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domenica 10 aprile 2022

Raccontare le Caste

Ogni mese il nostro gruppo di lettura sceglie un libro da leggere e poi ci riuniamo per scambiare le nostre opinioni. Questo mi costringe a leggere dei libri che altrimenti eviterei.

Per esempio, il libro di questo mese (aprile 2022) è “La Treccia” scritto originariamente in francese da Laetitia Colombani e tradotto in italiano da Claudine Turla. Non penso che l'avrei cercato senza la spinta del mio gruppo.

La casta di uno dei personaggi indiani di questo libro gioca un ruolo importante nello sviluppo della sua trama, ma le descrizioni della sua vita hanno molti errori. In questo scritto voglio parlare di alcune delle difficoltà di raccontare le caste.

Le immagini usate in questo scritto sono di un gruppo emarginato che si occupa dei rifiuti nel nord-est dell'India, con il quale avevo lavorato alcuni anni fa.

La Complessità delle Caste

Penso che sarebbe meglio iniziare con qualche informazione sulla casta della mia famiglia, per darvi un’idea della complessità del tema. Miei genitori venivano da due parti diverse del subcontinente indiano e appartenevano a due caste diverse. Entrambi erano seguaci di Mahatma Gandhi. Mio padre, ancora giovane, aveva deciso di "uscire" dalla sua casta, rinunciando al cognome della famiglia e assumendo un cognome inventato, “Deepak” (lampada). Perciò formalmente non appartengo ad una casta specifica.

Questo ci porta alla mia prima spiegazione per le persone che si chiedono come mai l'India non riesce a superare questo sistema – le caste delle famiglie si esprimono attraverso i loro cognomi. Quindi, pensate a come si potrebbe far cambiare i cognomi ad un miliardo di indiani senza creare altri problemi burocratici?

Il sistema è anche incredibilmente complesso, perché si esprime attraverso i Jaati, i sottogruppi delle caste - ogni casta è suddivisa in centinaia di Jaati principali, ognuno dei quali suddiviso in numerosi sottogruppi e con una diversità di regole da osservare che riguardano soprattutto i matrimoni, il mangiare insieme e i rapporti sociali. Qualche volta, i gruppi ed i sottogruppi possono avere gli stessi nomi ma che occupano livelli molto diversi tra di loro nella gerarchia sociale in diverse parti del paese. È come un albero gigante con centinaia di tronchi, e ogni tronco con centinaia di rami e ramoscelli. Raccontare la vita di un sottogruppo delle caste è difficile anche per i narratori indiani, se non li hanno osservati o studiati da vicino.

Il secondo aspetto che complica tutto è che il sistema delle caste non si limita soltanto alle discriminazioni verso alcuni gruppi emarginati, il che potrebbe essere visto come un suo effetto collaterale, ma la sua funzione principale è quella di delineare le regole della vita sociale dei gruppi e per questo è valorizzato dalle comunità. Le caste, per centinaia di milioni di persone, rappresentano i legami con i loro clan. Per cui, non è realistico pensare all’eliminazione del sistema delle caste a breve termine, piuttosto, bisogna pensare a come eliminare le discriminazioni sociali legate ad esse. Con urbanizzazione i vecchi legami dei clan spariscono, così un giorno spariranno anche le caste, ma in tanto bisogna agire per eliminare il suo impatto negativo sulla vita delle persone.


Dopo questi chiarimenti, ora possiamo parlare del libro.

La Treccia di Laetitia Colombani

Il libro racconta la storia di tre donne in tre paesi diversi – Smita, una donna della casta degli intoccabili in India, Giulia che lavora nel laboratorio del padre in Sicilia, e Sarah, un avvocato in carriera in Canada. In questo scritto, mi soffermerò sul personaggio di Smita.

La storia di Smita, ha delle descrizioni molto intense ed emotivamente forti. Per esempio, l’autrice descrive in maniera molto vivida che cosa significa raccogliere gli escrementi delle persone con le mani nude o come si sente quando si va nei campi a catturare i ratti con le mani, per poi ammazzarli, cucinarli e mangiarli. Sicuramente l’autrice ha fatto delle ricerche approfondite e forse ha parlato con delle persone che conoscono il sistema delle caste e la situazione degli intoccabili. Tuttavia, è evidente che l’autrice non ha mai vissuto con loro o visto la loro vita da vicino.

Le Descrizioni Errate: Per esempio, partiamo dai nomi dei 3 personaggi della famiglia (Smita, Lalita e Nagarjun) – questi non sono nomi giusti per i personaggi nella situazione descritta nel libro, perché denotano un contatto con la cultura popolare e urbana. Se questa famiglia aveva un televisore o abitava in un centro urbano, i nomi di Smita e Lalita potevano starci. Invece, Nagarjun, è il nome di una divinità venerata nel sud dell’India e non sta bene in una famiglia ambientata nel nord. È come se una famiglia tradizionale in Sicilia ai primi del novecento avesse nomi come Walter e Elisabeth.

La descrizione del loro villaggio, la posizione del loro pozzo d’acqua, le descrizioni della loro capanna e delle preghiere al dio Vishnu, sono tutte sbagliate. I mestieri di Smita (raccogliere escrementi) e di Nagarjun (catturare ratti) appartengono a due gruppi diversi, i Bhangi e i Musahar, che normalmente non si sposano tra di loro perché hanno diverse collocazioni nella gerarchia delle caste. Questi sono alcuni esempi e il libro è pieno di dettagli errati riguardo la vita di Smita, che è descritta senza nessun riferimento al suo gruppo sociale, alle persone della sua casta che vivono nelle case intorno a lei.

Un lettore che non si rende conto di tutto questo può immergersi nella storia e lasciarsi trasportare dagli eventi. Invece per me questi errori erano come dei sassolini nella scarpa che ostacolavano la mia lettura.

Difficoltà di Scrivere delle Caste

Comunque come ho spiegato sopra, il sistema delle caste in India è complesso ed è difficile da capire per le persone che non sono cresciute dentro. Per cui, spesso gli autori e i giornalisti stranieri, anche quelli che vivono per anni in India, possono commettere degli errori quando ne parlano.

Per esempio, nella recensione del filmLa Tigre Bianca”, scritta da Piero Zardo e uscita sulla rivista “Internazionale”, iniziava con le seguenti parole: “Tratto dal romanzo di Aravind Adiga (Booker prize nel 2008), La tigre bianca racconta la parabola di Balram (Adarsh Gourav), un ragazzo di una famiglia poverissima del Rajastan. Balram è un giovane brillante ma la sua condizione sociale gli impedisce di ricevere un’istruzione e di nutrire ambizioni all’altezza della sua intelligenza. Del resto è così che funziona il sistema delle caste.

Quando avevo letto questa frase sul sistema delle caste, ero rimasto un po' perplesso perché nel libro, la casta di Balram non aveva un’influenza significativa sulla trama. Inoltre, avevo visto delle immagini del film dove il ragazzo lavorava in un ristorante o dove si sedeva al tavolo con il padrone. Entrambe queste immagini facevano pensare che la posizione del ragazzo nella gerarchia sociale non era di una casta bassa. Per cui, il sistema delle caste centrava poco con la sua situazione, centravano molto di più, la povertà, la classe sociale e le rigide gerarchie di classi che sono una parte fondamentale della società indiana. Allora perché Zardo aveva fatto riferimento al sistema delle caste?

Penso che i giornalisti e gli scrittori occidentali, quando guardano la povertà e l'esclusione in India, lo fanno soprattutto attraverso la lente delle caste, anche dove questa centra poco, perché associano la povertà economica esclusivamente all’appartenenza alle caste “basse”.


Visione Superficiale delle Caste

Il sistema delle caste in India è in grande evoluzione ed i rapporti di potere tra le diverse caste continuano a cambiare, soprattutto negli ultimi tre decenni. Continuare a pensare e vedere le persone che appartengono alle caste “basse” esclusivamente come vittime e senza capacità di lottare, è uno sbaglio comune.

Anche i giornalisti bravi ed esperti come Federico Rampini possono dimostrare di non capire questi cambiamenti. Per esempio, nel suo libro "L'Eta del Caos" (Mondadori, 2015), lui aveva scritto: “L'obiezione è come fa (India) a chiamarsi democrazia finché esistono le caste? ... La stortura indiana è enorme, macroscopica, innegabile. Le caste esistono da quando esiste la religione induista ...

Mettere in discussione la democrazia indiana perché esistono le caste dimostra una non conoscenza delle lotte politiche intraprese dalle cosiddette caste basse negli ultimi settant'anni. Loro hanno i loro partiti e più volte hanno vinto le elezioni in diverse regioni, hanno fatto parte dei governi a vario livello e più volte hanno occupato i ruoli di primo piano compreso quello del presidente della repubblica. Tutto questo non poteva accadere se l’India non era una democrazia.

Alla Fine

Il sistema delle caste è un mondo complesso che permea ogni strato della società indiana, soprattutto nei rapporti sociali. Nelle città il sistema ha perso molte delle sue funzioni discriminatorie e se uno ha i soldi, la sua casta potrebbe non avere nessun impatto sulla sua vita. Certo, può succedere che una persona benestante di una casta "bassa" non sia invitata a cena da un vicino di una casta più alta, ma le famiglie benestanti di qualunque casta possono avere come impiegati e collaboratori, le persone di tutte le caste.


Il governo indiano ha messo in atto un enorme programma di assistenza e di aiuti per le caste emarginate. Per esempio, questo programma prevede che una percentuale di posti siano riservati per loro nelle scuole, nelle università e nei luoghi di lavoro. Per accedere a queste agevolazioni servono i certificati di appartenenza alle specifiche caste. Secondo me, questi certificati rendono ancora più forte e radicato il sistema delle caste, ma i gruppi emarginati sono contrari a qualunque cambiamento in questo sistema. Per cui, non penso che il sistema delle caste in India potrà smettere di esistere entro breve.

Nei prossimi decenni, penso che le caste continueranno ad esistere come i clan, ma perderanno ulteriormente la loro capacità di emarginare gruppi di persone. La diffusione dei cellulari e dell’internet a basso costo, stanno arrivando anche nei villaggi indiani più lontani, e portano consapevolezza. Le ribellioni dei gruppi emarginati rimasti nei villaggi costringeranno a cambiare i vecchi mondi ed i vecchi modi di pensare delle persone.

Nota (26 luglio 2022): Ieri, 25 luglio 2022, signora Draupadi Murmu è diventata la quindicesima presidente della repubblica indiana. Signora Murmu appartiene alla tribù indigena dei Santali ed era nata in uno sperduto villaggio del distretto di Mayurbhanj nello stato di Odisha nel nord-est dell'India nel 1958. Aveva faticato a frequentare le scuole elementari perché il suo villaggio non ne aveva una. Aveva iniziato la sua carriera come un'insegnante delle scuole elementari. La sua famiglia vive ancora in quel villaggio sperduto. Nel sistema delle caste, i gruppi Adivasi, ai quali appartiene la signora Murmu, è in fondo alla gerarchia. Penso che per una persona come la signora Murmu diventare il presidente della repubblica indiana sia il trionfo della democrazia, ed è un segno di come il sistema delle caste sta cambiando, anche se molto lentamente.

mercoledì 15 gennaio 2020

Il Tempio di Sabarimala e la Parità di Genere

 Alla fine di settembre 2018, la Corte suprema in India ha deciso che il divieto per le donne in età fertile di entrare e pregare nel tempio di Sabarimala – situato nello stato di Kerala nella punta sud dell’India – era discriminatorio e l’ha cancellato. Questo articolo è una riflessione su questa decisione e sul suo significato per la parità di genere. Questo articolo è uscito sul sito Bottega del Barbieri.



Decisione della Corte Suprema Indiana

La decisione sull'entrata delle donne nel tempio di Sabarimala è stata presa da un comitato di 5 giudici, composto da 4 uomini e una donna. Mentre i 4 giudici uomini erano favorevoli a questa decisione, l’unica donna del gruppo era contraria alla decisione perché non vedeva la questione pertinente alla parità di genere.

Da allora sono iniziate le proteste dei “fedeli” – comprese centinaia di migliaia di donne – che hanno bloccato ogni tentativo di entrata di donne nel tempio. Anche i due partiti nazionali, BJP e Congresso, si sono espressi contro mentre il governo dello Statale (guidato dal Partito Comunista) ha sostenuto la sentenza.

All’inizio di gennaio 2019 – alle 3 di notte – due attiviste, scortate dalla polizia, sono entrate nel tempio e hanno girato un video della loro visita, provocando nuove proteste dei fedeli.

Questa storia ha focalizzato l’attenzione sul ruolo delle istituzioni governative nelle riforme religiose in India.

La particolarità del tempio di Sabarimala: Il tempio di Sabarimala è dedicato al dio Ayappa molto venerato nel sud dell’India. Vi sono almeno 40 altri templi più o meno famosi per Ayappa nei quali non vi sono divieti contro la visita delle donne. Il veto esiste soltanto per il tempio di Sabarimala dove, secondo il mito, il dio vive la fase celibe della sua storia, quando lui cercava di mantenere il brahamcharya, ciòè, il celibato.

In generale, nell’induismo non vi sono divieti contro l’entrata delle donne nei templi, anche se esistono alcuni altri luoghi sacri in altre parti dell’India dove le donne non possono entrare e altri dove il divieto riguarda gli uomini.

I fedeli del tempio di Sabarimala dicono che le donne che vogliono entrare nel tempio evidentemente non credono nel mito di Ayappa e non vogliono rispettare il suo desiderio del celibato: sono soltanto attiviste che la vedono come una questione di principio.

Promuovere le riforme religiose: Per secoli le consuetudini, spesso con il sostegno delle religioni, hanno dettato i comportamenti delle società. L’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani dalle Nazioni Unite nel 1948 ha creato un nuovo metro per misurare queste consuetudini. In molti Paesi la crescente consapevolezza verso la violazione dei diritti umani ha stimolato i governi ad adottare nuove leggi che andavano contro quanto sostenevano le autorità religiose.

Riformare le religioni tramite le leggi e tramite le sentenze dei tribunali è particolarmente importante in due situazioni:

(a) Quando vi è un rischio all’indennità fisica e alla vita delle persone: l’antica pratica di sati in India secondo la quale le vedove potevano essere bruciate vive insieme ai loro defunti mariti, rientrava in questa categoria: la pratica fu vietata nel 1829 dall’allora governo coloniale inglese in India. Oggi, la mutilazione genitale femminile, ancora praticata in alcuni Paesi, è un altro esempio. Invece cosa dire della circoncisione maschile praticata su bambini ebrei e musulmani?

(b) Quando vi è una discriminazione sistematica contro alcuni gruppi di persone legata al genere o ad altre caratteristiche (come le caste in India). Dunque orientamento sessuale e appartenenza a certe religioni, etnie o gruppi linguistici sono caratteristiche comuni accompagnate da discriminazioni sistematiche.

Discriminazioni che sono comuni tra i vari gruppi religiosi, soprattutto nei Paesi dove questi gruppi sono la maggioranza. Per esempio in diversi Paesi a maggioranza musulmana essere donna, omosessuale o praticare altre religioni sono tutti motivi per essere discriminati.

Riforme Religiose in India

Sabarimala e altre riforme dell’induismo in India: Secondo me, la tradizione di non lasciar entrare le donne di età fertile nel tempio non era una discriminazione sistematica. Non sono un seguace del dio Ayappa ma se i seguaci lo vedono come un celibe, che non vuole essere tentato dalle donne, non sta me giudicare la loro fede.

L’induismo è fatto da una miriade di modi di interpretare e praticare la religione, tutti ugualmente validi, che vanno dalla negazione di qualunque dio alla credenza in 33 milioni di dèi. Non vi è un libro sacro unico, né un arbitro supremo che può giudicare cosa deve fare un indù. I fondamentalisti induisti vedono questa come una debolezza, vogliono promuovere una visione più ristretta della religione, specificando quali dèi pregare e come farlo. Costringere il tempio di Sabarimala ad accogliere le donne e negare il mito di un loro dio mi sembra una “macdonalizzazione” della cultura e una perdita della diversità religiosa, simile a quella che vogliono i fondamentalisti.

Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947, il governo indiano ha attuato una serie di leggi per la riforma dell’induismo, compreso il divieto a discriminazioni sulla base delle caste e del genere. Il problema più grande dell’induismo è come fare che le nuove leggi siano applicate e siano accompagnate da un cambiamento sociale. Lavorare nelle comunità per il mutamento sociale non è facile, richiede decenni di impegno e passione. Invece per la maggior parte degli attivisti penso sia più facile lanciare proteste nelle città per cambiare le leggi.

Riformare altre religioni in India: Le riforme religiose effettuate dal governo indiano finora hanno riguardato quasi esclusivamente l’induismo. Non hanno voluto toccare le minoranze religiose anche se tutte insieme le minoranze ammontano a circa 200 milioni di persone. Ogni tentativo di riformare le religioni delle minoranze è visto come un modo di rinforzare la destra nazionalista anche quando le questioni riguardano violazioni gravi dei diritti umani.

Per esempio, tra la comunità musulmana in India, è lecita la pratica di “triplo talaq” secondo la quale un uomo musulmano può divorziare la moglie solo ripetendo per tre volte la parola “talaq” anche per sms. Questa pratica è vietata nei Paesi vicini a maggioranza musulmana – Pakistan e Bangladesh – ma ogni volta che se ne parla in India, si alza un coro di proteste non soltanto dagli elementi più ortodossi della comunità musulmana ma anche dagli attivisti e progressisti indiani che in altri contesti lottano per i diritti delle donne.

Un altro esempio riguarda l’abuso sessuale delle suore da parte dei preti cattolici. A luglio 2018 una suora aveva denunciato la violenza sessuale da parte di un vescovo, monsignor Franco Mulakkal. Per mesi, la polizia continuò a interrogare la suora mentre il vescovo girava liberamente. In ottobre finalmente il vescovo fu imprigionato ma dopo qualche settimana è stato liberato e accolto con grandi cerimonie dai fedeli mentre la suora che lo aveva denunciato continua a vivere emarginata, e ha ricevuto minacce di morte. La maggior parte dei giornali indiani hanno fatto finta di niente. Un articolo recente di Tim Sullivan dell’agenza di stampa americana Associated Press ha approfondito la questione parlandone con molte suore di diverse congregazioni e denunciando il silenzio e la complicità della Chiesa Cattolica in India. Invece gli attivisti e progressisti indiani sono rimasti in silenzio.

La difficoltà di parlare dei problemi delle minoranze non è limitata all’India. Per esempio, diverse attiviste afroamericane hanno parlato della difficoltà di parlare della violenza contro le donne nelle loro comunità perché poteva essere strumentalizzata dai razzisti e da persone di destra per fomentare gli stereotipi. Attivisti LGBT musulmani denunciano poco sostegno dai progressisti e liberali occidentali, i quali non vogliono essere visti come islamofobi.

Dall’altra parte, sempre più spesso, i blog e i media sociali danno un’opportunità a ciascuno di questi gruppi di alzare la propria voce e di farsi sentire. Nel frattempo il cambiamento sociale sembra procedere a piccoli passi e qualche volta è costretto a tornare indietro. Penso che se riusciamo a vedere da una certa distanza capiamo che il mutamento sociale è inevitabile.
Conclusione

Penso sia fondamentale cambiare e riformare le pratiche sociali e religiose che non rispettano i diritti umani. Questo non significa appiattire le nostre diversità culturali. In ogni caso, cambiare le società con le leggi e con le sentenze dei tribunali può essere visto soltanto come un primo e piccolo passo; il cambiamento reale richiede tempi molto più lunghi.

Nota: L'immagine usata in questo posto è della festa di Ambubashi presso il tempio di Kamakhaya a Guwahati nel nord-est dell'India dove si celebra il potere femminile sacro di shakti. Non vi è nessun'imagine del tempio di Sabarimala in questo post.


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domenica 14 aprile 2019

Ricerca Emancipatoria

Il 5-6 aprile 2019, ero a Milano al convegno “Essere Persona: La Disabilità nel Mondo” organizzato da AIFO, OVCI e Fondazione Don Gnocchi. In questo convegno ho parlato sul tema “Ricerca Emancipatoria ed Effetti Politici: barriere, discriminazione ed empowerment”.

La ricerca emancipatoria è un approccio innovativo e potrebbe essere di interesse per quanti operano a favore dei gruppi vulnerabili. Per questo motivo, in questo post presento alcuni punti della mia presentazione.

Tipologie di Ricerche

Quando si usa la parola “ricerca”, pensiamo subito ai laboratori e agli scienziati che svolgono delle attività complicate, difficili da capire. Di solito queste sono le “Ricerche Scientifiche”, dove i ricercatori devono mantenere un certo distacco da quello che studiano, per arrivare alle loro conclusioni in maniera neutra.

In campo sociologico, vi sono le “Ricerche Partecipatorie”, dove i ricercatori non sono distaccati dai loro soggetti. Anzi, in queste ricerche, i ricercatori coinvolgono e lavorano insieme alle comunità. Le idee del pedagogista e pensatore brasiliano, Paulo Freire, hanno influenzato lo sviluppo di questa metodologia.

Invece nella “Ricerca Emancipatoria”, sono le comunità stesse in prima persona a svolgere la ricerca. Il concetto di questa metodologia era stato proposto nel 1990 da Mike Oliver, un ricercatore e attivista inglese per i diritti delle persone con disabilità.

Ricerca Emancipatoria sulla Disabilità (RED)

Nella RED, le persone con disabilità sono formate come ricercatori e assistite dagli esperti per svolgere la ricerca. Loro ragionano sui propri problemi che vogliono approfondire e decidono la metodologia di raccolta di informazioni. Sono sempre loro che ragionano sulle informazioni raccolte, e ne traggono le conclusioni. Ciò significa che in una ricerca emancipatoria, le persone con disabilità hanno il potere decisionale su tutti gli aspetti della ricerca.

RED hanno bisogno degli esperti (compreso academici, specialisti, pedagogisti, e rappresentanti delle DPO) – essi hanno il compito di sostenere le diverse fasi della ricerca.

Le RED sono basate sul modello sociale della disabilità e seguono i principi della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD).

Realizzare RED

La metodologia della ricerca emancipatoria può essere utilizzata con tutti i gruppi vulnerabili, anche se la mia esperienza personale è focalizzata soprattutto sul tema della disabilità.

Verso la metà degli anni 1990, i primi progetti di RED sono stati realizzati da persone con disabilità che studiavano nelle università inglesi. Da allora, il concetto è stato adottato da altri e sperimentato in diversi paesi sviluppati. Alcuni ricercatori di RED, che studiavano nelle università occidentali, sono andati nei paesi in via di sviluppo per svolgere le loro ricerche in collaborazione con le comunità locali.

Invece sono state rare le esperienze di RED, sviluppate e sperimentate interamente nei paesi meno sviluppati. Tra le organizzazioni impegnate nella cooperazione internazionale, AIFO ha colto l’innovazione di questa metodologia ed ha cercato di sperimentarla nei suoi progetti.

Nei progetti AIFO, tra il 2009-2019, sono state realizzate 7 iniziative di RED. Voglio presentare brevemente 6 di queste iniziative, nelle quali ero coinvolto, realizzate in India, Palestina, Italia, Liberia e Mongolia.

RED – SPARK, India (2010)

Il progetto aveva identificato e formato come ricercatori 16 persone disabili (8 donne e 8 uomini). Altre 8 persone disabili erano state formate per svolgere il ruolo di facilitatori durante le riunioni. Tra questi 24 individui, vi erano persone con diversi tipi di disabilità compreso quelle intellettuali, quelle dovute alla lebbra e quelle legate alle malattie mentali. Qualcuno di loro aveva frequentato l’università mentre alcuni di loro erano analfabeti. Rappresentavano vari gruppi di età.

I ricercatori avevano identificato 16 temi prioritari e poi organizzato incontri residenziali di 4 giorni su ciascun tema. Su alcuni temi, vi erano riunioni separate degli uomini e delle donne. Circa 350 persone con disabilità avevano partecipato alle riunioni residenziali e complessivamente la ricerca aveva coinvolto circa 3000 persone.



La foto sopra presenta i ricercatori con alcuni membri del gruppo degli esperti, che comprendevano ricercatori academici, specialisti e rappresentanti delle DPO. Nella foto c’è anche il dott. Enrico Pupulin, ex-responsabile del reparto di Disabilità e Riabilitazione dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), il quale ha dato un grande contributo allo sviluppo della metodologia di Riabilitazione su Base Comunitaria ed è stato uno dei primi sostenitori della RED.

RED – Bidar, India (2013)

Era focalizzata sul tema della violenza subita dalle persone con disabilità. Tra i ricercatori, vi erano diverse persone con personali esperienze di violenza.

Questa ricerca aveva riscontrato diversi problemi. Anzitutto, aveva i tempi molto stretti e non vi era sufficiente tempo per il follow-up. Dall’altra parte, la ricerca aveva fatto emergere una situazione grave e diffusa di violenze subite dalle persone con disabilità, con poche possibilità di trovare un sostegno nelle famiglie e nelle comunità. La situazione richiedeva tempo e risorse per rispondere ai bisogni emersi, in collaborazione con le altre organizzazioni presenti sul territorio.

Inoltre, la parte quantitativa della ricerca con le sue analisi statistiche era troppo difficile da capire per i ricercatori.

La foto sopra presenta un momento durante la formazione dei ricercatori mentre essi esercitavano le tecniche di fare le domande durante le interviste. “Role Play”, ciò è, i giochi di ruolo, sono una parte fondamentale della formazione dei ricercatori.

RED – Gaza, Palestina (2014)

Ero coinvolto soltanto nella prima fase di questa ricerca, soprattutto nella formazione delle ricercatrici. Questa era la mia unica esperienza di RED che coinvolgeva soltanto le donne con disabilità.

Il gruppo delle ricercatrici comprendeva 4 donne sorde (che si vedono nella foto sotto), che è uno dei gruppi difficili da coinvolgere in una RED perché devono essere accompagnate da persone che possono capire e tradurre il linguaggio dei segni, spesso difficili da trovare nelle aree rurali dei paesi meno sviluppati. In questo caso, il progetto era riuscito a garantire il sostegno dei traduttori.



Questa ricerca aveva evidenziato come le barriere legate alle disabilità si sommavano alle barriere imposte dalla difficile situazione politica e sociale in Palestina.

RED – Ponte San Niccolò, Italia (2016-17)

Questa ricerca riguardava le persone anziane che vivono nel comune di Ponte San Niccolò alle porte di Padova nel nord-est di Italia, ed è stata la mia unica esperienza di RED che non si limitava al tema della disabilità ma aveva un focus più ampio.

Questa ricerca coinvolgeva diversi esperti dell’Università di Padova e dopo una fase iniziale svolta dalle persone anziane, era stata allargata ad uno studio quantitativo più approfondito sulla situazione degli anziani, svolto da volontari appositamente formati.

Per questo motivo, il ruolo delle persone anziane coinvolte nella ricerca era limitato solo alle prime fasi dell’indagine e da un’iniziativa RED, si era trasformata in una ricerca scientifica.

RED – Mongolia (2018)

Questa ricerca è tutt’ora in corso. La ricerca coinvolge circa 35 persone giovani con disabilità, tutti abitanti della capitale Ulaanbaatar, che sono stati formati come ricercatori. Tra loro vi sono molte persone con disabilità gravi compreso una persona con tetraplegia e un gruppetto di persone con paralisi cerebrale. In generale, loro hanno un livello alto di istruzione, compreso alcune persone con un dottorato.

Il progetto è limitato alle aree urbane. Durante l’approfondimento su alcuni temi, qualche ricercatore ha voluto affrontare anche gli aspetti quantitativi. Un altro aspetto innovativo di questa ricerca è la presenza di alcuni funzionari governativi e alcuni quadri delle DPO come ricercatori - anche se all’interno del gruppo, loro sono presenti in veste individuale e non come rappresentanti delle istituzioni. Sarà interessante valutare l’impatto di questa presenza istituzionale in una RED.



La foto sopra presenta il gruppo degli esperti, dominata dalle donne, che sostiene questa ricerca e che comprende alcuni academici, alcuni funzionari governativi, qualche specialista e qualche rappresentante delle DPO.

RED – Liberia (2018)

Anche questo progetto è tutt’ora in corso e dovrebbe concludere nel 2020. La ricerca svolge in 3 distretti rurali del paese e comprende alcune zone con grandi difficoltà logistiche. Il gruppo di ricercatori è piccolo (12 persone, 75% maschi) e molti di loro rappresentano un basso livello socioeconomico con poca istruzione.

La Liberia ha affrontato lunghi anni di guerra civile finita 15 anni fa e una grave epidemia di Ebola tra 2014-16. Entrambi questi eventi continuano avere i loro riflessi sulla vita delle persone del paese e influiscono anche sulla ricerca.



Le persone scelte come ricercatori, sono soprattutto persone con disabilità fisiche mentre le altre disabilità sono poco rappresentate. Nelle prime indagini condotte da questi ricercatori, si evidenziano molte difficoltà sia per la raccolta di informazioni che per capire il ruolo dei ricercatori.

Mongolia e Liberia

In confronto ai ricercatori in Mongolia, il gruppo Liberiano parte con molti più svantaggi e barriere, anche se i suoi ricercatori hanno disabilità meno gravi.

Le informazioni raccolte, il livello di discussioni e le strategie proposte per superare le barriere identificate, sono molto diverse nelle ricerche in corso nei due Paesi.

Nonostante tutte le differenze, penso che ciascuna ricerca, in modo suo, innesca significativi processi di empowerment tra i partecipanti. Queste differenze sono la ricchezza della RED ed è importante riconoscere e valorizzare queste differenze per cogliere i cambiamenti che queste ricerche possono portare.

Gli obiettivi di una ricerca emancipatoria sono scelti dai ricercatori. Se i ricercatori hanno un basso livello di istruzione e vivono nei paesi con poche infrastrutture e servizi, i loro obiettivi, le loro capacità di raccogliere informazioni e le loro strategie proposte per superare le barriere, saranno diverse da quando i ricercatori sono persone istruite e vivono nei paesi più sviluppati.
Informazioni Raccolte Nelle RED

In generale, le ricerche emancipatorie focalizzano sulle informazioni qualitative. La metodologia RED non è adatta alle indagini quantitative. Come spiegato sopra, in qualche ricerca vi sono individui con capacità di lavorare anche sui dati quantitativi, ma difficilmente i gruppi riescono a ragionare sopra e capire il significato di questi dati.

Spesso gli esperti sono delusi quando guardano le informazioni raccolte in una RED, soprattutto nelle fasi iniziali. Invece con tempo, la qualità delle informazioni raccolte migliora, e si vedono i collegamenti tra le caratteristiche specifiche sociali e culturali delle persone e le barriere che essi incontrano.

Oltre alla raccolta delle informazioni in maniera sistematica, l’obiettivo della RED è di promuovere riflessioni sul significato di quelle informazioni tra i ricercatori e le comunità. Loro ragionano su che cosa possono fare per superare le difficoltà identificate. Sono queste riflessioni che promuovono l’empowerment delle persone e spesso stimolano la nascita di azioni comunitarie. In questo senso, una ricerca emancipatoria, spesso diventa una “ricerca azione”, anche se è difficile prevedere o programmare le azioni che potrà far scaturire.

Difficoltà di Realizzare una RED

Spesso le iniziative di RED sono parte di programmi più ampi. Il personale di questi programmi e gli esperti che sostengono la ricerca, possono avere delle aspettative non realistiche verso il suo processo. Inoltre, spesso questi non capiscono la gradualità dei cambiamenti e qualche volta intervengono con troppa forza, interrompendo il processo.

L’obiettivo principale di RED è di promuovere l’empowerment delle persone ma non sappiamo come misurare questo empowerment. Alcune metodologie sono state proposte per misurare l’empowerment, per esempio, dalla Banca Mondiale, ma esse sono difficili da applicare nel contesto di RED. A livello aneddotico, possiamo avere molte storie raccontate dalle persone coinvolte nella RED che testimoniano il loro empowerment, ma queste storie non sono sufficienti come indicatori.

Un’altra difficoltà riguarda l’identificazione della persona che dovrebbe documentare tutto il processo della ricerca. Per svolgere questo lavoro, idealmente abbiamo bisogno di qualcuno istruito e capace, che può ascoltare i ricercatori con empatia senza cercare di influenzarli o di dominarli – e questo è difficile.

Le discussioni durante le riunioni formali di RED sono una piccola parte del suo processo. Quando parte il processo di ricerca, vi può essere una grande vivacità di discussioni e attività tra i ricercatori e tra loro e le comunità, ma tutto questo avviene fuori dalle riunioni formali e non sempre i responsabili della documentazione hanno la possibilità di raccogliere queste informazioni.

In fine, le discussioni e le interviste sul territorio avvengono nelle lingue locali. Nelle riunioni formali, i tempi sono limitati e spesso i ricercatori non sanno esprimersi bene. Alcune parole e concetti delle lingue locali sono difficili da tradurre. Tutte queste difficoltà creano barriere per la raccolta di queste informazioni nei rapporti.

Per esempio, in un progetto di RED in India, i ricercatori avevano raccolto 18 ore di testimonianze video delle persone dei villaggi. La maggior parte di queste testimonianze erano nei vari dialetti della lingua locale, che variano secondo i villaggi. I traduttori basati nelle città non erano in grado di capirli. Per la loro trascrizione bisognava girare nei villaggi e parlare con le persone locali, il che richiedeva tempo e risorse. Per cui non è stato possibile utilizzare queste testimonianze per documentare la ricerca.
Conclusioni

La ricerca emancipatoria non può sostituire le ricerche tradizionali, ma essa può fornire informazioni che sono difficili da raccogliere in altri tipi di ricerche. Nei programmi comunitari, questo approccio alla ricerca può promuovere la partecipazione e inclusione dei gruppi vulnerabili, e allo stesso momento, può stimolare l’avvio di diverse attività da parte dei gruppi emarginati per contrastare la propria esclusione.

Ricerca emancipatoria può essere realizzata soltanto come un’attività inserita dentro un programma comunitario più ampio, perché richiede la piena partecipazione della comunità. Essa deve essere vista come un processo e ha i suoi tempi di realizzazione.

RED può fornire informazioni specifiche legate al contesto e alla cultura locale delle persone, difficili da raccogliere altrimenti, e promuove empowerment delle persone disabili coinvolte nella ricerca.

La metodologia della RED è nuova e ha bisogno di essere sperimentato. Diversi aspetti della RED, come per esempio, la misurazione dell’empowerment, hanno bisogno di essere definiti.

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sabato 11 aprile 2015

La casa dei colori sgargianti

L’ultima volta che avevo scritto su questo blog era circa 3 mesi fa. Nel frattempo, gli solleciti per avere le mie notizie sono aumentati, per cui penso che è arrivata l’ora di mettermi a scrivere qualcosa di nuovo.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Veramente il mio dialogo con gli amici in Italia continua sempre. E’ un dialogo interno tra Sunil che vive qui e Sunil che abitava a Bologna. I miei due io parlano fra di loro continuamente. Quel altro Sunil, non ragiona esattamente come gli indiani, forse è uno straniero qui che guarda tutto con stupore e si fa delle domande che questo Sunil non farebbe mai. Peccato che non hanno ancora inventato un dispositivo che può prendere queste discussioni e le immagini che li accompagnano, per scrivere un pezzo da pubblicare su questo blog.

Scusatemi se vi sembro un po’ confuso!

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Trovare una casa a Guwahati non era così semplice come avevo pensato. Non vi sono molte agenzie immobiliari qui. Volevo una casa in un quartiere tradizionale di Guwahati, dove abitano le famiglie locali. E la volevo nei dintorni del mio nuovo ufficio per poter venire a lavoro a piedi.

Per alcuni giorni ho girato seduto dietro sulle moto di alcuni agenti immobiliari, ma non avevo trovato niente di adatto. “Non voglio vivere in un condominio, e vorrei una casa nei quartieri di ..”dicevo, ma era come parlare con i muri.

“Cosa ne dice di questa casa? E’ proprio un bel appartamento e vogliono solo 13.000 rupie al mese”, mi dicevano sorridenti mentre proponevano una casa in un condominio in un quartiere dall’altra parte della città.

Avevo cercato anche online ma non avevo trovato molte offerte di case. Alla fine era stato utile il consiglio di padre Paulo. “Scegli la zona che vuoi e vai a fare delle passeggiate. Le case libere avranno fuori un cartello “To let” (da affittare) con un numero di telefono da chiamare. Puoi anche suonare il loro campanello. Presto troverai la tua casa.”

Così ero andato a passeggio e dopo qualche giorno ho trovato questa casa. E’ a 10 minuti a piedi dal mio ufficio. Apparteneva ad un vice commissario di polizia di Guwahati, il quale è morto improvvisamente 2 mesi fa. La sua vedova, una signora molto gentile e un po’ timida, è una persona di cultura, abita al primo piano con i 2 figli, un nipotino e 3 cani.

La mia nuova casa ha 3 stanze, tutte in una fila per cui se avrò qualche ospite, sarà difficile avere molta privacy. Comunque, non penso che avrò molti ospiti qui. La terza stanza ha un angolo cottura.

Accanto a me, vive un’altra famiglia. Il signore di questa famiglia è il seguace di qualche guru. Ho già avuto una piccola lezioncina da lui sull’importanza di seguire le raccomandazioni del suo guru per assicurarmi di rinascere nel genere umano nella prossima vita. Non bisogna fidarsi di musulmani e di cristiani, la nostra è la vera religione, lui aveva concluso. Mi sono trattenuto da dirgli che qualche giorno fa avevo incontrato un suo gemello, un signore di qualche chiesa, vestito tutto di nero, che era convinto che la sua era l'unica vera via per raggiungere il dio.

Invece gli ho fatto un falso sorriso amichevole, mentre pensavo che non diventeremo mai amici! Anzi, cercherò di evitarlo quanto più possibile. Penso a sua moglie e figli – sicuramente avere un marito/padre così non deve essere molto piacevole!

Comunque lui non è del tutto negativo - si alza presto e mi piace ascoltare alle sue preghiere mattutine che iniziano con il suono di una conchiglia. Da qualche parte vicino, deve esserci anche una moschea, perché sento il suo richiamo presto alla mattina come prima cosa quando fuori è buio e sono ancora a letto. Poi quando mi alzo per preparare il caffè, sento le preghiere del mio vicino e il suono della sua conchiglia. Direi che almeno per le preghiere sono a posto.

La casa è circondata dagli alberi. Fuori da una finestra, c’è una piccola pianta di papaia che mi fa molta tenerezza. Durante il giorno sento i richiami dei venditori ambulanti come quello che viene a vendere il pesce fresco e quello che vuole comprare i giornali vecchi e le bottiglie vuote.

La porticina in fondo alla casa, apre su altre case di dietro, dove abitano altre famiglie e dove i loro bambini giocano fuori dalle mie finestre durante il giorno. Ogni tanto vedo qualcuno curioso sbirciare dentro.

Al inizio, mi preoccupavo per le nuvole di zanzare che entrano dalle finestre e cercavo di tenere chiuso tutto. La mia padrona di casa mi aveva rassicurato che queste zanzare non sono cattive, perché non c’è malaria in questa zona.

Comunque, avevo comprato dei vaporizzatori elettrici contro le zanzare, uno per ogni stanza. E avevo comprato anche degli spray molto efficaci contro gli insetti. Poi, un giorno ho visto un piccolo geco in casa (anche quello mi fa molta tenerezza) e ho pensato che non vorrei fargli del male. Anche adesso mentre scrivo, lui sta sul muro vicino a me e mi guarda curioso.

Così ho deciso che non voglio spruzzare spray o vapori in giro, mi basta solo una crema anti-zanzare. Penso che è stata una buona decisione, perché in ogni caso, quelli vaporizzatori non sembravano molto efficaci contro le zanzare (forse dipendeva dal fatto che le stanze sono grandi e i soffitti sono molto alti?). E ultimamente mi sembra di non vedere molte zanzare in giro.

Da fuori, si presenta bene questa casa di 3 piani, dipinta in bianco e rosso.

Casa Sunil, Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Dentro, la mia parte della casa è dipinta in rosa sgargiante. Ho anche un armadio in rosa acceso e verde pappagallo. Immagino che questi colori possano mandare in estasi qualcuno o qualcuna. Invece, nei primi giorni, solo a guardare questi colori mi faceva venire un mal di testa. Ma dopo 3 settimane, comincio a abituarmi. Chissà, se dopo farò fatica a vivere senza colori così belli?

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Amo andare a comprare la verdura. Siamo alla periferia della città. Poco lontano da casa passa la circonvallazione di Guwahati che fa anche da frontiera, dove finisce la città e iniziano i villaggi. Dall’altra parte della strada inizia anche lo stato di Meghalaya.

Mercato dei contadini Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Ogni giovedì e domenica, i contadini dei villaggi vicini arrivano qui per il mercato contadino. Tutto il giorno, una corsia di una strada lunga circa 2 chilometri viene chiusa al traffico ed è occupata dai contadini. Girare in mezzo a questo mercato è bellissimo.

Spesso compro troppe verdure, ma continuo a comprarne nuove ogni volta. Qualche giorno fa ho comprato una verdura che si chiama Ishkus – sembrano delle grosse pere verdi con molta polpa. Non so ancora come si cucinano e quale gusto hanno, ma sono curioso di provarle.

Le verdure costano poco. La maggior parte costa da 10 a 20 rupie al chilo (1 Euro è pari a 66 rupie circa). E sono così belle.

Penso che diventerò vegetariano, perché l’idea di puntare il dito contro una gallina che mi guarda placida o contro un pesce che nuota nella catinella, mi fa sentire male. Sono troppo abituato a comprare il carne in un supermercato dove non vedi l’animale vivo. Trovo angosciante guardare gli animali quando li ammazzano e evito quelle parti del mercato dove vendono anatre, piccioni, galline, pesci e maiali. Per fortuna, posso ancora mangiare le uova!

Sera al mercato dei contadini Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Capisco solo la metà di quello che dicono i contadini. Nella città mi arrangio con l’hindi, ma i contadini non la parlano. Alla fine parlo hindi con quello che secondo me è l'accento assamese, e mi sento un po’ come Paolo Villaggio che parlava inglese in qualche film, stroncando la parte finale delle parole italiane. I contadini mi guardano divertiti senza capirmi.

Devo trovare un insegnante di assamese e studiarla seriamente se voglio avere un rapporto con questi contadini! 

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Una mattina sono stato in quel villaggio dove c’è la discarica dei rifiuti di Guwahati. Per più di qualche chilometro, si vedono le montagne di rifiuti. Arrivano i grossi camion che portano i rifiuti dalla città e quando sono vicini alla discarica, persone li corrano dietro per essere i primi a poter scegliere i loro tesori. Sono soprattutto donne e non pochi sono bambini.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Una grossa colonia di cicogne giganti (Greater Adjutant storks) vive in questa zona cibandosi dei rifiuti. Girano tra i rifiuti anche molte garzette, bellissime con i loro colori delicati, bianco e giallo. E poi vi sono le mucche e i cani.


Cicogne, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Garzette, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

La mia prima impressione quando ero arrivato alla discarica, era di un senso di orrore e di repulsione. La povertà delle persone e vedere quei bimbi che portavano i sacchi dei rifiuti, era come un pugno in stomaco. La maggior parte di queste persone vivono in capanne nei dintorni della discarica, e quasi tutte sono analfabete.

La puzza dei rifiuti stava addosso a quelle persone. Era una puzza dolciastra, faceva pensare alla frutta marcia. Tra i rifiuti c'è molto materiale organico. Inoltre, probabilmente non usano molti pesticidi da queste parti, per ciò i rifiuti possano essere mangiati da diversi animali senza problemi.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Mentre li guardavo ho pensato a che cosa avrebbe detto di fronte a questa realtà, Raoul Follereau? Gli avrebbe guardati come gli ultimi della terra?

Il responsabile di un centro sanitario nel villaggio vicino mi ha raccontato che tra di loro vi sono molti con le malattie dermatologiche. Tra i bambini vi sono molti che sniffano colla e solventi, tanti cominciano a fumare da giovani, e molti adulti sono alcolisti. Non mi sapeva dire sulle malattie più comuni, le disabilità e i tassi di mortalità in questo gruppo di popolazione. “Non vengono qui per farsi curare perché chiediamo una somma simbolica per le visite. Solo quando abbiamo dei campi medici gratuiti vengono a farsi vedere”, aveva aggiunto.

Dopo qualche ora che giravo tra i rifiuti, cominciavo a chiedermi se ci poteva essere qualche aspetto positivo in questa montagna dei rifiuti? Anzitutto che era un lavoro nobile in questo mondo che odia i rifiuti ma che continua a produrne migliaia di tonnellate ogni giorno?

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Dichiararsi contro la civiltà dei rifiuti può essere romantico ma forse ciò non incide sulla realtà. Qui c’è molta ignoranza, ma anche nelle società più progredite, non è facile far ragionare le persone sull’importanza di ridurre i rifiuti. Per esempio, mi ricordo lo scambio di alcuni email con i dirigenti della Coop Adriatica in Italia alcuni anni fa, sul uso dei bollini di plastica appiccicati sulla frutta della marca Coop e la loro risposta che uso dei bollini era necessario e non poteva essere messa in discussione.

In questa città nessuno parla della raccolta differenziata. Per fortuna, la società è ancora povera per cui molte cose si vendono senza pacchetti e sacchetti. Inoltre vi sono quelli che girano nei quartieri per raccogliere giornali vecchi, carta, plastica e bottiglie vuote, per cui le famiglie li tengono da parte e non li buttano via. Poi qui, tutto si aggiusta – dalle scarpe e dai rubinetti, ai frigoriferi, ai cellulari e alle vecchie radio. Ancora far aggiustare le cose costa poco, per ciò conviene.

Nonostante tutto ciò, la città ha circa un milione di abitanti e produce tonnellate di rifiuti al giorno. E’ soltanto grazie al lavoro di queste persone che vivono in mezzo alla puzza e alla sporcizia, che una parte di questi rifiuti possono essere riciclati. Mi chiedo se lanciare una compagna affinché queste persone non devono lavorare in mezzo ai rifiuti, senza poter cambiare il sistema, avrebbe senso?

Mentre scattavo le foto, le persone mi guardavano con simpatia e sorrisi. Gli uomini sui camion che giravano in mezzo ai rifiuti, mi chiamavano per farsi fotografare. Anche un gruppo di bambini che stava mangiando un pezzo di cioccolata in mezzo ai rifiuti si era messo in posa per farsi fotografare.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

E ho pensato alla vitalità di questo luogo, questo brulicare di vita in tutte le sue forme che sembrano convivere pacificamente e mi sono chiesto come è possibile avere questa vitalità? E se guardare solo la povertà, la sporcizia e la puzza, significa mancare di vedere qualche altro suo aspetto fondamentale?

Mi metteva un po’ in crisi, il loro non vergognarsi di vivere e lavorare in mezzo ai rifiuti. E il loro scherzarsi tra di loro, le loro risa, la loro apparente gioia nella vita! Come può essere qualcosa di positivo in questo inferno?

Mentre pensavo tutto questo, una bambina che aveva raccolto alcuni fiori di Bukul da un albero ai margini dei rifiuti, mi aveva fermato e chiesto se volevo un po’ di fiori. “Sono molto buoni da mangiare”, mi aveva detto. Ero rimasto senza parole.

Babina con fiori di Bukul, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Alla fine della mattinata, mi ero seduto insieme ad un piccolo gruppo per chiedere, cosa pensavano se tenevo un ambulatorio in un loro cortile, una mattina alla settimana? “Devi parlare con il padrone”, mi avevano detto. C’è un padrone anche di quel misero gruppo di capanne!

Vorrei anche condurre una ricerca per capire meglio le loro vite e le difficoltà che affrontano. Mi hanno detto che a parte un servizio municipale, non lavora con loro nessun altro gruppo o associazione, ma bisogna approfondire questo aspetto meglio.

Sono tornato da questa visita con molte domande in testa. Sicuramente metà delle cose che mi sembra di aver capito durante questa visita risulteranno sbagliate e bisognerà tornare e riparlare con loro più volte per iniziare a capire da vero come funziona questo loro mondo!

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Poco dopo dove finiscono le montagne dei rifiuti, passa una linea ferroviaria, e dall’altra parte, inizia una grande area paludosa conosciuta con il nome di “Deepor Beel”, la palude di Deep (lampada). E’ un’area protetta con il suo ecosistema, dove vivono diverse specie di animali e di uccelli. In alcune parti della palude, c’è più acqua e là girano le barche dei pescatori.

Nella palude, dappertutto si vedono delle grandi foglie rotonde e carnose, sopra sono del colore verde smeraldo, e sotto sono rosso e viola. Forse sono una specie di ninfee? Hanno i fiori viola che sembrano diversi dalle ninfee?

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Mentre passeggiavo ai margini della palude, a parte qualche raro treno e qualche barca lontana, non c’era nessuno intorno. Sembrava impossibile che poco lontano da questo posto idillico, c’è il formicaio della discarica. Mi chiedevo, se i bambini della discarica ogni tanto vengono qui per sfuggire dalla puzza?

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Ai margini della palude avevo incontrato Ramchandra, un originario di Bihar che vive qui da circa 2 decenni e fa il pescatore. La sua famiglia vive a Motihari, solo il suo figlio maggiore è venuto qui un anno fa, a vivere con il padre.

Cosa vuoi, è così la vita, bisogna sacrificarsi per garantire un futuro alla famiglia”, Ramchandra mi aveva raccontato, mentre le sue abili mani intrecciavano un cestino tradizionale da pesca. Lui vende il pesce al mercato e riesce a guadagnare abbastanza per mandare dei soldi a casa.

Ramchandra e figlio, Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Motihari? Non è quel posto famoso dove Mahatma Gandhi aveva iniziato il suo famoso satyagraha?” gli avevo chiesto.

Per un attimo un sorriso aveva illuminato la sua faccia, “Si, è proprio quello, il villaggio di Mahatma Gandhi dove ho la mia famiglia!” aveva detto orgoglioso.

Era a Motihari nel distretto di Champaran (Bihar), che nel 1917, Mahatma Gandhi aveva iniziato a sperimentare la strategia dello satyagraha (protesta non violenta).

Anche il famoso scrittore inglese George Orwell era nato a Motihari quando India era una colonia inglese. Ma Ramchandra non conosceva il nome di George Orwell.

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domenica 10 novembre 2013

L'India che cambia

Eravamo a casa di un cugino per la festa di "Bhai-duuj", letteralmente "il secondo giorno della luna per il fratello", la festa durante la quale le sorelle pregano per la lunga vita dei loro fratelli. Due giorni prima, in una notte senza la luna, avevamo celebrato la festa della luce (Diwali), quando le case erano state addobbate con le lampade e le candele.

Negli altri giorni precedenti e successivi a Diwali, vi sono altre feste del calendario indù come il Dhanteras e il Vishwakarma puja. E' infatti il periodo festivo più importante in India.

A casa di mio cugino, per celebrare la festa del fratello eravamo in 33 - mio cugino, sua moglie, sua figlia, suo figlio con la moglie, e altre 28 persone, tra i quali altri miei cugini e diversi parenti con i loro figli.

Nella nostra famiglia, come nella maggior parte delle famiglie indiane, tradizionalmente, tutti i cugini e le cugine sono considerati fratelli e sorelle, sia per le festività ma anche per i diritti e i doveri sociali e culturali. Per cui, la cerimonia della festa di Bhai-duuj aveva coinvolto quasi tutti, ad iniziare con la "sorella" più anziana e il "fratello" più anziano.

Un piatto di aarati era stato preparato per il rito con incenso, una lampada e il polvere di roli (polvere di curcuma arrostito affinché diventa quasi marrone-rosso) mescolato con i chicchi di riso. La sorella doveva girare il piatto in un movimento circolare intorno alla testa del fratello, ripetere la preghiera per la salvaguardia del fratello, poi, con il dito indice della mano destra, applicare una punta di roli e di riso sulla fronte del fratello, e alla fine offrire un po' di dolce al fratello. In cambio, il fratello doveva offrire un po' di dolce alla sorella e poi darle un regalo (di solito, soldi) con la promessa di assistere e aiutare la sorella in caso di bisogno.

Bhaiduuj, festa del fratello, Delhi, India - immagini di Sunil Deepak, 2013

Il cugino che ci ospitava quest'anno per la festa del fratello, gli era stato diagnosticato un tumore qualche mese prima. Da quando aveva iniziato la chemioterapia, era dimagrito e aveva perso la maggior parte di suoi capelli. Un altro cugino venuto per la cerimonia, era stato sottoposto recentemente alla chirurgia cardiaca. Per cui, nella gioia di rivedere tante persone che non avevo visto da tanto tempo, c'era anche un po' di malinconia e paura per il futuro.

Partecipavo in questa cerimonia famigliare dopo più di 25 anni. Con alcuni di miei cugini, dall'ultima volta che eravamo stati tutti insieme per questa cerimonia,  erano passati 40-50 anni. Mentre guardavo i loro figli e ascoltavo le loro storie, pensavo a come erano cambiati i tempi.

Soltanto uno dei miei cugini ha avuto un nipotino - nessun altro dei figli e delle figlie di miei cugini ha avuto dei figli. L'età dei circa 20 giovani riuniti quel giorno variava da 25 a 40 anni, ma tranne uno di loro, nessun altro aveva voluto avere dei figli. Voleva dire che i giovani della nostra famiglia erano simili ai giovani in Europa o in America. Penso che 20 anni prima, trovare un simile gruppo di giovani indiani senza figli sarebbe stato difficile.

Uno dei giovani del nostro gruppo convive con una ragazza cristiana di origine cinese mentre un altro si è sposato qualche anno fa con una ragazza di religione sikh. Una delle ragazze che lavora per una multinazionale in India, era accompagnata dal suo compagno cattolico, e mi aveva raccontato che non avevano ancora deciso se e quando volevano sposarsi. Uno dei figli di una cugina convive con una donna divorziata che aveva avuto una figlia dal suo primo matrimonio. Comunque, nessuno di questi fatti aveva creato dello scandalo in famiglia.

Infatti, tutti sembravano accettare questo cambiamento tranquillamente. Durante la serata, una delle giovani ragazze single aveva scherzato che forse avrebbe preferito avere una relazione omosessuale e né anche questo aveva creato un grande scompiglio tra i miei cugini. Invece, un cugino, chiaramente arrivato alla disperazione, aveva sollecitato i giovani a fare dei figli anche se non avevano intenzione di sposarsi!

Forse i miei cugini e i loro figli non sono un campione rappresentativo dell'India. Loro rappresentano la classe educata, molti sono professionisti, altri lavorano per le grandi corporazioni, qualcuno di loro vive all'estero. Tutti sono benestanti e fanno parte della borghesia medio-alta dell'India. Per cui non si può generalizzare il loro mondo per capire come è cambiata l'India.

Tutta via, sono rimasto molto colpito da questo cambiamento generazionale.

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domenica 16 dicembre 2012

Cortigiane e prostitute nel mondo di Bollywood (1)

Cortigiane-prostitute hanno avuto un ruolo importante nel mondo di Bollywood per gran parte del ventesimo secolo. Questo articolo parla di film di Bollywood centrati sulle figure di cortigiane-prostitute. Questa è la prima parte del articolo.

Bollywood Cortigiane e prostitute

Introduzione

Le cortigiane-prostitute sono state delle figure ibride nella cultura indiana. Erano artisti riconosciuti che salvaguardavano la cultura classica, e allo stesso momento, erano persone costrette a vivere ai margini della società. I film centrati sulle loro figure toccano i temi della moralità pubblica e dell'oppressione delle donne. Allo stesso momento, nei film queste figure presentano la possibilità della libertà delle donne dalle rigide norme sociali che le circondano negli ambienti conservatrici. Anche se in maniera indiretta, spesso questi film toccano anche i temi legati alla sessualità delle donne.

Queste figure sono conosciute con diversi nomi nel mondo del cinema di Bollywood - bai ji, mujrewalli, tawaif, vaishya, nachanewali, nautankiwali, nagarvadhu, ecc. Questi nomi non sono sempre degli sinonimi. Ciascuna di queste figure ha alcune caratteristiche specifiche, il suo mondo dove vive e opera, con le sue regole di comportamento. Alcune di loro si avvicinano all'idea della prostituta come la si conosce nell'occidente, ciò è, come oggetti sessuali in vendita o come soggetti esperti nelle arti erotiche. Altre sono più vicine alle figure delle geisha giapponesi, ciò è, soggetti culturali, venerati dai loro seguaci per la loro bellezza e per loro bravura come cantanti, danzatrici o attrici.

La parola "prostituta" ha un significato specifico e porta dentro di se le immagini di un certo modo di essere della persona. Usare questa parola in questo articolo mi fa sentire un senso di disagio perché non esprime esattamente quello che voglio dire. Ma non ho trovato un'altra parola che esprimesse il concetto meglio.

Origini della tradizione di Cortigiane-Prostitute

Alcuni dei nomi più famosi del mondo culturale nell'India pre-indipendente, compreso diverse attrici famose del cinema indiano nascente, provenivano da questo mondo delle cortigiane-prostitute. Solo per citare qualche esempio, le due cantanti famose di quell'epoca, Jaddan Bai (madre dell'attrice Nargis Dutt) e Begum Akhtar, venivano da questo mondo.

Le figure di cortigiane-prostitute hanno avuto origine in almeno due diverse tradizioni. La prima tradizione riguardava le case dei nobili. Le cortigiane, insieme ai cortigiani, erano artisti di talento che trovavano un rifugio e patrocinio presso le case nobili, i quali sapevano apprezzare l'arte raffinata e classica a differenza delle masse comuni, che preferivano le arti popolari.

La seconda tradizione riguardava le nagarvadhu, le spose della città ("nagar" significa "città" e "vadhu" significa "sposa"), ciò è le donne belle e attraenti, identificate quando erano ancora bambine, sopratutto provenienti dalle famiglie povere. Queste ragazze dovevano imparare danza, canto e le arti erotiche, non potevano sposarsi ed erano a disposizione di tutti gli uomini.

Con tempo, queste due tradizioni si sono fuse con il risultato che nella cultura indiana, fino agli anni 1960-70, spesso gli artisti erano visti come persone di dubbia morale. Si potevano invitarli alle funzioni pubbliche per dimostrare  la propria ricchezza e la cultura, ma allo stesso tempo, erano considerati "inferiori".

In una conferenza stampa a Firenze durante il festival River to River 2012, Amitabh Bachchan, il famoso attore di Bollywood, aveva spiegato, "Quando ero bambino, gli artisti erano visti come delle persone immorali e la professione di attore non era considerata adatta alle persone di buone famiglie."

Rishi Majumdar nel suo articolo sulla storia del vecchio cinema Naaz, centro di finanziamento e distribuzione dei film di Bollywood negli ultimi decadi del ventesimo secolo, aveva scritto, "le persone che lavoravano nel mondo del cinema erano guardate con certo grado di disprezzo negli anni cinquanta e sessanta perché c'erano le attrici ebree e le tawaif ..."

Cortigiane Prostitute Bollywood
Un film che in qualche modo forniva una spiegazione sul perché della confusione tra le donne impegnate nelle arti e le prostitute era  "Lekin" (Ma, 1991) di Gulzar. Il film raccontava la storia di un archeologo (Vinod Khanna) che incontra uno spirito (Dimple Kapadia) tra le rovine di un vecchio palazzo in Rajasthan. E' lo spirito di una danzatrice che aspettava qualcuno che poteva aiutarla ad attraversare il deserto per tornare al suo villaggio. Secoli prima, la ragazza era venuta al palazzo del re come una cortigiana per danzare, ma il re voleva anche il suo corpo, e lei avevo preferito il suicidio piuttosto di concedersi al re. Da allora il suo spirito era rimasto prigioniero nel palazzo.

Storie legate alle cortigiane-prostitute sono state molto frequenti nel mondo di Bollywood fino agli anni 1990. A seguito della liberalizzazione economica dell'India, negli ultimi venti anni queste figure sono gradualmente scomparse dalle storie di Bollywood, e sono state sostituite da occasionali figure di prostituite, più vicine a come si intende il termine in occidente, anche se alcuni elementi che caratterizzano le figure di "cortigiane-prostitute" ancora appaiono nei film.

Il mondo delle cortigiane-prostitute somiglia il mondo di Ukiyo-e in Giappone medievale, un mondo ai margine della società, il mondo che comprendeva gli artisti e le geishe.

Gli uomini che abitavano nel mondo delle cortigiane-prostitute, anche essi erano più o meno esclusi dalla società - i mezzani, gli eunuchi, i kavi (poeti che scrivano versi liberi in Hindi) e i shayar (poeti che scrivano versi in urdu e che seguono alcune regole di composizione legate alle lingue arabe e persiane). Insieme alle cortigiane-prostitute, anche queste figure maschili sono quasi scomparse dal mondo del cinema indiano negli ultimi due decenni.

La cortigiana nell'India antica

I film con storie che parlano delle figure delle cortigiane nell'India antica fino all'arrivo del impero Mughal nel quindicesimo secolo, traggono ispirazione dagli antichi testi indù come il Kamasutra e da alcune figure storiche di nagarvadhu famose. La maggior parte di questi film sono ambientati tra il 500 e 100 a.c., quando i guru indiani componevano i libri sacri di Veda e Buddha predicava il suo messaggio di pace.

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Mrichchkattik (la carrozza di terracotta), una commedia in 10 atti, scritta in sanscrito nel 1 secolo a.c., raccontava la storia di Vasantsena, la cortigiana del re, innamorata del povero bramino, Charudutta. Un film del 1984, Utsav (Festa, regista Girish Karnad) , era ispirato da questa storia. Rekha aveva recitato la parte della cortigiana Vasantsena, come una persona consapevole del proprio potere e della propria libertà in una società fortemente patriarcale. Il film presentava anche la figura dell'asceta Vatsyayan che osservava le cortigiane al lavoro con i clienti e li chiedeva di sperimentare nuove posizioni sessuali, per poi descriverli nel suo libro di Kamasutra. Il film non dava giudizi morali sulla figura della cortigiana, anzi dava una visione delle cortigiane come componenti importanti della società. Le donne del film erano persone libere che potevano vivere la loro sessualità senza dover obbedire gli uomini.

Un altro film che parlava dell'epoca buddista (400 a.c.) in India, era Sidhartha (1972) di Conrad Rooks. Questo film non era di Bollywood ma aveva diversi attori famosi di Bollywood, compreso Shashi Kapoor nel ruolo del giovane Sidhartha e Simi nel ruolo della cortigiana Kamala che lo insegna cosa significa fare l'amore. Questa storia presentava una figura del uomo girovago che si sente irrequieto e non sa cosa fare della sua vita. Per cui lui parte per un viaggio per cercare il senso della sua vita e incontra una cortigiana-prostituta. Anche questo tema del uomo irrequieto e girovago che incontra una prostituta è stato ripreso altre volte nel cinema di Bollywood.

Il terzo esempio di questi film che parlavano del ruolo di cortigiana nell'India antica è quello di Chitralekha (1941 e 1962), girato due volte e entrambe le versioni erano dirette dal regista Kedar Sharma. Il film basato sul romanzo dello scrittore in hindi Bhagwati Charan Verma, raccontava la storia dell'amore tra il re Chandragupta Maurya (Pradeep Kumar) e la cortigiana Chitralekha (Meena Kumari) nel 300 a.c. Anche questo film non dava un giudizio morale sulla figura della cortigiana ma piuttosto era focalizzato su un altro dibattito - il dibattito tra la vita centrata sulla soddisfazione dei sensi da una parte, e il riconoscimento della impossibilità di soddisfare i sensi e la ricerca della pace interiore tramite la rinuncia, dall'altra.

L'asceta Kumargiri (Ashok Kumar) viene alla casa di Chitralekha per chiedere carità e predica la rinuncia ai piaceri del corpo.  Chitralekha gli risponde con sarcasmo, "Sansar se bhaghe firte ho, bhagwan ko kya tum paoghe, is jag ko to apna na sake, us jag ko kya tuma paoghe" (Tu che corri via da questo mondo, come farai a trovare il Dio? Se non sei stato capace di accettare questo mondo creato da Dio, come farai a trovare l'altro mondo?).

Ma quando Chitralekha scopre il suo primo capello bianco, all'improvviso capisce che presto perderà l'amore del re e la sua posizione come la cortigiana principale. Così lei decide di rinunciare alle sue ricchezze e di ritirarsi in montagna vicino all'asceta Kumargiri. Ma questa volta è Kumargiri a perdere l'autocontrollo, attirato dal corpo della bella Chitralekha. Così questo film tocca un altro tema - per le donne niente è facile, se vivono nella società sono accusate di attirare e rovinare gli uomini mondani, e se decidono di rinunciare al mondo, sono accusate di rovinare l'autocontrollo degli sanyasi, gli asceti.

Il quarto film che parla delle cortigiane nell'India antica è "Amrapali" (1966, regista Lekh Tandon) basato sulla leggenda della nagarvadhu (sposa della città) di Vaishali nel regno di Pataliputra durante i tempi di Buddha, 500 a.c.

Cortigiane Prostitute Bollywood

Ajatshatru (Sunil Dutt), il re di Magadha, si innamora di Amrapali (Vajayanti Mala) che vive nel regno di Vaishali. Ma Amrapali non può essere sua perché è troppo bella per essere la moglie di un solo uomo, deve diventare la sposa della città e dare piacere a tutti gli uomini che possono pagarne il prezzo. Arrabbiato Ajatshatru attacca il regno di Vaishali e la distrugge. Vincitore lui arriva nel palazzo di Amrapali per dichiarare il suo amore e per chiederle di diventare la sua regina, ma Amrapali è scioccata da morte di migliaia di persone. Lei rifiuta Ajatshatru e diventa una monaca a seguito di Gautam Buddha.

In tutti questi film, le donne sono cortigiane-prostitute - esperte in danza e canto che vivono in palazzi dorati, ma non possono sognare di amare un uomo solo e di avere una famiglia con lui. Invece, hanno maggiore autonomia e libertà. Questi film non fanno un discorso morale sulla prostituzione. I loro canti sono ispirati dalla mitologia indù e le loro danze sono vicini alle danze classiche indiane come odissi e bharatnatyam.

L'arrivo dell'islam e la figura della cortigiana

I film come Pakeezah, Umrao Jaan e Mughal-e-Azam rappresentano la figura delle cortigiane durante l'epoca musulmana, dopo l'arrivo della dinastia dei Mughal intorno al 1450 d.c.

Mughal-e-Azam (1960, "Imperatore dei Mughal", regista K. Asif) parlava della storia d'amore tra principe Shekhu o Jahangir (Dilip Kumar), figlio dell'imperatore Akbar, per una semplice ragazza, Anarkali (Madhu Bala), figlia di una vecchia cortigiana. Questo amore non è gradito all'imperatore Mughal Akbar, il quale fa seppellire viva in un muro la bella Anarkali. Anche se il film presenta Anarkali come una aspirante cortigiana, il film non approfondisce il mondo delle cortigiane ai tempo dell'imperatore Akbar, ma piuttosto è una storia d'amore.

Uno dei momenti più emozionanti di questo film è la scena quando l'imperatore chiede a Anarkali di ballare nella corte per sottolineare a tutti che è soltanto una cortigiana, e Anarkali decide di ballare cantando, "Jab pyar kiya to darna kya" (Se hai deciso di innamorarti allora perché avere paura), l'inno di tutti gli innamorati indiani e lo slogan usato dalla parata gay pride in India.

Cortigiane Prostitute Bollywood
"Pakeezah" (1972, "Pura") del regista Kamal Amrohi raccontava la storia della cortigiana Sahibjaan (Meena Kumari) e il suo amore per il nobile Salim Khan (Raj Kumar). Salim vuole sposare Sahibjaan e sceglie un nuovo nome per la sua amata, Pakeezah, ma Sahibjaan ha paura che per le persone sarà sempre una prostituta.

Ambientato nella prima metà del ventesimo secolo, il film presentava il mondo dorato delle donne Mujrewali, donne che recitavano raffinati gazal e shayari (poesie urdu) e parlavano di alta cultura, ma che allo stesso tempo, potevano essere vendute come prostitute ai ricchi e nobili.

Invece Umrao Jaan (prima versione nel 1981, regista Muzzafar Ali e seconda versione nel 2006, regista J. P. Dutta) era un film biografico sulla vita di una famosa cortigiana di Lucknow del diciottesimo secolo. Il film sottolineava di nuovo l'aspetto esteriore del mondo dorato e la continua ricerca d'amore delle cortigiane-prostitute nell'epoca islamica.

Le cortigiane-prostitute di questi film erano parte di un sistema diverso da quelle delle nagarvadhu nell'India antica, ma anche questo sistema era altrettanto rigido, ed era controllato dalle donne più vecchie. Per alcuni versi, le donne di questi film sembrano avere meno autonomia. Hanno l'obbligo di coprirsi e di non interagire con gli uomini tranne quando deciso dalle matrone della loro casa. Quando escono fuori dal palazzo, portano il velo nero. Si cimentano in poesie scritte in urdu, la nuova lingua dei Mughal nata dal miscuglio di hindi, persiano e arabo. Le loro poesie sono chiamate sher o gazal, entrambe forme di poesia con delle regole grammatiche molto precise. Le loro danze sono legate sopratutto al movimento veloce dei piedi, in stile chiamato kathak.

Le cortigiane e prostitute dell'epoca moderna

Le figure delle cortigiane hanno subito diverse trasformazioni nei film ambientati nell'epoca moderna, ciò è, nel ventesimo secolo. Anzitutto, in questi film il loro ruolo come oggetto sessuale da comprare è più esplicito, anche se conitinuano a richiamare alcuni tratti delle antiche nagarvadhu e delle cantanti-danzatrice dell'epoca Mughal.

I film centrati sulla figura della cortigiana-prostituta spesso hanno delle storie che seguano alcuni filoni di base, anche se ogni tanto vi sono delle variazioni. Le due varianti più comuni di queste storie sono - (1) la ragazza della buona famiglia costretta da alcuni cattivi o da circostanze avverse a sacrificarsi in un mestiere infame, dalla quale poteva uscire solo con la sua morte e (2) la prostituta dal cuore d'oro che ama l'eroe e sacrifica la sua vita per lui.

Un terzo variante di questi film ha come protagonista una bella prostituta, portata dentro una casa dove deve fingere di essere la moglie. Vi presenterò i film più importanti secondo questi filoni tematici.

Il Richiamo alle storie mitologiche

Tutti questi film richiamano alcune figure mitologiche - sopratutto le mitologie di Sita e Savitri. Sita è la moglie di Rama nel poema epico Ramayana e incarna la moglie obbediente, che segue il marito nella foresta, ma quando la sua fedeltà verso il marito è messa in dubbio, è mandata in esilio. Savitri invece lotta con il dio della morte per riavere il suo marito, perché sa che senza il suo marito la sua vita non ha nessun valore.

Queste due figure mitologiche incarnano i valori di patrivrata - essere obbedienti e fedeli al marito, e riconoscere che il valore di una donna sta soltanto all'interno della casa di suo marito. Spesso questi film parlano della sacralità di sindoor, il polvere vermiglione che è simbolo del matrimonio per le donne non vedove, le quali mettono questo polvere sulla fronte e tra i loro cappelli.

Questi film parlano di queste due figure mitologiche per sottolineare che essendo prostitute e contrarie ai valori rappresentati da Sita e Savitri, non potranno mai raggiungere la vera felicità e non avranno mai l'amore sacro di uomo che poteva garantirle il paradiso. Forse ciò serve per ricordare le spettatrici di questi film che non devono lasciarsi confondere dai valori di libertà sessuale e sociale che le cortigiane-prostitute possono rappresentare.

Alcuni di questi film sono a lieto fine, ma in questo caso, spesso di tratta di ragazze di "buona" famiglia finite in un bordello, ma che sono ancora vergini. Soltanto negli ultimi anni, vi sono stati alcuni film dove alle donne non vergini, viene concessa la possibilità di sposarsi con l'eroe.

Un altro mito che si collega a questi film è legato alla storia di Tulsi, la prostituta salvata dal suo amore per il Dio, e trasformata nella pianta di Tulsi (una specie di basilico indiano). Per questo motivo, la pianta di Tulsi dovrebbe essere nel cortile di ogni casa, e dovrebbe essere venerata dalla padrona di casa, ma non può entrare nella casa. Questo mito viene richiamato nel cinema di Bollywood per parlare delle prostitute che sacrificano la propria vita per salvaguardare il matrimonio degli uomini innamorati di loro.

Ragazze delle buona famiglie costrette a prostituirsi

Le brave ragazze delle buone famiglie costrette a prostituirsi è la tipologia di storia più comune di questi film. Alcuni dei film più importanti con variazioni su questo tema sono i seguenti:

Cortigiane Prostitute Bollywood
Mere Mehboob (Mio Amore, 1963, regista H. S. Rawail) appartiene alla categoria dei film "Muslim social", molto popolare nel mondo di Bollywood alcuni decenni fa. Questi film raccontavano storie melodrammatiche di amori impossibili ambientati nel mondo delle famiglie nobili musulmane. A parte qualche raro film come Garam Hawa (M. S. Sathyu, 1973) o Salim langde pe mat ro (Saeed Mirza, 1989) dove si parlava di famiglie musulmane ordinarie o povere, il cinema di Bollywood era ossessionato dai nobili musulmani, con le poesie gazal e i poeti shayar e con una forte influenza culturale sopratutto nel nord dell'India.

Oggi in occidente la tradizione islamica di coprire le donne con il velo nero viene vista come qualcosa di barbarico per segregare le donne. Invece questi film, i Muslim socials, presentano il velo nero come qualcosa di romantico, un mezzo per nascondere le donne e per sollecitare le fantasie romantiche maschili. Questi film hanno molte canzoni che inneggiano alla bellezza degli occhi o dei piedi visti di sfuggita o nascosti dietro i veli neri.

Il film raccontava la storia di un giovane (Rajendra Kumar) che studia all'università e si innamora di una ragazza (Sadhana) di una famiglia nobile. Per fare colpo sulla ragazza, il giovane fa finta di essere ricco. Lui non sa che sua sorella (Nimmi) è una tawaif (prostituta-cantante) che si esibisce per guadagnare i soldi per pagare i suoi studi. Un'ulteriore complicazione è il fratello (Ashok Kumar) della ragazza, il nawab sahib (nobile) - è innamorato della tawaif e la mantiene affinché la donna canta e balla esclusivamente per lui. Era un film a lieto fine per entrambe le coppie degli innamorati.

Mamata (1966, Amore materno, Asit Sen) era la storia di un giovane avocato (Ashok Kumar) che torna dall'estero e trova che la donna (Suchitra Sen) che lui amava è diventata una cortigiana-prostituta. La donna gli racconta che era stata costretta a sposarsi con un uomo molto più vecchio di lei, il quale l'aveva venduta ad un bordello mentre era in cinta. La donna chiede all'avvocato di prendere la sua figlia e di crescerla lontano dal mondo dei bordelli, senza mai parlarle di sua madre.

Anni passano e la cortigiana si trova in prigione per aver ucciso il suo vecchio marito che cercava di ricattarla. Sua figlia, oramai cresciuta e diventata un avvocato (Suchitra Sen) ha il compito di difenderla, ma non sa che è sua madre.

Ram Teri Ganga Maili (Raj Kapoor, 1985) riprendeva un altro tema molto popolare nel mondo di Bollywood tra 1960-70 - l'amore tra una ragazza innocente di montagna e un ragazzo di città.

Queste storie si rifanno al mito di Shakuntala e il re Dushyant. Secondo questo mito, il re rimane incantato dalla semplice ragazza della foresta e la sposa senza testimoni e poi promette di tornare a prenderla. Shakuntala rimasta in cinta fa il viaggio dalla foresta fino al palazzo del re, ma viene respinta perché un incantesimo ha fatto che il re non ricorda niente della sua promessa.

In Ram Teri Ganga Maili (Dio, la tua Ganga si è sporcata), la bella Ganga (Mandakini) che vive in montagna, arriva in città per cercare il ragazzo che l'aveva sposata e dal quale aspetta il figlio. Dopo alcuni mesi, il suo marito torna in montagna ma scopre che lei è andata via e nessuno sa dove. Dall'altra parte, donna sola in città con un piccolo bambino, Ganga è costretta a diventare una prostituta e viene comprata dal padre del suo ragazzo.  Il marito di Ganga è costretto dalla famiglia a sposare una ragazza scelta da sua famiglia e Ganga è invitata a ballare al suo matrimonio.

Cortigiane Prostitute Bollywood
Amar Prem (1972, Amore eterno, Shakti Samant) era storia di Pushpa (Sharmila Tagore) venduta ad un bordello da suo zio. Al bordello Pushpa conosce Anand Babu (Rajesh Khanna), un ricco signore che si sente solo. Di notte Pushpa canta e balla, ma di giorno gioca con piccolo Nandu, un ragazzino che abita vicino. Per Pushpa, Anand Babu e Nandu sono la sua famiglia perché sono persone che lei ama, ma per la società lei è solo una prostituta. Anni passano, la famiglia di Nandu cambia casa. Nandu torna in città dopo molti anni e incontra di nuovo Anand Babu e poi va alla ricerca di Pushpa, oramai vecchia e ridotta in povertà.

Mausam (Stagione, Gulzar, 1975) era la storia del vecchio medico Amar (Sanjeev Kumar) che arriva in montagna e incontra la giovane prostituta Kajri (Sarmila Tagore). Lui non vuole il sesso da Kajri, ma è alla ricerca di Chanda (Sarmila Tagore), la mamma di Kajri, che lui aveva conosciuto molti anni prima durante le sue ferie in montagna, quando era uno studente di medicina. Kajri si diffida di questo vecchio che la chiama beti (figlia). Lei ha già una lunga esperienza della vita e sa che gli uomini usano parole dolci per calpestare e sfruttare le donne.

Anche questo film tocca il tema del ragazzo di città e la ragazza innocente di montagna. Kajri, la prostituta di Mausam presentava il lato brutale della prostituzione, senza romanticismi di Bollywood.

Cortigiane Prostitute Bollywood
Chandani bar (Madhur Bhandarkar, 2001) è un film più realistico sul mondo dei dance-bar, locali dove si beve alcolici, a Mumbai (Bombay). Il film racconta la storia di Mumtaz (Tabu), una ragazza di un villaggio, prima stuprata dallo zio e poi costretta a ballare e prostituirsi in un locale.

Per una volta, la figura del Tawaif era presentata nella sua brutalità e bruttezza senza il solito romanticismo di Bollywood. Il film ha vinto il premio nazionale per il miglior film ed ha aiutato a costruire la reputazione di Tabu come una brava attrice.

Laaga chunri mein daag (La tua sciarpa si è macchiata, Pradeep Sarcar, 2007), è stata trasmessa su Rai 1 nel ambito del ciclo Amori con..turbanti con il titolo "La verità negli occhi" e raccontava la storia di Badki/Natasha (Rani Mukherjee), costretta a diventare un escort girl a Mumbai per pagare gli studi alla sua sorella minore (Konkana Sen). Il film non ha avuto successo commerciale in India ed è stato criticato dalla stampa indiana per aver ripreso il vecchio stereotipo delle ragazze costrette a prostituirsi.

Questa lista dei film sulle donne costrette a prostituirsi non è completa. Con un po' di ricerca sicuramente mi ricorderò di altri film importanti di questo genere. Ciò può dare un'idea dell'importanza di questo tema nel mondo di Bollywood in passato.

(Fine della prima parte)

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domenica 20 novembre 2011

Il grido di Dayamani

Come la festa annuale di Internazionale che si tiene a Ferrara, la rivista indiana Tehelka aveva organizzato la sua festa a Goa. Questa festa si chiama “Think-fest” o “il festival del penisero”. Alcuni amici che erano andati al festival mi avevano detto che è stata un’esperienza indimenticabile.

Qualche anno fa durante un festival letterario a Torino, avevo conosciuto Tarun Tejpal, il fondatore e l’editore iconico di Tehleka. La sua rivista è riconosciuta per i suoi reportage coraggiosi e contro correnti. Oltre a dirigere la rivista, Tarun Tejpal è anche uno scrittore. Tra i suoi libri vorrei segnalare, “La storia dei miei assassini”. Tehleka è stato attaccato più volte dai governi indiani, sia quelli del congresso che quelli del BJP, e dalle grandi industrie, ma nonostante tutto riesce a andare avanti.

Gli interventi del Think-fest di Tahelka si possono guardare al sito della rivista. Se non avete problemi con l’inglese, vi consiglio di vedere questi video. Per esempio, guardate il video di Maajid Nawaz, l’ex-estremista islamico diventato l’anti-estremista. Lui è inglese di origine pakistana. Ho trovato il suo intervento molto interessante.

Invece vi voglio parlare di un altro intervento di questo festival, quello di Dayamani Barla. Dayamani, conosciuta anche come “Dayamani didi” (sorella maggiore Dayamani) è un giornalista di origine indigena e appartiene alla tribù di Munda.

Dayamani Barla, rights of indigenous people in India


Dayamani è cresciuta in mezzo all’emarginazione che i poveri e gli indigeni spesso subiscono in nome del progresso in tutto il mondo. Ha dovuto dormire per terra nella stazione di Ranchi quando era bambina, e ha lavorato come domestica mentre era uno studente, ma nonostante tutto è riuscita a completare il corso di giornalista e ora lavora presso il quotidiano in hindi, Prabhat Khabar, nello stato di Jharkhand in India.

Dayamani sta lottando da diversi anni per i diritti dei gruppi indigeni contro le grandi industrie e contro i politici di Jharkhand. Aveva vinto la causa contro la multi nazionale di acciaio Areclor, proprietà del magnate Mittal, la quale voleva costruire un’impianto per la produzione di acciaio nello stato di Jharkhand. Questa lotta, collegata alle immagini del film Avatar, aveva ricevuto anche molta attenzione internazionale.

Al Think-fest di Tehelka, Dayamani ha parlato in hindi. Penso che l’intervento di Dayamani merita di essere conosciuto molto di più. Per questo motivo ho pensato di tradurre alcuni tratti di questo intervento dall’hindi all’italiano. Invece se potete capire hindi, vi consiglio di non perdere questo suo intervento al sito di Tehelka, perché ascoltare la voce di Dayamani è un’esperienza forte.
"Prima di tutto da parte dei popoli indigeni dello stato di Jharkhand, dell’India e del mondo, vi porto il mio saluto. La società indigena cosa pensa dell’acqua, delle foreste, dei fiumi, delle montagne e dell’ambiente, penso che non solo in India ma in tutto il mondo vi è un grande bisogno di capirlo.
Se voi guardate la storia del mondo, i popoli indigeni hanno sempre scelto di vivere dove vi sono le foreste, i fiumi e le montagne. Per la società indigena, l’acqua che scorre nel fiume, gli uccellini che cantano nel cielo, i raggi del sole, il verde della foresta, tutta l’erba della terra insieme ai fiori e ai frutti, sono tutt’uno con la sua lingua, con la sua cultura, con i suoi valori culturali e sociali, e con la sua storia. La storia del mondo lo dimostra...
Amici miei, la relazione tra il popolo indigeno e la foresta è quella di un figlio con sua madre. L’anno ha 12 mesi e 4 stagioni. In ogni stagione la foresta ci offre frutti, radici, verdure. Nostra lingua, nostra cultura e nostra storia sono intrecciate con la foresta. Per gli altri la foresta è solo un insieme di alberi, la terra è solo un pezzo di terra, l’acqua è qualcosa che si compra in bottiglie, tutto è da vendere e da comprare. Ma non per noi. Per noi l’acqua e la foresta sono i nostri diritti comunitari, sono la nostra eredità e non sono la nostra proprietà. Non li possiamo vendere..
Dayamani Barla, rights of indigenous people in India
Ci dicono che ci ricompenseranno, ci daranno soldi per il fiume, soldi per la terra. Ma chi di voi ha mai venduto la sua madre per i soldi? Noi popoli indigeni diciamo che non esiste un ricompenso che può pagarci il valore della nostra lingua, della nostra cultura, e della nostra storia. Quanto ricompenso mi potrete dare? Potrete pagare il valore dell’acqua pulita? Potrete pagare il valore della storia? Non si può pagare il valore di queste cose.
Ci dicono che senza l’industrializzazione non vi sarà lo sviluppo. Noi chiediamo soltanto lo sviluppo sostenibile, uno sviluppo equilibrato. Da una parte l’agricultura deve sviluppare, dall’altra parte il fiume deve sviluppare, e dall’altra ancora, i valori umani devono sviluppare. Solo se i valori sociali e la nostra storia possono sviluppare allora avremmo lo sviluppo sostenibile. Senza lo sviluppo dell’agricultura e dell’ambiente, non è possibile nessun sviluppo...
India è diventata indipendente 65 anni fa. Subito dopo hanno cominciato a costruire grandi industrie nello nostro stato. Le industrie di SCC, Tata, Bokaro, ecc. Hanno sradicato 10 milioni di persone dalle loro terre per queste industrie, delle quali 80% erano persone indigene. Dove sono andate a finire quelle persone che hanno perso le loro terre? Il governo, la stampa, e gli assistenti sociali, non ti sanno dire, quanti sono e dove sono. Io ve lo posso dire dove sono andate a finire quelle persone e come vivono. Muoiono di stenti. I bambini di quelli che hanno perso le case per costruire gli impianti di Bokaro, SCC, Tata e Birla, muoiono di stenti. Per l’impianto di Bokaro hanno preso la terra di 65 villaggi e quella zona industriale riceve tutta l’acqua, ma quelli che sono stati cacciati via dalle loro terre, muoiono senza acqua, muoiono senza medicine. Non hanno lavoro, non hanno un tetto sulla testa, non hanno da mangiare, i loro figli non vanno a scuola. E’ questo lo sviluppo? Non vi daremmo le nostre terre. Mai più. Vogliamo la giustizia.
Ci chiedete come avremmo lo sviluppo? Venite a vedere le terre dove sono state create le grandi industrie, dove hanno scavato le miniere. Il distretto di Hazaribad, la zona di Bokaro. Centinaia di migliaia di ettari di terra sono diventati sterili. Tutti i nostri fiumi sono inquinati. Il fiume Damodar di Bokaro, una volta la chiamavano Jeevanrekha, la linea della vita, è tutta inquinata. Animali non possono bere la sua acqua, non puoi usare quell’acqua per agricoltura. Così sono morti tutti i nostri fiumi. Ci parlate dello sviluppo. Avete la scienza e la tecnologia, perché non fatte che le nostre terre tornano ad essere fertili? Perché non risuscitate i nostri fiumi. Quello si che sarebbe sviluppo. Quelli che hanno perso le loro terre e che girano nei villaggi come i manovali, quelli che vivono come schiavi per tutte le loro vite, riabilitate loro. Date a loro un tetto per ripararsi, date la scuola ai loro figli affinché possono diventare ingegneri, quello si che sarebbe sviluppo.
Non voglio parlare soltanto di Arcelor e di Mittal. Negli ultimi 10 anni, il governo dello stato di Jharkhand ha firmato 104 accordi con le grandi industrie. Di queste 98 industrie vogliono scavare le miniere e costruire gli impianti di acciaio. Hanno bisogno di scavare ferro dalla terra, hanno bisogno di acqua e di elettricità per funzionare. Soltanto Arcelor vuole 12.000 ettari per l’impianto di acciaio e ha bisogno di altre terre per le sue miniere. Se le 104 industrie si costruiranno nello nostro stato, a nessun agricoltore e a nessun indigeno di Jharkhand resterà un centimetro di terrà da coltivare o di foresta. Non avremmo acqua da bere. Siamo contrari a questo sviluppo.
Questa lotta, non lo facciamo per noi, ma pensiamo alle nostre generazioni future. Dicono che Jharkhand è ricca di risorse minerali. Per questo devono distruggere il tutto il prima possibile? Le generazioni future non avranno bisogno di terra, di foresta e d’acqua? Perché non parlano mai di sviluppo umano?
Tutte le grandi industrie vogliono portare via la terra degli indigeni e non smetterò di lottare contro questo. Mi hanno minacciato che se non smetterò di fare le riunioni nei villaggi per parlare contro le industrie, mi spareranno tanti di quei colpi che nessuno saprà riconoscere il mio corpo. Vi sfido a farlo. Se la morte di una donna può salvare Jharkhand, sono pronta a prendere centomila pallottole nel mio corpo. Resisterò fino al mio ultimo respiro."
Le minacce dei padroni delle miniere non sono vuote. Solo alcuni giorni fa, avevo letto la notizia che hanno ucciso suor Valsa John, una suora che aveva deciso di andare a vivere in mezzo ai gruppi indigeni per lottare contro la costruzione di nuove miniere. La chiesa ufficiale non si è sbilanciata molto per condannare l’uccisione di Sr Valsa perché era vista come una suora contro corrente e scomoda.

Questi stessi meccanismi sono dietro all’espansione del maoismo nelle zone tribali, definiti dal primo ministro indiano come la più grave minaccia alla sicurezza dell’India. Ma se non daranno le risposte alle domande di Dayamani come pensanno di sconfiggere il maoismo?

(Nota: Le immagini di Dayamani sono dal suo blog)

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