domenica 24 giugno 2012

Parlare dell'Africa

Recentemente sull'Internazionale c'era un articolo dello scrittore Keniotta, Binyavanga Wainaina intitolato "La nuova carta dell'Africa". Se avete avuto occasione di leggere altri articoli di Wainaina, penso che saprete già che ha un modo di esprimersi ironico e allo stesso momento, secco e tagliente.

In questo articolo, lui parlava della concezione e dell'immagine dell'Africa in Europa e in America dopo la caduta del muro di Berlino, e sosteneva che oramai conosciamo l'Africa soltanto da quello che ne dicono i rappresentanti delle grandi organizzazioni umanitarie, e spesso le voci sono degli espatriati europei o americani:
"... ti serve memorizzare nel telefono i numeri dei rappresentanti di tutte le organizzazioni umanitarie europee - Oxfam, Save the children, eccetera - in ogni paese africano. .. In questa era il veicolo di tutto il sapere locale sono le organizzazioni umanitarie, che parlano la lingua dei diritti umani e sono buone. Quindi se un corrispondente straniero ha bisogno di sapere cosa sta succedendo in Sudan, si chiarirà i punti più urgenti grazie alla sua colazione settimanale con il rappresentante di Oxfam ..."
Wainaina parla anche delle organizzazioni che cercano di promuovere "lo sviluppo delle comunità" in questo articolo:
"Questa parte dell'Africa è gestita da anonimi signori della guerra. Quando vengono sconfitti, questi posti sono gestiti da organizzazioni di base finanziati dall'Unione Europea che creano un buon posto per mandare i bimbi nati negli anni bisestili a dare una mano e a vedere anche le giraffe. La base esiste per stare seduta ad aspettare che arrivino gli agenti della sostenibilità (europei) e le diano un po' di potere."
Penso che con questa descrizione, Wainaina esagera un po', ma c'è più di un pizzico di verità nella sua affermazione. Negli anni di crisi come quelli attuali, spesso l'unico modo di lavorare per le organizzazioni di volontariato è quello con i progetti cofinanziati dall'Unione Europea, con i loro finanziamenti di 1-3 anni e con le compulsioni di costruire le sembianze di uno sviluppo comunitario con le tecniche dirigenziali delle grandi corporazioni. Per cui, prevale lo sviluppo calato da sopra che costruisce scenografie da fotografare e filmare, ma che cambia niente.

Wainaina chiude il suo articolo con un avvertimento: l'Europa sta perdendo l'Africa e che l'Africa ha scelto altri interlocutori per il suo dialogo - interlocutori orientali e medio orientali, perché non riesce più a farsi sentire dall'Europa.

Si può discutere molto su diversi punti che solleva Wainaina in questo articolo, ma non si può negare che in Europa nei giornali "normali" è quasi impossibile sentire le voci africane su qualunque tema che riguarda l'Africa. Dove sono le voci di pensatori, filosofi, economisti, attivisti, scrittori africani quando succede qualcosa in Africa?

Anche le voci autorevoli come quelle di Wole Soyinka o Samir Amin, sono quasi sconosciute in occidente. Perché l'Africa non ha le voci proprie per raccontare la sua storia? Forse questa assenza ha le sue radici nel passato, nella storia dello schiavismo?

Europa aveva colonizzato anche l'Asia e il sud America, ma forse nella recente storia, nessun altro popolo è stato trattato come gli africani - come esseri "non umani", esseri da raccogliere durante le spedizioni di caccia, incatenati e trasportati in giro per il mondo. In confronto, per portare i "girmitiya" indiani come lavoratori nelle colonie, gli inglesi dovevano attirare le persone con inganno, con le esche del sogno di una vita migliore, come onesti lavoratori. Alla fine anche gli indiani si trovavano in situazioni terribili e erano trattati poco meglio degli africani, ma avevano dei contratti, ciò è un riconoscimento che erano delle persone, anche se avevano poco potere.

Forse sotto sotto, in Europa resta quell'idea dell'Africa come la terra di nessuno, una terra senza civiltà. Per questo che ancora oggi le voci africane restano non ascoltate?

Comunque, come Wainaina, vi sono molte altre voci africane che raccontano quello che succede nei loro mondi. Penso che sia importante ascoltare anche loro, se vogliamo capire meglio quello che succede in quei mondi.

Graphic African Voices - S. Deepak, 2012

Per esempio, potete iscrivetevi ad un newsletter settimanale di Pambazuka.org, una lista di email gratuita, in inglese, portoghese e francese, che racconta i problemi dell'Africa visti e raccontati dagli africani. Vi garantisco che resterete stupiti da quanto spesso loro descrivono il loro mondo e i suoi problemi così diversamente da come lo fanno i giornali europei (quelle rare volte che lo fanno) o le organizzazioni umanitarie!

Sul sito di Pambazuka troverete tutte le informazioni per l'iscrizione (il link porta alla pagina in inglese - in alto sulla sinistra troverete i link alle pagine in francese e in portoghese).

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domenica 17 giugno 2012

Le filosofie di Gandhi

Il nome di Mahatma Gandhi è associato a diverse tecniche innovative di protesta, come il Satyagraha o la lotta della verità, dove si utilizza i principi di ahimsa (non violenza) e balidaan (sacrificio personale) per far cambiare la mentalità del avversario. Ero nato nel 1954, 7 anni dopo l'indipendenza dell'India e da bambino, in casa avevo sentito le storie di come Gandhi con i principi della non violenza e degli sacrifici personali era riuscito a liberare l'India dal colonialismo inglese.

Quando avevo otto anni, nel 1962, vi era stata la guerra tra India e Cina e poi, tre anni dopo, nel 1965, la prima guerra tra India e Pakistan. Due di miei zii si erano arruolati nelle forze armate indiane come soldati per la "difesa della matria" (in India, si dice sempre, la matrabhumi o la terra della madre, invece della patria).

E mi chiedevo, dove erano spariti i principi di Mahatma Gandhi durante queste guerre? Nelle lotte con gli altri paesi, i principi di non violenza e del sacrificio personale, non valevano più?

Oggi, finalmente ho trovato una piccola risposta al mio quesito. In un articolo sul giornale Hindustan Times scritto da Gopal Krishna Gandhi, nipotino del Mahatma, è scritto:
1962: Nei primi anni sessanta, tutti si chiedevano se JP sarà il successore di Nehru come capo del governo. Ciò nonostante che nel frattempo, JP era diventato una colonna portante del movimento di Vinoba sulla donazione delle terre, anche se tra i due, vi erano alcune divergenze di opinioni. Quando vi è stata l'invasione cinese nel 1962, JP voleva partire con un gruppo di shanti sainiks (soldati della pace) per ofrire una resistenza non violenta agli aggressori e per fare appello alle due parti di cessare la guerra. Ma Vinoba era contraria all'idea, e JP aveva deciso di ascoltare il suo consiglio.
Vuol dire che alcuni seguaci del Mahatma, come Jayaprakash Narayan (JP), credevano che si potevano sperimentare i suoi principi anche  nelle guerre tra i paesi!

Alla fine non l'avevano fatto, ma leggere che lo volevano fare, mi ha dato immenso piacere.

Quando leggo i libri e gli articoli sugli ultimi anni di vita di Gandhi, mi dispiace per lui. Penso che oramai, era visto come un uomo vecchio, eccentrico e arteriosclerotico, non molto pratico, ignorato da "politici" veri che cercavano soluzioni "pragmatiche". Era qualcuno da tenere in un tempietto, venerato e ignorato. Sapere che persone come JP credevano ancora nei principi di Mahatma Gandhi, mi ha fatto piacere.

Non so spiegare bene i motivi del mio piacere, ma mi è sembrata qualcosa di importante. Per questo volevo parlarne con qualcuno!

Qui sotto due delle ultime immagini di Gandhi scattate dalla famosa fotografa americana Margherita Burke che lavorava per la rivista Life. La prima immagine era stata scattata nel gennaio 1948, pochi giorni prima del suo assassinio e la seconda mostra la cremazione del suo corpo avvenuto a Delhi il 31 gennaio 1948.


Mahatma Gandhi 1948 by Margherita Burke

Cremation of Mahatma Gandhi, 1948 by Margherita Burke

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