mercoledì 15 gennaio 2020

Il Tempio di Sabarimala e la Parità di Genere

 Alla fine di settembre 2018, la Corte suprema in India ha deciso che il divieto per le donne in età fertile di entrare e pregare nel tempio di Sabarimala – situato nello stato di Kerala nella punta sud dell’India – era discriminatorio e l’ha cancellato. Questo articolo è una riflessione su questa decisione e sul suo significato per la parità di genere. Questo articolo è uscito sul sito Bottega del Barbieri.



Decisione della Corte Suprema Indiana

La decisione sull'entrata delle donne nel tempio di Sabarimala è stata presa da un comitato di 5 giudici, composto da 4 uomini e una donna. Mentre i 4 giudici uomini erano favorevoli a questa decisione, l’unica donna del gruppo era contraria alla decisione perché non vedeva la questione pertinente alla parità di genere.

Da allora sono iniziate le proteste dei “fedeli” – comprese centinaia di migliaia di donne – che hanno bloccato ogni tentativo di entrata di donne nel tempio. Anche i due partiti nazionali, BJP e Congresso, si sono espressi contro mentre il governo dello Statale (guidato dal Partito Comunista) ha sostenuto la sentenza.

All’inizio di gennaio 2019 – alle 3 di notte – due attiviste, scortate dalla polizia, sono entrate nel tempio e hanno girato un video della loro visita, provocando nuove proteste dei fedeli.

Questa storia ha focalizzato l’attenzione sul ruolo delle istituzioni governative nelle riforme religiose in India.

La particolarità del tempio di Sabarimala: Il tempio di Sabarimala è dedicato al dio Ayappa molto venerato nel sud dell’India. Vi sono almeno 40 altri templi più o meno famosi per Ayappa nei quali non vi sono divieti contro la visita delle donne. Il veto esiste soltanto per il tempio di Sabarimala dove, secondo il mito, il dio vive la fase celibe della sua storia, quando lui cercava di mantenere il brahamcharya, ciòè, il celibato.

In generale, nell’induismo non vi sono divieti contro l’entrata delle donne nei templi, anche se esistono alcuni altri luoghi sacri in altre parti dell’India dove le donne non possono entrare e altri dove il divieto riguarda gli uomini.

I fedeli del tempio di Sabarimala dicono che le donne che vogliono entrare nel tempio evidentemente non credono nel mito di Ayappa e non vogliono rispettare il suo desiderio del celibato: sono soltanto attiviste che la vedono come una questione di principio.

Promuovere le riforme religiose: Per secoli le consuetudini, spesso con il sostegno delle religioni, hanno dettato i comportamenti delle società. L’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani dalle Nazioni Unite nel 1948 ha creato un nuovo metro per misurare queste consuetudini. In molti Paesi la crescente consapevolezza verso la violazione dei diritti umani ha stimolato i governi ad adottare nuove leggi che andavano contro quanto sostenevano le autorità religiose.

Riformare le religioni tramite le leggi e tramite le sentenze dei tribunali è particolarmente importante in due situazioni:

(a) Quando vi è un rischio all’indennità fisica e alla vita delle persone: l’antica pratica di sati in India secondo la quale le vedove potevano essere bruciate vive insieme ai loro defunti mariti, rientrava in questa categoria: la pratica fu vietata nel 1829 dall’allora governo coloniale inglese in India. Oggi, la mutilazione genitale femminile, ancora praticata in alcuni Paesi, è un altro esempio. Invece cosa dire della circoncisione maschile praticata su bambini ebrei e musulmani?

(b) Quando vi è una discriminazione sistematica contro alcuni gruppi di persone legata al genere o ad altre caratteristiche (come le caste in India). Dunque orientamento sessuale e appartenenza a certe religioni, etnie o gruppi linguistici sono caratteristiche comuni accompagnate da discriminazioni sistematiche.

Discriminazioni che sono comuni tra i vari gruppi religiosi, soprattutto nei Paesi dove questi gruppi sono la maggioranza. Per esempio in diversi Paesi a maggioranza musulmana essere donna, omosessuale o praticare altre religioni sono tutti motivi per essere discriminati.

Riforme Religiose in India

Sabarimala e altre riforme dell’induismo in India: Secondo me, la tradizione di non lasciar entrare le donne di età fertile nel tempio non era una discriminazione sistematica. Non sono un seguace del dio Ayappa ma se i seguaci lo vedono come un celibe, che non vuole essere tentato dalle donne, non sta me giudicare la loro fede.

L’induismo è fatto da una miriade di modi di interpretare e praticare la religione, tutti ugualmente validi, che vanno dalla negazione di qualunque dio alla credenza in 33 milioni di dèi. Non vi è un libro sacro unico, né un arbitro supremo che può giudicare cosa deve fare un indù. I fondamentalisti induisti vedono questa come una debolezza, vogliono promuovere una visione più ristretta della religione, specificando quali dèi pregare e come farlo. Costringere il tempio di Sabarimala ad accogliere le donne e negare il mito di un loro dio mi sembra una “macdonalizzazione” della cultura e una perdita della diversità religiosa, simile a quella che vogliono i fondamentalisti.

Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947, il governo indiano ha attuato una serie di leggi per la riforma dell’induismo, compreso il divieto a discriminazioni sulla base delle caste e del genere. Il problema più grande dell’induismo è come fare che le nuove leggi siano applicate e siano accompagnate da un cambiamento sociale. Lavorare nelle comunità per il mutamento sociale non è facile, richiede decenni di impegno e passione. Invece per la maggior parte degli attivisti penso sia più facile lanciare proteste nelle città per cambiare le leggi.

Riformare altre religioni in India: Le riforme religiose effettuate dal governo indiano finora hanno riguardato quasi esclusivamente l’induismo. Non hanno voluto toccare le minoranze religiose anche se tutte insieme le minoranze ammontano a circa 200 milioni di persone. Ogni tentativo di riformare le religioni delle minoranze è visto come un modo di rinforzare la destra nazionalista anche quando le questioni riguardano violazioni gravi dei diritti umani.

Per esempio, tra la comunità musulmana in India, è lecita la pratica di “triplo talaq” secondo la quale un uomo musulmano può divorziare la moglie solo ripetendo per tre volte la parola “talaq” anche per sms. Questa pratica è vietata nei Paesi vicini a maggioranza musulmana – Pakistan e Bangladesh – ma ogni volta che se ne parla in India, si alza un coro di proteste non soltanto dagli elementi più ortodossi della comunità musulmana ma anche dagli attivisti e progressisti indiani che in altri contesti lottano per i diritti delle donne.

Un altro esempio riguarda l’abuso sessuale delle suore da parte dei preti cattolici. A luglio 2018 una suora aveva denunciato la violenza sessuale da parte di un vescovo, monsignor Franco Mulakkal. Per mesi, la polizia continuò a interrogare la suora mentre il vescovo girava liberamente. In ottobre finalmente il vescovo fu imprigionato ma dopo qualche settimana è stato liberato e accolto con grandi cerimonie dai fedeli mentre la suora che lo aveva denunciato continua a vivere emarginata, e ha ricevuto minacce di morte. La maggior parte dei giornali indiani hanno fatto finta di niente. Un articolo recente di Tim Sullivan dell’agenza di stampa americana Associated Press ha approfondito la questione parlandone con molte suore di diverse congregazioni e denunciando il silenzio e la complicità della Chiesa Cattolica in India. Invece gli attivisti e progressisti indiani sono rimasti in silenzio.

La difficoltà di parlare dei problemi delle minoranze non è limitata all’India. Per esempio, diverse attiviste afroamericane hanno parlato della difficoltà di parlare della violenza contro le donne nelle loro comunità perché poteva essere strumentalizzata dai razzisti e da persone di destra per fomentare gli stereotipi. Attivisti LGBT musulmani denunciano poco sostegno dai progressisti e liberali occidentali, i quali non vogliono essere visti come islamofobi.

Dall’altra parte, sempre più spesso, i blog e i media sociali danno un’opportunità a ciascuno di questi gruppi di alzare la propria voce e di farsi sentire. Nel frattempo il cambiamento sociale sembra procedere a piccoli passi e qualche volta è costretto a tornare indietro. Penso che se riusciamo a vedere da una certa distanza capiamo che il mutamento sociale è inevitabile.
Conclusione

Penso sia fondamentale cambiare e riformare le pratiche sociali e religiose che non rispettano i diritti umani. Questo non significa appiattire le nostre diversità culturali. In ogni caso, cambiare le società con le leggi e con le sentenze dei tribunali può essere visto soltanto come un primo e piccolo passo; il cambiamento reale richiede tempi molto più lunghi.

Nota: L'immagine usata in questo posto è della festa di Ambubashi presso il tempio di Kamakhaya a Guwahati nel nord-est dell'India dove si celebra il potere femminile sacro di shakti. Non vi è nessun'imagine del tempio di Sabarimala in questo post.


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giovedì 10 ottobre 2019

Kashmir: Il Paradiso Imprigionato

Nel 17° secolo, Jahangir, l’imperatore Mughal visitò la valle di Kashmir e ne rimase incantato: «Se esiste paradiso sulla terra deve essere proprio qui». Sono più di 30 anni che quel paradiso è sotto assedio. Le storie di Kashmir sono uno groviglio e non è facile capire quale appartiene a chi, fin dove le storie raccontano la verità, dove si travestono e nascondono sotto i racconti immaginari.

Il 5 agosto 2019 un annuncio del governo indiano ha riacceso i fari su questa regione dimenticata.

Sono 3 le parti coinvolte in queste storie: la gente di Kashmir, l’India e il Pakistan.

Considerata la terra del culto di Shiva dai tempi antichi, l’islam arrivò e conquisto questa terra nel 14° secolo. La disputa fra India e Pakistan riguardo Kashmir iniziò nel 1947 subito dopo la partenza del governo coloniale inglese. L’annuncio del governo indiano del 5 agosto è soltanto l’ultimo atto di questa disputa.

È una storia lunga e complessa con colpi e contraccolpi.

Prima di farvi una spiegazione (semplificata) di questa storia e del significato dell’annuncio del governo indiano, vorrei iniziare con un chiarimento riguardo la valle di Kashmir.

La Valle di Kashmir

Lo Stato indiano di Kashmir con circa 13 milioni di abitanti è costituito da 3 regioni: Jammu, Ladakh e la Valle del Kashmir. Le dispute fra India e Pakistan riguardano la Valle di Kashmir: questa è la zona di conflitto non le altre due regioni.



Con circa 6,9 milioni di abitanti (dati del 2011) la regione della Valle di Kashmir rappresenta circa il 15% della superficie dello Stato ed è quella più popolosa. Circa il 96% della popolazione è musulmana, composta da 2 gruppi principali: il 75% sono Sunniti e il 25% sono Shi’a. A ovest questa regione condivide la frontiera con il Pakistan.

Con circa 5,3 milioni di abitanti (sempre dati 2011) la regione di Jammu rappresenta circa il 26% della superfice ed è la seconda per popolazione. Circa l’85% della popolazione di Jammu è induista mentre i musulmani si aggirano sul 7,5%.

Con solo 290.000 abitanti (il riferimento è sempre al 2011) Ladakh è scarsamente popolata. Circa il 46% della popolazione è musulmana, il 39% è buddhista e gli induisti sono il 12%. Al nord questa regione condivide la frontiera con Cina e Pakistan.

La disputa fra l’India e il Pakistan

Nell’agosto 1947 il Governo coloniale inglese aveva lasciato il subcontinente indiano ma prima di partire l’aveva suddiviso in due Paesi: India e Pakistan. Questa suddivisione riconosceva la domanda di una parte di musulmani di essere «un popolo diverso dagli altri indiani» che chiedevano un Paese solo per loro. All’inizio, il Pakistan era composto da due territori – Pakistan est (oggi Bangladesh) e Pakistan ovest – le due aree dove la maggioranza della popolazione era musulmana.

Nel 1947 il subcontinente aveva anche centinaia di principati e regni, i quali potevano scegliere se far parte dell’India o del Pakistan. Questa scelta riguardava soprattutto i regni che si trovavano vicino alle frontiere dei due Paesi, mentre quelli che erano completamente circondati da uno dei Paesi, di fatto non avevano questa scelta.

Il regno di Jammu-Kashmir con la maggioranza della popolazione musulmana (77%) aveva un re induista, Hari Singh. Lui non era sicuro se far parte dell’India o del Pakistan e aveva richiesto del tempo per prendere la sua decisione. Dopo alcuni mesi di attesa, le forze pakistane erano entrate e avevano occupato alcune parti della Valle del Kashmir, soprattutto nel nord ovest. Hari Singh che non aveva una forza militare per resistere, chiese l’aiuto al governo indiano e decise di far parte dell’India. Questa fu la prima guerra fra India e Pakistan per la valle del Kashmir.

Verso la fine del 1948, con l’aiuto delle Nazioni Unite, la guerra finì: i territori della Valle del Kashmir presi dal Pakistan sono rimasti sotto il suo controllo. Vige tutt’ora quella linea di controllo come frontiera, dove le due forze si erano fermate al momento del cessate il fuoco.

Le Nazioni Unite avevano chiesto un referendum fra la popolazione di Kashmir per decidere se volevano andare in Pakistan o restare in India, però non è mai stato organizzato. Secondo l’India, il referendum si deve fare in tutto il territorio della Valle del Kashmir, mentre secondo il Pakistan soltanto nelle parti rimaste in India.

Gli articoli 370 e 35A del Kashmir

L’articolo 370 della Costituzione, approvato nel 1954, garantiva l’autonomia dello Stato di Kashmir, inclusa una sua Costituzione separata. L’articolo 35A – anche esso approvato dal parlamento indiano nello stesso anno – dava poteri allo Stato di Kashmir di decidere i criteri per definire chi poteva diventare residente permanente dello Stato e i suoi diritti.

Scoppio delle violenze in Kashmir

Vi sono state tre guerre fra India e Pakistan per la Valle del Kashmir. La prima, già spiegata sopra, nel 1947-48. La seconda nel 1965 e la terza nel 1998-99.

Fino alla prima parte degli anni ’80, la situazione nella Valle del Kashmir era tranquilla, come testimoniano le scene dei numerosi film di Bollywood girati qui. In quegli anni, le persone del Kashmir chiedevano “azadi”, la possibilità di avere un Paese libero cioè di non essere parte né dell’India né del Pakistan.

Le violenze in Kashmir sono iniziate intorno al 1988-89. Negli anni ’80, gli Usa avevano sostenuto i Mujahideen pakistani per lottare contro i russi in Afghanistan. Dopo il ritiro delle truppe russe dall’Afghanistan nel 1988, molte di queste persone che credevano in un Islam radicale sono arrivate nella Valle del Kashmir. Uno dei loro compiti era reclutare giovani della Valle del Kashmir in India e mandarli nei campi di addestramento in Pakistan per diventare guerriglieri.

All’inizio degli anni ’90 vi erano più di 300.000 induisti nella Valle del Kashmir, conosciuti come i Kashmiri Pandit. Questi sono diventati i bersagli degli islamici radicali. Secondo i rapporti governativi più di mille Kashmiri Pandit sono stati uccisi mentre le loro case e negozi venivano distrutti e bruciati. La maggior parte di loro sono scappati dalla Valle del Kashmir e molti tutt’ora vivono nei campi profughi sparsi in India. Meno dell’ 1% sono rimasti nella Valle del Kashmir.

I mujahideen pakistani e i loro compagni nella Valle del Kashmir hanno iniziato ad attaccare le strutture e i servizi governativi, in particolare i poliziotti locali che erano visti come traditori. Si pensa che negli anni successivi alla fuga dei Kashmiri Pandit dalla Valle, circa 30.000 persone, la maggioranza musulmane, sono state uccise dagli islamisti radicali perché ritenuti favorevoli al governo indiano.

Il governo indiano aveva risposto con l’invio delle forze militari, le quali hanno poteri speciali che garantiscono immunità dai tribunali civili. Così dagli anni ’90 la popolazione vive schiacciata fra queste due forze: da una parte i guerriglieri che vogliono che la Valle del Kashmir diventi parte del Pakistan e dall’altra le forze militari indiane.

Secondo alcuni articoli, di recente un terzo gruppo si è aggiunto alla lotta, cioè le persone che si ispirano alla filosofia dello Stato Islamico (ISIS). Negli ultimi 4-5 anni nelle proteste si vedono sempre di più le bandiere e le rivendicazioni a sostegno del Califfato Islamico e le “chiamate” per stabilire lo Stato islamico in Kashmir con la legge della Shariat.

La posizione pakistana

La religione musulmana è stato il motivo della nascita di Pakistan e dall’inizio i politici pakistani hanno rivendicato il territorio della Valle del Kashmir perché sarebbe una parte della fraternità musulmana.

Nel 1958 in Pakistan vi fu il primo colpo di stato, seguito da diverse dittature militari. Nel 1973 il Pakistan è diventato un Paese basato sulla legge islamica. Negli anni di leadership del dittatore militare Zia-ul-Haq (1977-88) l’islamizzazione si è ulteriormente rinforzata. Risale a quegli anni l’approvazione della legge sulla blasfemia. Gli ultimi decenni hanno visto crescenti suddivisioni fra i vari gruppi di musulmani in Pakistan, per esempio tra i sunni e gli shi’a, e tra i barelavi e i deobandi, mentre altri gruppi di musulmani (come gli ahmadi e i  bohra) sono stati dichiarati “non islamici”.

Questi fattori lasciano poco spazio di manovra ai politici pakistani, anche perché i capi militari detengono tutt’ora molto potere. Avere Kashmir come parte del Pakistan è diventata una questione di orgoglio nazionale e sarà difficile per loro cambiare posizione.

Le decisioni dell’India

Il 5 agosto 2019 il governo indiano ha deciso di revocare gli articoli 370 e 35A: si è giustificato dicendo che entrambi questi articoli erano temporanei e dopo 65 anni è inutile il loro mantenimento. Inoltre si è deciso di separare la regione di Ladakh dallo stato di Kashmir, creando un territorio autonomo sotto la giurisdizione del governo nazionale. Queste risoluzioni sono state approvate da due terzi della maggioranza nel parlamento indiano. Di fatto, questo significa che lo stato di Kashmir con le due regioni (Valle del Kashmir e Jammu) è ora una parte dell'India come tutto il resto del paese.

Dal 5 agosto a oggi (31 agosto) nella Valle del Kashmir non c’è internet e le reti dei telefoni mobili. Dopo il 12 agosto poco alla volta in alcune parti della Valle il servizio di telefoni fissi è stato ripristinato. Molti leader politici e civili sono in prigione o in arresto domiciliare.

Le reazioni

Secondo i giornalisti pro-governativi, dato il continuo rinforzamento dei radicali islamici e dei simpatizzanti di ISIS, bisognava tentare con una strategia nuova in Kashmir e forse l’abrogazione degli articoli 370 e 35A darà una possibilità di avere pace in questa regione. Dicono che con circa 200 milioni di musulmani (stime 2018) India è il secondo Paese nel mondo per il numero di musulmani e non si può rischiare che il radicalismo islamico contagi il resto dell’India.

Inoltre i filo-governativi dicono che l’articolo 35A era discriminatorio e dava diversi privilegi agli uomini del Kashmir. Per esempio, secondo questo articolo, se un uomo di Kashmir sposava una donna lei acquisiva il diritto di vivere nello Stato mentre una donna di Kashmir perdeva il suo diritto di residenza se sposava un uomo forestiero.

Il primo ministro indiano, nel suo discorso per giustificare l’abrogazione dei due articoli, ha parlato soprattutto di aspetti discriminatori inerenti agli articoli 370 e 35A.

Invece secondo i critici, il governo si è comportato in maniera prepotente: avrebbe dovuto avviare un dialogo in Kashmir sulla necessità di abrogare gli articoli. Loro criticano l’arresto di leader politici e civili come il blocco di internet e dei telefoni cellulari.

Le popolazioni delle regioni di Jammu e Ladakh e nel resto dell’India hanno accolto queste decisioni positivamente mentre le principali critiche sono venute dalla Valle di Kashmir e dal Pakistan. I gruppi separatisti hanno giurato “lotta continua” fino alla realizzazione del loro sogno di diventare parte del Pakistan, minacciando attacchi alle strutture governative.

Comunque, con o senza gli articoli 370 e 35A, la situazione del Kashmir non cambierà nel prossimo futuro. Per il momento il blocco di internet e la mancanza di telefoni mobili hanno permesso alle autorità di mantenere il controllo perché senza i social media è difficile organizzare le proteste. Comunque il blocco di internet e dei telefoni cellulari non può durare in eterno e bisognerà vedere che cosa succederà allora.

domenica 14 aprile 2019

Ricerca Emancipatoria

Il 5-6 aprile 2019, ero a Milano al convegno “Essere Persona: La Disabilità nel Mondo” organizzato da AIFO, OVCI e Fondazione Don Gnocchi. In questo convegno ho parlato sul tema “Ricerca Emancipatoria ed Effetti Politici: barriere, discriminazione ed empowerment”.

La ricerca emancipatoria è un approccio innovativo e potrebbe essere di interesse per quanti operano a favore dei gruppi vulnerabili. Per questo motivo, in questo post presento alcuni punti della mia presentazione.

Tipologie di Ricerche

Quando si usa la parola “ricerca”, pensiamo subito ai laboratori e agli scienziati che svolgono delle attività complicate, difficili da capire. Di solito queste sono le “Ricerche Scientifiche”, dove i ricercatori devono mantenere un certo distacco da quello che studiano, per arrivare alle loro conclusioni in maniera neutra.

In campo sociologico, vi sono le “Ricerche Partecipatorie”, dove i ricercatori non sono distaccati dai loro soggetti. Anzi, in queste ricerche, i ricercatori coinvolgono e lavorano insieme alle comunità. Le idee del pedagogista e pensatore brasiliano, Paulo Freire, hanno influenzato lo sviluppo di questa metodologia.

Invece nella “Ricerca Emancipatoria”, sono le comunità stesse in prima persona a svolgere la ricerca. Il concetto di questa metodologia era stato proposto nel 1990 da Mike Oliver, un ricercatore e attivista inglese per i diritti delle persone con disabilità.

Ricerca Emancipatoria sulla Disabilità (RED)

Nella RED, le persone con disabilità sono formate come ricercatori e assistite dagli esperti per svolgere la ricerca. Loro ragionano sui propri problemi che vogliono approfondire e decidono la metodologia di raccolta di informazioni. Sono sempre loro che ragionano sulle informazioni raccolte, e ne traggono le conclusioni. Ciò significa che in una ricerca emancipatoria, le persone con disabilità hanno il potere decisionale su tutti gli aspetti della ricerca.

RED hanno bisogno degli esperti (compreso academici, specialisti, pedagogisti, e rappresentanti delle DPO) – essi hanno il compito di sostenere le diverse fasi della ricerca.

Le RED sono basate sul modello sociale della disabilità e seguono i principi della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD).

Realizzare RED

La metodologia della ricerca emancipatoria può essere utilizzata con tutti i gruppi vulnerabili, anche se la mia esperienza personale è focalizzata soprattutto sul tema della disabilità.

Verso la metà degli anni 1990, i primi progetti di RED sono stati realizzati da persone con disabilità che studiavano nelle università inglesi. Da allora, il concetto è stato adottato da altri e sperimentato in diversi paesi sviluppati. Alcuni ricercatori di RED, che studiavano nelle università occidentali, sono andati nei paesi in via di sviluppo per svolgere le loro ricerche in collaborazione con le comunità locali.

Invece sono state rare le esperienze di RED, sviluppate e sperimentate interamente nei paesi meno sviluppati. Tra le organizzazioni impegnate nella cooperazione internazionale, AIFO ha colto l’innovazione di questa metodologia ed ha cercato di sperimentarla nei suoi progetti.

Nei progetti AIFO, tra il 2009-2019, sono state realizzate 7 iniziative di RED. Voglio presentare brevemente 6 di queste iniziative, nelle quali ero coinvolto, realizzate in India, Palestina, Italia, Liberia e Mongolia.

RED – SPARK, India (2010)

Il progetto aveva identificato e formato come ricercatori 16 persone disabili (8 donne e 8 uomini). Altre 8 persone disabili erano state formate per svolgere il ruolo di facilitatori durante le riunioni. Tra questi 24 individui, vi erano persone con diversi tipi di disabilità compreso quelle intellettuali, quelle dovute alla lebbra e quelle legate alle malattie mentali. Qualcuno di loro aveva frequentato l’università mentre alcuni di loro erano analfabeti. Rappresentavano vari gruppi di età.

I ricercatori avevano identificato 16 temi prioritari e poi organizzato incontri residenziali di 4 giorni su ciascun tema. Su alcuni temi, vi erano riunioni separate degli uomini e delle donne. Circa 350 persone con disabilità avevano partecipato alle riunioni residenziali e complessivamente la ricerca aveva coinvolto circa 3000 persone.



La foto sopra presenta i ricercatori con alcuni membri del gruppo degli esperti, che comprendevano ricercatori academici, specialisti e rappresentanti delle DPO. Nella foto c’è anche il dott. Enrico Pupulin, ex-responsabile del reparto di Disabilità e Riabilitazione dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), il quale ha dato un grande contributo allo sviluppo della metodologia di Riabilitazione su Base Comunitaria ed è stato uno dei primi sostenitori della RED.

RED – Bidar, India (2013)

Era focalizzata sul tema della violenza subita dalle persone con disabilità. Tra i ricercatori, vi erano diverse persone con personali esperienze di violenza.

Questa ricerca aveva riscontrato diversi problemi. Anzitutto, aveva i tempi molto stretti e non vi era sufficiente tempo per il follow-up. Dall’altra parte, la ricerca aveva fatto emergere una situazione grave e diffusa di violenze subite dalle persone con disabilità, con poche possibilità di trovare un sostegno nelle famiglie e nelle comunità. La situazione richiedeva tempo e risorse per rispondere ai bisogni emersi, in collaborazione con le altre organizzazioni presenti sul territorio.

Inoltre, la parte quantitativa della ricerca con le sue analisi statistiche era troppo difficile da capire per i ricercatori.

La foto sopra presenta un momento durante la formazione dei ricercatori mentre essi esercitavano le tecniche di fare le domande durante le interviste. “Role Play”, ciò è, i giochi di ruolo, sono una parte fondamentale della formazione dei ricercatori.

RED – Gaza, Palestina (2014)

Ero coinvolto soltanto nella prima fase di questa ricerca, soprattutto nella formazione delle ricercatrici. Questa era la mia unica esperienza di RED che coinvolgeva soltanto le donne con disabilità.

Il gruppo delle ricercatrici comprendeva 4 donne sorde (che si vedono nella foto sotto), che è uno dei gruppi difficili da coinvolgere in una RED perché devono essere accompagnate da persone che possono capire e tradurre il linguaggio dei segni, spesso difficili da trovare nelle aree rurali dei paesi meno sviluppati. In questo caso, il progetto era riuscito a garantire il sostegno dei traduttori.



Questa ricerca aveva evidenziato come le barriere legate alle disabilità si sommavano alle barriere imposte dalla difficile situazione politica e sociale in Palestina.

RED – Ponte San Niccolò, Italia (2016-17)

Questa ricerca riguardava le persone anziane che vivono nel comune di Ponte San Niccolò alle porte di Padova nel nord-est di Italia, ed è stata la mia unica esperienza di RED che non si limitava al tema della disabilità ma aveva un focus più ampio.

Questa ricerca coinvolgeva diversi esperti dell’Università di Padova e dopo una fase iniziale svolta dalle persone anziane, era stata allargata ad uno studio quantitativo più approfondito sulla situazione degli anziani, svolto da volontari appositamente formati.

Per questo motivo, il ruolo delle persone anziane coinvolte nella ricerca era limitato solo alle prime fasi dell’indagine e da un’iniziativa RED, si era trasformata in una ricerca scientifica.

RED – Mongolia (2018)

Questa ricerca è tutt’ora in corso. La ricerca coinvolge circa 35 persone giovani con disabilità, tutti abitanti della capitale Ulaanbaatar, che sono stati formati come ricercatori. Tra loro vi sono molte persone con disabilità gravi compreso una persona con tetraplegia e un gruppetto di persone con paralisi cerebrale. In generale, loro hanno un livello alto di istruzione, compreso alcune persone con un dottorato.

Il progetto è limitato alle aree urbane. Durante l’approfondimento su alcuni temi, qualche ricercatore ha voluto affrontare anche gli aspetti quantitativi. Un altro aspetto innovativo di questa ricerca è la presenza di alcuni funzionari governativi e alcuni quadri delle DPO come ricercatori - anche se all’interno del gruppo, loro sono presenti in veste individuale e non come rappresentanti delle istituzioni. Sarà interessante valutare l’impatto di questa presenza istituzionale in una RED.



La foto sopra presenta il gruppo degli esperti, dominata dalle donne, che sostiene questa ricerca e che comprende alcuni academici, alcuni funzionari governativi, qualche specialista e qualche rappresentante delle DPO.

RED – Liberia (2018)

Anche questo progetto è tutt’ora in corso e dovrebbe concludere nel 2020. La ricerca svolge in 3 distretti rurali del paese e comprende alcune zone con grandi difficoltà logistiche. Il gruppo di ricercatori è piccolo (12 persone, 75% maschi) e molti di loro rappresentano un basso livello socioeconomico con poca istruzione.

La Liberia ha affrontato lunghi anni di guerra civile finita 15 anni fa e una grave epidemia di Ebola tra 2014-16. Entrambi questi eventi continuano avere i loro riflessi sulla vita delle persone del paese e influiscono anche sulla ricerca.



Le persone scelte come ricercatori, sono soprattutto persone con disabilità fisiche mentre le altre disabilità sono poco rappresentate. Nelle prime indagini condotte da questi ricercatori, si evidenziano molte difficoltà sia per la raccolta di informazioni che per capire il ruolo dei ricercatori.

Mongolia e Liberia

In confronto ai ricercatori in Mongolia, il gruppo Liberiano parte con molti più svantaggi e barriere, anche se i suoi ricercatori hanno disabilità meno gravi.

Le informazioni raccolte, il livello di discussioni e le strategie proposte per superare le barriere identificate, sono molto diverse nelle ricerche in corso nei due Paesi.

Nonostante tutte le differenze, penso che ciascuna ricerca, in modo suo, innesca significativi processi di empowerment tra i partecipanti. Queste differenze sono la ricchezza della RED ed è importante riconoscere e valorizzare queste differenze per cogliere i cambiamenti che queste ricerche possono portare.

Gli obiettivi di una ricerca emancipatoria sono scelti dai ricercatori. Se i ricercatori hanno un basso livello di istruzione e vivono nei paesi con poche infrastrutture e servizi, i loro obiettivi, le loro capacità di raccogliere informazioni e le loro strategie proposte per superare le barriere, saranno diverse da quando i ricercatori sono persone istruite e vivono nei paesi più sviluppati.
Informazioni Raccolte Nelle RED

In generale, le ricerche emancipatorie focalizzano sulle informazioni qualitative. La metodologia RED non è adatta alle indagini quantitative. Come spiegato sopra, in qualche ricerca vi sono individui con capacità di lavorare anche sui dati quantitativi, ma difficilmente i gruppi riescono a ragionare sopra e capire il significato di questi dati.

Spesso gli esperti sono delusi quando guardano le informazioni raccolte in una RED, soprattutto nelle fasi iniziali. Invece con tempo, la qualità delle informazioni raccolte migliora, e si vedono i collegamenti tra le caratteristiche specifiche sociali e culturali delle persone e le barriere che essi incontrano.

Oltre alla raccolta delle informazioni in maniera sistematica, l’obiettivo della RED è di promuovere riflessioni sul significato di quelle informazioni tra i ricercatori e le comunità. Loro ragionano su che cosa possono fare per superare le difficoltà identificate. Sono queste riflessioni che promuovono l’empowerment delle persone e spesso stimolano la nascita di azioni comunitarie. In questo senso, una ricerca emancipatoria, spesso diventa una “ricerca azione”, anche se è difficile prevedere o programmare le azioni che potrà far scaturire.

Difficoltà di Realizzare una RED

Spesso le iniziative di RED sono parte di programmi più ampi. Il personale di questi programmi e gli esperti che sostengono la ricerca, possono avere delle aspettative non realistiche verso il suo processo. Inoltre, spesso questi non capiscono la gradualità dei cambiamenti e qualche volta intervengono con troppa forza, interrompendo il processo.

L’obiettivo principale di RED è di promuovere l’empowerment delle persone ma non sappiamo come misurare questo empowerment. Alcune metodologie sono state proposte per misurare l’empowerment, per esempio, dalla Banca Mondiale, ma esse sono difficili da applicare nel contesto di RED. A livello aneddotico, possiamo avere molte storie raccontate dalle persone coinvolte nella RED che testimoniano il loro empowerment, ma queste storie non sono sufficienti come indicatori.

Un’altra difficoltà riguarda l’identificazione della persona che dovrebbe documentare tutto il processo della ricerca. Per svolgere questo lavoro, idealmente abbiamo bisogno di qualcuno istruito e capace, che può ascoltare i ricercatori con empatia senza cercare di influenzarli o di dominarli – e questo è difficile.

Le discussioni durante le riunioni formali di RED sono una piccola parte del suo processo. Quando parte il processo di ricerca, vi può essere una grande vivacità di discussioni e attività tra i ricercatori e tra loro e le comunità, ma tutto questo avviene fuori dalle riunioni formali e non sempre i responsabili della documentazione hanno la possibilità di raccogliere queste informazioni.

In fine, le discussioni e le interviste sul territorio avvengono nelle lingue locali. Nelle riunioni formali, i tempi sono limitati e spesso i ricercatori non sanno esprimersi bene. Alcune parole e concetti delle lingue locali sono difficili da tradurre. Tutte queste difficoltà creano barriere per la raccolta di queste informazioni nei rapporti.

Per esempio, in un progetto di RED in India, i ricercatori avevano raccolto 18 ore di testimonianze video delle persone dei villaggi. La maggior parte di queste testimonianze erano nei vari dialetti della lingua locale, che variano secondo i villaggi. I traduttori basati nelle città non erano in grado di capirli. Per la loro trascrizione bisognava girare nei villaggi e parlare con le persone locali, il che richiedeva tempo e risorse. Per cui non è stato possibile utilizzare queste testimonianze per documentare la ricerca.
Conclusioni

La ricerca emancipatoria non può sostituire le ricerche tradizionali, ma essa può fornire informazioni che sono difficili da raccogliere in altri tipi di ricerche. Nei programmi comunitari, questo approccio alla ricerca può promuovere la partecipazione e inclusione dei gruppi vulnerabili, e allo stesso momento, può stimolare l’avvio di diverse attività da parte dei gruppi emarginati per contrastare la propria esclusione.

Ricerca emancipatoria può essere realizzata soltanto come un’attività inserita dentro un programma comunitario più ampio, perché richiede la piena partecipazione della comunità. Essa deve essere vista come un processo e ha i suoi tempi di realizzazione.

RED può fornire informazioni specifiche legate al contesto e alla cultura locale delle persone, difficili da raccogliere altrimenti, e promuove empowerment delle persone disabili coinvolte nella ricerca.

La metodologia della RED è nuova e ha bisogno di essere sperimentato. Diversi aspetti della RED, come per esempio, la misurazione dell’empowerment, hanno bisogno di essere definiti.

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lunedì 18 marzo 2019

Pagine del Diario: Viaggio in India

Ho passato in India i primi due mesi di questo anno, in parte per lavoro e in parte per qualche settimana di ferie con le mie due sorelle. Avevo due impegni di lavoro - visitare un vecchio lebbrosario e condurre una piccola ricerca sulla disabilità.

La visita non è andata come l’avevo programmata. Sono stati dei malintesi con il progetto dove dovevo condurre la ricerca e alla fine ho dovuto rinunciarla. Inoltre, la nostra riunione famigliare è stata fortemente condizionata dall’improvvisa scomparsa di una cugina, alla quale ero molto legato.

Con questo mio diario, voglio condividere alcune mie impressioni di questo viaggio, a cominciare dall’India che cambia.

L’India che cambia

La costruzione della metropolitana di Delhi fu iniziata nel 1998 e il primo piccolo tratto fu completato soltanto nel 2002. Oggi 17 anni dopo, il sistema comprende 8 linee che insieme coprono 327 chilometri e 236 fermate, e i lavori continuano.

Infatti, la crescita del sistema è così veloce che dovete continuamente cercare nuove mappe della metro sull’internet perché le mappe stampate non riescono a starci dietro. Queste linee hanno creato un servizio di trasporto pubblico che arriva dappertutto in questa metropoli di 19 milioni di abitanti.



Viaggiare con la metropolitana è il migliore modo per vedere il cambiamento in atto in India. Nei suoi treni si vede un’India prevalentemente giovane e dalle loro facce è difficile capire le loro provenienze. La maggior parte, quando non parlano con gli altri, hanno gli occhi fissi sui cellulari, spesso a guardare qualche video.

India è sempre stata una società molto gerarchica. Invece nella metro, i ragazzi provenienti da famiglie meno benestanti si siedono accanto a quelli ricchi ed è difficile distinguere tra di loro. Le caste non sono più importanti. I ragazzi ricchi parlano soprattutto in inglese e hanno accenti diversi. Mentre quelli delle famiglie meno benestanti parlano soprattutto le lingue indiane. Tutti sembrano molto sicuri di sé.

Fuori dalla metropolitana, la città sta cambiando con nuove autostrade, cavalcavie e strade sopraelevate, tutte piene di macchine e un crescente inquinamento. Le 10 dieci città più inquinate del pianeta sono tutte in India. Le nuove periferie sono piene di centri commerciali e nuovi grattacieli che spuntano come funghi giganti da tutte le parti.



È soltanto nella vecchia città di Delhi che uscire dalla stazione di metropolitana sembra portarci direttamente dal ventunesimo secolo al medioevo. Nelle stazioni della metropolitana, con le loro esposizioni d’arte e le piastrelle lucidate, potrete pensare di essere a New York. Invece tornati sulla superfice, il panorama della città vecchia con il groviglio dei fili elettrici e il traffico caotico con le immancabili mucche è rimasto quello di sempre.

E i poveri?

Si dice che la povertà è diminuita e in generale, l’affermazione sembra vera, soprattutto nelle città grandi. Invece nelle città più piccole, nelle aree rurali e tra i gruppi indigeni che vivono nelle foreste, i poveri si vedono ancora, ma meno di prima.

Una sera in una piccola città nel sud dell’India ho avuto un'incontro particolare. Avevo un cestino con la mia cena che mi ero fatto preparare dall’albergo ed ero seduto su una panca non lontano dalla stazione ferroviaria. Dovevo aspettare qualche ora per il mio treno, così decisi di mangiare. Poco dopo vidi dalla coda dell’occhio, un piccolo gruppo di persone a passare davanti. Il gruppo si fermò poco dopo e uno di loro si girò verso di me.

Aveva forse 17-18 anni. Era magrissimo con la faccia scavata e guardava con desiderio il cestino che tenevo sulle gambe. Suo sguardo fu così intenso e supplichevole che non potei resistere - ho allungato il cestino verso di lui. Preso il cestino, il gruppetto si è subito allontanato. Tutto era successo in un attimo. Soltanto dopo qualche minuto avevo pensato che potevo accompagnarli alla stazione e offrirli qualcos’altro da mangiare, ma erano già spariti tra la folla.

Ogni volta che penso allo sguardo di quel ragazzo, mi commuovo.

Azam, il Bambino Barbiere

Vicino alla casa di mia sorella, c’è il negozio di un barbiere dove vado di solito per farmi tagliare i capelli. Questa volta quando sono arrivato al negozio, non c’era il solito ragazzo. Al suo posto c’era un ragazzino che dichiarava di avere 15 anni, ma mi sembrava molto più giovane. Lui mi ha assicurato che aveva già molta esperienza e sapeva il mestiere.

Era basso e per tagliare i miei capelli, dovevo abbassare le mie spalle e farmi andare giù sulla sedia, altrimenti non riusciva ad arrivare alla parte superiore della mia testa.

Lui si chiamava Azam e veniva da un villaggio nei pressi della città di Rampur, dallo stato di Uttar Pradesh. Aveva studiato soltanto fino alla prima media. Mi aveva raccontato che non gli piaceva studiare e anche se suo padre non voleva che lui abbandonasse gli studi, lui aveva preferito imparare il mestiere di barbiere e cominciare a lavorare. Mi ha detto che era contento della sua scelta. Mi aveva parlato anche della sua famiglia, della sua mamma e del piccolo figlio del fratello, al quale voleva bene.

Mentre mi parlava della famiglia, per qualche minuto, era scomparsa la sua maschera di ometto sicuro di sé. Sembrava il bambino che era, al quale mancava la mamma e la famiglia.

Un’Immersione nell’Arte

Ero di passaggio a Kochi, dove era in corso il biennale internazionale d’arte, e così ho potuto visitare i vari luoghi della mostra. Vi erano molte opere che mi sono piaciute. Ho apprezzato particolarmente le opere di Cyrus Kabiru (Kenya), Durga Bai (India), Georges Rousse (Francia) e Heri Dono (Indonesia).



Una mattina ho avuto una lunga discussione sul mondo dell’arte nell’India odierna con l’artista Raju Sutar, venuto da Pune. Lui aveva curato una mostra speciale al Biennale, che era intitolata “Anche i pensieri sono materia”. Era una discussione molto intesa e animata. Amo questo tipo di incontri non programmati.

Oltre a Kochi, questa volta ho trovato una vivacità di eventi artistici in India che prima non c’era. Per esempio, durante la mia permanenza a Delhi, vi è stata la fiera nazionale dell’arte, il festival dell’arte Imagine e il festival dell’arte di strada "Lodhi Street Art Project".

Una mattina, sono andato a girovagare per le strade di Lodhi Colony, un quartiere di Delhi dove vivono i dipendenti pubblici e dove il progetto Lodhi Street Art era in corso con alcuni artisti indiani e internazionali, a creare arte sui muri delle case. Se siete in visita a Delhi e avete una mattina libera, andate a passeggiare per le strade di Lodhi Colony, vicino ai giardini Lodhi, dove potete visitare alcune tombe molto belle del 14° e 15° secolo. Le opere murarie si trovano sulle strade che incrociano con Jorbagh road nella zona che va da Meherchand Market a Khanna Market (potete trovare entrambi i punti sul Google Maps).



La Scuola di Kalamandalam

Il centro di Kalamandalam nei pressi della città di Thrissur, è famosa per l’insegnamento delle danze classiche e della musica tradizionale. Avevo sentito parlare di questa scuola da alcuni amici. Ho passato un giorno a visitare questo centro, ed è stata una visita emozionante.

Alla mattina, gli studenti si dedicano alle lezioni pratiche nella zona “kalari” del centro mentre in pomeriggio vi sono le lezioni teoriche nelle aule. Per cui, dovete andarci alla mattina (visitatori sono ammessi dalle 09,30 in poi) e visitare la zona Kalari della scuola, dove sentirete il suono dei tamburi di vari tipi e dove troverete i ragazzi di varie età impegnati in danze, canti e musica. Potete guardare dentro le aule dalle enormi finestre o eventualmente appostandovi in un angolo delle aule. Le lezioni pratiche finiscono alle 13,00.



Ho passato 3 ore magiche in questa scuola e mi piacerebbe molto tornarci. La lezione che mi ha emozionato di più era quel del canto in stile carnataka. Sentire l'insegnante tessere dei disegni molto complessi con la sua voce e poi, sentire gli studenti che cercavano di ripeterli, era esilerante.

I Templi di Halebidu e Belur

Il lebbrosario che dovevo visitare era nel distretto di Hassan, nello stato di Karnataka nel sud dell’India. Questa è stata un’opportunità per visitare i templi di Halebidu e di Belur, costruiti tra il 9° e il 12° secolo e riconosciuti dall’UNICEF come patrimonio dell’Umanità. Le pareti dei templi in entrambe le città sono ricoperte da bellissime sculture. L'immagine sotto è delle sculture dal tempio di Belur - la donna con uccellino - e dà un'idea della bellezza di questi templi scolpiti in pietra.



I templi sono molto belli, e sono poco conosciuti, per cui hanno pochi visitatori internazionali. Per esempio, in un tempio del tredicesimo secolo a Halebidu, quando sono arrivato, ero l’unico turista insieme ad alcuni ragazzi locali che probabilmente avevano marinato la scuola, e si prestavano a farmi da guida.

Il raduno sacro di Kumbh

La nostra vecchia casa paterna era nella città di Prayagraj (vecchio nome Allahabad). Una delle mie sorelle era nata in quella città. È una delle 4 città indiane dove si tiene il grande raduno di Kumbh ogni 12 anni, che riunisce milioni di indiani.

Il raduno di Kumbh è legato ad un vecchio mito che parla del nettare dell’immortalità caduto giù da un vaso (kumbh) in 4 luoghi diversi dell’India. Prayagraj è il primo e il più importante di questi 4 luoghi.

Anche mia cugina Mini didi era nata in questa città. Aveva insegnato all’università di Delhi ed era andata in pensione qualche anno fa. Il 16 febbraio, mentre era a pranzo presso la casa di amici, aveva avuto un malore ed era deceduta improvvisamente. I suoi due figli che erano negli Stati Uniti, erano tornati in India per il suo funerale e avevano voluto portare le ceneri della loro mamma a Prayag per disperderle nel Gange, dove stava per finire il raduno di Kumbh.

Quest anno il raduno è durato 50 giorni e in questo periodo, secondo il governo, intorno a 240 milioni di persone hanno visitato Prayag per fare un bagno nel Gange, sopratutto nella zona dove il Gange si riunisce con il fiume Yamuna.



Io e le mie 2 sorelle, eravamo a Delhi. Abbiamo accompagnato i due ragazzi in questo viaggio e così per la prima volta nella vita ho partecipato al raduno di Kumbh. Avevamo prenotato alcuni tendoni nell’enorme città delle tende allestita per i pellegrini sulle rive del Gange. Quando siamo arrivati a Prayag, oramai il raduno era finito, ma comunque, vi erano ancora più di un milione di pellegrini accampati in questa zona.

La nostra permanenza a Prayag era molto breve. Il momento più emozionante di questo viaggio per me era quello di vedere la casa dove era nato il mio papà e dove era arrivata mia mamma come sposa dopo il matrimonio. Quando avevo qualche anno, ero già stato in quella casa, ma questa era la prima volta che l’avevo vista da grande.

Il Teatro di Strada

Tra le diverse forme di arte, il teatro è quello che mi attira meno. Invece questa volta ho avuto l’occasione di vedere alcuni spettacoli di teatro di strada realizzati dagli studenti universitari di Delhi e li ho trovati molto coinvolgenti.

Spesso il teatro di strada è utilizzato per parlare di problemi sociali. Diverse scuole universitarie di Delhi hanno gruppi teatrali molto attivi. Gli spettacoli che ho guardato toccavano temi molto diversi tra di loro – dalla scomparsa delle lingue parlate dalle minoranze etniche alla violenza sessuale. E' stata un'esperienza molto coinvolgente.



Conclusioni

Sono rimasto in India per quasi due mesi. Ho potuto fare poco di quello che avevo programmato, ma è stata una visita densa di esperienze. Dalle mostre d'arte alla danza e al teatro di strada, le visite ai vecchi templi di Halebidu e Belur, e la visita al raduno di Kumbh, erano tutte esperienze intense.

Mentre, io e mia sorella venuta dall’America, ci preparavamo a rientrare, era scoppiata una disputa tra India e Pakistan. Qualcuno parlava dell'imminente guerra. Invece sembra che alla fine è prevalso il buon senso.

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martedì 25 dicembre 2018

Grande Canyon e il Tè allo Zenzero

Più passano gli anni, più sembra che passano veloci. I giorni, le settimane e i mesi, tutti sembrano sfrecciare via come un campione di sci in fuga da un branco di leoni. Non penso che l’analogia sia molto azzeccata, perché non credo che i leoni riescono a correre sulla neve. Inoltre non so sciare. Comunque, mi piace l’immagine di un branco di leoni bianchi con le fauci spalancate che mi seguono sulle nevi mentre cerco di far rallentare il passare del tempo.

Più gli anni corrono veloci, più vorrei documentarli per me stesso. Per esempio, gli anni passati a Guwahati, nel nord-est dell’India, sembrano già svaniti dalla mia memoria. Per fortuna, ne avevo scritto su questo blog, così posso rileggere e rinfrescare la memoria.

L'immagine qui sotto presenta un ragazzo che si prepara per diventare Thayyam, parte del rito sacro celebrato nel nord del Kerala in India, uno dei momenti emozionanti dei miei viaggi nel 2018.



Dopo i primi viaggi internazionali alla fine degli anni 1980, non riuscivo più a ricordarli. Ho un vago ricordo di molti paesi che avevo visitato in quell’epoca. Posti come isola di Jersey, Messico, Bolivia, Nicaragua, nord-ovest del Brasile e il piccolo Lussemburgo – ricordo di esserci stato, ma se ci penso, non riesco a ricordare quasi niente. Invece, verso il 2003-04, ho cominciato a fotografare tutto con la macchina fotografica digitale, e per diversi anni, ciò mi aiutava a fissare gli eventi nella memoria. Invece, da un paio di anni, a forza di scattare migliaia di foto, ora ne anche le foto servono molto. L’unico modo di ricordare il passato, è quello di scriverne.

In questo post, voglio ripercorrere i miei viaggi più belli del 2018.

Alla Riscoperta del Sud dell’India

Il mio primo viaggio del 2018 era in India. Avevo una riunione a Chennai sulla costa sud-orientale e poi dovevo andare ad un ospedale ayurvedico nello stato di Kerala, sulla costa sud-occidentale. Invece di prendere un volo da Chennai per Kochi, ho scelto un percorso stradale e ho fatto la strada più lunga, seguendo tutta la costa. Sono sceso giù da Chennai in autobus, con soste a Mahabalipuram e Pondicherry. Poi ho preso un treno da Villapuram per arrivare a Kanyakumari alla punta sud dell’India.

Da Kanyakumari, sono risalito lungo la costa occidentale, di nuovo in autobus, con tappe a Tiruvanantpuram, Kochi, Kottamangalam, Kozhikode e Kannur. Poi ho proseguito in treno verso il nord, con fermate a Panjim in Goa e Mumbai in Maharashtra - in tutto circa 2000 km fatti in autobus e treno. Nell'immagine qui sotto, uno dei templi rupestri di Mahabalipuram.


 
È stato uno dei viaggi più belli che ho fatto, pieno di emozioni forti. Ho ritrovato un amico che non vedevo da 25 anni. Sono andato a trovare un vecchio insegnante, che con il passare degli anni era diventato un amico e che era gravemente malato. Ho visto il sole sorgere dietro all’antico tempio sulla spiaggia di Mahabalipuram. Una mattina presto, sono andato a vedere i pescatori nei pressi di Kozhikode che tornavo dal mare. Ho visto la trasformazione di un ragazzo che si preparava per il rito sacro di Theyyam in un villaggio vicino a Kannur. Ho partecipato al carnevale di Goa. Ho tantissimi ricordi di questo viaggio che non vorrei dimenticare. Più volte durante l’anno, sono tornato a riguardare le foto scattate durante questo viaggio. In tutto ci ho messo circa un mese, compreso circa una settimana in un centro di cure ayurvediche nei pressi di Kothamangalam.

Il Tè a Rishikesh

Dovevo visitare una casa per gli ex-malati di lebbra vicino a Rishikesh. Era un’occasione per visitare le due città sacre dell’induismo, Rishikesh e Haridwar. L’ultima volta che ero stato da queste parti era circa 50 anni fa, nel 1968, l’anno della visita dei 4 Beatles che erano venuti al ashram di Mahesh Yogi.

Quella volta eravamo andati a trovare il guru Mahesh Yogi e avevo intravvisto anche l’attrice americana Mia Farrow e uno dei Beatles, Ringo Starr. Ma era proprio il Guru con il suo gentile sorriso che mi aveva lasciato una grande impressione.

Questa volta quando sono tornato a vedere il suo ashram, l’area era irriconoscibile. L’ashram oramai è chiuso da anni e sono cresciuti gli alberi e le piante tutto intorno, per cui da fuori non si vede più niente.

Rishikesh rimane la metà preferita dei turisti occidentali. È piena di ashram, soprattutto le zone sulla riva occidentale del fiume Gange, dove i guru di vari tipi, vestiti di arancione, insegnano yoga e meditazione ai turisti. Anche se capisco le loro ragioni, e so che non può essere diversamente, lo sento come una mercificazione della spiritualità e ciò mi mette a disagio. Nell'immagine qui sotto, un sadhu, gli asceti che portano arancione, il colore della rinuncia ai beni materiali.



Alla fine ho preferito fermarmi lontano dalle zone dei turisti stranieri, in un hotel vicino a Triveni Ghat, sulla riva orientale, dove molti indiani anziani, si raggruppavano alla sera per stare insieme e parlare di yoga e di spiritualità. Stare con qualche gruppo per ascoltare le loro discussioni accompagnate da barzellette e gossip, era divertente. In occidente, i luoghi delle religioni e dei luoghi di preghiera, richiedono silenzio e un comportamento rispettoso. Invece la spiritualità popolare in India, è spesso soffusa da un senso di divertimento, canti e musica e di rumore delle chiacchiere.

Vicino all’antico tempio di Tara Mata, avevo trovato una giovane signora con il suo carretto che preparava un tè squisito. Avevo osservato con attenzione la sua preparazione. La sua ricetta per il tè comprendeva un quarto d’acqua e tre quarti di latte intero, fatti bollire con le foglie di tè nero, un pezzettino di zenzero fresco pestato, un pezzettino di cannella e qualche chicco di cardamomo pestato. Dopo il ritorno in Italia, ho continuato a preparare il mio tè di mattino seguendo la sua ricetta.

Avevo sentito dire che negli ultimi decenni, il fiume Gange era diventato molto più sporco e inquinato. Invece, durante la visita, mi aveva fatto piacere vedere che almeno fino a Haridwar, il fiume continuava ad avere le acque limpide e pulite. Lungo il fiume, in diversi punti, si celebrano alla sera il rito della preghiera, “Aarti”. Durante le preghiere i preti parlavano anche dell’importanza di non sporcare il fiume e di non usare la plastica. Forse anche questo ha contribuito a creare maggiore coscienza tra i pellegrini, che stanno più attenti.

Un momento forte di questa visita era incontrare mia cugina Simi che non vedevo da circa 30 anni. Era strano vedere i lineamenti della ragazzina che ricordavo, nel volto di una donna di famiglia che mi ricordava tanto la sua mamma. Nella foto qui sotto, la mia cugina con le sue due figlie.


Grande Canyon e il Deserto Dipinto

Dovevo andare in America per una riunione e volevo approfittare da questo viaggio per andare a trovare mia sorella. Quando le avevo parlato, lei aveva subito preparato un programma per visitare alcuni posti turistici in Arizona e Nuovo Mexico. Purtroppo la mia riunione è stata posticipata, ma oramai ero stato catturato dall’idea del viaggio che lei mi aveva prospettato. Così, in aprile, sono andato lo stesso negli Stati Uniti per un viaggio on-the-road.

Con una macchina a noleggio, siamo partiti da Santa Fe in Nuovo Mexico e abbiamo terminato il nostro viaggio a Phoenix in Arizona dopo 10 giorni. Durante questo viaggio abbiamo visitato Albuquerque, deserto dipinto, foresta pietrificata, Walnut canyon, Flagstaff, Grande Canyon, Sedona, il parco botanico di Phoenix e molti musei. Nell'immagine qui sotto, un panorama della foresta pietrificata.



Mentre andavamo da Flagstaff a Grand Canyon, abbiamo sbagliato la strada e siamo arrivati al lago Powell in Utah. Dopo una piccola sosta alla diga di Powel, siamo tornati in dietro. Durante questa deviazione siamo passati a due passi da “Horse-shoe Bend” sul fiume Colorado, un sito naturale di grande suggestione, ma non sapevamo che cosa era e non ci siamo fermati. Dopo, quando ho visto le foto di questo luogo, mi è dispiaciuto molto per aver perso quest’opportunità! Nell'immagine sotto, un panorama del Gran Canyon.



Un'altra delusione era la mia macchina fotografica Canon, che aveva deciso di bloccarsi a Santa Fe, all’inizio di questo viaggio. Per fortuna, ho potuto fotografare con il mio cellulare. Comunque, davanti alla maestosa bellezza di Grande Canyon, mi è dispiaciuto molto non avere la mia macchina fotografica.

Dopo il grande giro, siamo tornati a Bethesda, vicino alla capitale americana Washington DC. Era il momento della fioritura dei ciliegi, un momento di grande suggestione per visitare questa città.

Quando ripenso a questo viaggio, oltre alle bellezze naturali di posti come il Grande Canyon, ricordo soprattutto la passeggiata lungo il Canyon Road a Santa Fe in Nuovo Messico, con decine di gallerie d’arte su entrambi i lati della strada. Alla fine mi sembrava di essere ubriaco dalle opere d’arte che avevo guardato. Nella foto sotto alcune sculture lungo la strada da quella passeggiata.



Tra me e mia sorella, abbiamo solo 2 anni di differenza. Mentre crescevamo, eravamo molto affiatati. Era bello riscoprire la stessa sintonia dopo tanti anni. Parlavamo continuamente e un’amica di mia sorella che ci aveva accompagnato per una parte di questo viaggio ne era infastidita. Cresciuta senza fratelli, si sentiva tagliata fuori dal nostro costante battibecco!

Ulaan Baatar, Mongolia

In maggio sono tornato a Ulaan Baatar, che tutti chiamano UB, la capitale della Mongolia, per formare un gruppo di giovani ricercatori con disabilità. Ero tornato a UB dopo 10 anni e in questo periodo, la città era cambiata completamente. Vi erano più edifici, più macchine, più negozi, più ristoranti e più benessere. Nella foto sotto, la scultura del derviscio danzante a UB.



Questa volta il mio albergo era a due passi dal monastero buddista di Gandam. È un posto bellissimo. Così sono tornato al monastero più volte, una volta anche presto alla mattina per vederlo senza turisti. Era bello osservare i monaci buddisti che pregavano e meditavano.

Inoltre, con l’aiuto di Google Map, ho esplorato diverse altre zone della città senza avere paura di perdermi. Più volte sono tornato alla grandiosa piazza di Sukhbaatar con le due statue di Gengis Khan e il parlamento nazionale. Nella foto sotto, la Piazza Sukhbaatar alla sera dopo la pioggia.



Monrovia e Ganta, Liberia

Quest’anno sono stato in Liberia due volte, in luglio e in ottobre. Ho esplorato qualche zona della Monrovia, la capitale del paese, ma avevo sentito storie non molto rassicuranti sulla città da conoscenti e amici, e così ho evitato di andare in giro a piedi.

Ho scattato solo qualche foto dalla macchina. L’unica volta che ho tirato fuori la mia macchina fotografica a Monrovia, era una mattina presto nella zona dell’ambasciata americana, dove mi avevano assicurato che è ben sorvegliata.

Conoscevo il nome della città di Ganta da molti anni per via del suo lebbrosario. Visitare il vecchio lebbrosario era la parte più interessante di questo viaggio. A Ganta, vi erano meno problemi di sicurezza e non avevo paura. Così sono andato in giro a piedi, ma a parte le due strade principali della città con dei negozi, c’era poco da vedere. Nell'immagine sotto, la strada che collega Ganta con Sanniquellie, dove la nostra macchina era rimasta bloccata nel fango.



Un giorno siamo andati alla frontiera tra Liberia e Guinea Konakry e mentre scattavamo le foto, siamo stati sgridati dai poliziotti di frontiera.

Ho sentito che Liberia ha un parco naturale, ma nessuno sapeva quali animali vi sono in questo parco e in ogni caso, non era facile arrivarci. Altrimenti, gli unici posti da visitare in Liberia sono i resort, i centri turistici, lungo il mare, dove la gente benestante va per prendere il sole e a mangiare. Il mare liberiano è molto mosso e la balneazione non è consigliata.

I miei ricordi dei viaggi in Liberia sono legati più alle persone che ai posti. Per esempio, avevo letto e sentito molto sulla brutale guerra civile che aveva dilaniato questo paese nel periodo 1989-2003. Tra queste storie, vi erano quelle dei bambini soldato che erano stati costretti a compiere violenze contro le proprie famiglie e spinti verso tossicodipendenza, affinché diventavano brutali. Ho incontrato uno di questi ex-soldati, uno che era un adolescente all'epoca e che aveva visto l’uccisione di suoi genitori. Sentirlo parlare, mi aveva fatto venire i brividi e non ero stato capace di dire niente.

Viaggi in Italia

A parte qualche viaggio a Bologna per andare a trovare la nipotina, per la maggior parte del tempo siamo rimasti a Schio.

Le nuove scoperte nei dintorni di Schio erano il ponte galleggiante che collega la zona del Pasubio con il Campo Basso, la passeggiata a Valdastico sulla vecchia ferrovia e la passeggiata lungo il torrente Agno a Valdagno. L'altra novità a Schio era quella di far parte di un gruppo di lettura. L'immagine qui sotto è da una vista a Burano. Infatti, ero tornato a Venezia per visitare le isole di Murano e Burano che avevo visitate una volta nel lontano 1979.



Conclusioni

Ho in testa l’idea di visitare Cambogia e di tornare in Thailandia e Indonesia, ma quest’anno, ciò non era possibile. Un altro paese che mi attira molto è la Papua Nuova Guinea.

Chissà se riuscirò a fare qualche viaggio diverso nel 2019! In tanto, le mie valigie sono pronte per tornare in India. Inoltre, per seguire due progetti di ricerca emancipatoria, dovrei tornare di nuovo in Liberia e Mongolia.

Fortunatamente, non posso prevedere quello che ci aspetta nel 2019. Invece posso essere soddisfatto delle sensazioni e esperienze che ho potuto sperimentare nel 2018. Auguro a tutti voi e a me stesso, altri viaggi e altre scoperte nell’anno che verrà.


giovedì 13 dicembre 2018

Un Dolce Per i Bibliofili

Per il primo compleanno del nostro gruppo di lettura a Schio (VI), avevo preparato un dolce indiano, il Kalakand. Alcuni compagni del gruppo mi hanno chiesto la ricetta di quel dolce. Ho pensato che questa era una buona occasione per parlare anche del gruppo. Infatti, vorrei iniziare proprio dalla mia esperienza del gruppo.



Lettori in Circolo

Il nostro gruppo di lettura si chiama “Lettori in Circolo”, che si riunisce una volta al mese in un bar di Magré. Ogni incontro dura tra una o due ore. Prima di terminare l’incontro, decidiamo il nuovo libro da leggere e la data del successivo incontro.

Da quando ero bambino, ho sempre amato leggere i libri. Più di una volta ho scritto dei libri sul mio blog. Sapevo dei gruppi di lettura ma non ne avevo mai fatto parte. “Lettori in Circolo” è la mia prima esperienza in questo tipo di gruppi.

Un gruppo di lettura

A parte qualche giallo o thriller, ultimamente avevo smesso di leggere i romanzi. Leggevo soprattutto quello che in inglese si dice “Non fiction”. Invece il gruppo mi ha imposto di leggere dei romanzi. Non solo, erano libri che personalmente non avrei mai scelto di leggere – 3 Uomini e una barca, Venne chiamata due cuori e Dove porta la neve. Per ciò, a parte il piacere di trovare nuove amicizie, il gruppo di lettura mi ha costretto a uscire dalle mie abitudini e affrontare spazi mentali nuovi.

Inoltre, sapere che durante l’incontro dovrò parlare del libro, mi costringe a rallentare e soffermarmi di più su quello che leggo. Ultimamente penso di essere diventato un lettore più superficiale e affrettato. Se un libro non mi piace, lo metto via dopo poche pagine. Invece con i libri del gruppo, devo fare uno sforzo diverso. Mi ha fatto riflettere questo cambiamento di passo.

Poi è bello sentire i diversi pareri sui libri nel gruppo e osservare come lo stesso libro entusiasma alcuni, e lascia indifferenti gli altri.

La forza motrice del nostro gruppo, Michela, cerca di tenerci allineati e quando vede che le discussioni partono per le tangenti, le riporta in dietro al libro del mese. Inoltre, lei prepara degli stimoli per farci riflettere e raccoglie le proposte sui nuovi libri da far leggere al gruppo. È un ruolo che richiede passione e impegno. Se pensate di far nascere un gruppo di lettura, dovrete assicurarvi che vi sia qualcuno che assume queste responsabilità.

La ricetta di Kalakand

Dopo questa introduzione al gruppo, arriviamo alla mia ricetta. Quando ero un bambino, preparare il kalakand richiedeva molto tempo. Dovevi iniziare il giorno prima con la preparazione di Paneer, il formaggio fresco. Poi passavi delle ore a mescolare il latte che si cucinava sul fuoco basso affinché diventava solido. Invece la mia ricetta usa sostituti facilmente disponibili al mercato e richiede poco tempo.

Ingredienti

500 gm di ricotta fresca, 1 scatola di latte condensato (300-350 gm), una bustina di zafferano, semi di qualche cardamomo (pestati), una manciata di granella di mandorle, una manciata di altri semi (per esempio, semi di zucca o di melone) e zucchero secondo i gusti (solo se il latte condensato non è zuccherato).

Preparazione

In una pentola anti-aderente mettete la ricotta, versate il latte condensato e mescolate. Cucinate sul fuoco medio-basso. Aggiungete i semi di cardamomo pestati, lo zafferano e la granella di mandorle. Assicurate che la miscela non attacchi sul fondo della pentola, mescolate continuamente e cucinate per circa 20 minuti.

Versate la miscela in una scatola e sulla superficie posate i semi di zucca e di melone, premendo sopra leggermente con un cucchiaio. Lasciatelo raffreddare e poi tenetelo in frigo per qualche ora, affinché la miscela diventi solida. A questo punto potete tagliarla in pezzettini più o meno grandi secondo i vostri gusti.

Personalmente mi piace mangiare il Kalakand quando la miscela è ancora tepida. Immagino che sia pieno di calorie per cui non esagerate e andate piano con le porzioni!

mercoledì 3 ottobre 2018

L’Uomo di Dio: Pregheria Preferita di Gandhi

Ieri, il 2 ottobre 2018 era il centocinquantesimo anniversario di nascita di Mahatma Gandhi. In quest'occasione molti artisti indiani e stranieri hanno voluto ricordare il Mahatma cantando la sua preghiera preferita – “Vaishnav Jan to” (L’Uomo di Dio).


Conoscete questa preghiera e il suo significato? La preghiera fu scritta da un poeta mistico indiano del quindicesimo secolo, Narsimha Mehta, nello stato di Gujarat nel nord-ovest dell’India.

In questo post, voglio presentare il significato di questa poesia e 2 versioni cantate di questa preghiera che mi piacciono (i video sono su YouTube).

Il Mondo Canta La Preghiera di Mahatma Gandhi

Iniziamo con una versione cantata di questa preghiera, nella quale i cantanti sono persone di diversi paesi, ognuno delle quali ne canta un pezzo.



Le parole e il significato della preghiera


(1)

Vaishnav gian to tene kahiye, ge pir parai giane re
È l’uomo di Dio, colui che capisce il dolore degli altri

Par dukhe upkar kare to ye, man abhiman na mane re
È colui, che aiuta gli altri che soffrono, senza vantarne


(2)

Sakal lok ma sahune bande, ninda na kare keni re
È colui che pensa bene degi altri, non parla male di nessuno

Vach kach man niscecial rakhe, dhan dhan gianini teri re
È gentile nelle sue parole, azioni e cuore, fa onore al nome di suoi genitori

(3)

Samdrisceti ne triscena tyaghi, paristri gene maat re
Considera tutti i suoi pari, è senza attaccamenti, tratta tutti con rispetto

Givhya na thaki asatya na bole, pardhan nav jhale hath re
Non dice bugie, non desidera i beni degli altri

Bambini Indiani Cantano la Preghiera di Gandhi

Il secondo video che vi presento ha un'insegnante di canto che si chiama Kuldeep Pai, che lo canta insieme ad alcuni suoi discepoli – sono molto bravi!



Alla Fine

Questa preghiera mi piace molto, forse perché la conosco da quando ero un bambino e ho diversi ricordi associati ad essa. Mi piacciono il suo ritmo e la sua musica. Mi piace anche il suo primo verso, che fa da ritornello. Invece il resto della preghiera non la trovo particolarmente significativa.

Invece voi, cosa pensate di questa preghiera?

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