugurato il periodo buono di Bollywood nel 2009, è stato apprezzato dal pubblico e dalla critica.


Il film raccontava due storie d’amore. La prima storia d’amore era ambientata in India degli anni 1960, tra Veer Singh (interpretato da due attori - il vecchio Veer dal attore Rishi Kapoor e il giovane Veer, da Saif Ali Khan) e Harleen Kaur (Giselle Monteiro). La seconda storia d’amore era odierna, ambientata tra Londra, Delhi e San Francisco, tra Jai (Saif Ali Khan) e Meera (Deepika Padukone).

Jai e Meera si incontrano a Londra, decidono di convivere ma non sono convinti se quello che si sentono dentro sia il vero amore. Meera decide di tornare in India e Jai vuole seguire il suo sogno di diventare l’architetto a San Francisco.

Veer Singh, vecchio proprietario di un caffé a Londra, non capisce come mai Jai non segue suo amore Meera e la lascia andare via. Veer Singh, non capisce i dubbi che hanno i giovani e perché Jai non si sente sicuro se Meera è la ragazza giusta per lui. Veer Singh gli racconta la propria storia d’amore con Harleen in India quando era giovane. Lui non aveva incertezze anche se non poteva parlarle e solo poteva guardarla da lontano.

Jai è scettico riguardo la storia di Veer. I tempi sono cambiati, Jai gli risponde, bisogna provare molte volte prima di trovare il vero amore.

Prima di partire per San Francisco, Jai torna in India per incontrare Meera. Si divertono insieme ma pensano che la storia tra di loro non è una cosa seria e hanno bisogno di provare con altre persone.

Meera inizia una relazione con il suo boss (Rahul Khanna) e decidono di sposarsi. Anche Jai ha avuto altre storie. Lui torna in India per il matrimonio di Meera. All’ultimo minuto Meera ha dei dubbi ma Jai le dice di andare avanti.

Solo dopo il suo ritorno in America, quando ormai Meera si è già sposata, Jai si rende conto che gli manca Meera, e decide di tornare in India per cercarla.

Il film è bello perché contrappone i due modi diversi di concepire l’amore – quello di vecchio stile e quello odierno. Saif Ali, è in doppio ruolo di giovane Jai e giovane Veeru, ed è bravo. Deepika è molto bella e abbastanza brava.

Giselle Monteiro, nel ruolo della ragazza sikh tradizionale, è un’attrice brasiliana, molto bella. E’ efficace in questo film perché non deve parlare, e deve comunicare sopratutto con gli occhi. Lei è stata la sopresa del film. Nessuno sapeva chi fosse e nessuno aveva capito che era un’attrice straniera.

La musica del film è molto orecchiabile. Da questo film vi suggerisco due canzoni che potete guardare su Youtube: Aaj dil chadya tere rang varga (Oggi il giorno ha il tuo colore) e Chor bazari do naino ki (Fare le cose di nascosto)

Kaminey (Bastardi): Il nuovo film di Vishal Bhardwaj ha consolidato la fama di questo regista come uno dei più bravi dell’ultima generazione. Il film è la storia di 24 ore nella vita di due ragazzi gemelli ed è pieno di personaggi pazzi. Il film fa pensare al cinema di Tarantino, anche se è radicato nell’ambiente indiano.

Raccontare il trama di questo film non è semplice, perché vi sono diverse storie intrecciate. I protagonisti principali sono 3 – Guddu (Shahid Kapoor), il suo gemello Charlie (Shahid Kapoor) e Sweety, la ragazza di Guddu (Priyanka Chopra).


Guddu e Charlie, figli gemelli di emigrati bihari venuti a Mumbai in cerca di lavoro, non si parlano tra di loro. Guddu lavora per un’associazione contro AIDS e Charlie fa parte di un gang di mafiosi di Mumbai. Guddu balbetta e Charlie non riesce a pronunciare ‘s’, invece di ‘s’ dice ‘f’ (ciò è, invece di “sapone” dice “fapone”, ecc.).

Guddu scopre che sua ragazza Sweety è incinta ed è costretto a sposarla, e così scopre che Sweety è la sorella di Bhope (Amol Gupte), il capo di un partito di estrema destra xenofoba che c’è l’ha con tutti gli emigrati. Charlie trova una grossa partita di droga che appartiene ad un mafioso tibetano (Tenzing Nima) che lavora con un gruppo di trafficanti angolani. La droga doveva essere trasportata e consegnata da un paio di polizzotti corrotti, ma questi si trovano in mezzo a una sparatoria e la perdono.

I seguaci violenti e xenofobi di Bhope, i mafiosi che cercano la partita della droga, i polizzotti corrotti, la coppia di neosposi, e tanti personaggi più o meno esaltati, insieme costruiscono un collage demenziale e simpatico, con molti colpi di scena e incastri incredibili. Il film è stato visto come una novità per il mondo di Bollywood ed è stato amato da pubblico e critica.

Gli attori del film sono tutti bravi e la musica del film è pieno di energia. Da questo film vi propongo la canzone “Dhan tana ..” che riprende la musica di James Bond per trasmettere il senso di thriller e di energia di Charlie quando trova la droga e sogna di diventare ricco.

Conclusioni: Il secondo quadrimestre del 2009, non aveva molti film significativi, ma aveva almeno due film che non potete perdere – Love Aaj Kal e Kaminey.

domenica 20 dicembre 2009

Bollywood 2009: I film più interessanti (Parte 1)

Come è stato il 2009 per il mondo di Bollywood? E’ stato un anno un po' difficile. A Mumbai, nel mondo del cinema di Bollywood nel centro-ovest dell’India, ogni anno si girano circa 300 film nuovi, quasi un nuovo film per ogni giorno del anno. Nel 2009, i produttori di Bollywood hanno incrociato le braccia e deciso di non far uscire nessun film nuovo finché non si risolveva una disputa sulla condivisione dei profitti con i padroni delle sale cinematografiche. Per questo motivo, per più di 3 mesi, da fine marzo a giugno 2009, non è uscito nessun nuovo film significativo.

Alla fine, quando la disputa si è risolta, molti film avevano già perso il periodo programmato per la loro uscita. Per questo motivo, spesso non c’era tempo per organizzare bene la pubblicità dei film prima della loro uscita nelle sale. Tra luglio e settembre 2009, durante alcune settimane, sono usciti insieme anche 3-4 film nuovi e importanti, quindi i guadagni per i singoli film erano minori. Alcuni dei film che dovevano uscire nel 2009, sono stati rimandati al 2010.

Questa mia analisi dei film più importanti è molto soggettiva – sono i film che io ritengo significativi.

Mi sembra che in Italia, per la maggior parte delle persone interessate al cinema di Bollywood, ciò significa interesse per i film “masala”, ciò è, i film che seguono la classica miscela di canzoni, danze, belli vestiti e storie struggenti di amori impossibili.

Forse c’è una parte più piccola di persone in Italia che si interessano anche del cinema d’autore indiano, ciò è, i film che raccontano le storie importanti, in una forma che si avvicina di più al cinema occidentale. Questi film spesso evitano o almeno limitano l’uso degli elementi masala descritti sopra.

Come indiano, qualche volta posso anche giudicare interessanti alcuni dei film di Bollywood, anche se non sono né buon film masala né importanti film d’autore. In questo caso, il mio giudizio dipende dalla particolarità di quel film per il contesto indiano, anche se alcuni di voi, farete fatica a capire che cosa era di particolare in quel film!

Scusate questo lungo preambolo, procediamo subito con la carrellata dei film di Bollywood più significativi del 2009. Questa prima parte del articolo si focalizza sui film usciti nel primo quadrimestre del 2009, ciò è, tra il gennaio e l’aprile 2009.

Chandni Chowk to China (CCC) Era il primo grande film del 2009 con un cast di attori popolari come Akshay Kumar e Deepika Padukone, con il regista Nikhil Advani. Il film era una co-produzione con la casa americana Warner Bros. La storia iniziava nel famoso mercato di Chandni Chowk della vecchia Delhi, affollato e caotico, e finiva in un villaggio della Cina degli arti marziali, con delle scenografie spettacolari. Immaginate le danze di Bollywood sulla muraglia cinese mescolate con le lotte di kung fu a rallentatore, l’idea sembrava infallibile. Invece il film fu un grande flop. Mentre, Deepika Padukone, nella parte delle gemelle indo-cinesi è stata apprezzata, il pubblico non ha gradito Akshay Kumar nella parte di uno zoticone, reincarnazione di un antico guerriero cinese che fa fatica a scoprire le proprie capacità di guerriero.


Il film aveva delle belle immagini e delle belle danze, ma gli mancavano l’anima e le emozioni. Così l’inizio del 2009 non era di grande auspicio per il cinema di Bollywood.

Vi consiglio due canzoni di questo film che potete vedere su Youtube: la canzone del titolo e Tere Naina (i tuoi occhi) che potete guardare su Youtube.

Luck by Chance (Fortuna per caso) era il primo film del regista Zoya Akhtar con suo fratello, Farhan Akhtar, nel ruolo del suo protagonista principale, insieme a Konkana Sen, Isha Sharvani, Hrithik Roshan e molti altri personaggi di Bollywood. Il film era ambientato nel mondo di Bollywood e sull’insicurezza degli attori e l’egoismo necessario per diventare le stelle di Bollywood. Mi è piaciuto molto questo film anche se non ha avuto grande successo del pubblico. (Leggete la recensione completa).


Farhan Akhtar, già conosciuto come il regista di film di grande successo come "Don" e "Dil Chahta Hai", aveva ricevuto apprezzamento come attore e come cantante per il film “Rock On” nel 2008. Personalmente non l’ho trovato molto adatto per il ruolo di un attore emergente.

Se sognate di diventare un attore o una attrice, o magari sognate il mondo di Bollywood, non potete perdere questo film.

Vi consiglio la canzone Baware da questo film, ricca di colori e di costumi con un Hrithik Roshan in grande forma.

Delhi 6 Il secondo film più importante del 2009, è uscito qualche settimana dopo CCC. Anche questo film era ambientato nelle stradine che circondano la zona di Chandni Chowk, la zona 6 di Delhi. Il regista del film era Rakeysh Omprakash Mehra. Il suo ultimo film, Rang de Basanti (Colora mi di arancio, 2006) era stato un grande successo, apprezzato sia dalla critica che dal pubblico, per cui le aspettative da "Delhi 6" erano enormi. I protagonisti principali del film erano Abhishekh Bacchan e la nuova attrice Sonam Kapoor (figlia del attore Anil Kapoor, al sua secondo film dopo “Saawariya”).

Il film raccontava la storia di un ragazzo indo-americano, nato in una famiglia mista indù-musulmana, che accompagna sua nonna alla loro vecchia casa di famiglia in India e si innamora della ragazza della casa accanto.


La musica del film curata da A.R. Rehman è subito diventato molto popolare e dopo quasi un anno, continua ad essere molto apprezzata. Alcuni personaggi del film e l'ambientazione complessiva del film erano delineati molto bene. Tuttavia, il suo modo di affrontare il tema delle diversità religiose tramite il mito della “scimmia nera”, non l'ho trovato molto interessante. Il film è stato giudicato noioso e rifiutato sia dalla critica che dal pubblico.

Mehra ha presentato il film anche al festival di Venezia nell’ottobre 2009, dove sembra che abbia ricevuto dei complimenti (potete leggere i commenti di Nicola Cupperi), ma in India il film non ha ottenuto successo, né della critica né del pubblico.

Dev D del regista Anurag Kashyap era l’ennesimo adattamento del famoso romanzo di Sarat Chandra (Devdas). Nel 2002, il regista Sanjay Leela Bhansali aveva girato un’altra versione di questa storia con gli attori Shahrukh Khan, Aishwarya Rai e Madhuri Dixit.

Il film di Anurag Kashyap aveva attori relativamente nuovi – Abhay Deol, Mahi Gill e Kalki Koechlin.

Questa volta, il film era ambientato nella nostra epoca, era molto più esplicito nella sua esplorazione della sessualità. Questa volta, l’eroe depresso, non si perdeva nel alcol, invece diventava il tossicodipendente e alla fine, invece di morire davanti al cancello della sua amata, riconosceva il suo amore per la prostituta e optava per “vissero felici e contenti”.


Prendere un tema già conosciuto e apprezzato e stravolgerlo può essere rischioso, invece la critica e il pubblico generale, sopratutto i giovani, hanno apprezzato la nuova versione della storia di Devdas.

L’attore Abhay Deol, cugino di attori famosi come Sunny e Bobby Deol e nipote del grande icona degli anni sessanta e settanta, Dharmendra, si è creato uno spazio tutto suo, nel mondo del cinema realistico ed ha molti ammiratori tra i giovani. Questo film ha rinforzato questa sua immagine.

Il regista del film, Anurag Kashyap, si è già fatto un nome per i film onesti – delle volte crudi, delle volte con delle parolacce, delle volte con riferimenti alla sessualità e alla violenza, ed è apprezzato sopratutto dai giovani in India.

Il suoi film e anche Dev D, non fanno parte del mondo di “bollywood masala”, non sono i film con le storie struggenti e tragiche, non hanno le danze multicolori, quindi siete avvertiti. Kashyap era nella giuria del festival di Venezia nel 2009 e Dev D è stato presentato durante il festival (e le recensioni del film erano abbastanza  positive).

Billu Barber (Il barbiere Billu) del regista Priyadarshan è stato prodotto dall’attore Shahrukh Khan. Priyadarshan ha girato alcuni film davvero belli come “Virasat” (L’eredità, 1997) e nel 2009 ha vinto il premio nazionale del governo indiano per un film in lingua Tamil “Kanchivaram”, sulla vita dei tessitori della famosa seta di Kanchipuram, ma Priyadarshan è conosciuto sopratutto per i suoi film comici senza senso, odiati dalla critica e apprezzati dalle masse indiane.

In “Billu Barber”, lui cerca di mescolare queste sue due personalità, la parte seria e realista con la parte masala di Bollywood. Il film racconta la storia di Billu (Irrfan Khan), un povero barbiere in una piccola cittadina di periferia, che fa fatica a campare con la sua famiglia (moglie Bindiya, interpretata da Lara Dutta). Un giorno si sente dire nella città che sta per arrivare un famoso attore di Bollywood per girare un film e lui dice di aver conosciuto quel attore da bambino, che loro erano amici.


Subito la notizia si diffonde in tutta la cittadina che il barbiere è un grande amico del famoso attore. Tutti vogliono che Billu gli aiuti ad incontrare il loro idolo (Shahrukh Khan). Ma l’idolo è circondato dalle sue guardie di sicurezza e nessuno riconosce Billu. Alla fine tutti credono che Billu è un bugiardo, non era mai stato un amico del attore. Anche i suoi figli pensano così. Tutto cambia quando l’attore in un incontro pubblico parla del suo amico d’infanzia.

Il film è basato sull’antica storia mitologica di amicizia tra Krishna, il re di Dwarka, e suo povero amico d’infanzia, Sudama. Il film ha dei momenti belli anche se nel mio parere, dedica troppo tempo a far vedere l’attore che canta canzoni e gira con diverse attrici famose (attrici come Kareena Kapoor, Deepika Padukone, Priyanka Chopra appaiono per qualche minuto). Forse gli ammiratori di Bollywood apprezzeranno proprie questi momenti del film!

Gulal (Colore) era il secondo film di Anurag Kashyap nel 2009. Il tema del film è la manipolazione degli studenti da parte dei politici per i propri fini. Il film racconta la storia di alcuni studenti (Raj Singh Chaudhary e Abhimanyu Singh) che a loro malgrado, si trovano coinvolti nelle guerre dei gang degli studenti-malviventi.  Questo coinvolgimento li porta nel mondo di Dukey Bana (K.K. Menon), un leader di estrema destra che sogna una terrà indipendente per i Rajput (i popoli del Rajasthan). Kiran, la figlia illegittima di un leader politico (Ayesha Mohan) sogna il potere e usa gli studenti ai propri fini. Gli studenti che si lasciano coinvolgere in questo gioco, sono traditi dai politici mentre Kiran, nonostante il suo sacrificio scopre di essere solo una pedina nel gioco politico.


Il film, complesso, crudo e violento, è diventato un film di culto in alcuni ambienti studenteschi del nord dell’India, ed è stato apprezzato dalla critica indiana, ma non dal pubblico generale. Anch’io ho trovato il film complesso e difficile da seguire, ma in parti molto coinvolgente. Tuttavia se cercate un film passatempo con le danze di Bollywood, questo film non fa per voi.

Gli attori di questo film sono molto bravi, sopratutto Abhimanyu Singh, che è stato chiamato l’attore rivelazione del film. KK, ormai è già riconosciuto come uno degli attori più bravi di Bollywood e lui non delude.

Una particolarità del film sono le sue canzoni scritte da attore-poeta-musicista Piyush Mishra. Nella tradizione della musica popolare indiana, Mishra prende gli eventi internazionali recenti e li usa nelle parole delle sue canzoni – così, il bombardamento delle due torri, l’attacco delle forze americane in Iraq e in Afghanistan, il dominio di multinazionali come la Coca Cola, il rapporto tra Bush e Blair, tutti eventi diventano metafore per parlare di rapporti interpersonali tra le persone, parte della mitologia e delle tradizioni orali locali.

Anche Gulal era stato presentato al festival di Venezia, ma il giudizio dei critici non era molto positivo: Marco Bellano conclude la sua recensione con le seguenti parole - "l’esperimento, tuttavia, non sembra avere esito felice, producendo infine un film visivamente aggressivo ma sostanzialmente confuso nell’esposizione degli eventi e nella caratterizzazione dei personaggi".

Conclusioni: Il primo quadrimestre del 2009 era un po' deludente per il cinema di Bollywood. Nessun film è riuscito a diventare un block-buster. Luck by chance, Billu Barber e Dev D hanno trovato limitato successo.

martedì 10 novembre 2009

Tocca e fuga

Sulla prima pagina del quotidiano gratuito "City" di oggi, c'è una notizia presa da un blog. Da tempo si parla della imminente crisi dei quotidiani, l'emorragia dei loro lettori e il taglio del personale. Se non vi sarà il personale redazionale e gli opinionisti, alla fine i giornali saranno involucri da riempire con le notizie che possono essere abbinate alla pubblicità, il loro raison d'etre. E' dove trovare le notizie a buon mercato se non sull'internet e nei blog? Ma che la notizia più importante del giorno, quella in prima pagina con i titoli in grande, venga da un blog da una strana sensazione.

In tanto un quotidiano indiano ha deciso di pubblicare alcuni miei post presi dal mio blog in hindi, senza chiedermi o dirmi niente. Sono gli amici in India che mi hanno scritto per congratularsi, pensando che sono ora un grande scrittore perché appaio su un quotidiano così importante. In fin dei conti, non voglio essere pagato, anche perché la crisi ha colpito anche i quotidiani indiani, anche se ancora in maniera meno pesante, ma mi sarebbe piaciuta un po' di cortesia!

Comunque torniamo alla notizia apparsa su City, quella presa da un blog. Questa notizia riguarda la fuga dei cervelli da Italia e fa un conto del suo costo monetario annuale. Penso che sia triste questa situazione dove le persone più capaci decidono di abbandonare il proprio paese perché non trovano le opportunità.

L'articolo si conclude con le seguenti parole: "Il processo non è controbilanciato dall'afflusso di "cervelli" stranieri in Italia. Come ha documentato la recente ricerca della Fondazione Rodolfo de Benedetti, in Italia - per ogni cento laureati nazionali - ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media OCSE di 10,45."

Qualche giorno fa sono stato a cena con un gruppo di scienziati indiani venuti in Italia per studiare alle università italiane. La maggior parte di loro è occupato in ricerca di alto livello. Sono giovani, hanno l'età di mio figlio e si occupano di campi come bioinformatica e nanotecnologia. Penso che anche loro sono un investimento per Italia.

Alcuni di loro parlavano di spostarsi in altri paesi europei o in America per qualche anno, per poi tornare a lavorare in India. Nessuno di loro sembrava interessato a continuare a vivere in Italia. Ma mi ha sorpreso il loro disinteresse verso Italia, un paese percepito come "difficile e burocratico". Molti di loro parlavano di amici italiani e dei loro professori con ammirazione, ma nessuno di loro sapeva parlare in italiano - anche se qualcuno di loro era in Italia da più di un anno. Qualcuno si lamentava dei problemi di avere permessi di soggiorno, qualcuno della difficoltà di far venire in Italia la moglie, e molti parlavano di non vedere l'ora di finire e di andare.

"Potresti anche deciderti di fermarti qui?" ho chiesto a uno di loro.

"Ma se non sanno prendere cura dei propri giovani scienziati, pensi che loro prenderanno cura di noi?" mi ha risposto con un sorriso.

Uno di loro mi ha chiesto, "Ma tu conosci bene Italia, cosa pensi come andrà? Riusciranno a riprendersi?"

Mi ha fatto sentire un po' triste, questa loro percezione di un paese bello con della gente simpatica, ma essenzialmente morente, senza grandi speranze.

domenica 1 novembre 2009

Marrazzo e la sessualità

Da diversi giorni penso alla storia di Marrazzo. Una mia amica mi ha scritto:

Mi ha molto impressionato la vicenda di Marrazzo. Ma perchè questi politici non riescono a tenere il pipino nei pantaloni? Mi stupisce il fatto che delle pulsioni sessuali siano così totalizzanti da far mettere a rischio la propria carriera, la propria vita.
Poi ho letto su L'Unità di domenica 25 ottobre, un intervista di Pippo Delbono, "Il Paese della falsa morale dove la sessualità è vergogna", dove lui dice:
Ma perché Boffo non dice: "Io sono gay"? Perché Marrazzo non dice: "Io sono gay"? E dillo! Si vergogna... E' un atto di responsabilità, un atto politico fondamentale dichiararsi ...
Non sono completamente d'accordo con Pippo Delbono - può darsi che Boffo o Marrazzo si sentono effettivamente omosessuali e si nascondono, e in questo caso Delbono avrebbe ragione, ma penso che la sessualità umana non è fatta di due paesi con le frontiere che si chiamano Eterosessualità e Omosessualità.

Il fatto che il movimento per i diritti delle persone omosessuali ha scelto di chiamarsi GLBT (Gay, Lesbian, Bisexual e Transgender) fa capire che la sessualità umana è più ampia di "eterosessualità" e "omosessualità". In fondo, parole come gay, lesbiche, bisessuali, ecc. sono solo delle etichette, sicuramente utili se dobbiamo parlare dei diritti negati, ma allo stesso momento possono essere delle gabbie che cercano di recintare le infinite variazioni della sessualità, intesa non solo come orientamento sessuale ma anche come bisogni affettivi e sentimentali delle persone.

Nella storia di Marrazzo vi sono due aspetti - il tradimento e la diversità, che forse sarebbero meglio separare.

In Italia, per certi versi sembra che il tradimento coniugale per sé non fa storia, sembra parte del comportamento umano, per cui accettato dalla società. Se lo scandalo Marrazzo coinvolgeva la sua storia con una donna, avrebbe avuto lo stesso impatto? Sarebbe diventato uno scandalo?

Invece penso che la diversità si che fa ancora scandalo, sopratutto se sei in una posizione di potere o di alta visibilità.

Il mondo è cambiato molto per quanto riguarda l'espressione dei gusti sessuali personali negli ultimi decadi, e continua a cambiare. Grazie a internet ed a nuove tecnologie, ogni piccolo gruppo di "diversi" può trovarsi e costruirsi una propria comunità, all'inizio virtuale ma poi anche reale, che li aiuta a sostenersi reciprocamente. Nei prossimi decadi, immagino che questo fenomeno diventerà sempre più evidente.

Invece torniamo alla domanda di mia amica, "perché gli uomini non riescono a tenere il pipino nei pantaloni"? Perché questi scandali riguardano quasi sempre gli uomini e non le donne? Le donne non hanno impulsi sessuali altrettanto forti?

In questi giorni sto leggendo un libro di Susan Parker, "Il paradosso dei sessi", dove lei parla delle differenze biologiche, sociali, culturali e comportamentali tra gli uomini e le donne. C'è tutto un capitolo dedicato all'influenza di testosterone sul cervello degli embrioni maschi e come questo cambia le loro interconnessioni neurali. Secondo lei, il testosterone rende gli uomini più spericolati, meno capaci di valutare i rischi ed a provare un piacere nelle situazioni di rischio. Forse la frase "testa di cazzo" si è evoluta sulla base di una verità ormonale e biologica?

Se ami, non devi avere paura

Era il 1960. Il nuovo film di K. Asif con Dileep Kumar e Madhu Bala, Mughle-azam (Imperatore dei Mughal) fu subito dichiarato un successo. Era la storia tragica di amore tra Shekhu (Dileep Kumar) figlio dell'imperatore Akbar (Prithviraj Kapoor) e la bella danzatrice Anarkali (Madhu bala). Imperatore quando viene a sapere che il principe vorrebbe sposare la danzatrice, si arrabbia e fa imprigionare Anarkali (letteralmente "bocciolo di melograno") e minaccia di farla ammazzare.

"Devi dichiarare che in cambio di soldi hai accettato di rinunciare al matrimonio con il principe, se vuoi vivere", viene detto a Anarkali. Sembra che non vi sia altra scelta e Anarkali accetta, chiede solo di ballare un'ultima volta nel palazzo reale. Al principe viene raccontato che la bella Anarkali non lo amava da vero e si è venduta per i soldi.

Anarkali arriva al palazzo dell'imperatore e inizia a ballare. Dichiara apertamente il suo amore per il principe e dice che preferisce morire piuttosto di rinunciare al suo amore. Ad un certo punto, tira fuori il coltello dalla cintura del principe e lo porta all'imperatore.

La bella Anarkali non poteva sfidare il potere dell'imperatore e continuare a vivere. In fatti alla fine del film, viene sepolta viva dentro un muro. Ma dopo quasi 50 anni, la sua canzone d'amore "Giab piar kia to darna kia?" (Se ami, non devi avere paura) non mostra segni di invecchiamento. La canzone era subito diventato l'inno degli innamorati indiani.

Dopo alcuni anni, la bella Madhubala morì perché soffriva di un disturbo al cuore, ma il suo nome resta legato a questa canzone.

Da diversi anni, in India le persone omosessuali lottano per far cambiare la legge che criminalizza i rapporti omosessuali. Recentemente la corte suprema indiana ha dato ragione a loro ed ha chiesto il governo di cambiare questa legge discriminatoria. In giugno 2009, durante la seconda parata Gay-Lesbian-Bisexual-Transgender (GLBT), ho visto una coppia di ragazze che portavano la scritta - "Giab piar kia to darna kia", ciò è, "Se ami, non devi avere paura".



***

La visita

Il nostro gruppo aspettava fuori nella piazza del Quirinale. Nel gruppo vi erano anche Jose venuto dall'America, Zilda venuta dal Brasile e Kofi venuto dal Ghana. Tutte le tre persone erano ospiti un po' particolari per il Quirinale. Erano venute in Italia per la canonizzazione di Padre Damiano e tutte le 3 persone avevano avuto la lebbra in passato.

Quando avevamo scritto al Quirinale per chiedere un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, avevamo spiegato l'importanza di questo incontro. "Oggi la lebbra è facilmente curabile. Quando le persone iniziano a prendere le medicine, diventano non contagiose quasi subito, per cui alla fine, oggi la lebbra dovrebbe essere una malattia come tante altre. Invece non è così. I muri di pregiudizi che circondano questa malattia, continuano ad essere alti come sempre e le persone che hanno avuto la malattia continuano a subire discriminazioni."

Per questo motivo, l'incontro con il Presidente Napolitano doveva essere un gesto simbolico forte, per far capire le persone che non vi era bisogno di avere paura.

Qualche giorno prima dell'incontro abbiamo saputo che il Presidente Napolitano era occupato ma che potevamo incontrare il segretario generale del Quirinale. Eravamo li per questo incontro.

Avevo sentito che per entrare al Quirinale vi sono controlli di sicurezza e non possiamo portare la macchina fotografica. Invece, quando siamo entrati, nessuno ci fermò o ci controllò. Avevo la macchina fotografica e scattavo diverse foto, e nessuno mi ha detto di lasciare la mia macchina fotografica fuori. Tutto il personale era molto cortese, molto gentile, ma mi è sembrato che nessuno si è avvicinato troppo a noi.

Mentre eravamo nella sala d'attesa, mi è venuto il dubbio che forse il personale del Quirinale aveva paura delle persone guarite dalla lebbra, e per questo nessuno ci aveva controllato o avvicinato. Ho avuto un attimo di paura che avremmo fatto una brutta figura davanti a questi ospiti venuti da altri paesi.

Invece il segretario generale del Quirinale, consigliere Donato Marrà è stato bravissimo. Ha ascoltato tutti senza mostrare segni di impazienza e alla fine, ha salutato i nostri tre ospiti con un abbraccio. Mi sono sentito orgoglioso di essere li come parte del gruppo italiano e i nostri tre ospiti si erano emozionati.


Alla fine mentre tornavamo Kofi ha detto, "E' una persona molto generosa e gentile. Non ho visto persone di suo livello comportarsi in questo modo!"

Identità, dolore e violenza

Oggi (3 ottobre) ero a Ferrara al Festival di Internazionale, definito come "un weekend con i giornalisti del mondo". E per la prima volta nella mia vita, ero ufficialmente "un giornalista"! Alcuni giorni fa avevo provato a compilare il modulo per i giornalisti al sito del Festival, giustificandolo per il mio rapporto con il sito di Kalpana e poco dopo avevo ricevuto la conferma della mia registrazione.

L'anno scorso al premio Grinzane Cavour ero stato uno "scrittore", anche quella era la prima volta che mi ero trovato nei panni scomodi di un'identità nuova!

Sia come scrittore che come un giornalista, mi sento un po' un impostore e forse un traditore, forse perché dentro di me, vorrei sentirmi ancorato alla mia identità di medico e magari di quello che lavora per un organismo umanitario senza dubbi e ambiguità? Ci ho pensato, quando Suad Amiry, la scrittrice e architetto, metà palestinese e metà siriana che vive a Gaza e scrive della vita palestinese, si è definita come "scrittrice per caso" (accidental writer).

Cosa significa sentirsi dentro di se diverse identità? Suad ha detto che è naturale avere identità multiple, che siamo anche figli e genitori allo stesso momento, siamo fratelli e zii allo stesso momento, così possiamo essere anche architetti e scrittori allo stesso momento. Lei definiva la propria identità come le 20 pagine di un libro, che viene semplificata e ridotta a una pagina sola, quella di essere "musulmani arabi fanatici" per poter colpirli e giustificarsi davanti agli altri. In questo senso, le parole che parlano delle nostre identità, le descrizioni dei popoli che evocano le nostre immagini, sono strumenti molto potenti.

"C'era un tempo che dicevano che le mamme vietnamite, non erano come noi. Mandavano i propri figli a morire per le strade. Oggi siamo noi, le mamme palestinesi, ad essere descritte così", ha detto Suad.

E' stato molto bello e forte la sessione su "La scrittura al tempo della violenza". I tre relatori rappresentavano tre diversi modi di essere scrittori e di ragionare sulla violenza nella loro scrittura.

Abdourahman Waberi, originario di Gibuti, che vive tra Francia e Stati Uniti, ha scritto "Gli Stati Uniti d'Africa", nel quale lui capovolge il mondo e guarda alla "povera Europa" dagli occhi di un'Africa ricca e potente, e vede le tribù e le etnie in lotta tra di loro in Italia, in Svizzera, in Belgio. Il suo approccio mi sembrava più intellettuale e cerebrale.


Romesh Gunesekera, originario di Sri Lanka, cresciuto tra le Filippine e l'Inghilterra, ha parlato dei suoi libri come "the Reef", dove storie umane all'improvviso si trovano mischiate nella violenza. Il suo modo di parlare e di ragionare sul suo lavoro era molto più legato all'emotività e alla sensibilità umana.

Dopo l'incontro, mentre camminavo con Romesh fuori, parlavamo degli scrittori emigrati per i quali il tema della ricerca delle proprie radici è spesso una fase importante del loro lavoro. Lui ha risposto che "tutti i bravi scrittori sono stati emigrati - da Dante a Shakespear". Era un'affermazione che mi ha incuriosito. Sapete dei bravi scrittori che non sono mai andati fuori dalle proprie città, per rispondere a Romesh? Comunque, penso che non è una domanda molto chiara, perché come si fa a definire "un bravo scrittore"?


Invece Suad Amiry parlava della violenza come vita vissuta, non come qualcosa di astratto. Aveva un modo molto semplice di parlare e spesso cercava di sdrammatizzare quando parlava delle situazioni tremendamente dolorose o tragiche, cercava di farci ridere. Invece aveva due occhi pieni di tristezza, e nonostante la risata o il sorriso, ogni tanto il tremolio della sua voce o gli occhi che diventavano lucidi, tradivano il dolore. Mi è piaciuta molto e vorrei leggere i suoi libri.


Maria Nadotti, giornalista italiana che conduceva l'incontro è stata brava. La sua osservazione che mentre emigrazione riduce e rimpicciolisce i paesi coinvolti nelle guerre, allo stesso momento espande i loro confini, per esempio come gli scrittori emigrati, mi è piaciuta molto e mi ha fatto riflettere.


Dopo questo incontro, ho ascoltato anche Christian Caujolle, il responsabile dell'agenzia di fotografia Vu di Parigi. Mi aspettavo qualcosa di diverso e non sempre condividevo quello che lui diceva. E' vero che la mia comprensione del francese non è proprio perfetta, e forse non ho capito bene quello che lui diceva, ma la distinzione che lui faceva tra la fotografia come un'immagine stampata frutto della reazione delle particelle di argento e le immagini digitali, mi è sembrata più una posizione nostalgica che di reale differenza.


Non mi trovavo anche con il suo discorso sulla quantità e la qualità per parlare della fotografia digitale come qualcosa di inferiore. Ma anche le macchine fotografiche tradizionali, ormai non erano usate da tutti? Forse lui parlava dell'enorme quantità di foto che si possono fare le macchine digitali?

Invece mi è piaciuto il suo discorso sul rapporto tra la macchine digitali e l'internet e come le due tecnologie sono venute insieme per crescere, rinforzandosi a vicenda.

Il mio ultimo incontro del pomeriggio, l'avevo con la giornalista cinese Karen Ma che vive a Nuova Delhi. Mentre l'aspettavo, ho visto Fred Pearce, il giornalista della rivista scientifica New Scientist, che appare spesso anche su Internazionale con il suo pezzo sul valore ecologiche delle nostre scelte quotidiane. Mentre l'argomento ambiente è tra le mie passioni, il suo modo di ragionare mi lascia indifferente e raramente lo leggo.


L'incontro con Karen Ma mi ha sorpreso. All'inizio, si vedeva che non era a proprio agio mentre parlava con me. Conoscendo i delicati rapporti tra India e Cina, potevo capire la sua paura di trovarsi in qualche pasticcio con la stampa indiana. Invece dopo un po' si è rilassata. Mi ha sorpreso un po' la sua considerazione che non riesce a capire il modo di ragionare degli indiani, i quali non dicono mai niente in maniera chiara, sopratutto quando non sono in accordo con qualcosa o se devono dire di no per qualcosa. Penso che sia un tratto comune in tutta Asia, questa difficoltà ad essere sinceri e chiari per "non urtare i sentimenti del altro" o "per non essere maleducati"! Anche tra i cinesi, penso che funziona così. Forse lei ha bisogno di più tempo per iniziare a capire il linguaggio non verbale degli indiani, quando vogliono dire di no, le ho suggerito.


Ho registrato tante interviste e interventi oggi al Festival. Spero prima o poi, di trascriverli tutti e presentarli. In tanto, sono felice per questa giornata così stimolante e ricca, grazie a Internazionale.

martedì 29 settembre 2009

Vita dopo la morte

Ciao sono "Awaragi", il blog italiano di Sunil. Ero nato su questa piattaforma nel giugno 2005. Era solo 4 anni fa, ma per la tecnologia dei blog, erano altri tempi. Inoltre Sunil aveva scelto di ospitarmi sul suo sito Kalpana e aveva deciso di usare un template speciale e molto bello.

Purtroppo con tempo, la tecnologia è cambiata e quel template così bello e speciale, è diventato un limite. Non è facile cambiarlo. Non è facile aggiornare il blog. Quello che è stato scritto qui (in 238 post) deve restare chiuso qui dentro, perché non si può importare questi contenuti da altre parti. O, forse dovrei dire che con la sua conoscenza della tecnologia, Sunil non è stato capace di farlo.

Così da tanto tempo brontolavo con lui. Alla fine lui ha ceduto e ha deciso di costruire un nuovo corpo per me, e sono rinato con giovane e leggero, come nuovo awaragi.Ciao vecchio Awaragi, resti in pace. Spero di tornare a rivisitarti qui ogni tanto per vedere quello che era scritto su queste pagine e magari portare i migliori post al nuovo blog. Spero che i miei vecchi lettori verrano a trovarmi nella mia nuova casa.Invece, è arrivato il momento di dire addio a questo corpo di Awaragi. Ciao caro mio, resti in pace.


Non avevo fatto i conti con l'abitudine! Wordpress è una bella piattaforma, ma sono abituato a Blogger. Il problema di template che avevo è stato risolto e alla fine, ne anche un mese, sono tornato in dietro al mio vecchio blog!

venerdì 21 agosto 2009

Un padre per mio figlio (Kuch na kaho, India, 2003)

Avevo sbagliato. Avevo scritto che il titolo indiano del film di domani sabato 22 agosto sera, “Un padre per mio figlio” era “Dil ka rishta”, invece si tratta di un’altro film, “Kuch na kaho” (letteralmente significa, “Non dire niente”). Sapevo solo che c’era Aishwarya Rai nel film e dal nome italiano avevo cercato di indovinare.

Nel 2003, “Un padre per mio figlio” era primo film insieme della coppia Aishwarya Rai e Abhishekh Bacchan. Era il primo film del regista Rohan Sippy, amico d’infanzia di Abhishekh e figlio del regista Ramesh Sippy. Nel 1975 Ramesh Sippy aveva girato un film “Sholay” (Fiamme) con gli attori Amitabh Bacchan e Jaya Bhaduri, i genitori di Abhishekh. Amitabh e Jaya sono considerate due icone del cinema di Bollywood. Da allora Rohan e Abhishekh erano amici.

In quell’epoca Aishwarya aveva una storia sentimentale con l’attore Salman Khan, mentre Abhishekh pensava di sposare Karishma Kapoor, la sorella maggiore di Kareena. Nessuna delle due storie andò a buon fine. Nel 2007, Aish e Abhi si sono ritrovati per girare un altro film, “Guru” e dopo quel film si sposarono.

Il film è la storia di Raj (Abhishekh), un ragazzo di origine indiana che vive in America, in una vista in India. Durante un matrimonio lui conosce Namrata (Aishwarya). Poi scopre che Aishwarya è già sposata e ha un figlio, ma il suo marito Sanjeev (Arbaaz Khan) l’ha lasciata da diversi anni e forse si è messo con un’altra donna. A tutti gli effetti, Namrata può essere considerata singola. Quando Namrata si accorge del buon rapporto tra il suo figlio e Raj, poco alla volta nasce l’amore tra i due. In quel momento, all’improviso, Sanjeev torna a casa e pretende di avere il ruolo del marito.

***

La conclusione del ciclo Amori Con ... Turbanti 2009

Era bello ogni settimana sentirsi un po’ tristi perché “oramai il ciclo Amori Con ... Turbanti” è finito e poi scoprire invece che la festa continuava. Invece sembra che questa volta siamo proprio a capolinea con “Un padre per mio figlio”. Dal sabato 29 agosto, riprenderà la normale programmazione delle reti RAI. Immagino che le persone che hanno curato questa serie presso la RAI siano giustamente soddisfatte, forse non si aspettavano questo successo di pubblico.

Ma un giorno questi film potranno uscire anche al cinema? Penso che vi sono delle possibilità nuove che ciò sarà possibile, magari per un numero limitato dei film.

Sono le diaspore, gli emigrati sparsi in altri paesi che trascinano i film dei propri paesi all’estero. Già da diversi anni, i film indiani escono in pochi cinema nei paesi come Olanda, Francia, Svizzera e Germania. Qualche volta sono proiettati soltanto durante la fine settimana, e sono indirizzati sopratutto alle persone dei paesi sud asiatici – India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, Nepal.

I film di Bollywood hanno una distribuzione migliore nei paesi come la Gran Bretagna perché lì il numero di emigrati sud asiatici è molto più alto, per cui, è possibile vederli anche nelle multisale moderne e nei centri città. Negli ultimi 3-4 anni, alcuni film di Bollywood hanno voluto le antiprime mondiali proprio a Londra nei cinema di Leicester square.

In Italia ciò non è possibile perché gli emigrati sud asiatici sono piccola percentuale, al massimo in qualche città si può pensare a proiezioni di film durante i fine settimana. Ma in fondo, la questione fondamentale è quella economica – si può guadagnare con i film indiani? Sembra che alcuni grandi distributori di film a livello mondiale – Sony, Fox, ecc. pensano che ciò è possibile.

“Sawariyaa”, il film di Sanjay Leela Bhansali uscito nel 2007 è arrivato in Italia proprio perché era una coproduzione di Sony. Nel 2008, Warner ha co-prodotto Chandni Chowk to China, un colossal indo-cinese che non ha trovato consenso pubblico, per cui non ha trovato la distribuzione mondiale, ma forse arriverà anche in Italia in DVD.

Anche la Fox ha fatto un accordo con il regista e produttore Karan Johar per la distribuzione del suo nuovo film, “My name is Khan” (il mio nome è Khan), con le due stelle di Bollywood, Shahrukh Khan e Kajol. Il film parla del sospetto degli americani verso i musulmani dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Settimana scorsa, Shahrukh Khan è stato fermato all’aeroporto di New York dalla polizia, insospettita per il suo nome musulmano, ed è stato tenuto chiuso per 2 ore. La notizia ha creato un’onda di indignazione tra i milioni di fans di Shahrukh Khan in India, ma l’episodio ha servito come pubblicità al suo film.

Alcuni anni fa con i film di Zhang Zimou (Addio mia concubina, Lanterne rosse) e di Ang Lee, anche il cinema cinese è arrivato sulla scena mondiale. Ciò non significa che potremmo vedere tutti i film cinesi che vogliamo – soltanto alcuni film importanti arrivano in Italia. Lo stesso potrebbe succedere con il cinema indiano.

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