venerdì 27 luglio 2007
Biciclette – simbolo del consumismo?
Ho scelto di usare la bicicletta quanto più possibile e così penso di mettere la mia coscienza a posto e posso anche sentirmi un po’ superiore a tutte queste persone le quali hanno bisogno di una grande berlina o peggio, una SUV mangiabenzina e mangiaspazio per sentirsi importanti sulle strade affollate delle città che ormai non hanno più posti liberi dove parcheggiare. Infatti, il giornale di oggi dice che Italia è il secondo paese del mondo per il numero delle macchine per abitanti, secondo soltanto al piccolo e ricco Luxemburgo, che abbiamo una macchina ogni due persone.
Ma ultimamente ho un dubbio: se anche la mia amata bicicletta è entrata nel meccanismo del consumismo e che ormai come individuo non posso fare niente per contrastare questo?
Prima di tutto oggi non puoi più comprare una bici semplice, ciò e senza il cambio shimano e senza tutta quella ferraglia che fa parte di questo cambio, e che è inutile sulle strade delle città.
Poi, quando ti si buca una ruota, che cosa fai? Cerchi qualcuno che te lo può aggiustare. Non è così facile come sembra. Sembra che la maggior parte delle persone che aggiustano le bici a Bologna sono vecchi e quando essi chiudono il negozio per qualche motivo, nessuno lo vuole riaprire e continuare il lavoro. Forse non c’è più interesse in questo mestiere perché non si guadagna bene? In ogni caso, penso che tutti i sud asiatici che aprono negozi clonati di alimentari, tutti clonati e tutti nella stessa zona in competizione con tutti gli altri, forse loro non l’hanno ancora che questo è un campo libero? Da una parte si dice non c’è lavoro, non sappiamo come contrastare questi centri commerciali che stanno ammazzando tutti i piccoli negozi e dall’altra, se hai la ruota della tua bici bucata, devi fare chilometri per trovare uno che te la può aggiustare!
E poi se trovi uno che te la può aggiustare, indovina cosa ti dirà? Dirà, costa troppa fatica aggiustare una camera d’aria, faccio prima cambiartela. E’ vero che comprare una nuova camera d’aria non costa molto e così un’altra camera d’aria va ad aggiungersi al mucchio di immondizie che nessuno vuole che sia seppellito in una discarica vicina a casa sua.
Questa anno, nei primi 7 mesi dell’anno, fin adesso mi si è bucata la ruota tre volte. Forse è una cospirazione dell’assessore per la viabilità che continua parlare dell’inquinamento ma che riesce a fare ben poco per ridurre il numero delle macchine nella città, che vuole convincermi che non ne vale la pena di andare in giro sulla bici?
Il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, socialista, ha lanciato un nuovo servizio che permette ai cittadini di noleggiare biciclette pubbliche presso 750 stazioni in tutta la città. Il servizio si chiama Vélib (viene da “velo” ciò è bici e da “liberté”, la libertà). L’abbonamento annuale costa 30 euro! Se l’amministrazione vuole ridurre l’inquinamento seriamente, potrebbe pensare a Bolib per Bologna!
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Qualche giorno fa avevo scritto della mia paura per il coinvolgimento di alcuni medici musulmani dall’India negli attacchi terroristici in Inghilterra. Oggi i giornali raccontano che uno di questi ragazzi è stato scarcerato dopo 4 settimane in una prigione australiana. La sua colpa era soltanto quella di aver dato la sua carta SIM del suo cellulare al suo cugino 2 anni fa, quando aveva lasciato Inghilterra per trasferirsi in Australia. Suo cugino era coinvolte negli attacchi. Forse gli investigatori australiani erano così convinti della sua colpevolezza che hanno “inventato” prove per giustificare la sua carcerazione.
Una persona innocente che è stata etichettata come terrorista, soffrirà le conseguenze di questa ingiustizia per tutta la sua vita.
E’ per questo è controproducente etichettare persone sulla base delle loro religioni. Si rischia di creare ingiustizie.
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Oggi la prima notizia di BBC riguarda circa 2 milioni di profughi iracheni. Si dice che sia la più grande emergenza umanitaria. La maggior parte di questi si trovano in Siria e Giordania. Sembra che ogni mese circa 50.000 iracheni stanno scappando dall’Iraq. Le persone e i paesi responsabili di questo catastrofe, loro cosa hanno da dire? Fanno fatica a giustificare quello che hanno fatto e quello che continuano a fare?
Potete immaginare la risposta da soli! Purtroppo.
mercoledì 25 luglio 2007
Dove si trovano i film indiani?
Solo un piccolo numero di film indiani entra legalmente in Italia per la distribuzione tramite i cinema d'essai e questi film dovrebbero essere disponibili in DVD legali. Per esempio penso che Carlotta Films (francia) ha distribuito alcuni film indiani anche in Italia.
La maggior parte di DVD dei film indiani, potrei dire quasi tutti, disponibili in Italia sono copie pirata. E' un po' che non ho noleggiato i DVD indiani perché trovo sempre qualcuno che mi porta i DVD originali dall'India, ma penso che la prima copia pirata é fatta in Bangladesh o in Pakistan e poi duplicata in Italia/Europa e distribuita ai negozi gestiti per la maggior parte dalle persone del Pakistan o del Bangladesh.
Infatti se conosci un negozio (di solito sono alimentari o call centre) nella tua città gestito da uno dell'India o del Bangladesh o del Pakistan, basterà chiedere a loro e sapranno dirti dove puoi trovare i DVD indiani nella tua città.
Questo circuito ha un'economia molto diversa da quella degli altri DVD disponibili in Italia. Un DVD indiano "nuovo" da comprare in Italia costa intorno a 4 Euro e il noleggio costa 1 Euro per 3 giorni. Immagino che i tuoi eventuali clienti di questi film vorranno queste stesse condizioni per il noleggio!
Per procurarli, forse dovrebbe bastare che ne parli con un negozio indiano/Bangalese/pakistano della zona chiedendo loro di mandare da te l'uomo distribuitore dei film. Dato che tutto il circuito è gestito ai margini della legalità (loro pagano i diritti SIAE), non so se questi distributori si fideranno di te e poi effettivamente verranno a trovarti!
La via legale é facile, puoi ordinare i film da un distributore internazionale come Eros International e ordinare online. I film costano sempre meno che non i DVD italiani, sono legali e originali, ma raramente hanno sottotitoli italiani comprensibili.
venerdì 20 luglio 2007
Sensazione di sfiducia
Uno di loro mi ha visto. Quando vedi qualcuno che può essere un tuo concittadino, l’espressione degli occhi cambia. C’è una domanda silenziosa che vuole sapere se sei del loro paese?
Ci somigliamo tra di noi, indiani, pakistani e bangladeshi. Qualche volta, i segni esterni legati alla religione aiutano a capire la nostra nazionalità. Come la linea vermiglione tra i capelli o il puntino rosso sulla fronte delle donne, vuol dire che la donna è indù, molto probabilmente dall’India. Uomini vestiti con una camicia lunga fino alle ginocchia e pantaloni larghi della stessa stoffa, sono spesso dalle zone rurali del Pakistan orientale. I bengalesi e gli indiani del sud hanno spesso la pelle più scura. Il piccolo cappellino bianco aderente sulla testa, un piccolo scialle a quadrati sulle spalle o il taglio particolare della barba indicano i musulmani. Il turbante, lunga barba e il braccialetto di acciaio sul polso destro servono per identificare gli sikh. Ma spesso, non riesci a idividuare la nazionalità soltanto dall'apparenza esterna.
Di solito, quando vedo questa domanda silenziosa negli occhi di qualcuno, mi fermo per sorridere e scambiare le solite domanda “Di dove sei?”, anche quando so già che sono del Pakistan o del Bangladesh. Invece, questa volta guardai dall’altra parte, facendo finta di niente. Sentivo i loro sguardi sulla mia schiena, mentre mi allontanavo da loro.
Gli ultimi attacchi terroristici di Glasgow in Inghilterra mi hanno scosso. Ormai sono anni che si parla insieme della religione musulmana e del terrorismo, anche se si cerca di separare la vasta maggioranza della comunità musulmana da piccoli gruppi radicali di terroristi. A livello razionale capisco che non si può generalizzare e criminalizzare un’intero gruppo di popolazione come terroristi, anche perché è la via più facile per emarginare tutta la comunità e per alimentare ulteriormente la radicalizzazione e la creazione di nuovi fanatici che si vedono sotto assedio da tutte le parti senza vie di uscita.
Ma il coinvolgimento di giovani medici musulmani provenienti dall’India negli attacchi di Glasgow, mi hanno scosso. Un medico può diventare terrorista e uccidere persone quando ha giurato per salvaguardare la vita, mi sembra inconcepibile. Mi fanno venire brividi quelle persone che cercano di trovare scuse per queste scelte: gli inglesi sono coinvolti in Iraq, stanno uccidendo i talibani in Afghanistan, hanno insultato l’Islam conferendo il titolo di Knight a Salman Rushdie... Penso che le persone che accettano queste scuse sono malate.
Mi sento schizofrenico. A livello logico, mi vergogno e mi disprezzo per questi pensieri di sfiducia verso tutti i musulmani ma dall’altra parte non riesco a controllare la mia paura. Finchè tutti i terroristi erano del Pakistan o erano arabi o palestinesi, avevo un po’ di paura di quelle persone che sembrano ortodosse e tradizionali, ma nelle facce di giovani ragazzi indiani presi in Inghilterra, vedo le facce di amici e colleghi e questo mi fa paura.
domenica 1 luglio 2007
Sangam – l’unione dei fiumi
E’ questa sacralità dell’unione delle acque che si vuole evocare alla festa “Un po’ di Gange” sulle rive del fiume Po, vicino la piccola cittadina di Guastalla (RE). La festa “Un po’ di Gange” si organizza ogni anno verso giugno-luglio. Quest anno, la festa è iniziata venerdì 29 giugno e si concluderà oggi, domenica 1 luglio. Il momento centrale della festa è la cerimonia durante la quale, l’acqua del fiume Gange portata dall’India, viene versato nel fiume Po come simbolo dell’unione dei due popoli e due culture.
L’area intorno alle piccole città come Guastalla e Novellara nella provincia di Reggio Emilia, ha un’alta concentrazione di emigrati provenienti dall’India, i quali lavorano soprattutto in campo agricolo. Maggior parte di queste persone provengono dallo stato di Punjab in India e circa il50% di loro sono di religione Sikh. Novellara ha l’unica Gurudwara (letteralmente, la porta del Guru), il tempio sikh di Italia. Si è parlato più volte di buona integrazione degli emigrati indiani nella provincia di Reggio Emilia, e sono considerati tra gli emigrati modello.
Ieri sera eravamo a Guastalla per partecipare alla festa Un Po' di Gange. Sulla strada per Guastalla, ci siamo fermati brevemente al Gurudwara di Novellara. Mi piace molto ascoltare le preghiere cantate dei preti sikh (Granthi) anche se non le capisco del tutto e ieri eravamo fortunati perché siamo arrivati al Gurudwara giusto al momento della preghiera cantata da un gruppo di 5 Granthi.
Arrivati all’ostello di Lido Po, alla periferia di Guastalla, dove si organizza la festa Un Po' di Gange, abbiamo incontrato Mukesh e Paolo, i due organizzatori dell’iniziativa.
La cena presso il ristorante Sri Ganesh non era niente di eccezionale, come succede spesso quando vi sono grandi feste.
Mentre aspettavamo l’inizio della festa culturale, abbiamo visto un piccolo aeroplano volare basso, toccando quasi la superficie del fiume.
La serata iniziò con la musica di Pepe Fiore, il quale ha vissuto in India dal 1978 al 1990. Oltre alla sua bravura come musicista per suonare il tamburo, siamo rimasti un po’ sorpresi a scoprire la sua fluenza nella lingua Hindi.
Poi fu il momento della consegna dei premi e anche io ho ricevuto un premio - il premio dell’amicizia per il lavoro fatto per far conoscere il cinema di Bollywood in Italia tramite traduzione dei sottotitoli dei film in italiano. Una scuola di Guastalla che ha ricevuto un premio, ha presentato un documentario sulla comunità indiana della zona girato dagli studenti della scuola.
Poi c’era la danza Kathak di Manisha Mishra, mentre al tabla suonava il maestro Pandit Ravi Nath Mishra e cantava Manjusha Mishra. La danza Kathak per molti versi somiglia al flammenco spagnolo perché in entrambe le danze, il suono prodotto dai piedi è una parte importante della danza.
Ormai era tardi e dovevamo tornare a Bologna. Così non abbiamo potuto vedere la danza Bhangra. Mentre camminavamo verso il parcheggio, sentivamo le note di musica della famiglia Mishra. Fu una serata molto piacevole.
sabato 30 giugno 2007
Induismo
Penso che sia più facile per le altre religioni che hanno un profeta e un libro sacro, mentre in induismo puoi anche non accettare nessun profeta e nessun libro sacro o magari accettare diversi profeti e altrettanto libri sacri, che non concordano tra di loro. Per questo penso che induismo sia la religione più difficile da spiegare agli altri.
Una spiegazione dell’induismo che ho letto recentemente e che mi è sembrato interessante è scritto da un’avocatessa americana, Aditi Banerjee, scrittrice del libro “Invading the Sacred” (Invasione del sacro):
E’ una delle religioni più antiche del mondo basato sulla realizzazione e non sulla rivelazione. Induismo si è evoluto dalle esperienze collettive di suoi mistici, i yogi, gli adoratori di Dio. Ciò vuol dire che la religione ha origine nell’esperienza, nella realizzazione della consapevolezza, non ha i dogmi rivelati da qualcuno, è cresciuto dalla base che non era mai stato organizzato dall’esterno, perché non aveva bisogno di un regolamento istituzionale che ne definiva la forma o i limiti o gli significati precisi.
E’ l’unica forma di religione che considera divina la forza femminile, Shakti. In induismo, la sublimazione del mondo fisico tramite il sistema di Tantra ha uguale importanza alla via della Sadhana (meditazione) spirituale ascetico dello Yoga. Da una parte ha l’espressione del amore appassionato in Bhakti e dall’altra ha le filosofie cliniche, sottili e complesse di Advaita Vedanta.
giovedì 28 giugno 2007
Le Radici del Cuore
Il libro non è molto lungo, anzi, considerando che racconta la storia di oltre 25 anni nella vita di suoi protagonisti, è un libro piuttosto breve. La storia dei due emigrati indiani in America, Ashok e Ashima, era raccontata con grandi pennellate che mi lasciavano la libertà di riempire i dettagli dalla mia fantasia, dai particolari delle persone che avevo conosciuto e delle volte, immaginare me stesso e la mia famiglia come i protagonisti del romanzo.
Se il libro affrontava la storia con grandi pennellate, il film la affronta con brevi scene un po’ staccate per far capire il passaggio degli anni. In questo senso, la vita dei protagonisti del film non è un fiume che corre, ma piuttosto, una serie di fotografie che delle volte danno il senso di episodi distaccati.
Mi piacciono molto i due attori indiani, i principali protagonisti del film, Tabu come Ashima e Irrfan come Ashok. Anche in questo film, i due sono meravigliosi. Tabu come Ashima mi sembrava diversa da come l’avevo immaginata leggendo il libro, ma lei è molto brava. Invece Irrfan incarna molto meglio, il personaggio descritto nel libro. Ovviamente questi sono giudizi molto soggettivi.
La scena del film dove Ashok racconta la storia dietro il nome Gogol al figlio, era una delle mie parti favorite del libro. Nel film, Irrfan Khan riesce a dare un’intensità a questa scena che la rende memorabile.
Il giovane attore americano di origine indiana, Kal Penn, nel ruolo di Gogol/Nikhil mi è piaciuto. Non mi ricordavo tutta la parte relativa alla sua decisione di rasarsi la testa alla morte del padre nel libro, forse non c'era nel libro, invece nel film, questa scena l’ho trovato toccante e significativa.
Verso la fine del film, durante la sua festa di addio, Ashima dice, “Anche se le sue ceneri sono state versate nel fiume Gange in India, ogni volta che penserò a Ashok, lo penserò qui in America, tra di voi, in questa casa.”
E pensavo alle radici del cuore che crescono dove tu non li aspettavi, e che stanno in fondo all’esperienza dell’emigrato. Quando lasci il tuo paese d’origine, ti manca tutto – la famiglia, gli amici, la lingua, la musica… e nel tuo nuovo paese, ogni volta che pensi alla parola “casa” pensi alla casa lasciata nella tua terra lontana. Poi, non ti accorgi quando l’immagine della tua casa nel tuo nuovo paese sostituisce la “casa” nel tuo cuore. Le radici che soffrivano dello sradicamento, si trovano accanto nuove radici che affondano nella tua nuova terrà.
Prima o poi, ti accorgi che parte di te vive in una terra di mezzo, qualcosa che sta soltanto nel tuo immaginario. Per le persone che avevi lasciato in dietro, diventi uno straniero. Ogni volta che torni nel “tuo” paese, lo trovi sempre meno tuo. Ma non ti senti del tutto accettato dalla tua nuova terrà. Ogni volta che incontri qualcuno di nuovo, quasi sempre inizia con la domanda, di dove sei? Sei condannato ad essere un forestiero per sempre, un extracomunitario. La tua terrà ideale sta dentro il tuo cuore, un po’ di qua nella tua nuova terra, un po’ di là nella terra che hai lasciato in dietro.
Ashima dice ai figli, “Non riesco a credere che siete usciti dal mio grembo, siete così diversi che non vi capisco ne anche.” Come emigrato impari che figli cresciuti nella tua nuova terra hanno le loro radici qui, che anche loro delle volte non ti capiscono, un po’ come tutti gli altri che ti vedono “extra” dalla loro comunità, ma che dentro i loro cuori portano un pezzo di tuoi radici, consapevoli o inconsapevoli.
“Mi è piaciuto molto il film”, mi disse mio figlio, “quel signore, il papà di Gogol, mi faceva pensare al nonno.” Restai senza parole per un secondo. Lui aveva visto suo nonno, mio papà, nella figura di Ashok?
Era forse vero che Ashok aveva qualcosa di mio papà, ho pensato. Suo modo di vestire, l’intensità negli occhi, l’idealità di fondo. Ma come ha fatto mio figlio a riconoscere tutto questo, ha visto soltanto qualche vecchia foto del nonno? Mio papà era morto più di 30 anni fa, quando avevo più o meno l’età di mio figlio oggi.
Delle volte non riesco a ricordare la sua faccia, la sua voce. Delle volte devo guardare la sua foto per sentirlo vicino. Come ha fatto mio figlio riconoscerlo enl protagonista del film? Mi sono sentito commosso. Forse un po’ delle mie radici, quelle che mi sembrano scomparse, li porta dentro il suo cuore anche lui? Quelle radici che non sanguinano più, non fanno più male, sono soltanto come un arto fantasma, qualcosa che ti avevano amputato ma che ogni tanto sogni di avere ancora.
giovedì 29 marzo 2007
Molto mosso, agitato, allegro
L’altro giorno, nel parco mentre portavo il cane alla sua solita passeggiata, avevo incontrato una signora e che ad un certo punto del nostro breve scambio, aveva fatto una smorfia e sussurrato, “Che brutta che è la vecchiaia!” Ero embarassato, l’avevo salutato e me ne andato via a passo veloce.
Vecchiaia è brutta? Sono d’accordo con lei fino ad un certo punto. E’ bello non avere le ansie della gioventù. E’ bello pensare ai nipotini che forse arriveranno, prima o poi. E’ bello non lasciarsi preoccupare più di tanto perché per esperienza si sa già che tutto passa, prima o poi. Invece i diuretici, quelli si che sono noiosi. E la fatica di cercare i titoli dei libri nella biblioteca. Provi con gli occhiali, provi senza, ma non si vedono bene lo stesso.
Scusatemi, ho perso la strada. Ultimamente mi succede abbastanza spesso, e non so se devo cominciare a preoccuparmi. Inizio qualcosa ma poi perdo il filo e parto per un’altra direzione e finché mi perdo completamente. Forse non è la vecchiaia, è lo stress? Ieri in treno leggevo dello stress e del “burnout” degli insegnanti. Insegnanti che all’improvviso hanno paura che uno studente potrebbe accoltellarli sulla schiena mentre sono girati verso la lavagna. Insegnanti che non sorridono più. Che non riescono più ad andare avanti, o in dietro. Ecco, avete visto, è successo di nuovo, mi sono perso un’altra volta.
Voglio parlare del mio viaggio di ieri, invece mi perdo nelle storie degli insegnanti pietrificati e delle signore con i cani. Ricominciamo da capo. Ero agitato.
Avevo voluto scrivere qualche post sul mio nuovo blog che si chiama “Blog Che Ci Piacciono”, prima di partire. Tutto perché nella mia testa ho pensato che ogni giorno, questo blog deve avere almeno tre post nuovi, e quando sei in ritardo e cerchi di fare troppe cose, è facile agitarsi.
Così avevo fatto un po’ tardi e poi alla stazione, la macchina automatica dove facevo la fila era occupata da una persona che continuava a toccare lo schermo per andare avanti e in dietro al infinito forse perché voleva controllare tutti i percorsi possibili e non riusciva a decidersi. Invece non potevo fare meno della macchina automatica perché con la prenotazione via internet, avevo chiesto di avere un biglietto tramite le macchine. Arrivai alla macchina giusto all’ultimo minuto quando ormai il mio treno era già arrivato in stazione e poi, mi lancai in una corsa che sicuramente fece bene al mio cuore e al mio desiderio di bruciare più calorie possibili, ma forse qualche altro passegero è rimasto un po’ scioccato.
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A Roma mi ricordavo la strada fino alla fermata Flaminio della metropolitana. Dopo mi ricordavo un autobus che mi avrebbe portato fino ad una grande piazza da dove potevo camminare fino alla Farnesina. Ma non mi ricordavo il numero dell’autobus che dovevo prendere, ne il nome della piazza dove dovevo andare.
Mentre cercavo l’autobus che dovevo prendere, intravidi uno spettacolo stranissimo. La piazza del popolo era stata riempita dalle figure di altezza umana costruite con le lattine vuote, carta da macero, pezzi di tubi e di macchinette varie, e altre cose che di solito si buttano nei rifiuti.
Era la mostra Trash People dell’artista tedesco Ha Schultz e mi faceva ricordare l’armata di terracotta del tredicesimo secolo sepolta a Xian in Cina. Una volta in Piazza, dimenticai completamente che ero venuto a Roma per andare alla Farnesina. Invece andai su Pincio fino al piazzale Napoleone. Anche questa fu una mossa buona per il mio cuore e per bruciare le calorie, anche se nella mia giacca e cravatta, iniziavo a sudare. La visione dell’armata degli esseri dei rifiuti era favolosa. Con riluttanza scesi giù e iniziai a correre. Ormai mancavano 20 minuti al mio appuntamento e non avevo ancora scoperto come arrivare alla Farnesina.
Ho letto che il comune vuole fare un parcheggio intterrato dentro la collina di Pincio. Penso che non sarebbe una buona mossa. Ormai le macchine sono come i poveri che dalle aree rurali che vengono nelle grandi metropoli della Cina e dell’India, non c’è modo di ridurrne il numero finché il sistema resta invariato. Tutti i parcheggi che oggi sembrano grandi, domani saranno insufficienti e si dovrà cercare altri parcheggi per ridurre il casino del traffico che poi non si ridurrà lo stesso.
Famose ultime parole, sento qualcuno sussurare. Magari le macchine stanno per scomparire fra qualche anno. Avremmo un nuovo mezzo di transporto che dopo il viaggio si potrà piegare e tenere in tasca. Così potremmo avere tutte le macchine che vogliamo. Non inquineranno ne anche, e non intaseranno le strade perché voleranno. Dopo potremmo lamentare di questa cortina di macchine che blocca i raggi del sole e sta creando il grande freddo, e così i poveri immigrati non dovranno morire in mare, potranno camminare lungo il ponte ghiacciato che collega Africa all’Europa e Europa el polo nord e il polo nord all’america!
Scusate, è successo di nuovo, mi sono perso un’altra volta.
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Ero stato alla Farnesina molti anni fa ma allora fu per una riunione non molto importante. Forse eravamo rimasti in una sala poco importante. Non me la ricordavo così imperiale e grandiosa. Invece questa volta dovevamo andare all’ufficio del vice ministro. Ero affascinato dalla statua dorata di Giulio Cesare che si ammirava in uno specchio, dalle sculture lungo i corridoi che guardavano fontane e ampi saloni di marmo e stucco. Invece eravamo in ritardo e non si poteva fermare.
Quando torniamo, farò tante foto, mi sono detto.
Invece durante il viaggio di ritorno, ci siamo persi. Scendevamo lungo scale e corridoi affiancati dagli uffici, ma non si vedeva nessuna statua o scultura. Cercai di dire che forse era meglio tornare in dietro e rifare la strada che avevamo fatto per venire ma ormai era troppo tardi e chiedendo istruzioni in giro, siamo usciti fuori!
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Ho preso il nuovo treno superveloce da Roma che si chiama T-Biz. Avevano un’offerta speciale con biglietti a “prezzo amico”. Costava quanto un Eurostar normale. Interni del treno erano molto belli e curati e avevano anche le hostess le quali hanno offerto anche una bibita gratis, un po’ come si faceva una volta con gli Eurostar. Non hanno offerto un giornale, ma forse hanno già superato quella fase o forse lo fanno soltanto di mattina.
Comunque, viaggiare era un piacere. Roma-Bologna in meno di 2,5 ore senza fermate. Ogni tanto quando i binari si avvicinavano all’autostrada, faceva impressione vedere che nessuna macchina riusciva a superare il nostro treno.
L’unico neo era la porta della nostra carrozza che ha rifiutato di aprirsi a Bologna. Un guasto tecnico nella nuova meraviglia della tecnologia. Succede nelle migliori famiglie. Comunque alle 21,00 ero già a casa. Allegro e contento della giornata.
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