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giovedì 25 luglio 2024

Le Tre Kamala

In questi giorni, tutti i giornali parlano di Kamala Harris, la candidata democratica alle elezioni americane. Questo mi ha fatto venire in mente le storie di due altre donne che si chiamavano Kamala.

Kamala è una parola dal sanscrito - Kamal significa il fiore di loto. Il fiore di loto è la pianta sacra di dea Lakshmi, la dea della fortuna e della ricchezza, per questo motivo, lei è chiamata anche Kamala.

Ogni dio/dea indù ha una sua pianta sacra e un animale sacro. Penso che è un modo per chiederci di essere rispettosi verso la natura. (A proposito, l'animale sacro della dea Kamala è il gufo, il simbolo della saggezza, forse per sottolineare che la ricchezza richiede anche la saggezza.)  

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Nel 1981, il giornale indiano Indian Express, voleva denunciare il traffico delle donne, soprattutto le ragazze giovani. Era contro la legge, ma tutti sapevano che esisteva e che la polizia locale spesso ne era complice.

Così, nell'aprile 1981, il giornalista Ashwani Sarin, aveva pagato circa 300 dollari americani per comprare una donna di nome Kamala e la notizia fu pubblicata sulla prima pagina del giornale. Mi ricordo ancora la foto di Kamala sul giornale, insieme alla notizia: "Ieri ho comprato una donna magra e scura, di bassa statura, per la somma di 2.300 rupie da un villaggio ... Anch'io faccio fatica di credere che sono il padrone di una donna di mezza età, comprata per il prezzo che si pagherebbe per un bovino."

Lo scoop giornalistico aveva sollevato un grande polverone e la polizia fu costretta a fare delle dichiarazioni. Comunque, per quanto ne so, la compra-vendita dei corpi non si è mai fermata, e non soltanto in India.

Invece, mi chiedo, cosa era poi successo a quella Kamala? Quale vita aveva fatto nei giorni e mesi dopo essersi trovata sulla prima pagina del giornale?

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Kamala Harris, la candidata democratica alle elezioni americane, è la figlia di una biologa indiana e di un'economista afro-giamaicano. Federico Rampini ha scritto di lei sul Corriere della Sera:

"C’è una zavorra che appesantisce la candidatura di Kamala e le ha impedito di decollare negli indici di popolarità. È il peso della politica «identitaria», la decadenza della democrazia americana che soprattutto a sinistra si è trasformata in un mosaico tribale, fatto di gruppi etnici e altre minoranze, tutti gonfi di risentimenti e recriminazioni, in costante richiesta di risarcimenti e corsie preferenziali."

Sembra che Kamala, figlia di professori universitari, cresciuta in un'America benestante, ha voluto presentarsi come un'afro-americana, rappresentante del popolo nero, vittima di discriminazioni.

Personalmente, non mi piace l'idea di assumere le vesti delle vittime - preferisco i lottatori che cercano di cambiare il sistema.

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C'è una terza Kamala, alla quale penso ogni tanto - mia madre, scomparsa 15 anni fa. Ho un suo ricordo di quando avevo 5 anni.

Abitavamo a Delhi in una piccola casa che non aveva la luce elettrica. Eravamo in 3 - mia mamma, io e mia sorella, mentre mio papà lavorava a Hyderabad, lontana 1.600 km da Delhi. Mia mamma insegnava in una scuola elementare.

In quei tempi, si doveva comprare il grano, pulirlo, lavarlo, e poi asciugarlo al sole. Dopo bisognava portarlo dal mugnaio per farlo macinare.

Ho un ricordo di aiutare mia mamma a sistemare un sacco di grano dietro alla sua bici. Quel sacco mi sembrava molto pesante, ma è possibile che pesava solo 10-15 chili - lo tenevo fermo mentre lei lo legava dietro.

Fissato il sacco, lei partì e io le correvo dietro. Dopo circa 50 metri, lei perse l'equilibrio e la sua bici cadde giù. Lei non disse niente, alzò la bici. Il sacco era caduto e abbiamo dovuto fissarlo di nuovo. Allora vidi che lei aveva abrasioni sui gomiti e sulle ginocchia, che sanguinavano. Iniziai a piangere. Lei mi fece il segno con la testa di non piangere e di aiutarla a spingere la bici. Il mugnaio non era lontano e abbiamo proseguito a piedi, lei camminava da una parte e io dall'altra. Tenevo una mano sul sacco affinché non cadesse giù.

Dopo tanti anni, il ricordo di quella mattina è ancora vivo nella mia mente. Quando ci ripenso, la vedo li, sulla strada, giovane e magra, che si scuote la testa per dirmi di non piangere.

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lunedì 23 maggio 2022

Il Poeta delle Rivoluzioni

Dushyant Kumar, il poeta indiano scomparso nel 1975, è chiamato "il poeta delle rivoluzioni". È uno dei poeti contemporanei più amati dell'India.
  
Se parliamo di scrittori indiani, alcuni nomi conosciuti a livello internazionale sono Arundhati RoyVikram Seth e Amitabh Ghosh - sono tutti scrittori che scrivono in inglese. Invece, tra gli scrittori che scrivono in lingue indiane, soltanto una piccolissima parte è conosciuta fuori dai confini nazionali. Negli ultimi anni, vi è stato un tentativo di tradurre nelle lingue europee le opere di alcuni, ma la maggior parte di loro rimane sconosciuta. Quest'anno (2022) per la prima volta un libro scritto in Hindi è entrato nei candidati per il premio Booker per le opere tradotte ("La Tomba della sabbia" di Geetashree).

Per quanto riguarda i poeti indiani, penso che oltre al nome di Rabindranath Tagore, nessun altro poeta indiano è conosciuto fuori dall'India.

Questo articolo parla delle poesie di Dushyant Kumar (pronunciato Dusciant). Penso che in qualche modo la sua figura può essere paragonata al mitico James Dean che incarnava i giovani ribelli nel cinema di Hollywood. Anche Dushyant era morto giovane e le sue poesie scritte circa 50 anni fa, sono ancora oggi cantate e gridate dai giovani indiani durante le proteste. Alcune di queste poesie sono state usate anche nei film di Bollywood.


Dushyant Kumar – Brevi Cenni Biografici

Dushyant era nato il 27 settembre 1931 nel distretto di Bijnor, a circa 200 km a nord-est di Delhi. Per le sue prime poesie, scritte quando era ancora adolescente, aveva scelta il pseudonimo di “Vikal” (malinconico). Si dice che l'improvvisa morte di 2 suoi fratelli in quelli anni l’avevano mandato in crisi e determinato il tono malinconico delle sue prime poesie.

Nel 1949, quando aveva 18 anni, era stato sposato con una ragazza di nome Rajeshwari, che allora aveva 16 anni. Dushayant morì per infarto nel 1975 all'età di 44 anni. Invece sua moglie Rajeshwari si è spenta nel 2021. La coppia aveva avuto 2 figli - Alok e Apoorv.

Dushyant si era laureato in letteratura indiana presso l’università di Allahabad. Il suo primo libro scritto in quelli anni, era una critica sui poeti locali. Era famoso per il suo modo di cantare e recitare le sue poesie nei raduni dei poeti. Oltre a centinaia di poesie raccolte in 5 collezioni, ha scritto qualche racconto, qualche critica letteraria e 2 pezzi teatrali, uno dei quali in verso. Tuttavia, ha trovato la fama per le sue poesie. 

Aveva passato la maggior parte della vita professionale nella città di Bhopal dove lavorava nel servizio radiofonico statale. Si sentiva attratto dalle lotte dei contadini e dei poveri lavoratori manuali. Molte delle sue poesie parlano della corruzione.

Le sue opere più popolari che esprimono la rabbia e sono usate nelle proteste, risalgono all’inizio degli anni settanta, l’epoca quando nasceva il mito dell’attore Amitabh Bachchan come “the angry youngman”, il giovane arrabbiato. Dushyant aveva frequentato la casa Bachchan quando studiava a Allahabad perché era un'ammiratore del padre, il poeta Harivansh Rai Bachchan.

Quelli erano gli anni di proteste in India, iniziate nello stato di Bihar nel nord-est, capeggiate da Jaiprakash Narayan (JP), e poi diffuse in diversi altri stati del paese. JP incolpava Indira Gandhi, allora il primo ministro, di un regime autoritario e invocava il Sampurna Kranti (rivoluzione totale).

La signora Gandhi aveva risposto con la dichiarazione dello stato di emergenza e messo in prigione la maggior parte dei politici dell’opposizione mentre tutti i giornali venivano censurati. Le poesie più infuocate di Dushyant risalgono a quel periodo. Pochi mesi dopo, Dushyant morì nel dicembre 1975 per un infarto.

Poco alla volta, i giovani hanno scoperto le sue poesie e hanno iniziato a recitarle durante le proteste e durante gli scioperi. Per esempio, dieci anni fa, India aveva avuto una serie di proteste contro la corruzione, che avevano messo in difficltà il governo. Quelle erano guidate da Anna Hazare e Arvind Kejriwal. Più volte Kejriwal, oggi il capo del governo di Nuova Delhi, aveva recitato le poesie di Dushyant durante i raduni.

Una selezione delle poesie di Dushyant, tradotta in inglese con il titolo “Redeeming Fuzzy Reflections” (Redimere Pensieri Sfumati) è uscita nel 2018 ed è disponibile su Amazon.

Due Poesie di Dushyant

Qui presento 2 delle sue poesie più famose, cantate spesso durante le proteste nel nord dell’India e usate più volte nei film di Bollywood. Per esempio in un video su Youtube, il famoso attore di Bollywood, Manoj Bajpai parla del fascino di Dushyant Kumar e recita una sua poesia

Le due poesie che presento qui sono: “Ho Gayi hai Pir Parvat Si” (Il dolore è diventata una montagna) e “Iss Nadi Ki Dhar” (Dalla corrente di questo fiume). Entrambe le poesie fanno parte della collezione “Saaye me Dhoop” (Sole nell’Ombra) del 1975.

Non penso di essere all’altezza di tradurre delle poesie. Penso che per tradurle, serve qualcuno che conosce la lingua meglio di me. Comunque, l'ho fatto con la speranza che ciò motiverà qualche studente italiano di hindi di approfondire le sue opere e magari preparare una collezione di sue poesie da pubblicare in Italia.

1. Iss Nadi Ki Dhar Se – Dalla corrente di questo fiume

इस नदी की धार से ठंडी हवा आती तो है, नाव जर्जर ही सही, लहरों से टकराती तो है
एक चिंगारी कहीं से ढूँढ लाओ दोस्तो, इस दिये में तेल से भीगी हुई बाती तो है
एक खँडहर के हृदय-सी, एक जंगली फूल-सी, आदमी की पीर गूँगी ही सही, गाती तो है 
एक चादर साँझ ने सारे नगर पर डाल दी, यह अँधेरे की सड़क उस भोर तक जाती तो है 
निर्वसन मैदान में लेटी हुई है जो नदी, पत्थरों से ओट में जा-जा के बतियाती तो है 
दुख नहीं कोई कि अब उपलब्धियों के नाम पर, और कुछ हो या न हो, आकाश-सी छाती तो है 

Dalla corrente di questo fiume arriva un po’ di aria fresca. Anche se malridotta, questa barca sa alle onde resistere.
Trovatemi una scintilla da qualche parte amici. Lo stoppino di questa lampada ha ancora un po’ di olio da bruciare.
Come il cuore delle rovine, come un fiore nella foresta. Il dolore dell’uomo sarà anche muto, ma esso sa cantare.
La sera ha steso una coperta sulla città. Questa strada buia, proprio in quella direzione vuole andare.
Il fiume svestito è steso per terra nella piazza. Dietro le pietre, di nascosto continua a chiacchierare.
Non abbiamo raggiunto nessun traguardo, non importa. Almeno un petto grande come il cielo c'è l'abbiamo.

2. Ho Gayi Hai Pir Parvat Si – Il dolore è diventata una montagna

हो गई है पीर पर्वत-सी पिघलनी चाहिए, इस हिमालय से कोई गंगा निकलनी चाहिए।
आज यह दीवार, परदों की तरह हिलने लगी, शर्त लेकिन थी कि ये बुनियाद हिलनी चाहिए।
हर सड़क पर, हर गली में, हर नगर, हर गाँव में, हाथ लहराते हुए हर लाश चलनी चाहिए।
सिर्फ हंगामा खड़ा करना मेरा मकसद नहीं, मेरी कोशिश है कि ये सूरत बदलनी चाहिए।
मेरे सीने में नहीं तो तेरे सीने में सही, हो कहीं भी आग, लेकिन आग जलनी चाहिए।

Il dolore è diventata una montagna che deve sciogliersi. Un fiume che nasce da questa montagna, ci vuole.
Oggi questo muro trema come una tenda. Una scommessa per far traballare le sue fondamenta, ci vuole.
In ogni strada, ogni viuzza, ogni città e ogni villaggio. Ogni cadavere che cammina con le braccia in aria, ci vuole.
Non voglio soltanto una baraonda. Tentare che vi sia un cambiamento in questo volto, ci vuole.
Se non è nel mio petto, che sia nel tuo. Non importa dove sta il fuoco, ma un fuoco che arde, ci vuole.

Le Poesie che Piacciono a Me 

Personalmente, mi piacciono di più le poesie romantiche di Dushyant. Per esempio, mi piacciono molto le ultime righe della sua poesia "Chandani Chhat Pe Chal rahi Hogi" (Il raggio di luna passeggerebbe sulla terrazza):

तेरे गहनों सी खनखनाती थी, बाजरे की फ़सल रही होगी
जिन हवाओं ने तुझ को दुलराया, उन में मेरी ग़ज़ल रही होगी

Quelle che tintinnavano come i tuoi braccialetti, forse erano le spighe di miglio
Quelle correnti d'aria che ti hanno accarezzato, forse c'era anche la mia poesia tra esse.

Conclusioni

Penso che tradurre le poesie è il compito più arduo per un traduttore. Le poesie di Dushyant hanno un ritmo e una melodia, è difficile mantenere almeno un'eco di quelle nella traduzione.

Penso anche che i pensieri che compongono una poesia sono molto legati alle culture e ai contesti dei loro poeti. Ciò rende le loro traduzioni più complicate. Le emozioni come il dolore e la rabbia, possono perdere almeno una parte della loro forza espressiva, isolati dal loro contesto storico e culturale. Per esempio, la seconda poesia di Dushyant (Il dolore è diventata una montagna) presentata qui sopra, fa riferimento ad un episodio quando la polizia aveva sparato sui manifestanti, uccidendo alcuni di loro. All’epoca, sentire le parole di questa poesia, che invitavano i cadaveri ad alzarsi, di continuare la marcia e di continuare a nutrire il fuoco della protesta, mi aveva fatto venire i brividi.



Ancora oggi, sentire una folla che recita insieme queste parole, mi emoziona, anche quando non condivido i motivi della loro protesta.

Ci ho messo molto tempo per scrivere questo post. L’idea di tradurre le parole di Dushyant Kumar mi faceva paura. Sono contento che alla fine l’ho fatto, anche se ogni volta che rileggo le poesie tradotte, mi sembrano tutte sbagliate. Se qualche lettore italiano che conosce hindi e ha dei suggerimenti per migliora queste traduzioni, ne sarò grato.

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lunedì 28 marzo 2022

Frammenti dell'India

Il libro “Il Viaggio: Finestre Italiane sull’India” (I Quaderni del Bardo edizioni, 2021) curato da Urmila Chakraborty, è un’antologia di scritti di persone che normalmente non appaiono nei libri. I loro scritti sono estratti di vita quotidiana che parlano dell’India.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty

Nell'antologia, non c’è nessuna pretesa di essere esaustivi e di voler raccontare tutto sull’India, ma sicuramente, troverete punti di vista e modi di raccontare molto diversi tra di loro.

È un libro per le persone che amano l’India o almeno che si sentono attratte dal suo fascino. Sono storie di persone che sono arrivate in India con diverse motivazioni - alcuni avevano scelto di andarci, altri vi sono arrivati quasi per caso, portati dalle correnti della vita. Mentre lo leggevo, mi è venuto in mente uno scambio di battute dal libro “Vita di Pi” di Yann Martel, quando il papà di Pi dice, “Lasceremo l’India, navigheremo come Cristoforo Colombo!” e Pi gli risponde leggermente stizzito, “Ma Cristoforo Colombo stava cercando l’India!

Penso che alla fine, quali scritti del libro vi piaceranno di più, dipenderà molto dai vostri gusti personali. Comunque, se vi interessa l'India, penso che sicuramente troverete qualcosa che ve la farà conoscere meglio e che vi sorprenderà.

Andare oltre gli stereotipi

Nell’immaginario popolare italiano, la prima parola che viene in mente quando si parla dell’India è la sua dimensione spirituale, collegata ai suoi antichi testi sacri e le pratiche come lo yoga e la meditazione. Questa dimensione spirituale è rinforzata dalle idee di non-violenza di Mahatma Gandhi, le poesie di Rabindranath Tagore, gli scritti di Herman Hesse e le opere di Madre Teresa.

Fino a qualche decennio fa, vi era un secondo aspetto legato all’India che era una parte fondamentale dell’immaginario italiano - il mondo dei pirati e dei thugs creato dai libri di Emilio Salgari.

Invece oggi, con la globalizzazione e le nuove tecnologie, i libri di Salgari hanno perso la loro presa, mentre il fascino dell'India come una metà spirituale si è rinforzato. I famosi guru indiani, da Mahesh Yogi (il guru dei Beatles negli anni sessanta) a Sai Baba e Bhagawan Rajneesh (Osho), continuano a trovare nuovi seguaci italiani. I libri di Tiziano Terzani hanno contribuito a rafforzare questa immagine dell’India. Per esempio, nel suo libro “Un Altro Giro di Giostra”, Terzani aveva scritto “Chi ama l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno.”

Negli ultimi decenni, l’immagine dell’India è stata arricchita da un aspetto nuovo - quello legato ai suoi ingegneri e gli esperti di informatica. È questo l'aspetto che sta dietro la storia personale di Urmila Chakraborty, la curatrice del volume e che appare anche in uno degli scritti.

Un libro sull’India vista dagli italiani che non focalizza sulla sua dimensione spirituale è una novità, come prende nota Stefano Caldirola, uno degli autori che nel libro racconta la sua esperienza in una città indiana provinciale: “Molte persone che conoscevo si erano avvicinate all’India perché attratte da diverse scuole di pensiero filosofico o religioso nate nel paese. Davano perciò per scontato che il fascino che l’India esercitava su di me fosse dovuto ai loro stessi motivi: un intimo interesse di natura spirituale verso pratiche o filosofie, sviluppate da ciascuno in un modo personale e articolato. Il pensiero che io fossi interessato allo studio dell’India “solo” perché affascinato dalla straordinaria diversità culturale e sociale del contesto indiano appariva non sfiorarli nemmeno.”

Le voci che compongono l’antologia

Il libro presenta un pot pourri di voci che variano da uno studente universitario che segue una ricerca in un’università indiana alla ragazza che va a cercare la famiglia della sua nonna di origine indiana, dalle persone che lavorano per i progetti di cooperazione a quella che decide di vivere in un villaggio e di aprire un'agenzia di viaggi molto particolare, dalle persone che si interessano di danza classica indiana, agli artisti in cerca di nuove ispirazioni e alle persone che vogliono apprendere la sua musica tradizionale.

Nel libro ho ritrovato più di qualcuno che conoscevo già, anche se non sempre conoscevo le circostanze che le avevano fatto avvicinare all’India - leggere le loro testimonianze è stato particolarmente gradevole.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty - Nuri Sala

Leggere questo libro era come viaggiare in un treno di notte e di guardare fuori dal finestrino, quando la luce del treno illumina brevemente un pezzo di un mondo nuovo. Uno degli aspetti più belli del libro sono i disegni di Paola Scialpi, che anche con una parsimonia di colori, rendono vive le diverse sfaccettature dell'India.

Il nuovo modo di raccontare l’India

Fino a qualche decennio fa, conoscevamo i mondi lontani tramite i racconti di giornalisti e scrittori. Il giornalista Ugo Trambali, nella sua introduzione al volume, lo spiega con le seguenti parole: “La fortuna del giornalista è di poter entrare in profondità nel paese che ha il compito di raccontare: almeno dei giornalisti della mia generazione. Oggi i quotidiani non hanno più soldi per mandare in giro i loro inviati per fare reportages. A causa di questo, col tempo hanno perso interesse e la curiosità necessaria per commissionarli.”

Invece oggi con l’internet e con le App come YouTube e Instagram, ogni viaggiatore può raccontare e condividere con il mondo la sua visione della realtà. Le persone interessate, possono avvicinarsi alla cultura indiana in molteplici modi senza il tramite di un professionista. Soltanto in un secondo momento, quando vogliono approfondire qualcosa, esse cercano un libro. Gli scritti del libro invece stanno già con un piede nel nuovo mondo, servono soprattutto per stuzzicare la curiosità ed a introdurre frammenti di mondi spesso nascosti ai viaggiatori comuni.
Alla fine

Fa bene vedere il proprio paese attraverso gli occhi degli altri. Le voci che parlano attraverso le pagine di questo libro, non sono quelle che hanno fatto ore di pratica per cantare in un coro melodioso. Anzi, sono spesso voci di persone che non sanno cantare o che non hanno mai cantato prima se non nella propria solitudine. Invece, qui si trovano tutte a dover cantare insieme. Il risultato comprende qualche nota discordante, ma anche quella ha una sua bellezza.

Ho molti amici italiani che amano l’India. Molti di loro hanno le loro storie emozionanti da raccontare sulle proprie esperienze. Mentre leggevo il libro, più volte ho ricordato loro. In questo senso, leggere questo libro era anche un viaggio nei ricordi delle persone con le quali ho condiviso una parte del mio cammino.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty - Mariapia Michelon e Vittorio Tonnon

Nota: Per ordinare il libro dal sito di iQdB Edizioni di Stefano Donno

#recensionelibro #urmilachakraborty #frammentidindia #indiaeitalia 

lunedì 21 novembre 2016

Il Girovago


L’ultima volta che avevo scritto il mio diario era in febbraio 2016, quando abitavo a Guwahati nella casa di Padre Paul e lavoravo come responsabile di un'organizzazione indiana che si occupa della riabilitazione delle persone con disabilità. Molto è cambiato da allora. Ora siamo in novembre e manca poco più di un mese al natale e al nuovo anno, 2017. Sono a Delhi mentre scrivo questo post.


In questi 9 mesi sono diventato un girovago, uno che cerca di mettere in atto il principio di “non attaccamento” raccomandato dai monaci buddisti. Quando vivi con tutto quello che hai, chiuso dentro una valigetta, è facile arrivare in un luogo nuovo e poi ripartire. Ciò non significa che partire sia sempre senza dolori e rimpianti. Anzi proprio il contrario. Forse, ciò vuol dire che mi manca ancora molto per assimilare il principio di non attaccamento.

Avevo concluso il mio contratto con l’associazione per la quale lavoravo a Guwahati e in maggio 2016 ero tornato in Italia per alcuni mesi, dove tra l’altro, ho partecipato al matrimonio di mio figlio. Nella foto qui sotto potete vedere la famiglia Deepak al completo.


Tornato di nuovo in India, invece di un lavoro fisso, ho deciso di collaborare con diverse associazioni locali, sopratutto con le organizzazioni di base. Diciamo che in questo momento della vita mi piace scegliere i miei impegni volta per volta.

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La regione di Bundelkhand è situata nella parte centro-nord dell’India. In ottobre, ho avuto l’opportunità di visitare alcune città di questa regione (Gwalior, Jhansi, Orchha e Khajuraho) quando sono stato invitato da una piccola associazione a tenere un corso di formazione per i genitori dei bambini con la paralisi cerebrale.

Durante questa visita sono stato ospite presso una famiglia in un villaggio vicino a Orchha. E’ stata un’esperienza molto bella. Erano i giorni della festa della luce (Divali) per cui tutta la famiglia che mi ospitava, compreso i bambini, era impegnata nelle pulizie della casa. Una mattina tutti si sono messi a dare il colore rosa alla casa.


Alla sera della festa di Divali, ho accompagnato i due ragazzini della casa, Vishal e Sahil, a portare le piccole lampade di terracotta riempite di olio ad un piccolo tempietto sotto un albero e poi a piazzare altre lampade sui muri della casa. Era una delle feste di divali più belle che avevo passato in questi ultimi anni. La semplicità e la povertà della celebrazione, mi faceva pensare a come la celebravamo quando ero piccolo.


Nella ragione di Bundelkhand mancano i servizi di sostegno e di riabilitazione per i bambini cerebrolesi. Le famiglie non sanno dove andare per chiedere i consigli e l'assistenza. Per esempio, la città di Khajuraho, famosa in tutto il mondo per i suoi templi erotici, e riconosciuta da Unesco come il patrimonio dell’umanità, ha circa 30.000 abitanti ma nessun fisioterapista.

Abhay gestisce un negozio a Khajuraho ed è il padre di una bambina con la paralisi cerebrale. Lui mi ha raccontato la sua situazione: “Due volte alla settimana, devo portare mia figlia a Chhattarpur, a 30 km da qui per la terapia. Lei non ci vuole andare perché quel terapista è molto severo. Se lei non fa gli esercizi come li vuole lui, la colpisce sulle gambe con una bacchetta. Non mi piace quella persona ma non so cosa altro fare. Non c'è nessun altro a quale posso chiedere consigli. L'ho portata agli ospedali di Jhansi e di Gwalior, ma a parte tutti i test che le fanno, non ci sanno dire che cosa possiamo fare per rendere la vita della mia figlia più facile.”

Tanti genitori mi hanno chiesto di aprire un centro e di andare a vivere nei loro villaggi. Uno mi ha detto che se andavo a lavorare nel suo villaggio, mi avrebbe offerto un pezzo di terreno per costruire un centro di riabilitazione. Era difficile dire di no a queste persone ma non avevo altra scelta.

Ho suggerito a persone come Abhay di creare una loro associazione e di identificare alcuni genitori ad essere formati per fornire l’assistenza ai bambini cerebrolesi. Dopo qualche giorno di discussione hanno già identificato due mamme per la formazione. Comunque, non so se questa idea funzionerà perché sembra che non vi sono corsi di formazione adatti per i genitori in questa parte dell’India. L’unico centro di formazione che ho trovato è a Calcutta ma loro dicono che è troppo lontano. Mancano anche i manuali e altro materiale didattico semplice indirizzato ai genitori in lingua Hindi.

***
La parte più bella di girovagare è quella di incontrare nuove persone e di ascoltare le loro storie. Spesso incontro altri girovaghi, sopratutto persone senza fissa dimora che vivono come mendicanti, alcuni dei quali sono i sadhu, quelli che portano il vestito arancione per mostrare che hanno rinunciato a tutti i loro averi mondani.

Così, una sera alle rive del laghetto a Khajuraho, ho incontrato Saheb Singh e Baba Gyan Dev. Saheb Singh ha 77 anni e per tutta la vita ha seguito i principi di Mahatma Gandhi. Nel 1957, era andato a vivere per un anno nel ashram (centro spirituale) di Gandhi a Sabarmati. Durante quel anno passato a Sabarmati, lui era andato anche a Dandi e aveva ripercorso a piedi la famosa camminata di Gandhi fatta per la protesta del sale (nel 1930 a Dandi, Mahatma Gandhi aveva lanciato la protesta contro le leggi dei coloni inglesi che vietavano la produzione di sale agli indiani). Era bello sentirlo parlare della sua vita con i personaggi famosi della storia indiana, come Vinoba Bhave e Sushila Nayar.


Dopo questa esperienza Saheb Singh aveva deciso di diventare insegnante - ha insegnato ad una scuola media e ha dedicato la sua vita a promuovere i pensieri di Mahatma Gandhi.

Baba Gyan Dev invece ne ha 68 anni, fa il sadhu e porta il vestito arancione di uno ha rinunciato a tutti i suoi beni materiali. Mi ha raccontato del suo matrimonio a 15 anni, dei suoi due figli e vari nipotini, e della sua decisione di lasciare il tutto 20 anni fa quando era morta sua moglie. Ha un’ulcera al ginocchio destro che rifiuta di guarire nonostante tante cure e medicinali. Quando gli ho chiesto, lui ha ammesso che deve alzarsi 3-4 volte ogni notte per urinare. Gli ho spiegato che probabilmente lui ha il diabete e se non lo curerà, quell’ulcera non guarirà.

“Non ho il diabete”, lui mi ha risposto con un sorriso, “perché mangio regolarmente le foglie di una pianta ayurvedica che guarisce il diabete, per cui non l'ho.”

“Perché non provi a farti controllare il sangue e le urine?”, ho provato a convincerlo, ma ha scosso la testa. Alla fine gli ho comprato un antibiotico e il materiale per la medicazione.

Un altro incontro interessante l’ho avuto nei pressi di Orchha con un altro sadhu-mendicante che si chiamava Pyare Das. Lui era diventato il girovago perché la moglie del suo figlio non lo trattava con il dovuto rispetto. “Se non hai la tua moglie, sei come un cane del lavandaio, nessuno ti vuole. Le moglie dei figli non prendono cura di te come l'avrebbe fatto tua moglie”, mi ha raccontato con un timido sorriso.

Dopo mi ha raccontato anche delle sue visioni della dea madre che gli appare quando è da solo.

"Non puoi chiedere alla dea di darti un po' di comodità nella tua vecchiaia invece di girare così da un posto al altro?" gli ho chiesto. Mi ha risposto con una grande risata, "Perché mai dovrei volere più comodità? Ho già tutto!"


***
I famosi templi erotici di Khajuraho sono molto belli, con delle strutture graziose e elaborate, piene di belle sculture. Invece le loro statue erotiche non mi hanno convinto. Non sono molte e comunque, mi sembra che hanno solo 4-5 varianti di queste statue che si ripetono in tutti i templi.

In confronto, il tempio del dio sole di Konark sulla costa orientale dell’India ha solo un tempio, ma secondo me, ha le sculture erotiche più varie e più belle. Secondo la leggenda il primo tempio di Konark era stato costruito da Samba, il figlio del dio Krishna, per ringraziare il dio per la sua guarigione dalla lebbra.

A Gwalior ho sentito un’altra storia legata alla lebbra – si dice che le acque del laghetto di Surajkund sulla collina, dentro le mura della rocca, hanno il potere di guarire dalla lebbra. La guida che mi accompagnava ha giurato di conoscere personalmente 4 persone che soffrivano della lebbra e che sono guarite quando hanno fatto un bagno nel laghetto.


Gli ho spiegato che ora la lebbra si cura facilmente con le medicine e che queste medicine sono disponibili gratuitamente presso tutti gli ospedali governativi, per cui oltre al bagno nel laghetto, sarebbe opportuno che le persone affette da questa malattia prendono anche le medicine.

"Tu sei un medico moderno, non credi ai miracoli!" lui mi ha risposto con un sorriso.

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La visita nella regione di Bundelkhand è stata molto appagante. Il rapporto umano con i genitori dei bambini disabili è stato emozionante anche se alla fine mi è sembrato che i loro bisogni sono molto più grandi di quello che posso offrire.

E' stato molto bello anche dal punto di vista culturale. Visitare la valle delle statue gianiste giganti scolpite nelle rocce della montagna a Gwalior, la fila dei monumenti chiamati Chhattri lungo il fiume Betwa a Orchha, ed i templi di Khajuraho, sono state tutte delle esperienze indimenticabili. Le immagini qui sotto presentano questi tre luoghi.


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Qualche mese fa ero andato a valutare un progetto di lotta alla lebbra nei distretti di Dhule e Jalgaon nello stato di Maharashtra, nella parte centro-ovest dell’India. Era la prima volta che visitavo quella parte dell’India.

Da una parte ho visto come sta cambiando l’India delle piccole città distrettuali – le case e le strade sono diventate più belle e vi sono molte più macchine e moto in giro. Dall’altra, ho visto le difficoltà delle persone che vivono nei villaggi a raggiungere i servizi sanitari rurali. Ho accompagnato nei villaggi le donne operatrici sanitari conosciute come ASHA e ho visto il grande servizio che queste offrono alle comunità rurali. Dall’altra parte, sono rimasto sorpreso e scioccato da quanti malati di lebbra vi sono ancora senza trattamento nei villaggi.

Sono passati più di 10 anni da quando l’India ha annunciato che la lebbra non è più un problema di salute pubblica. Per questo motivo, non mi aspettavo di vedere i malati di lebbra con la malattia in fase avanzata come succedeva 20 anni fa. Invece, purtroppo ho trovato la situazione particolarmente grave nei villaggi delle tribù indigene.


***
Mancano pochi giorni alla fine di novembre. Alla mattina e alla sera, comincia ad essere freschetto, anche se durante il giorno le temperature sono miti.

Circa 2 settimane fa, una sera il primo ministro indiano ha annunciato a sorpresa che tutte le banconote di taglio grande non erano più valide. Da allora, tutte le mattine vi sono lunghe file davanti agli sportelli delle banche per far cambiare le banconote vecchie con quelle nuove. Per la più parte, sembra che la gente ha accettato questa misura come una medicina amara per contrastare la corruzione e per bloccare il giro dei soldi neri.

I giorni passano veloci. Sono impegnato in una ricerca che coinvolge le comunità tradizionali delle persone transgender e nella preparazione di un manuale in lingua Hindi per i genitori dei bambini con la paralisi cerebrale. Immagino che altri manuali di questo esistono da qualche parte ma forse sono solo nelle versioni cartacee e sono difficili da trovare. Non ho trovato niente sull'internet.

Fra qualche giorno riprenderò il mio girovagare. Questa volta andrò dalle parti di Mumbai (Bombay) sulla costa occidentale dell'India.

***

venerdì 8 agosto 2014

Il ritorno alle origini

Ero nato in questa città e sono tornato a Lucknow dopo 60 anni. Eravamo passati da qui qualche volta quando ero piccolo, ma eravamo solo di passaggio, e non conoscevo per niente questa città.

Brigeetha, la mia amica, un giorno mi ha accompagnato a vedere quella strada, Shah Najaf Road a Hazrat Ganj nella parte centrale di Lucknow, dove abitavano i miei genitori e dove in una clinica ero nato.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Cercavo di immaginare i miei genitori a passeggio lungo quella strada – all’epoca mio padre Om aveva 25 anni e mia madre, Kamala, ne aveva 20. Avevano già una bimba, Gopu, di circa 2 anni. Gopu era nata con una malformazione cardiaca - “aveva un buco nel suo cuore”, mi aveva raccontato mia mamma tanti anni dopo.

Om, lavorava per “Sangharsh” (Lotta), il giornale del partito socialista indiano e guadagnava poco. Om e Kamala abitavano in una stanza nell’edificio che ospitava gli uffici del giornale, insieme a altre due persone – una di loro, ora un professore universitario in pensione, ritrovato dopo decenni grazie al Facebook, mi aveva raccontato, “Mi ricordo ancora quando eri nato e ti avevano portato a casa. Faceva caldo e tu piangevi molto. Per avere un po’ di privacy, i tuoi genitori dovevano andare sulla terrazza.”

Circa sei mesi dopo la mia nascita, Gopu era morta a seguito di una polmonite. Om e Kamala avevano abbandonato Lucknow, per tornare a Allahabad da mia nonna paterna. L’unico nostro legame con la città di Lucknow era la signora Peeple, caposala della clinica dove ero nato e amica di mia mamma da allora - lei era rimasta in contatto con noi per tanti anni e ogni tanto ci veniva a trovare.

Mi emoziono, quando penso a Om e Kamala di allora. Vedo i due giovani, magri e preoccupati con i due bimbi, io in braccio a mia mamma e Gopu nelle braccia di mio papà. Vorrei rassicurargli di non preoccupare, che quei giorni difficili finiranno - quelli due giovani mi fanno tanta tenerezza.

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In tutti questi anni, mentre lavoravo con AIFO, ogni tanto visitavo gli ospedali e qualche volta durante queste visite, visitavo le persone malate, soprattutto i malati di lebbra. Ma avevo perso il contatto con molte delle attività ospedaliere. Per questo motivo, quando ho deciso di tornare in India per fare il medico in un’area rurale, ho subito programmato di passare un periodo iniziale in una struttura ospedaliera per riavvicinarmi alle conoscenze che avevo perduto in questi anni.

Così ero arrivato a St Mary’s Polyclinic, fondato e diretto dalla dott.sa Brigeetha (pronunciato “Brigita”). Brigeetha aveva iniziato la sua carriera presso un ospedale missionario gestito dai padri cappuccini a Shanti Nagar nel distretto di Gonda nel 1974. Nel 1984, sempre con l’aiuto dei padri cappuccini (padre Pietro degli Esposti e padre Norberto Bucci), si era trasferita a Lucknow per creare una clinica nella periferia rurale della città. Oggi quella clinica è un piccolo ospedale con 120 posti letto e comprende una scuola per la formazione degli infermieri e dei paramedici.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Brigeetha veniva spesso a Bologna, ospite dei padri francescani in Via Saragozza e aveva partecipato in diversi incontri organizzati da AIFO. Così ci conoscevamo da molti anni. Quando le ho chiesto se potevo visitarla per frequentare il suo ospedale, si era resa subito disponibile.

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Tornare a visitare i malati e a fare la vita di un medico ospedaliero, l’ho trovata molto più semplice di quello che avevo immaginato. Alla fine, non avevo dimenticato molto. Negli ultimi mesi in Italia, avevo già iniziato a ripassare diversi testi di medicina per l’aggiornamento e questo era stato utile.

Invece, in ospedale sono rimasto un po’ sorpreso da alcuni giovani colleghi – questi visitavano i malati senza toccarli, parlavano poco con loro e li ascoltavano ancora meno, facevano fare tanti test inutili e prescrivevano farmaci non sempre in maniera razionale. Comunque ho cercato di non criticarli anche se mi sentivo un po’ frustrato dalla loro aria di sapere tutto. Forse è il gap generazionale, e tutti i medici vecchi sentono così nei confronti dei giovani!

In Italia, tramite l’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale, avevo osservato un vivace dialogo con alcuni medici e studenti giovani sui temi legati alla salute globale – disuguaglianze, globalizzazione, tecnicizzazione della medicina. Penso che per le enormi problematiche in India legate alla diffusa povertà e la crescente commercializzazione dei servizi sanitari, questi temi sono importanti anche per i giovani medici indiani. Invece tra i giovani colleghi di Lucknow, vi era un disinteresse totale su questi temi e tutti i miei tentativi di avviare una discussione in questo senso, sono falliti.

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A parte una breve visita al “Bada Imambara”, il palazzo dei reggenti di Lucknow dal 18° secolo, non sono riuscito a visitare i posti turistici della città, se non per qualche sfuggente vista di qualche statua o monumento durante i passaggi in macchina. La mia visita a Lucknow ha coinciso con i monsoni, per cui in questi giorni, pioveva molto e quasi tutti i giorni. Dal l’altra parte, ciò ha reso le giornate meno calde e più umide.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

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La stazione ferroviaria centrale di Lucknow in stile misto Coloniale-Mughal-tempio indù, sembra un palazzo di qualche re eccentrico.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

Lucknow è la capitale della provincia di Uttar Pradesh (U.P.) nel nord dell’India. E’ la provincia più popolosa dell’India con più di 200 milioni di abitanti. Se fosse un paese indipendente, U.P. sarebbe tra i maggiori paesi del mondo. Purtroppo è anche una delle provincie governate peggio in India – i tassi di criminalità, povertà e sottosviluppo della provincia sono tra i peggiori del mondo, per alcuni versi, peggiori anche dell’Africa subsahariana.

Alcune zone centrali della città dove abitano gli ufficiali e i ricchi sono belle con delle strade larghe e alcuni spazi verdi, ma per la maggior parte, è una città caotica, una giungla tropicale urbana, dove nessuno sembra seguire nessuna regola. I canali TV locali, sono pieni delle notizie di stupri e di violenze varie dalle diverse parti della provincia. La corrente elettrica va via per delle ore, più volte durante il giorno.

L’ultimo decennio ha visto una crescente polarizzazione della provincia lungo le appartenenze religiose, con frequenti notizie di conflitti tra i diversi gruppi religiosi, soprattutto tra gli indù e i musulmani.

Circa 10 anni fa, l’U.P. aveva eletto la signora Mayawati, la prima donna dalit (della casta degli intoccabili) come il suo primo ministro e ciò aveva suscitato molte speranze per un nuovo rapporto con i gruppi emarginati. Oggi il partito politico di Mayawati sembra passare un momento di eclissi mentre sono al potere gli socialisti. La eredità più vistosa di Mayawati nella città è un’enorme parco pieno di statue di elefanti, il simbolo elettorale del suo partito.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Diverse persone del partito socialista indiano, che avevo conosciuto durante la mia infanzia grazie a mio padre, oggi sono ricordate nei nomi delle strade, dei parchi e delle piazze della città di Lucknow. A parte questo campanilismo alle figure storiche del partito socialista, secondo molte persone con le quali ho parlato, l’attuale governo è visto come tra i più corrotti e meno efficienti di tutta la storia di U.P.

Mulayam Singh Yadav, il vecchio patriarca del partito socialista di U.P. è oramai conosciuto in tutto il mondo per aver difeso gli stupratori con la sua frase, "Sono soltanto dei ragazzi che hanno fatto qualche bravata."

Sembra che la maggior parte delle violenze, quelle contro le donne e quelle tra i gruppi religiosi, coinvolgono i gruppi dalit (le caste indù “inferiori” compreso i gruppi considerati intoccabili) in maniera sproporzionale. Nonostante il successo elettorale di Mayawati, il sistema delle gerarchie delle caste con l’esclusione sociale delle caste “inferiori” continua ad essere radicata profondamente, soprattutto nelle aree rurali.

La zona dove si trova l’ospedale di Brigeetha è in periferia. Fino a 10 anni fa, qui c’erano solo dei campi, invece ora vi è l’urbanizzazione selvaggia. Case singole, ville, condomini stanno nascendo da tutte le parti. Ma la strada principale della zona è stretta, ha tanti buchi, ed è sempre ingolfata di bici, carri trainati da buoi, i risciò a pedali, i camion, alcune macchine (ancora poche) e i pedoni. Tutto è accompagnato da una cacofonia dei clacsson.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Alla scuola di infermieri, ho intervistato un gruppo di studenti per una piccola ricerca sulla violenza. Volevo capire che cosa ne pensano gli studenti della violenza in famiglia. Quasi il 70% degli intervistati ha dichiarato che vi possono essere delle occasioni quando la violenza dei mariti nei confronti delle moglie può essere giustificata! Per esempio, se il marito torna stanco dal lavoro e trova che la moglie non ha preparato la cena e invece sta parlando con alcuni parenti/amici, per molti studenti (quasi il 90% di loro erano femmine), era giusto che il marito si arrabbi e picchi la moglie.

Lucknow, Uttar Pradesh, India - images by Sunil Deepak, 2014

Quando li ho chiesto, perché era giusto per il marito esprimere la sua rabbia con la violenza, ma non lo era per le donne, quasi tutti mi hanno parlato della “cultura indiana” secondo la quale, i mariti sono superiori dalle moglie e sono da venerare.

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Comunque sono felice per questo soggiorno a Lucknow che mi ha permesso un ritorno alle mie origini. Avevo un po’ di preoccupazione se saprò lavorare come medico. Ora sono più tranquillo per affrontare le sfide che mi aspettano.

Non ho ancora deciso dove andrò a fermarmi. Nelle prossime settimane, andrò a visitare 2 possibili progetti – nel distretto di Hoshangabad (nella provincia di Madhya Pradesh) e nel distretto di Bilaspur (nella provincia di Chattisgarh). Entrambi questi progetti operano in aree rurali povere e sprovviste di servizi sanitari. Ho scelto questi due posti perché vorrei lavorare con i gruppi indigeni e in entrambi i posti, la maggioranza della popolazione è adivasi (gruppi indigeni).

Se nessuno dei due progetti mi convincerà allora visiterò qualche altro progetto al nord dell’India, finché troverò il posto che mi piace!

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lunedì 23 giugno 2014

Gli Ultimi granelli

Avevo capovolto la clessidra e il conto alla rovescia si era iniziato. Oramai sono rimasti pochi granelli di sabbia in quella clessidra. Fra due giorni partirò per iniziare una nuova avventura in India.

In questi giorni incontro continuamente amici, colleghi e parenti. E’ il momento di dire addio. Tutti mi chiedono, "Come ti senti?" E spesso non so da dove iniziare. Alla fine sorrido e rispondo qualcosa, ma faccio fatica a spiegare tutte le mie sensazioni, spesso così contraddittorie, forse perché non saprei spiegarle anche a me stesso.

Il controllo e la pulizia dei cassetti e degli armadi si era iniziata mesi fa. La mia collezione di libri in hindi è andata ad una biblioteca di Bologna e quelli di libri sull'India in inglese è andata ad un'altra biblioteca specializzata.

I vestiti sono stati controllati e divisi in diversi mucchietti - questi li porterò via, questi bisogna tenerli qui, questi si possono dare via, questi sono da buttare, e così via.

Mio figlio ha guardato la mia collezione di cravatte con stupore, anche perché non mi aveva visto con una cravatta da diversi anni. Chissà perché così tante persone mi avevano regalato le cravatte in tutti questi anni? Comunque, non mi piace portarle e ne ho diverse ancora imballate. "Forse puoi venderle sull'ebay?", ho suggerito a mio figlio.

Dischi, foto, scatole varie, statuine, ricordi dei viaggi – tutte cose che si accumulano senza rendersene conto, e ora bisogna che decido cosa ne voglio fare. Tutto questo mi dà strane sensazioni. Penso che se morivo improvvisamente, qualcun altro avrebbe fatto questo stesso lavoro al mio posto.

Mi sveglio durante la notte e mi sento male. Cerco di leggere qualcosa per calmarmi, ma spesso sto sveglio per delle ore. In altri momenti penso al lavoro che farò in India e mi sento felice per questa mia scelta. In quelli momenti, non vedo l'ora che inizi questa mia nuova vita. Poi penso a mia moglie e a mio figlio e mi chiedo se sono pazzo per pensare di andare via così lontano da loro!

Dopo aver preso un salario mensile e la sicurezza del lavoro da dipendente, partire senza sapere esattamente che cosa farò e dove vivrò, mi fanno un po' di paura. Devo continuamente ricordarmi che non vado via per cercare la sicurezza. Ogni volta che mi sento tentato da una proposta di collaborazione, devo ricordarmi che non voglio niente che richiederà di passare maggior parte del mio tempo in un ufficio o a partecipare alle riunioni.

Un’idea di quello che farò in India c’è l’ho. E' molto probabile che andrò a vivere con un piccolo gruppo di idealisti che lavorano con alcune tribù, soprattutto con le donne e le bambine delle tribù, nella parte centrale dell'India. Mi hanno chiesto di aiutarli ad iniziare le attività di salute comunitaria in questa zona. Non ho illusioni romantiche per questa scelta, ma tra tutte le proposte che ho ricevuto, è quella che mi convince di più.

Diversi amici dall’Europa e dall’America, mi hanno raccomandato di informarli qualora avrò bisogno di aiuto, ma credo che il mio lavoro dovrebbe svilupparsi in maniera sostenibile, adatto alle esigenze locali e alle idee delle persone con le quali collaborerò. Credo che le grandi opere e tanti fondi non portano sviluppo reale nelle comunità povere, penso invece che lo sviluppo dovrebbe nascere dal basso. Venite a trovarmi se potete, gli ho risposto!

Per concludere questo post, vi riporto un estratto di una lettera che mi hanno scritto Don Silvio e Maria Grazia, due amici con i quali i miei legami di affetto durano da diversi decenni e che sono stati testimoni di diversi momenti fondamentali della mia vita:
"Sappiamo che in AIFO tu hai sempre lavorato per i più deboli, più poveri e sfortunati, e i diversamente abili, in modo dirigenziale, su progetti, prospetti e realizzazioni; ora tu desideri esercitare la tua professione di aiuto in modo diretto a tu per tu con i poveri.
Sia questo tuo desiderio accompagnato anche dalla nostra 'condivisione', da quella di Nadia, tua moglie e da Marco, tuo figlio.
Non sia incapacità di comprendere o sofferenza per vederti andare per nuove vie, ma gioia di lasciarti libero e contemporaneamente amato come sempre e forse di più.
Il tuo Dio e il nostro Dio, ti accompagnino in questa nuova strada facendoti percorrere la giusta via, reale, esatta per la tua realizzazione umana e professionale, senza dimenticare mai, ciò che hai costruito sinora."

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martedì 8 ottobre 2013

La storia delle vecchie foto

E' una vecchia storia, scoperta per caso, che coinvolgeva i miei genitori. Non so quanto importante era questa storia per mio padre, ma probabilmente aveva tormentato mia madre profondamente.

Il mondo è pieno di queste piccole storie. Si poteva lasciare che anche questa storia resti nel dimenticatoio, dove era rimasta per quasi cinquanta anni. Poi ho pensato che oramai tutti i protagonisti di questa storia erano scomparsi. Non poteva più fare del male a nessuno a parlarne. E per me, forse l'aspetto più importante di questa storia era come le sue foglie, cadute da un albero oramai secco e morto, erano state trasportate sul vento del tempo, e mi avevano trovato.

Tutto è iniziato da una vecchia foto in bianco e nero, nascosta tra le vecchie carte in una logora borsa di plastica nel armadio di mia mamma.

Una foto dal passato

Era il febbraio 2010, a Nuova Delhi in India. Mia mamma morì dopo 10 giorni di coma. Nel 2001, le avevano diagnosticato il morbo di Alzheimer. Ossessionata dalla paura di dimenticare e di perdersi, scriveva dappertutto l'indirizzo di casa e il numero di telefono di mia sorella, con la quale viveva. Rimasta vedova a 42 anni, mia mamma aveva fatto l'insegnante in una scuola elementare e poi quando era andata in pensione, aveva passato molto tempo con gli scritti di mio padre, curandone la conservazione e la ristampa. Teneva un diario dove notava con precisione le sue spese quotidiane insieme agli appunti sulla sua solitudine dopo la morte di mio padre.

Alcuni giorni dopo la sua morte ero nella sua casa con mia sorella Vinni, dove aveva vissuto prima di ammalarsi. Controllavamo le sue carte per decidere che cosa tenere e che cosa buttare via. Il suo armadio era pieno di libri, riviste e vecchi sacchetti di plastica, dove teneva suddivisi i vari scritti di mio padre, la corrispondenza, le varie bollette, e le altre cento mila cose che si accumulano durante le nostre vite.

In uno di quelli sacchetti di plastica avevamo trovato delle vecchie foto e alcune lettere. Avevo intravisto una foto che mi aveva subito incuriosito - una foto in bianco e nero, di una donna occidentale con i cappelli ricci.

"Guarda c'è una foto di Margo!", avevo detto a Vinni. Non avevo dovuto a pensarci, il suo nome mi era tornato in mente in un lampo.

"Chi era?" Vinni mi aveva chiesto.

"Era un'amica di papà. Lavorava con il partito socialista e l'avevamo incontrata a Hyderabad, prima della tua nascita. Una volta ci aveva mandato anche dei regali dall'America", le avevo spiegato. Le memorie sono strane, chissà dove dormono dentro di noi, e all'improvviso si svegliano. Mi erano venuti in mente i due morbidi guanti-pupazzi, uno con la faccia di gatto e l'altro di coniglio, che Margo ci aveva mandato in un pacco.

Nel sacchetto avevo trovato un'altra foto di Margo e una sua cartolina mandata a mio padre da Firenze. Avevo messo da parte queste cose, tra quelle che volevo guardare con calma.

I primi dubbi

Dopo alcuni mesi, quando avevo guardato la foto di Margo, avevo capito che c'era qualcosa di strano in quella foto. A Delhi, non l'avevo guardata con l'attenzione. Non era una foto normale - la foto era attaccata alla pagina strappata da un passaporto, ed era il passaporto di Margaret Louise Skinner.

Margaret Louise Skinner story

Come mai mia mamma aveva una pagina strappata dal passaporto di Margo?

Ho ripensato a quelli anni quando avevo conosciuto Margo. Era il 1960. Mia mamma, io e mia sorella Pinki, abitavamo a Delhi. Avevo 6 anni e mia sorella ne aveva 4. Dal 1958, mio papà viveva a Hyderabad nel sud dell'India, dove lavorava nel giornale del partito socialista. Nell'estate 1960, durante le ferie estive, noi tre eravamo andati a Hyderabad per passare le ferie con lui.

Di quelle ferie ho alcuni ricordi vaghi. Avevamo incontrato Margo, e ho un ricordo di un viaggio in città seduti su un risciò, mentre ero seduto in mezzo a Margo e mia mamma. Era un risciò senza pedali, tirato da un "uomo cavallo" e ricordo le sue gambe scure e magre che correvano sul asfalto.

Invece non ho nessun ricordo di una tensione o dei litigi tra mia mamma e mio papà.

Dopo alcuni mesi della nostra visita a Hyderabad, mio papà era stato trasferito alla sede del partito socialista di Delhi. Di quei giorni ho il ricordo di essermi svegliato una notte per una lite furibonda tra il mio papà e la mia mamma.

Non avevo altri ricordi legati a Margo, se non quelli di un pacco con dei regali arrivato dall'America. Oltre ai guanti-pupazzi per me e mia sorella Pinki, il pacco aveva anche delle cose di trucco per mia mamma - creme, rossetti e matite per colorare gli occhi. Ricordo l'apertura del pacco quando il postino l'aveva portato, ma non mi ricordo di aver mai giocato con quelli guanti-pupazzi. Tutte le cose di quel pacco erano sparite. Penso che mia mamma mi aveva spiegato che erano dei regali costosi per cui lei li aveva messi via per tenerli con cura. Comunque, dopo un po', avevo dimenticato quel pacco.

Allora perché mia mamma aveva una pagina strappata dal passaporto di Margo?

L'unica spiegazione che mi è sembrata plausibile era che mia mamma aveva strappato la pagina dal passaporto di Margo. E perché mia mamma aveva fatto una cosa del genere? Forse perché era molto arrabbiata con Margo e questo era un gesto di rabbia?

Così mentre guardavo la foto di Margo, mi chiedevo se vi era stata una relazione tra mio padre e Margo? Che il nostro viaggio a Hyderabad in un momento quando avevamo grandi difficoltà finanziarie era stato organizzato perché qualcuno aveva informato mia madre di quella relazione? Che la nostra visita a Hyderabad centrava in qualche modo con il trasferimento a Delhi di mio padre alcuni mesi dopo? E la mia sorella Vinni nata un anno dopo, era il gesto di ripacificazione tra i nostri genitori?

Altri indizi

La seconda foto di Margo era stata scattata nelle Filippine, dove Margo era stata come una borsista Fullbright nel 1958. Invece la cartolina da Firenze, era timbrata il 16 ottobre 1961, ed era con la foto del Palazzo Vecchio. La cartolina iniziava con un "Caro Deepak", e parlava di palazzi di Firenze, di Lorenzo il magnifico, di Leonardo e di Dante, piena di piccole parole scritte fitte fitte. "Sono alloggiata in una pensione che era un vecchio palazzo dei Medici, pago 5 dollari al giorno, compreso tre pasti toscani al giorno e il vino." E alla fine era firmato, "la tua M".

Una volta che il sospetto di una relazione tra mio papà e Margo si è insinuato nella mia mente, volevo capire di più. Avevo parlato di miei dubbi con mia sorella Pinki, ma non ero riuscito a convincerla della mia ipotesi.

"Come fai a pensare che avevano una relazione, solo sulla base di una pagina di un vecchio passaporto? Può darsi che Margo l'aveva perso e poi l'hanno ritrovato ma nel frattempo, lei ne aveva già fatto fare un altro o era già partita per l'America?" Pinki mi aveva detto.

Ma ero convinto che c'era stato qualcosa di più tra mio papà e Margo. Così ho iniziato a fare qualche ricerca sull'internet.

Dopo diversi tentativi ho scoperto la Margaret Louise Skinner, che coincideva con i dati sul suo passaporto - era nata a San Francisco il 10 aprile 1921 ed era morta a San Francisco nel 1992. Aveva anche scritto un libro di poesie, "As green as emeraude" (Verde come smeraldo) che era uscito nel 1990. Ho continuato a scavare sull'internet e un giorno ho trovato l'indice di questo libro. Tra i titoli delle poesie di questo libro, c'era anche - "To Deepak" (A Deepak). Forse avevo finalmente trovato la mia prova?

Quel libro di Margo era fuori stampa. Per cui avevo chiamato mia sorella Pinki per raccontarle della mia scoperta e per chiederle di cercare una copia di questo libro. Lei vive in America, forse poteva trovare il libro in una biblioteca. Questa volta, Pinki concordava con me - intestare una poesia al mio padre, poteva essere un indizio!

Dopo qualche settimana Pinky mi aveva chiamato, "Avevi ragione. Ho trovato il libro di Margo. Il libro è dedicato al papà e la poesia 'A Deepak', è chiaramente una poesia d'amore. Era stata scritta alla sua morte nel 1975."

Dopo il 1960, non avevo più sentito parlare di Margo, era completamente sparita dalle nostre vite. Allora come aveva fatto lei a sapere della morte di mio papà nel 1975? Voleva dire che qualche amico di mio papà era a conoscenza del loro rapporto e le aveva scritto per informarla?

La mia ricerca sembrava conclusa. Avevano avuto un rapporto o forse era solo un'amicizia profonda, o una relazione platonica - comunque oramai non era importante sapere tutto questo. Mia mamma, Margo e mio papà, non c'erano più. Era forse una storia importante per mio papà? Chi lo sa! In ogni caso, lui aveva scelto di restare con noi, era tornato a Delhi e un anno dopo, era nata la mia sorella più piccola. Lo strappo tra i miei genitori, se c'era stato, era stato cucito.

Nel maggio 2010, avevo scritto della scoperta della foto di Margo sul mio blog in inglese, senza parlare della possibile relazione tra lei e mio papà. E avevo dimenticato questa storia.

Una nuova lettera

Qualche mese fa mi è arrivata un'email di una poetessa americana, Charlene Ungstad, la quale mi ha scritto di aver visto la foto di Margo sul mio blog. Charlene si interessa di vecchie foto e di vecchie memorie e cerca le loro inter-connessioni in quello che lei chiama il "movimento browniano". Lei aveva conosciuto Margo nel 1981 e così mi ha fornito ulteriori informazioni su Margo:
"Margaret pensava di non avere molto talento come scrittrice-poetessa e aveva scelto di lavorare come giornalista. Suo Marito Fritz Reuter Leiber (ndr: famoso scrittore di fantascienza) aveva perso la sua prima moglie Jonquil e aveva cominciato a bere, e Margaret l'aveva fatto venire da Chicago a San Francisco, dove convivevano. Voleva aiutarlo a superare il problema del alcolismo, anche se lei stessa aveva qualche problema con l'alcol. Lei era molto attiva con la comunità sud asiatica di San Francisco e scriveva anche per la rivista settimanale asiatica. La maggior parte dei loro amici erano quelli che si possono definire socialisti, artisti, bohemiani, e persone che pensavano di essere delle streghe o degli antichi guerrieri (per via dei libri di Fritz). Avevano partecipato anche alla marcia della protesta contro la guerra nel golfo.

Quando li avevo conosciuti vivevano in un ex-albergo-diventato-condominio. Le case editrici avevano truffato Fritz per decenni dei suoi diritti d'autore. Lui scriveva i suoi racconti e gli articoli per le riviste su una vecchia macchina da scrivere appoggiata su un tavolino basso - era così alto e vederlo tutto curvo per scrivere, mi dispiaceva molto.

Nel 1977, in una conferenza sulla serie Star Trek a San Francisco avevo visto Harlan Ellison, che era l'ospite d'onore, chinarsi giù su un ginocchio per parlare di Fritz come uno degli scrittori più importanti d'America che doveva vivere in grande povertà, perché gli avevano truffato dei suoi diritti d'autore. 
Una volta avevo dormito nella casa di Margo e Fritz, e ho visto degli scarafaggi che correvano sugli suoi trofei Nebula e Hugo che lui aveva ricevuto e che usava come ferma libri.

Persone come Ellison e Robert Silverberg avevano lanciato una campagna per cercare giustizia per Fritz. Grazie a questa campagna Fritz era riuscito ad avere dei soldi dalle sue case editrici. Così, Margo e Fritz hanno potuto lasciare quello squallido appartamento e a trasferirsi in una casa più solare e bella su Post Street. 
In quei giorni, Margo era stata diagnostica con la leucemia. Si erano sposati perché così Fritz poteva coprire le sue spese mediche. Poi Margaret stava meglio, ma nel 1992 Fritz ha avuto un ictus e dopo alcune settimane in ospedale in coma, era morto. Poco dopo di lui, anche lei se ne andata. Sono stata ai loro funerali. Diversi loro amici che facevano parte della Society for Creative Anacronisms (Società per gli anacronismi creativi), fondata da Fritz, avevano partecipato.

Quando aveva bevuto un po', Margo telefonava agli amici, anche alle 2 di notte, per fargli la domanda del suo personaggio televisivo favorito, Kojak, "Chi ti vuole bene, baby?"
La foto di Margo e Fritz qui sotto è del 1984 - era stata scattta da Dik Daniels - l'ho trovta sull'internet.

Margaret Louise Skinner story

Tramite Charlene ho trovato una recensione del libro di poesie di Margo scritto da un autore indiano, dott. Sanjiva Dev, che forse aveva conosciuto Margo quando era stata in India ed era rimasto in contatto con lei. In questo articolo lui aveva scritto di Margo:
"Era un'amante della cultura orientale, in particolare apprezzava i pensieri, l'arte e il popolo dell'India, dove lei aveva vissuto per 2 anni nel 1960-61. Era stata la capo redattrice della rivista in inglese "Mankind" che si occupava di politica e di cultura. Il dott. Ram Manohar Lohia (ndr: fondatore del partito socialista indiano) era stato il fondatore di questa rivista.

Poi la signorina Skinner era tornata a San Francisco dove lavorava come critico di cinema, faceva programmi radio e scriveva articoli per le riviste e le agenzie come Bay Guardian, Hollywood Reporter, Sacramento Bee, S.F. Chronicle, Toronto Star, Associated Press, Reuter, ecc. Si interessava anche di diversi sport. Aveva viaggiato in paesi come Hawaii, Filippine, Birmania, Hong Kong, India, Inghilterra, Francia e Italia. Si interessava di temi come antropologia culturale, ecologia e politica, e amava gli animali. Aveva avuto due gatti siamesi e un cane."
Il libro di Margo


Storia di Margaret Luoise Skinner
Qualche giorno fa, ho ricevuto il libro di poesie di Margo inviatomi da Charlene. Il libro è dedicato a mio papà Om Prakash Deepak con le seguenti parole: Poeta, filosofo e amico, un grande scrittore indiano, e un rivoluzionario non violento, il suo nome significava "luce".

Nella sua poesia "A Deepak" lei aveva scritto:
Le mie mani sentono ancora il tuo tocco
Vedo i tuoi occhi
Sento la tua voce nel cielo indiano acceso
Sei veramente partito per la tua grande notte?
O sei dentro il mio corpo e il mio cuore?
Anche in alcune altre sue poesie, mi sembra di intravvedere le ombre della loro storia. Per esempio, nella su poesia "Canzone" lei aveva scritto:
Un giorno il telefono squillerà
I cavi canteranno ..
e tutte le nostre ore di stasi
saranno dimenticate mentre attraverserò il mare
per incontrarti, amore
Con il libro di Margo nelle mie mani, penso alle nostra vite che durano solo un attimo. A parte le persone coinvolte, le nostre storie non interessano a nessuno.

Probabilmente se sapevo di questa storia quando ero un bambino, forse ne avrei sofferto anch'io. Invece, l'ho scoperta adesso, 50 anni dopo. Penso che la loro storia merita un ricordo tenero, senza altri giudizi.

Ed è per questo che l'ho voluta scrivere.

***

giovedì 10 gennaio 2008

Lo scrittore: Una Questione di Identità

Quando sono stato presentato agli ospiti come “uno scrittore che vive in Italia”, sono rimasto un po' interdetto. Ero a casa di Om Thanvi, un amico e il responsabile di Jansatta, uno dei maggiori quotidiani nazionali in India. Tra gli ospiti c'erano diversi scrittori, artisti, e musicisti. Qualcuno lo conoscevo già. Altri li conoscevo solo di nome, perché avevo letto di loro nelle riviste e nei giornali. Ogni volta che lui mi presentava a qualcuno sentivo una strana sensazione di piacere e disagio, mescolato ad un piccolo senso di colpa.

Om Thanvi, giornaista e scrittore indiano

Non volevo diventare uno scrittore. L’avevo deciso quando ero piccolo.

Forse avevo cinque anni quando scrissi un piccolo racconto per Parag, una rivista indiana per bambini. Il racconto parlava di un grande topo che amava mangiare i dolci laddu. L’avevo fatto vedere a una delle mie zie. Mi aveva detto: “Sei proprio bravo, diventerai uno scrittore come il tuo papà”. Allora forse non sapevo cosa volesse dire “essere uno scrittore”, ma mi erano piaciute le sue parole perché aveva detto “come il tuo papà”, che aveva scritto tre romanzi, tradotto una ventina di libri dall'inglese ed era un giornalista conosciuto.

Da bambini, io e le mie sorelle, eravamo circondati da scrittori e artisti indiani in famiglia, a partire dalla mia nonna, dalle mie zie e dai miei cugini. Ricordo la delusione della nonna paterna quando, una delle riviste locali, le aveva rimandato indietro il suo racconto dicendo che non era adatto per la pubblicazione.

C’era anche un libro scritto dal nonno materno sul gioco dell'hockey, che lui non era riuscito a far pubblicare. Avevo con me, tutti questi loro manoscritti mai pubblicati. Purtroppo, ho perso quei manoscritti in qualche trasloco, prima dell'invenzione di internet.

Di tutte le persone che vivevano in quella casa, perché il nonno aveva dato il suo manoscritto a me?

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Avevamo un armadio pieno di libri nella casa, erano libri arrivati per le recensioni, perché il mio papà era anche un critico. Non mi ricordo quando ho iniziato a leggerli, forse quando avevo 6-7 anni. Libri di autori indiani, oggi considerati autori classici, come Nanak Singh, Rangey Raghav, Krishen Chander, Mohan Rakesh e tanti altri. Non c’era un libro in quell'armadio che non avevo letto. Qualcuno di quei libri, letti quando ero un bambino, li ho ancora con me. (Nota: Qualche anno dopo aver scritto questo post, li avevo regalati tutti alla biblioteca multi-etnica di Bologna).

Quando ero un bambino, qualche volta, alla sera, andavo al coffee house di Connaught Place con i miei genitori. Quel Caffè era famoso come il ritrovi degli scrittori e artisti. Oggi in quel luogo c’è la stazione della metropolitana di Delhi. Ci incontravamo con gli amici di papà. Quanto fumo di sigarette e quante tazze di caffè nero che si bevevano!

Assistevo affascinato alle loro discussioni appassionate e infinite sulla lotta di classe, sulla difesa delle lingue indiane, sui poveri e sugli oppressi. La loro passione era coinvolgente, ma vedevo anche che erano quasi tutti poveri, proprio come noi. Penso che sia stato li, in quel coffee house, che iniziai a chiedermi se valeva la pena di fare lo scrittore. Fare lo scrittore e guadagnare abbastanza soldi, era un mestiere difficile.

Papà lavorava come responsabile di Jan, il mensile del partito socialista indiano. Scriveva anche per altre riviste. Ma questo non era lavoro per lui, era la sua passione, era la sua idealità. Scriveva sempre, ma, non guadagnava mai abbastanza. Neanche la mamma guadagnava molto come insegnante della scuola elementare. Per cui, in casa i soldi non erano mai sufficienti. Non sono mai andato a letto affamato, ma ero molto consapevole che bisognava stare attenti ad ogni centesimo.

Per esempio, c'è stato un periodo quando avevo due pantaloncini. In biblioteca, la signora mi aveva chiesto di non portare quelli pantaloncini, “Ti sono troppo stretti. Poi, non sei più un bambino, dovresti portare i pantaloni lunghi fino ai piedi.” Ma non ne avevo detto niente in casa perché sapevo che era un momento difficile e non c’erano soldi per comprare i nuovi vestiti. E poi, un giorno mentre cercavo di recuperare la mia palla dal muretto della chiesa davanti alla nostra casa, che aveva il filo spinato per scoraggiare i ladri, i miei pantaloncini, di color bianco con l'orlo blu, si erano strappati. Correva giù sangue dalla coscia dove il filo spinato mi aveva punto, ma il mio primo pensiero fu per mia mamma, come farà adesso? Dove troverà i soldi per comprare i pantaloncini nuovi?

Penso che era in quelli giorni che ho deciso che non avrei fatto mai lo scrittore. Non fu una decisione chiara e netta ma qualcosa che si era maturato dentro di me, poco alla volta. Quando arrivò il momento delle iscrizioni alla scuola superiore, informai papà che mi ero iscritto ai corsi di scienza e biologia, perché avevo deciso di fare il medico.

Infatti, ho studiato medicina, e ho lavorato come medico, nei programmi di cooperazione internazionale, sopratutto con i malati di lebbra e con le persone con disabilità.

Le parole non mi hanno mai lasciato, ho continuato a scrivere, ma non mi definirei uno scrittore. Qualche articolo per un libro o una rivista, qualche racconto - poco alla volta, lo spazio occupato dalle parole nella mia vita si è allargato, e continua ad allargarsi sempre di più. Scrivo sopratutto in hindi e in inglese, ma qualche anche in italiano. Da diversi anni cerco di scrivere un libro, ma penso che la confusione delle lingue mi fa da ostacolo. Ma la mia identità, come mi vedo dentro di me, non mi riconosce come scrittore. E si che ora sono grande, dovrei avere la capacità di superare paure infantili!

E’ per questo che quando il mio amico Om mi aveva presentato come lo “scrittore che vive in Italia”, mi ero sentito strano.

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Fra dieci giorni, il 18-19 gennaio 2008, vi sarà una manifestazione letteraria a Torino, organizzata da Fondazione Grinzane Cavour. Sono stati invitati circa 15 autori indiani. Alcuni di loro come M.J. Akbar, Shashi Tharoor, Tarun Tejpal, Anita Nair, Thrity Umrigar, sono nomi famosi. Altri come Lavanya Shanker, Altaf Tyrewala, sono nomi meno conosciuti, forse sono i nomi del futuro. Vi sono anche persone che scrivono in lingue indiane come Uday Prakash, Bhagwan Dass e Gayathri Murthy. Tra di loro, c’è anche il mio nome.

E di nuovo, ho questa sensazione strana. Sento un miscuglio di piacere, disagio e senso di colpa, quando penso al mio nome messo li, in quella lista tra gli “scrittori”.

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giovedì 19 gennaio 2006

Rientro Dall'India

Non tutte le volte mi dispiace tornare dall'India. Anzi, delle volte quando sono in giro da molti giorni, non vedo l'ora di tornare in Italia. Invece questa volta, il rientro è stato così difficile, quasi traumatico. Nei primi giorni, tutto sembrava così senza colore, senza vita. Forse ero un po' depresso. (Nella foto, Marco con alcuni parenti)


Questa visita in India era magica dal primo momento. Il nostro volo si era atterrato a Delhi intorno alle 01,00 di notte e quando siamo arrivati a casa della mia sorella Vinny, erano forse le 3,00. Vinny è venuta ad aprire la porta. Dopo i primi saluti sussurrati per non svegliare gli altri, pensavo che tutti andremmo a dormire. Invece ci siamo subito trovati seduti sui materassi per terra a parlare. Poco dopo, sono arrivati anche il mio cognato Arun e la nipote Tuktuk, e poi, mia mamma e alla fine, mia altra sorella Pinky. Tutti svegliati dal suono delle nostre voci, tutti sorridenti, e tutti sotto le coperte a parlare e scambiare le ultime novità.

Per tutto il periodo della nostra permanenza, è stato così, sempre tutti insieme, a parlare, cantare e ballare. I nostri spazi personali erano ridottissimi, non c'era privacy quasi mai, c'era un'invadenza continua, ma era così piacevole questo sentirci insieme, forse un po' disperatamente perché tutti sapevamo che sarà difficile che ciò avverrà di nuovo in futuro.

Mia mamma che ha l'Alzheimer, come per magia, aveva riacquistato il suo buon umore e memoria. Vederla tutta sorridente, ansiosa di farsi dipingere le mani con l'enne, o ballare con gesti goffi insieme a Vinny mentre io, Pinky e Nadia cantavamo, era commovente.

Questo soggiorno in India, resterà nei nostri cuori per molti anni.

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sabato 7 gennaio 2006

Buon Inizio del 2006

Il modo migliore per iniziare un nuovo anno e' di partecipare ad un matrimonio. E' cosi' che abbiamo iniziato il nostro nuovo anno a nuova Delhi in India.

Auguri di Buon 2006 a tutti voi. (Nella foto mia mamma, mio figlio e mia nipote, a Nuova Delhi)

Siamo arrivati a Delhi il 26 dicembre e subito ci siamo messi a girare tra i negozi. I vestiti per il fidanzamento, quelli per il matrimonio, quelli per il ricevimento, gioielli da regalare alla sposa, menu per i 200 ospiti del ricevimento, organizzare l'orchestra, fissare il cantante per la serata del ricevimento ... le cose da fare erano infinite, ma la più importante di tutti era ballare e cantare tutte le sere fino a notte tardi.

Nella casa di mia sorella dove eravamo ospiti regnava caos con parenti da tutte le parti, bagni occupati, qualcuno che voleva the' senza zucchero, altro che voleva tanto latte nel caffé, un altro che aveva mal di pancia. Per 10 giorni, abbiamo fatto le corse. Ora è finito tutto e la casa si e' svuotata. Siamo impegnati nelle ultime cose da fare prima del nostro rientro in Italia fissato per il 12 gennaio.

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venerdì 2 dicembre 2005

Assassino di Gandhi

E' morto Gopal Godse. Aveva fatto 18 anni di carcere per aver cospirato all'assassinio di Mahatma Gandhi. Invece, era suo fratello maggiore, Nathuram Godse, il quale aveva premuto il grilletto della pistola e sparato il colpo che aveva ucciso Gandhi. Nathuram fu impiccato. 

Scultura di Mahatma Gandhi

Gopal Godse non si è pentito del suo gesto fino alla sua morte. "Se potrei, lo rifarei", diceva.

Lo smembramento della sua "nazione", la creazione di Pakistan e l'idea che musulmani non potevano vivere in una società multi religiosa come India, erano alcune delle idee di Mahatma Gandhi che lui non accettava.

In un'intervista, prima di morire, Gopal Godse aveva detto, "Se amare il tuo paese è un peccato allora puoi dire che avevamo sbagliato. Il nostro sogno è di riunire la nostra grande nazione (India e Pakistan) come era una volta, anche se ormai vi vorranno delle generazioni che ciò avvenga."

Secondo lui se Gandhi si sarebbe opposto allo smembramento dell'India, gli inglesi non l'avrebbe fatto. "Invece di opporre, lui acconsentì e accettò di dare 55 miliardi di rupie come 'donazione' a quel nuovo paese dei serpi, il quale ci ha attaccato subito per ringraziarci! Se gli islamici non potevano vivere in India e avevano bisogno di un loro paese separato, come mai oggi in India abbiamo più musulmani che in Pakistan?"

Il trauma dello smembramento del subcontinente indiano ha ancora oggi, dopo 58 anni, alcune ferite aperte che si risvegliano periodicamente. Si pensa che più di 1 milione di persone morirono in quei giorni della divisione dei due paesi e 20 milioni di persone avevano perso le loro case e tutto quello che avevano, per diventare dei rifugiati.

K. P. S. Gill, famoso capo della polizia indiana, ha scritto un bel articolo su Heartland, la rivista inglese di Limus, dove lui ripercorre le lotte per motivi religiosi in India e conclude che con il passare degli anni, il numero di questi disordini è in diminuzione. Spero che sia vero.

Comunque, anche oggi i sentimenti verso l'apostolo di pace, Mahatma Gandhi, venerato in tutto il mondo, sono spesso ambigui in India. Mentre tutti sembrano riconoscere il significato profondo del suo messaggio di "satyagraha" (la lotta per la verità) e "ahimsa" (non violenza), molti indiani lo ritengono corresponsabile della partizione dell'India e la perdita di tante vite umane, oltre a creare una nuova ferita al fianco dell'India dove periodicamente scoppiano le guerre, ed i due paesi con milioni di poveri, spendono preziose risorse per costruire bombe atomiche.

Personalmente penso che nessun politico aveva pensato che la creazione di Pakistan avrebbe portato a tanto spargere di sangue e forse molti pensavano che era una cosa temporanea, niente di significativo. Penso che quando parlava Jinnah, il responsabile del partito lega musulmana, molti indiani non lo prendevano sul serio, un po' come succede qui quando Bossi parla della sua nazione del nord!

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La partizione dell'India aveva avuto un impatto diretto sulla famiglia di mia mamma.

Mio nonno paterno apparteneva ad una famiglia feudale della regione di Jhelum, e aveva vasti terreni in quell'area. Lui aveva frequentato il Presidency College di Lahore dove studiavano i rampolli delle famiglie ricche e poi aveva trovato lavoro come ufficiale per il ministero degli interni. Quando il governo inglese decise per la partizione dell'India, mio nonno aveva scelto di andare a vivere in Pakistan perché voleva salvaguardare le terre della sua famiglia e pensava di avere molti amici in Pakistan. Invece, quando è arrivato in Pakistan, scoppiavano i disordini con l'uccisione degli indù.

Liaquat Ali, il primo primo-ministro del Pakistan, era un suo amico, gli consiglio di tornare subito in India perché era troppo rischioso per lui in Pakistan. Così, alla fine era tornato in India come un povero profugo. A Delhi, riuscì a riavere il lavoro presso il ministero degli interni, ma non più come ufficiale, ma come un impiegato semplice, e fu visto con sospetto perché aveva scelto il Pakistan. Fino alla sua scomparsa, rimpiangeva la sua casa, le sue terre, e gli amici, rimasti in Pakistan.

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