sabato 13 settembre 2008

Rock On - un film musicale insolito da Bollywood

Non è facile tradurre letteralmente la frase “Rock On”, che può essere intesa con riferimento alla musica rock ma non necessariamente, e invita a continuare a rockare, ciò è, a divertirti, a fare ciò che ti piace di più.

“Rock on” è il titolo del nuovo film di Abhishekh Kapoor (2008). Qualche settimana fa quando è uscita la musica del film, le recensioni concordavano che faceva schifo e che il sig. Farhan Akhtar, il cantante, non sapeva cantare. Poi c’era la pubblicità del film con i quattro ragazzi che suonano la musica rock, così lontana dalla normale musica di Bollywood, non aveva entusiasmato i critici. Un film molto particolare per un audience molto particolare, non adatto per le persone normali, per cui non avrà grande successo avevano giudicato.



Invece il grande successo del film e della sua musica hanno lasciato tutti i grandi esperti senza parole. I giovani nei loro blog parlano di un film di culto. Più di un giornale indiano è stato costretto a pubblicare “la mea culpa”, per non aver capito lo spirito del film e della sua musica. Taran Adarsh, uno degli esperti più conosciuti sugli aspetti commerciali del mondo di Bollywood, ha ammesso che aveva sbagliato di grosso e che quando ha visto il film e si è accorto che non riusciva a tener fermo i piedi e che aveva una gran voglia di cantare a squarciagola insieme ai protagonisti del film, ha capito che il film era qualcosa di nuovo nel mondo di Bollywood!

E’ un bel film e ha bella musica, ma se siete abituati a vedere i film normali americani e europei, forse non troverete niente di particolarmente nuovo o diverso in Rock On. Invece se siete cresciuti sulla dieta Bollywoodiana, è un film molto particolare. Non ha quasi nessun attore conosciuto a parte Arjun Rampal, un attore che non ha mai trovato grande successo prima (forse l’unica eccezione era “Om Shanti Om”, dove ha recitato la parte del cattivo). Il protagonista principale e il cantante del film è Farhan Akhtar, già conosciuto come regista di film come Dil Chahta Hai, Lakshya e Don 2, e considerato uno dei registi più bravi di Bollywood. Rock on è il suo primo film come attore.

Trama: Il film inizia con Sakshi (Prachi Desai), moglie di Aditya (Farhan Akhtar), che scopre di essere in cinta. Suo marito Aditya è un uomo serio, spesso incazzato e poco comunicativo. Sta facendo grande carriera da banchiere ed è sempre di corsa. Sakshi non riesce a dire al marito che è in cinta. Alla fine decide che glielo dirà dopo qualche giorno come un regalo per il suo compleanno.

Mentre cerca un regalo per il marito, in un’oreficeria incontra casualmente il proprietario Kedar (Purab Kohli) che le dice che forse conosceva il suo marito Aditya ma con il quale aveva perso contatti da molti anni. Kedar racconta a Sakshi che molti anni fa il suo amico Aditya era un ragazzo magro con i cappelli lunghi e la passione infinita per la poesia e la musica.

Forse il tuo amico Aditya e il mio marito Aditya hanno lo stesso nome e lo stesso giorno di compleanno ma non sono la stessa persona, gli risponde Sakshi, perché non riesce a riconoscere suo marito in questa descrizione. Anzi, lei sa che suo marito Aditya odia la musica.

Comunque a casa, Sakshi cerca nelle cose vecchie di Aditya nella soffitta e trova una vecchia scatola con delle foto. In queste foto vede Aditya con i cappelli lunghi che suona musica insieme agli amici. C’è anche Kedar in queste foto come il batterista. Erano tutti membri del gruppo di musica rock “Magic” e Aditya era il cantante del gruppo.



Sakshi decide di fare una sorpresa al marito e telefona Kedar per chiedergli di radunare i componenti del vecchio gruppo musicale “Magic” e venire alla festa di compleanno di Aditya.

Kedar rintraccia Rob (Luke Kenny). Rob suona la tastiera per i film di Bollywood e si sente soffocato, non riesce ad esprimersi come vorrebbe. Rob è contento di rivedere il vecchio amico del gruppo e accetta l’idea di andare alla festa di compleanno di Aditya.

Insieme Kedar e Rob vanno alla ricerca di Rob (Arjun Rampal). Rob, il chitarrista del gruppo, è un uomo fallito. Vivacchia insegnando chitarra ai ragazzi ma per la maggior parte del tempo è depresso e solo. Sua moglie Debbie (Shahana Goswami) gestisce commercio di pesce ed è piena di rancore per i sogni mai realizzati e una vita piena di stenti. Hanno un figlio. Debbie non è contenta di vedere Rob e KD (Kedar). Cosa vuoi fare, vuoi tornare a trovare persone che ti hanno tradito in passato, vuoi rovinarti la vita di nuovo, chiede Debbie al marito.

Il giorno del suo compleanno, Aditya non sembra molto contento di vedere Rob e KD, li saluta ma non parla molto. Joe invece non viene alla festa. KD alla fine, prima di andare via dalla festa, lancia la sua proposta: perché non ci vediamo la domenica nello scantinato per fare insieme un po’ di musica come facevamo una volta? Aditya non risponde.

Dopo la festa Sakshi dice al marito che è stato maleducato con i suoi vecchi amici. Aditya chiede alla moglie di non interferire nella sua vita. Come ti è saltata l’idea di invitare quelle persone alla festa, le chiede. Perché volevo vederti felice e sorridente come sembri nelle vecchie foto, perché sei sempre di corsa, sempre incazzato e perché aspetto un bambino e pensavo di farti un regalo, dice Sakshi piangendo.

Alla mattina Aditya scopre che la moglie è andata via da casa.

Poi, alla domenica Aditya decide di andare allo scantinato e trova KD e Rob. Poco dopo arriva anche Joe e dopo un primo momento di imbarazzo, i quattro amici iniziano a suonare la musica insieme. Un flashback racconta la storia del gruppo 10 anni prima, quando avevano vinto un concorso musicale e dovevano registrare un album ma era nato un malinteso che era finito con una forte litigata tra Joe e Aditya. Da quel momento i 4 si erano separati.

I 4 riscoprono il piacere di stare insieme e di fare musica, decidono di spostarsi a casa di Aditya per fare le prove. Aditya telefona Sakshi e la chiede di perdonarlo e di tornare. Il gruppo decide di partecipare al concorso musicale che avevano lasciato a metà 10 anni prima.



Sakshi torna a casa e tutti sembrano felici, ma uno dei 4 musicisti nasconde un segreto mortale. Dall’altra parte, Debbie non vuole che Joe si coinvolge di nuovo con il gruppo, e arriva la sera del concorso. Riusciranno i 4 a partecipare al concorso?

Commenti: Il trama del film segue il solito copione di questo tipo di film, ma sono gli attori che fanno la differenza. Quasi tutti gli attori sono bravi, a partire dai 4 protagonisti del gruppo musicale. I dialoghi sono realistici ma è la musica la parte più bella del film. La voce di Farhan Akhtar, ruvida e cruda, e così insolita per il mondo di Bollywood, sta benissimo con l’ambientazione del film e rende tutto molto più credibile.

“Rock on” è un film molto piacevole. L’ho già visto una volta e non vedo l’ora di vederlo di nuovo. La prossima settimana sarò a Delhi e conto di andare a vederlo al cinema. Spero che il cinema avrà altre persone che l’hanno già visto questo film più volte e che canteranno a voce alta insieme ai protagonisti del film e agli altri spettatori. Il piacere di vedere un film di Bollywood di grande successo in compagnia di altri fan è qualcosa di indescribile!

giovedì 4 settembre 2008

Mumbai Meri Jaan (Bombay, mio amore, 2008, India)

L’altro giorno ha guardato Mumbai Meri Jaan, il nuovo film del regista Nishikant Kamat. Kamat è un regista giovane ma ben conosciuto nel mondo del cinema regionale di Maharashtra e l’ultimo suo film Dombivili East aveva vinto il premio nazionale come migliore film indiano nel 2006.

Il film MMJ racconta la storia di 5 persone nella settimana successiva ad una serie di esplosioni terroristiche nella metropolitana di Bombay (Mumbai) l’11 luglio 2006, e come queste vite sentono l’impatto di quelle esplosioni. Per molti versi, il film sembra un documentario ma grazie a 5 attori molto bravi, riesce a lasciare un forte impatto emotivo. Nonostante il tema tragico-drammatico, il film riesce a dare anche un messaggio di speranza e di ottimismo.


L’11 luglio 2006 mattina, 7 esplosioni di bombe su 7 treni diversi della metropolitana di Mumbai al momento del massimo flusso delle persone aveva lacerato la convivenza civile e religiosa della città. Ho un ricordo molto vivido di quella giornata perché mia nipote viaggiava in uno dei treni colpiti dalla esplosione e avevamo passato una giornata d’angoscia fino al momento che lei era stata rintracciata in uno stato di shock, ma fortunatamente illesa.

Le 5 storie ed i loro personaggi: Le 5 storie del film sono delle vite parallele, hanno qualche breve contatto tra loro ma per la maggior parte restano storie separate. Le 5 storie rappresentano diverse comunità di persone che vivono nella metropoli di Mumbai, considerata anche la capitale finanziaria dell’India. E’ anche la città più cosmopolita dell’India dove persone vengono da tutto il paese in cerca della fortuna.



Nikhil Aggarwal (R. Madhavan) è un ingegnere informatico, nazionalista e ambientalista. Potrebbe avere la macchina con l’autista ma preferisce viaggiare nella metropolitana. Potrebbe anche trovare lavoro facilmente in America ma ha preferito restare in India. L’11 luglio mattina, come sempre, parte da casa per andare al lavoro e alla stazione della metropolitana aspetta l’arrivo di un collega un po’ più giovane. Loro due dovrebbero viaggiare nella prima classe, ma poi alla stazione incontra un vecchio compagno di scuola, il quale vuole parlargli ed è costretto a salire nella seconda classe mentre il collega più giovane va nella prima classe.

La bomba esplode nella carrozza della prima classe e Nikhil si trova seduto sulle rotaie in uno stato di shock. Tutto intorno vede corpi distrutti. Vede che portano via il suo collega più giovane sanguinante ma non riesce a reagire. Poi quando riesce ad alzarsi, cerca di fare finta che non è successo niente. Sua moglie è in cinta e non vuole spaventarla. Non parla con nessuno della propria esperienza ma non riesce più a salire nei treni, si mette in discussione tutta la propria vita ed i propri ideali, pensa che forse è meglio emigrare in America e sogna esplosioni e morte.

Il culmine della sua storia è la decisione di parlare della sua esperienza con una psicologa e poi il suo incontro con un vecchio compagno dell’università che è venuto in India per le ferie. Alla fine, il parto del suo primo figlio gli dà la forza per affrontare il treno.



Rupali Joshi (Soha Ali Khan) è una giornalista in un canale televisivo di notizie. Sa di essere bella e brava, ed è ambiziosa. Subito dopo le esplosioni è alle stazioni di metropolitana per intervistare i sopravvissuti ed i famigliari. Non si lascia coinvolgere, ragiona con freddezza su come usare l’impatto emotivo di quello che è successo per aumentare gli spettatori del proprio canale televisivo.

Soltanto alla sera scopre il suo fidanzato Ajay è tra i dispersi, e insieme al fratello va negli ospedali alla sua ricerca. Poco alla volta in mezzo ai disperati e sempre più disperata, perde il suo distacco. I suoi colleghi vogliono che lei parli agli spettatori di quello che le succede e all’inizio riesce a raccontare qualcosa. Poi trova il corpo del suo fidanzato nel mucchio dei corpi in un mortuario.

Rupali gira in mezzo alle persone che hanno perso i propri cari nelle esplosioni, cerca ma non riesce più ad affrontare le telecamere e sente la violenza del giornalismo televisivo in cerca di emozioni forti e audience a qualunque costo. Resta sconvolta quando vede che i suoi colleghi hanno usato i momenti del suo pianto disperato per costruire una nuova trasmissione.



Suresh (K.K. Menon) è uno che vende i computer e pezzi di ricambio elettronici. Non guadagna molto, va in giro con un gruppo di amici ed è fortemente sospettoso dei musulmani. Per questo va sempre in un ristorante gestito da un musulmano e poi cerca motivi di litigi con loro. Da una parte pensa che Youssuf, uno dei ragazzi musulmani che vede al ristorante sia collegato alle esplosioni e dall’altra attacca i musulmani anziani soli perché sono deboli e perché secondo lui tutti i musulmani sono terroristi.

Ossessionato dall’idea di trovare le prove contro Youssuf, lo segue mentre lui va a trovare la sua ragazza o mentre va alla moschea. Quando Youssuf è fuori città, va alla sua casa facendo finta di essere il suo amico per scovare informazioni dalla madre di Youssef.

Alla fine Suresh scoprirà che Youssef è un seguace di Sai Baba proprio come lui e ciò diventerà il motivo dell’amicizia tra i due.



Tikaram Patil (Paresh Rawal) è un poliziotto che sta per andare in pensione. Il suo compagno Kadam (Maurya) è un ragazzo giovane, terrorizzato dal proprio futuro che vede nella vita di Tikaram – una vita senza ideali, piena di corruzione e di compromessi, senza aver fatto niente di importante.

Tikaram ha una risposta per ogni problema e sa quando è meglio chiudere il becco e quando è meglio girarsi dall’altra parte e fare finta di niente. I poliziotti non devono piangere e se li viene da piangere è meglio che fanno la pipì è uno dei suoi consigli più frequenti. Insieme a Kadam, beccano un ragazzo che si drogava con cocaina, ma questo è il figlio di un uomo potente. Quando Kadam scopre che il ragazzo verrà rilasciato si arrabbia ma Tikaram gli consiglia di accettare perché bisogna fare compromessi. Allora Tikaram vede il disprezzo negli occhi del giovane poliziotto e ne resta ferito.

Non ho fatto niente di buono come poliziotto, dice Tikaram alla sua festa di addio, e racconta qualche episodio della propria vita ai colleghi.



Ultima storia è quella di Thomas (Irfan Khan), un emigrato di Tamilnadu che vende thé. Lui è povero e per questo tutti si comportano male con lui. Per i benestanti, lui è invisibile. Per i poliziotti, è una persona da prendere a calci. Ma Thomas vede la città intorno, vede i soldi, le grosse macchine, le favolose ville, i telefonini e altri gadget, e sogna un futuro migliore.

Un giorno Thomas porta la moglie e la figlia al nuovo centro commerciale, dove lui si pavoneggia davanti alla famiglia per far vedere che lui, questo mondo ricco e bello lo conosce. In uno dei negozi invece viene insultato perché è povero e cacciato fuori da uomini di sicurezza.

Quando Thomas sente parlare della paura delle nuove esplosioni, pensa ad un piano per vendicarsi e telefona il centro commerciale per dire che c’è una bomba che presto esploderà. Vedere la polizia e lo sgombro del centro commerciale lo fa sentire potente e vendicato, per cui ogni giorno fa nuove telefonate con le false minacce delle bombe anche in altri centri commerciali.

Poi, Thomas vede l’impatto della paura delle bombe sulle persone, quando un anziano resta vittima dell’infarto e si pente.

Commenti: Come si può intuire dalle cinque storie brevemente raccontate sopra, sono ordinarie storie. L’iniziale scena di una delle esplosioni è molto forte anche se dura soltanto qualche minuto.

Poi è la bravura degli attori che rende questo film memorabile. Trovare attori come Paresh Rawal, K. K. Menon e Irfan Khan nello stesso film non succede spesso, e tutti e tre sono meravigliosi.

Paresh Rawal, è tra gli attori che hanno avuto maggiore successo commerciale nel cinema di Bollywood e non sempre da il massimo di se. Invece in questo film, nel ruolo del vecchio e deluso poliziotto che sta per andare in pensione, è maestrale.

Irfan Khan è già conosciuto in Italia per il suo ruolo in The Namesake (Il Destino nel Nome) di Mira Nair. K.K. Menon invece non è conosciuto in Italia, se non per Bhopal Express, il film sulla tragedia dell'esplosione nel impatto chimico di Unicarbide a Bhopal nel 1984. Comunque entrambi gli attori sono molto bravi e quando uno di loro è sullo schermo, non riesco a vedere altro.

Anche gli altri due, Soha Ali Khan e Madhvan sono credibili. Tra tutti i personaggi, mi sono identificato di più con quello di Nikhil Aggarwal (Madhavan) sopratutto per la sua passione ambientalista, ma nel film tutti personaggi sono credibili, nessuno è stato esagerato per diventare una caricatura.

Non è un film “leggero” di Bollywood, Mumbai Meri Jaan. Non ha nessuna canzone o danza. Ma è un film che resta e che fa pensare.

mercoledì 3 settembre 2008

Valore della Vita

Settimana scorsa nel nord est dell’India, nello stato di Orissa vi furono attacchi contro i cristiani e le notizie relativi a queste violenze hanno trovato un grande eco in Italia. Le violenze contro i cristiani nello stato di Orissa non sono ancora fermate. Le fonti ufficiali parlano di 18 morti fin’ora mentre le fonti non ufficiali parlano di almeno 30 morti. Il Governo Italiano ha sollevato la questione nel parlamento europeo e il Ministro degli Esteri italiano ha convocato l’ambasciatore indiano a Roma per esprimergli il proprio dolore e per chiedere al Governo indiano di adoperarsi per trovare una soluzione affinché queste violenze cessassero.

Qualche giorno dopo, si sono rotti gli argini della diga sul fiume Kasi in Nepal, e il fiume ha inondato lo stato dello Bihar in India, più a valle. Le alluvioni hanno coinvolto 24 distretti e circa 9.000 villaggi. Con più di 16 milioni di sfollati, centinaia di morti e si parla di peggiore alluvione degli ultimi cinquant'anni.

Le TV e i giornali italiani non hanno quasi parlato di Bihar ma gli aggiornamenti sugli attacchi ai cristiani di Orissa continuano.

Anche tra le vittime di Bihar sicuramente vi sono molto cristiani, come persone di altre religioni. I cosidetti disastri “naturali” colpiscono quasi sempre i più poveri senza distinzioni di religioni o etnie. Ma morti in se non fanno notizia, forse fanno meno notizie quando sono poveri. C’è qualcos'altro che fa notizia che non da uguale peso a tutti i morti.
Fate una ricerca su Google con "Orissa+cristiani" troverete più di 25.000 pagine in italiano. Fate la ricerca con "Bihar+alluvione", stamattina, c'erano meno di 500 pagine in italiano. E' Google, il giudice che dice se la tua vita vale o no!

lunedì 1 settembre 2008

Le complesse radici di Kandhamal

E’ uscito il nuovo rapporto del Centro Asiatico per i Diritti Umani (ACHR - Asian Centre for Human Rights) che si intitola “Kandhamal Massacres: Where is the State” (Massacri di Kandhamal: Dov’è lo stato). ACHR si è guadagnato la fama la fama di essere un fonte affidabile di informazioni indipendenti che spesso non trovano spazi nei media ufficiali.

In questo nuovo rapporto ACHR spiega la situazione di Kandhamal nello stato di Orissa (nel nord-ovest dell’India) dove vi sono stati attacchi alle chiese cristiane e ai missionari. Secondo le fonti ufficiali sono morte 12 persone, secondo ACHR i morti sono circa trenta e il rapporto fornisce i nomi e dettagli di circa 20 di questi morti.


Le notizie sulla stampa italiana hanno parlato dei fondamentalisti indù che avevano iniziato ad attaccare le chiese perché ritenevano che i cristiani abbiano ucciso uno dei capi fondamentalisti, il quale aveva lanciato una campagna contro le conversioni religiose. Il rapporto di ACHR va dietro queste notizie per scovare le ragioni più complesse che stanno dietro agli attacchi.

Kandhamal è una delle zone “tribali” dello stato di Orissa dove gli abitanti originali erano le tribù indigene. Dei circa 650.000 abitanti del sottodistretto di Kandhamal, circa il 52% sono persone che appartengono alle tribù indigene. La legge indiana riconosce che i gruppi indigeni sono stati sfruttati e oppressi per secoli e per questo motivo prevede una serie di azioni affermative, le discriminazioni positive, ciò è, delle agevolazioni per la scuola, per l’occupazione, per le tasse, per la rappresentazione parlamentare, ecc. Nella legge indiana questi gruppi indigeni sono conosciuti come “Scheduled Tribes” (ST).


C’è un altro gruppo di persone svantaggiate in Orissa, ciò è le caste basse degli indù o i cosidetti “intoccabili”, i quali costituiscono il 18% della popolazione di Kandhamal. Anche per questo gruppo, conosciuto con il nome di “scheduled castes” (SC), la legge indiana prevede simili serie di azioni affermative con diverse agevolazioni.


Fino a trent anni fa, vi erano poco cristiani a Kandhamal, ma negli ultimi 30 anni circa 160.000 persone (dell’etnia Pannos) del gruppo degli SC hanno scelto di diventare cristiane, è questo ha creato problemi perché hanno perso il diritto alle agevolazioni previste per i gruppi SC, in quanto secondo la legge, i cristiani non hanno le caste e per cui, queste persone non sono più discriminate. Da anni questo gruppo lotta per il diritto di beneficiare dalle agevolazioni riservate agli intoccabili. Si parte dal presupposto che le risorse sono limitate e per avere qualcosa devi per forza toglierlo da qualche altra parte, per cui l’altro gruppi di SC e ST non vogliano che le agevolazioni siano concesse ai cristiani Pannos.


Un’ulteriore problema si è aggiunto a questi conflitti preesistenti, quello della rappresentazione politica. Kandhamal manda 3 rappresentanti all’assemblea legislativa statale di Orissa e 2 di questi sono riservati per le persone del gruppo ST e uno è riservato per le persone del gruppo SC. Inoltre, Kandhamal manda un rappresentante al parlamento nazionale a Nuova Delhi e questo posto era riservato per il gruppo SC fino al 2006 quando è stato cambiato e ora è riservato per il gruppo ST. Anche se i rappresentanti politici eletti dovrebbero rappresentare l’interesse di tutte le persone della propria area, di fatto si sa che il gruppo di appartenenza della persona influenzerà molto il potere e controllo di quel gruppo. I politici sanno che conflitti inter-religiosi polarizzano le comunità e creano un clima di paura dove le persone di un gruppo religioso non votano più per le persone dell’altro gruppo. Ciò spiega le campagne di odio lanciate dal partito conservatore nazionalista di BJP contro le conversioni religiose di Kandhamal, perché così sperano di vincere più voti.


L’ACHR riconosce che ormai il territorio di Kandhamal è blindato e controllato da persone del partito BJP e del gruppo religioso indù VHP, per cui la polizia statale di Orissa non riesce a visitare le aree di conflitti e a controllare i disordini. ACHR lamenta anche che il governo statale non sta facendo abbastanza per non perdere i voti indù della zona.


I giornali indiani nazionali non hanno dato molto spazio alla situazione di Kandhamal, ma da qualche giorno i giornali e le riviste vicine al partito di BJP hanno lanciato una campagna contro “interferenza italiana negli affari interni dell’India”. Mentre le notizie riguardanti gli appelli del Papa per la pace e per cercare un dialogo inter-religioso a Kandhamal sono stati riportati senza commenti, la notizia che il ministero degli esteri italiano ha sollevato la questione al consiglio europeo ha fatto arrabbiare i conservatori perché secondo loro la questione non riguarda cittadini italiani per cui l’Italia non deve interferire nelle questioni interne dell’India.

Dall’altra parte le discussioni riguardanti i fatti di Kandhamal in Italia sono diventati un’altra arma per i fondamentalisti indù per sollecitare un impegno degli indù sparsi in tutto il mondo per “aiutare la causa degli indù”. Il loro messaggio è, “Ormai i paesi ricchi del medio oriente mandano fiumi di denaro per costruire moschee e scuole tradizionali musulmane in India. I paesi ricchi dell’occidente mandano fiumi di denaro per sostenere i missionari cristiani e per convertire i nostri poveri. Aiutateci perché dobbiamo difenderci altrimenti perderemmo la nostra identità indiana.” Ne ho ricevuto qualche email con questo tipo di messaggio e discussioni di questo tipo dilagano tra i blog indiani. Se osi a scrivere qualcosa contro questo tipo di logica, ti sommergono di insulti più o meno violenti.

Più volte le indagini hanno mostrato che le violenze e i disordini durante questi “conflitti religiosi” servono per acquisire potere economico e politico. Il sistema democratico basato sul concetto di “Vote Banks”, le banche dei voti, i gruppi di persone di una casta o di una stessa religione in conflitto con gli altri gruppi, affinché le persone votano per te non perché sei bravo ma perché appartieni al loro gruppo, diventa sempre più importante in India.

Migliaia di sfollati, centinaia di case bruciate, decine di morti di Kandhamal saranno presto dimenticati perché ci saranno altre notizie da inseguire, tranne dalle persone coinvolte e dalle loro famiglie, che non li dimenticheranno, vivranno nella paura per sempre e saranno ancora più poveri. Sono soltanto delle pedine in un gioco politico, come vivono e muoiono, a nessuno interessa veramente. Avranno meno scuole, meno orfanotrofi, meno assistenza, ma anche questo non interessa a nessuno.

Nota: Le foto qui sopra sono state scattate nel febbraio del 2008, durante un mio viaggio in Orissa per visitare alcuni progetti di lotta alla lebbra sostenuti da AIFO.

sabato 30 agosto 2008

Il Mondo Stretto

L’altro giorno (28 agosto’08) sul Bologna c’era una lettera che parlava di danni alla sua macchina perché considerata “troppo ingombrante”. Inizia la sua lettera con “premetto che non possiedo una ferrari nè tantomeno una mega SUV, ma una più modesta Fiat multipla”, e poi racconta il suo dramma. Non riesce a mettere la sua macchina dentro il suo garage o nel parcheggio condominiali, date le sue dimensioni, e se lo lascia fuori trova spesso che la macchina è stata presa di mira e danneggiata.

Sullo stesso giornale, c’era anche un articolo di Patrizio Dimitri, “Incubo di una notte d’estate”. Sig. Dimitri, docente di Genetica all’università La Sapienza, scrive di una sua esperienza, “Guardo nello specchietto retrovisore e metto a fuoco un mutante che mi sta alle calcagna con il suo Suv e suona il clacson senza darmi tregua. Mi fermo prima delle strisce pedonali per far passare due vecchiette e una coppia con passeggino. L’energumeno ha cranio rasato, epidermide timbrata, occhiali scuri dove si mimetizza l’espressione muta dei bulbi oculari. Vuole superarmi a destra ad ogni costo, anche rischiando di stendere sull’asfalto bollente un tappeto di ossa e carne maciullata. .. E’ costretto a inchiodare, urla e gesticola, i pedoni attraversano e sono finalmente in salvo. Poi il mutante sgomma, invade la corsia opposta, mi manda a fanculo e se ne va.”

Mi piace l’immagine del mutante con l’epidermide timbrata che mi fa pensare ad una scena da uno dei film della serie Guerre Stellari dove in un bar tanti tipi diversi bevono qualcosa e scherzano tra di loro. Comunque, nonostante l’estremismo dell’esempio raccontato da Dimitri, si riconosce qualche tratto di tanti padroni dei Suv che sempre di più occupano le strade strette ed i parcheggi che non bastano mai.

Ogni volta che riunisce la nostra assemblea del condominio, vi sono litigi continui sulla questione parcheggio ma ogni anno abbiamo nuove Suv che si aggiungono e lottano per il lo spazio nel sempre più stretto parcheggio. Stanno lì nella loro imponenza, togliendo spazi ai due lati. Fin’ora ogni volta ci pensavano finivo con un senso di irritazione. Ora forse proverò un po’ di compassione. E’ vero che ogni tanto i padroni di questi fuori classe, invadono le aiuole o spazi dove devono passare le carrozzine perché non trovano altro spazio, ma sicuramente qualche volta saranno costretti a parcheggiare fuori da qualche parte perché queste macchina non stanno dentro i garage e i tutti gli altri spazi aperti del parcheggio condominiale, compreso le aiuole, sono occupati.

Parlano continuamente del prezzo della benzina, del prezzo del pane che aumenta, dei rifiuti che non si sa dove seppellire o dove incenerire, del riscaldamento del pianeta Terra e poi, parlano anche di questi imballaggi infiniti, la crescita di “usa e butta”, il traffico che sembra impazzito. Intanto si fa la pubblicità per comprare le nuove Suv “fatte su misura per le città”, perché ormai si sa che le città sono una giungla! Viviamo in un mondo schizofrenico.

mercoledì 20 agosto 2008

Telecom Italia e Mahatma Gandhi

Mi aveva incuriosito la pubblicità di Telecom che parlava del ritrovamento della registrazione audio del discorso fatto da Gandhi a Nuova Delhi il 14 aprile 2008, all’occasione di un incontro dei governi asiatici. Questa pubblicità invitava di visitare il sito di A Voi Comunicare, il 15 agosto 2008.

Il 15 agosto è Ferragosto, ma è anche il giorno dell’indipendenza dell’India. Quest anno, India indipendente ha compiuto 61 anni.


Proprio in questi giorni ho letto cose importanti su Mahatma Gandhi, sopratutto le 3 relazioni di Narayan Desai, il figlio di Mahadev Desai, segretario di Gandhi. Non conosco bene Narayan Desai anche se era un amico di papà. Invece conosco molto meglio suo figlio, Aflatoon (Aflu), che è diventato quasi un parente quando ha sposato l’ex-moglie di un cugino. Per molti anni, non avevo fatto il collegamento che il papà di Aflu era "quel Narayan Desai", cresciuto nel ashram di Mahatma Gandhi, il bambino che si vede in alcune foto storiche. Sono rimasto affascinato dalle relazioni di “Narayan bhai”, fratello Narayan, perché parlano della grandezza della persona di Gandhi e delle sue idee, nella sua dimensione umana con tutti i suoi difetti e le sue difficoltà, senza cercare di mitificarlo. Narayan bhai è l’autore della biografia di Gandhi in quattro volumi.


Il mondo di dibattito in lingua hindi sull’internet offre molte opportunità di conoscere questo tipo di discussioni tra i seguaci di Gandhi, dove c’è molto fermento ma anche un modo di ragionare molto diverso da quello che trovo in altre lingue, a partire dall’inglese. Le discussioni indiane sono più complesse e globali sulla figura di Gandhi e dei suoi insegnamenti, mentre penso che spesso le discussioni in occidente sulla figura di Gandhi restano unidimensionali e focalizzano su alcuni aspetti come la non violenza e la pace.

Invece non avevo notato discussioni particolari riguardo questo “ritrovamento della registrazione audio” in questo mondo indiano di seguaci di Gandhi, a parte una breve notizia su qualche portale indiano di lingua hindi. Forse ciò dipende dalla disponibilità di enorme mole di scritti e di relazioni di Gandhi in lingua hindi, per cui il ritrovamento di un’altra sua relazione non li sembra una cosa così fondamentale? In mondo anglofono, si esprime particolare interesse verso questa registrazione audio “perché era stata registrata soltanto 10 mesi prima del suo assassinio”, mentre per il mondo che capisce hindi, ciò non è particolarmente significativo perché si possono leggere le ultime relazioni del Mahatma durante gli incontri di preghiera a Birla Bhawan a Nuova Delhi, fino alla sera della sua morte. In ogni caso, questo testo non era “perso”, era già conosciuto, per cui forse è anche per questo che non ne hanno parlato molto in India.

Comunque è interessante leggere la trascrizione della relazione di Gandhi perché quella era una delle poche volte quando aveva parlato in inglese. Penso che la lingua influisce molto sul quello che devi dire e non soltanto su come lo dici.

Linguaggio di Gandhi: La prima cosa che colpisce di questo testo è proprio il suo linguaggio. Il testo è stato tradotto in italiano in collaborazione con Tara Gandhi Bhattacharjee, la nipote di Gandhi, la quale aveva studiato e poi vissuto a lungo a Roma.

Hanno scelto di non appesantire il discorso di Gandhi, con i commenti e le annotazioni a pie di pagina, che è una scelta condivisibile anche se ciò lo rende un po’ più difficile da capire.

La cosa che salta fuori subito è la semplicità del discorso. Sembra che Gandhi sta parlando ai bambini in maniera informale. All’inizio è preoccupato se le persone in fondo possono sentire la sua voce, “Se la mia voce non vi giunge, non è colpa mia, ma colpa degli altoparlanti.” Poco dopo confessa candidamente che non ha avuto tempo di preparasi la sua relazione, che aveva cercato di mettere giù per scritto i suoi pensieri ma poi ha dimenticato quel pezzo di carta da qualche parte. Appare chiara subito la sua volontà di non assumere il ruolo di grande statista o oratore. Anzi è di un’umiltà disarmante.

Tuttavia, è un discorso che tocca i cuori nella sua semplicità. E’ un messaggio di amore, lui ribadisce e dice, “Voglio catturare i vostri cuori e non voglio i vostri applausi. Fatte battere i vostri cuori in unisono con le mie parole, e io credo che il mio lavoro sarà compiuto.” L’immagine di cuori che battono in unisono è fortemente evocativo e emozionante.

Contesto del messaggio: Gandhi che parlò alla riunione dei capi di governo dei paesi asiatici in quell’aprile 1947 era una persona messa da parte perché la sua insistenza sui grandi principi non era visto come qualcosa di praticabile. I grandi leader politici indiani, Nehru e Jinnah, ormai l’avevano escluso dalle discussioni pratiche per la divisione dell’India per la creazione del Pakistan, e dalle discussioni per la formazione del nuovo governo dell’India indipendente.

In quei giorni, i disordini religiosi tra gli indù e i musulmani erano ormai quotidiani in diverse parti dell’India. Lega Musulmana aveva lanciato violenti disordini nel Bengala tra agosto e settembre 1946 perché tramite i disordini volevano convincere gli inglesi che convivenza pacifica con gli indù era impossibile e che dovevano dividere l’India in due parti. Quando le prime notizie di questi disordini erano arrivate a Mahtama Gandhi lui era partito immediatamente per Calcutta e in periodo di 7 settimane aveva camminato 116 miglia nei villaggi per cercare di convincere le persone di vivere in pace.

Il 15 agosto 1947 quando l’India fu dichiarata indipendente, Gandhi era a Calcutta lontano dal parlamento di Delhi e dalle celebrazioni. Ramnath Guha, lo storico indiano racconta nel suo libro, “India after Gandhi” (India dopo Gandhi), la sera prima il 14 agosto 1947, governatore del Bengala visitò Gandhi per chiedergli come celebrare l’indipendenza dell’India a Calcutta e Mahatma gli aveva risposto secco, “Persone stanno morendo di fame, vuoi organizzare feste in mezzo a questa devastazione?

Due anni prima, gli Stati Uniti avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki con le bombe atomiche. Le parole di Gandhi alla riunione internazionale portano il peso di quel bombardamento.

Badshah Khan: Nel suo discorso Gandhi nomina Badshah Khan (Abdul Gaffar Khan), leader della provincia occidentale Balucistan (North West Frontier province, della futura Pakistan), grande amico e seguace del Mahatma, conosciuto anche con il nome di Frontier Gandhi, Gandhi della frontiera. Forse era un tentativo di dimostrare che non tutto il mondo musulmano voleva la divisione dell’India.

L’etnia pashtun che vive nel Pakistan occidentale e in Afghanistan, non voleva diventare parte del Pakistan, ma loro non avevano avuto la possibilità di influenzare le decisioni degli inglesi. Mi ricordo un incontro con Badshah Khan. Era venuto dal Pakistan e aveva tenuto un discorso nel giardino della casa di Ram Manohar Lohia, il leader socialista, in Gurudwara Rakab Ganj Road a Nuova Delhi. Non mi ricordo che cosa aveva detto, ero un bambino e anche se mi affascinava la sua figura alta con i cappelli bianchi, una faccia molto tenera e la pelle chiara, ero troppo preso dai giochi per starli ad ascoltarlo.

Recentemente editore Sonda ha pubblicato la traduzione italiana del libro di Eknath Easwaran, “Badshah Khan, il Gandhi musulmano” (2008).

Le parole non appropriate: Nel suo discorso, Gandhi aveva usato anche parole come Bhangi per parlare delle persone più povere ed emarginate. Oggi usare una parola del genere sarebbe considerato un crimine e contro la dignità umana. Bhangi è una delle caste del gruppo delle persone considerate intoccabili.

Spesso quando si parla di caste in occidente, sembra che siano dei gruppi omogenei, e non si coglie la complessità del sistema delle caste in India. Ogni casta è composta da molti sottogruppi organizzati in complessi sistemi di gerarchie. Tra le caste considerate intoccabili, vi sono diversi gruppi di persone che fanno lavori manuali, come – i kumhar (quelli che lavorano con la terra per costruire vasi e piatti), i ciamar (quelli che lavorano con la pelle), i moci (i calzolai), ecc. I bhangi (pronunciato bhanghi) sono il gruppo più intoccabile tra gli intoccabili, né anche gli altri intoccabili vogliono avvicinarli, perché sono persone che lavorano con gli escrementi umani, puliscono i gabinetti e con le mani nude portano via gli escrementi.

Gandhi stesso aveva trovato una nuova parola per parlare degli intoccabili, i harijan (il popolo di Dio). Non so perché aveva voluto usare la parola bhangi in questa relazione, forse per dire con chiarezza che parlava degli ultimi degli ultimi?

Pensavo che oggi nessuno deve più fare questo tipo di mestiere, di dover portare sulla propria testa gli escrementi umani, ma recentemente ho letto racconti di persone che lavorano nei villaggi e che parlano che questa pratica ancora continua sessant anni dopo l’indipendenza. Dall’altra parte, le persone delle diverse caste degli intoccabili, che oggi preferiscono chiamarsi i Dalit (i calpestati) hanno oggi una valenza politica importante e non possono essere lasciate da parte. India ha già avuto un presidente da questo gruppo e oggi nello stato più popoloso dell’India, l’Uttar Pradesh, il primo ministro del governo statale, sig.ra Mayawati è una Dalit, proveniente dal gruppo dei ciamar.

Il nocciolo del discorso di Gandhi: Questo discorso è stato criticato da qualcuno perché parla di una “vittoria” dell’Asia sull’occidente.

Penso invece che in questo discorso Gandhi ricordava i paesi asiatici di non dimenticare i propri valori basati sui principi antichi, ispirati da una visione non materialistica del mondo. Il pensiero razionale occidentale con il potere dello sviluppo scientifico e industriale degli ultimi 3-4 cento anni ha ormai conquistato il mondo e tutti gli altri modi di ragionamento stanno scomparendo.


Forse ho letto il messaggio di Gandhi pensando alla crescita del consumismo sfrenato e la distruzione dell’ambiente degli ultimi cinquant anni, e magari nell’aprile 1947 lui non poteva sapere che il mondo sarebbe diventato così, ma penso che esistono altri modi di ragionare oltre al pensiero razionale e scientifico occidentale e che questi modi di ragionamento inclusivo hanno dato luogo a maggior parte delle figure religiose del mondo, i quali parlavano di amore, di pace e di fratellanza, e bisogna assicurare che questi messaggi continuano ad essere vivi e non sopraffatti dal pensiero occidentale che si basa sulla razionalità, sulla differenza tra io e gli altri, sulla superiorità di un gruppo sugli altri.

Gandhi e Telecom: Gandhi parlava sempre di vivere con poco, il valore dei villaggi autosufficienti, l’importanza di vivere in armonia con la natura. Che cosa avrebbe pensato lui dell’uso del suo nome per promuovere un’azienda, che promuove comunicazione e rapporti tra le persone, ma è anche un mondo di consumismo e di profitto? Due industriali indiani, Birla e Bajaj, erano tra i stretti collaboratori di Gandhi. Quando lui fu assassinato, parlava nel centro di preghiera costruito dal industriale Birla.

Personalmente non trovo giusto i tentativi di demonizzare le industrie. Senza le industrie e il commercio, non ci sarebbe la qualità della vita che conosciamo, non ci sarebbe benessere del lavoro e non potrà sconfiggere la povertà e la fame. Ma bisogna assicurare che le industrie e i commercio trovi un equilibrio, dove la natura e tutti gli esseri siano rispettati, dove i lavoratori siano tratti giustamente e dove il profitto sia ragionevole. Penso anche che la responsabilità sociale delle aziende sia importante, ma confesso di non saperne molto e istintivamente ho paura della “responsabilità sociale” come uno dei mezzi di marketing perché migliora l’immagine per poter vendere di più.

In questo senso non credo che le aziende diventeranno “giuste” per conto proprio e penso che un regolamento e controllo dello stato sia fondamentale. Se invece parliamo delle aziende multinazionali guidate soltanto dai profitti e da una massa di azionisti e contano soltanto i ritorni sui loro investimenti, allora i miei dubbi crescono.

Ma non riesco ad immaginare cosa ne avrebbe pensato Gandhi che il suo discorso sia utilizzato da Telecom, magari per promuovere una riflessione sui valori di messaggi importanti per l’umanità, ma anche per promuovere la propria immagine! Gandhi aveva questa capacità continua di sorprendere e di cambiare. Se veramente lui fosse presente oggi, come avrebbe ragionato?

Nota: Le foto di Mahadev Desai e Gandhi in questo articolo sono tutte dal sito della rivista indiana Outlook.

domenica 17 agosto 2008

E’ Arrivato Bollywood

Se vi piacciono i film di Bollywood allora forse vi siete già accorti che in questi giorni, ogni sabato in prima serata, su Rai 1 c’è un film di Bollywood (ciclo "Amore con turbante").



Non so quando è iniziato questo ciclo di film indiani su Rai 1. Ho visto il primo film “Senza Zucchero” (Cheeni Kum) il 9 agosto sera e poi, ieri 16 sera, c’era “Io e te: confusione d’amore” (Hum tum). Non so fino a quando proseguirà questo festival. Sul sito di Rai 1 ho cercato in vano per trovare qualche informazione. Forse agosto è un mese morto per i programmi televisivi e forse non si ha grandi aspettative da questi film, o magari le informazioni vi sono ma non sono riuscito a trovarle!

In ogni caso penso che sia un’idea grandiosa. Bollywood è ormai riconosciuto come un fenomeno. In Inghilterra, America e Australia, ogni tanto qualche film indiano riesce ad entrare nella classifica dei film più visti, magari al decimo posto, ma comunque inizia ad avere una sua rilevanza economica.

In Italia, la comunità indiana non è molto grande ma se mettiamo insieme le persone provenienti da Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, tutti paesi dove si guardano anche i film di Bollywood, allora un bacino importante di emigrati esiste per questi film, oltre agli spettatori italiani.

In questo senso penso che i film possono essere un ponte per promuovere integrazione. Spesso gli adulti in queste famiglie non guardano la TV italiana e non sanno parlare bene l’italiano, mentre i ragazzi che frequentano la scuola in Italia crescono diversamente. Penso che queste persone adulte possono avvicinarsi all’italiano tramite i film dei loro paesi.

La cultura odierna in Italia esprime immagini e giudizi fortemente negativi verso gli emigrati. Quando si parla in maniera indiscriminata degli emigrati come ladri e criminali, ferisce tutte le persone, anche quelle che vivono e lavorano in Italia da molti anni. Per questi ragazzi d’origine straniera che crescono in Italia, è atroce scoprire che il paese che considerano come il proprio, li giudica come esseri spregevoli tramite i mass media.

Invece, accettare e valorizzare queste diversità significa migliorare l’integrazione di questi ragazzi. In questo senso, penso che il servizio pubblico italiano dovrebbe fare uno sforzo in più per portare e presentare i prodotti culturali di paesi presenti in Italia, come le Filippine, il Cina, i paesi del mediterraneo, Africa del nord.



Per tornare ai film di Bollywood su Rai 1, non so se la scelta di doppiare questi film in italiano sia la scelta migliore. E’ vero che in Italia non esiste una cultura dei film in altre lingue con i sottotitoli, tutto deve essere doppiato in italiano. Ma forse il doppiaggio di questi film richiede la capacità di immedesimarsi in un’cultura lontana dalla cultura occidentale e forse quella manca di esperienza. In fatti mentre guardavo i due film, qualche volta avevo l’impressione che i doppiatori non erano convinti delle parole che dicevano, e le loro voci erano caricature di quello che loro pensavano il modo di esprimere indiano. Forse è stata soltanto una mia sensazione e nessun altro se ne è accorto, ma delle volte mi metteva a disagio!

L’altra questione che mi ha colpito è la scelta di tagliare tutte le canzoni da questi film (tranne le canzoni di sottofondo). E’ vero che i film indiani sono troppo lunghi e con le pause pubblicitarie, dureranno troppo. E’ altrettanto vero che spesso le canzoni servono soltanto per accentuare le emozioni di un momento e toglierle non toglie elementi essenziali dal film. Dall’altra parte, le canzoni, la musica e le danze sono fattori importanti e integrali della cultura comunicativa di Bollywood, e tagliarli del tutto mi sembra un’operazione di chirurgia ricostruttiva per renderli più vicini ai film occidentali, ma disabili.



Per esempio, nel film di ieri, “Io e te: Confusione d’amore”, la scena verso la fine quando Ria (Rani Mukherjee) viene a prendere Karan (Saif Ali Khan) mentre lui si ubriaca insieme ad un gruppo di persone, continuava con una canzone che li portava alla spiaggia dove facevano l’amore. Secondo me, quella canzone si poteva lasciare con i sottotitoli per capire meglio il momento clou del film, e toglierlo ha reso il film un po’ meno comprensibile. Anche per la canzone girata a Parigi, dove karan cerca di far sorridere una Ria dipressa e malinconica, era importante per lo stesso motivo e secondo me non doveva essere tagliata.

Comunque queste sono piccole critiche e sono proprio contento che Rai 1 ha deciso di ospitare questo ciclo di film. Non so cosa faranno vedere il prossimo sabato sera, se il festival si è già concluso o se continuerà, ho le dita incrociate.

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