giovedì 20 dicembre 2007

Gender gap, la distanza tra uomini e donne

Ieri sera in un quiz televisivo, la domanda era, “Quale di questi stati ha avuto per primo un capo di stato donna”? La ragazza che doveva rispondere alla domanda iniziò dicendo, “India, l’escluderei, forse può essere un paese nordico …”. Alla fine, la risposta alla domanda era l’Islanda. Ma questo mi ha fatto pensare che come le nostre immagini mentali influiscono sulla nostra comprensione della realtà. Quanto ne so io, le donne forti che hanno guidato i loro paesi, non come figure decorative ma in sostanza, sono quasi tutte nel sud del mondo, da Golda Meir in Isreale, Indira Gandhi in India, Bhandarnaike in Sri Lanka, Benazir Bhutto in Pakistan, a Swarnaputri in Indonesia. Invece, se per caso dovessero eleggere Hilary Clinton come presidente degli Stati Uniti, penso che per domande simili, le persone risponderanno “Stati Uniti”!

Sempre ieri, ho sentito dire, “.. la democrazia più grande del mondo, gli Stati Uniti..”. Scusi ma grande in quale senso? Brogli elettorali o prepotenza? Se parliamo del numero dei cittadini che partecipano alle elezioni, la risposta doveva essere l’India.

E invece se la domanda fosse, come stiamo con la parità tra uomini e donne in Italia, quale risposta avreste dato? Il World Gender Gap Report, ossia, il rapporto sulla distanza tra le generi mi ha sorpreso. Non mi aspettavo di trovare l’Italia così in basso.

E’ vero che se devi basare tuo giudizio sulla condizione femminile in Italia su quello che vedi in televisione, non penso che Italia arriverà molto lontano. Basta pensare a tutte le veline, professoresse e personaggi femminili simili, condannate a fare qualche passo di danza e a sorridere in vestiti succinti, mentre sono gli uomini i veri conduttori dei programmi. Quando riescono a fare qualcosa di leggermente complicato, vengono elogiate con “Quante sono brave le mie professoresse!”

Ma pensavo che nella vita reale, le donne italiane non sono poi messe male. Invece il Gender Gap Report, mette Italia al 84 posto nella classifica di 128 paesi analizzati. E’ la Svezia al primo posto nella classifica, lo Sri Lanka arriva al 15 posto, Stati Uniti al 31, Bangladesh al 100, e India al 114 posto.



Il rapporto ha analizzato 4 ambiti per fare questa classifica, vediamo questi ambiti per capire dove le donne italiane non hanno raggiunto la parità con gli uomini:

Ambito economico e opportunità: per le disparità tra i salari percepiti dalle donne e dagli uomini per lo stesso tipo di lavoro, Italia è al 111 posto nel mondo. Il reddito annuale medio delle donne arriva a 18.070, mentre i maschi prendono 38.902. Donne in ruoli di commando sono 21%, e sono 45% per i lavori tecnici e altamente qualificati. Per cui in ambito economico, le disparità tra maschi e femmine sono alte.

Ambito educativo: In questo ambito l’Italia riceve punteggio molto buono. Per esempio, la presenza delle donne nelle scuole superiori e nelle università supera i maschi, per cui in queste due classifiche, Italia è al primo posto nel mondo.

Anche in Ambito della Salute, le disparità non sembrano molto rilevanti.

Ambito politico: Le donne in parlamento sono 17%, donne ministre sono 8% e nessuna donna ha mai occupato il ruolo di capo dello stato e del primo ministro. In queste classifiche, Italia perde molti punti.

Potete trovare molti più dettagli nel World Gender Gap report.

domenica 16 dicembre 2007

Una ricetta indiana: Pollo al burro (Butter chicken)

Introduzione: Si tratta di un piatto delicato ma sostanzioso, sicuramente non adatto se volete perdere qualche chilo! E’ un piatto per le grandi occasioni.

Spezie: Tutte le spezie si trovano presso i negozi asiatici e gli alimentari gestiti da persone dell’India, del Bangladesh e del Pakistan. Le spezie usate in questo piatto non sono piccanti e hanno diverse qualità medicinali – per esempio, il Curcuma è un antisettico e anti infiammatorio, mentre il Cummino è un digestivo. Per conoscere meglio il mistero delle spezie vi consiglio il libro “La maga delle spezie” (pubblicato da Einaudi) della scrittrice indiana, Chitra Banerjee Divakaruni.

Ingredienti:

Una cipolla media, 2 spicchi di aglio, un quadrato di zenzero (circa 2 cm per 1 cm), 1 pezzettino di finocchio (30 gm), 1 pezzettino di carota – tutto frullato insieme in un purée

Olio di oliva: 4 cucchiai

Spezie: sale secondo i gusti, 1 cucchiaio di curcumma, ½ cucchiaio di cummino in polvere, ½ cucchiaio di polvere di coriandolo, 1 cucchiaio di tandoori masala

Carne: ½ chilo di Pollo tagliato in pezzitini (non molto grandi, meglio se senza ossa)

Altro: una scatola di passato di pomodoro (o in cubetti), una confezione piccola di panna da cucina (50 ml), un cucchiaio di burro, 1 cucchiaio di salsa ketchup

Totale tempo di preparazione: 45-60 minuti

Ricetta

(1) Versate il purée frullato in una pentola capiente – personalmente mi piace usare il wok, ma se non l’avete, potete usare una pentola normale, aggiungete l’olio.



(2) Accendete il fuoco al massimo e mescolate il purée con olio. Aggiungete tutte le spezie.



(3) Il purée diventerà giallo. Fateli rosolare per circa 2-3 minuti, affinché il purée inizia a staccarsi dalla pentola.



(4) Versate i pezzettini di pollo e mescolateli con il purèe affinché la miscela di purée e le spezie coprono bene tutti i pezzi di pollo.



(5) Continuate a girare il pollo per circa 10 minuti con il fuoco alto, affinché i pezzettini di carne assumono un colorito rosa.



(6) Aggiungete il passato o i cubetti di pomodoro e un cucchiaio di salsa di Ketchup. Mescolate il tutto per bene per circa 5 minuti sul fuoco alto. Poi, abbassate il fuoco al minimo e coprite la pentola con un coperchio. Lasciate il tutto sul fuoco lento per circa 25 minuti, ma mescolate il tutto ogni tanto. Nel frattempo, potete pulire tutte le cose che avete sporcato fin'ora e mettere la cucina in ordine!



(7) Ora aggiungete un cucchiaio di burro e tutta la panna. Mescolate il tutto sul fuoco basso per circa 5 minuti e poi ricoprite la pentola per altri 5 minuti.



(8) Spegnete il fuoco. Il butter chicken o il pollo al burro è pronto per servire.


Il giorno che avevo scattato queste foto, questo piatto era stato molto apprezzato. Se provate a farlo, fatemi sapere se vi è piaciuto! Buon divertimento in cucina.

giovedì 29 novembre 2007

E dove il pensiero scientifico non arriva?

Chiara Lalli, bioeticista, non è covinta sull’utilità dell’omeopatia e cita uno studio inglese uscito sul giornale inglese The Guardian e la rivista scientifica The British Medical Journal, “Goldacre demolisce le false credenze riguardo ai presunti benefici dell’omeopatia, enorme contenitore in cui confluiscono interessi commerciali, cattiva informazione e vera e propria ignoranza scientifica”. Lei punta il dito contro il fanatismo omeopatico, “I sostenitori, mettendo in discussione la medicina basata sull’evidenza, spesso non adottano misure profilattiche importanti (molti fautori dell’omeopatia si oppongono al vaccino contro la rosolia per i propri figli…)”.

Condivido il pensiero di Lalli soprattutto per quanto riguarda il fanatismo di alcuni omeopati soprattutto in Europa, ma vorrei presentare alcune esperienze personali legate al tema. Forse l’India è il paese dove l’omeopatia, originata in Germania, ha trovato il terreno più fertile per il suo radicamento e per la sua crescita. E’ un sistema di salute riconosciuto dal governo indiano con tanto di università e scuole di omeopatia. Allo stesso momento, in India si riconosce il valore degli omeopati autodidatti e con grande sensibilità e esperienza. In India l’omeopatia è il sistema di cure sanitarie meno costoso in assoluto se confrontato con altri sistemi di medicina compreso altri sistemi tradizionali quali Ayurveda, Sidha e Unani. Spesso i medici omeopati offrono consulenza e medicine gratuite e in ogni caso, acquistare i farmaci omeopatici al mercato costa meno di un decimo di quanto costano le medicine “normali” (dette anche medicine allopatiche). E’ il sistema di medicina meno influenzato da interessi commerciali.

Alla scuola di medicina dove ho studiato a Nuova Delhi, avevo un professore di farmacologia molto scettico sulla medicina omeopatica, e forse è stata la sua influenza che quando ho cominciato a esercitare la professione di medico di base, non parlavo contro la medicina omeopatica, ma non la consigliavo agli altri.

India ha una cultura inclusiva, influenzata fortemente dalle religioni come l’induismo, il buddismo e il gianismo, dove si accettano che vi siano diverse strade per arrivare alla verità. Ciò evita esclusione degli altri perché anche se sono diversi da te, sono ugualmente accettati. Allo stesso tempo, questo modo di ragionare ti permette di sperimentare diversi approcci apparentemente contraddittori simultaneamente. Non ho mai incontrato un omeopata “fanatico” in India che consigliasse le persone di non vaccinarsi!

La mia opinione personale verso l’omeopatia mutò nel 1985, quando rimasi bloccato alla spalla sinistra con un forte dolore. Prima ho provato a curarmi da solo con gli anti infiammatori. Dopo due giorni andai da un amico ortopedico, il quale mi consigliò di cambiare il farmaco e mi disse che se non mi passava, si poteva provare con i cortisonici. Ma avevo già la nausea, i dolori gastrici e l’acidità per le medicine che prendevo. Il sabato andai a trovare mia zia che insegnava all’università e che aveva la pressione alta. Ogni tanto andavo da lei per controllare la sua pressione. Dopo, mentre prendevamo il thé, parlai del mio dolore alla spalla con il mio zio, un ex ufficiale del dipartimento di fisco in pensione e ora un medico omeopata caritativo nel suo tempo libero. Mi fece un sacco di domande sull’ora precisa del dolore, se mi faceva male respirare girato a destra o sinistra e tante altre cose che secondo la mia conoscenza della medicina, non centravano con la diagnosi o con la cura. Dopo lui mi preparò tre piccoli pacchettini di carta di un vecchio giornale e mi disse di prendere il primo pacchettino subito, il secondo alla sera e il terzo la mattina dopo. Erano piccole pastiglie dolci come si usano di solito in omeopatia.

Circa 10 minuti dopo il primo pacchettino, il dolore era completamente scomparso. Ero stupefatto. Pensai che forse era una casualità, forse era un effetto psicologico, ma conservai gli altri due pacchettini, che sono rimasti nel mio portafoglio per anni. Dopo qualche anno chiesi al mio zio di prepararmi qualche altro pacchettino di quelle medicine ma lui non si ricordava le medicine! Per lui bisognava approfondire ogni volta il problema e decidere la medicina adatta secondo quel approfondimento e mi disse che non esiste in omeopatia “una medicina per il mal di spalla sinistra”.

Da quella volta penso alla medicina omeopatica e alle medicine tradizionali in maniera diversa. Posso capire meglio uso delle piante e delle erbe perché tutto sommato il ragionamento scientifico dietro il loro uso è simile a quello che ho imparato alla scuola di medicina. Altri sistemi come agopuntura e omeopatia usano un sistema di spiegazioni che non sembrano logiche con il modo di ragionare “scientifico”. Non pretendo di capirli ma li rispetto.

lunedì 6 agosto 2007

Crescere in una famiglia non convenzionale

Sulla questione del riconoscimento dei diritti delle persone conviventi, compreso gli omosessuali, vi è stata molta discussione sull’importanza della famiglia e se una coppia formata da due persone dello stesso sesso può essere riconosciuto come una famiglia. E’ stato detto che una coppia dello stesso sesso non può essere paragonato ad una famiglia “normale” formata da un uomo e una donna, perché è contro natura, ecc.

Sul nuovo numero della rivista inglese Wellcome Science, è uscito un articolo sullo studio condotto dalla prof.ssa Susan Golombok dell’università di Cambridge sui bambini che crescono nelle famiglie non convenzionali. Prof.ssa Golombok è direttrice del centro di ricerca sulla famiglia in Inghilterra.

La ricerca più lunga riguarda bambini nelle famiglie formate da coppie lesbiche e copre un periodo di 24 anni.

Altre ricerche riguardano i bambini nelle situazioni particolari compreso bambini concepiti nella provetta, bambini nati con la fecondazione assistita (sia dove l’ovulo e lo sperma provengono da genitori naturali che dove lo spera è donato da un donatore esterno), bambini nati da gravidanze portate avanti da mamme affitta-utero.

Come gruppo di controllo la ricerca ha coinvolto i bambini che crescono nelle famiglie eterosessuali.

Vorrei parlare soltanto della ricerca che riguarda i bambini nelle coppie lesbiche, ciò è, formate da due donne, che è la ricerca più affidabile perché copre un periodo molto lungo (24 anni) per valutare l’impatto della famiglia non convenzionale sulla crescita di un bambino. Le altre ricerche coprono un periodo molto più limitato (circa 3 anni), per cui i loro risultati non sono altrettanto affidabili.

Per quanto riguarda i bambini cresciuti nelle famiglie formate da una coppia di donne, le credenze popolari includono le seguenti affermazioni: questi bambini non hanno amici, sono spesso vittime di attacchi e disprezzi da parte di altri bambini, hanno sviluppo psicologico non naturale per cui le ragazze crescono con eccessive caratteristiche maschili e i ragazzi crescono con caratteristiche femminili, bambini cresciuti in queste famiglie hanno maggiore difficoltà a stabilire rapporti normali con le persone del altro sesso, ecc.

Sulla base di queste credenze popolari, in diversi paesi del mondo una donna che vive in coppia con un’altra donna perde il diritto di tenersi i bambini, i quali sono affidati al padre o alle strutture statali dai tribunali.

La ricerca della dott. Golombok non ha trovato riscontri per nessuna di queste affermazioni. I bambini crescono e diventano adulti proprie come i bambini nelle famiglie eterosessuali, ne più ne meno. Secondo questa ricerca la qualità di come una coppia decide di fare i genitori è molto più importante di se è formata da persone lesbiche o meno.

Anzi, in questo studio hanno trovato che i bambini cresciuti in queste famiglie, quando sono diventati adulti, avevano rapporti molti migliori con i partner della propria madre, se paragonati con il rapporto tra i bambini e i loro patrigni nelle coppie eterosessusali dove le mamme avevano risposato, nel gruppo di controllo della ricerca.

lunedì 30 luglio 2007

Bollywood a Bologna

Poco dopo che sono salito in autobus ho capito che stava succedendo qualcosa di particolare. L'autobus numero 18 inizia vicino a casa nostra e quando sono salito, l’autobus era vuoto. Poi alla fermata successiva è salita una famiglia pakistana. Poi, alla fermata successiva, vi erano due famiglie del Bangladesh. E’ raro che le famiglie orientali, maschi, donne e bambini, tutti insieme, escono da casa alla sera dopo le 21,00.



Eravamo un po’ preoccupati che non saranno in molti ad assistere al film di Bollywood in Piazza Maggiore. Tutte le nostre iniziative fin’ora avevano avuto discreto successo ma era diverso organizzare qualcosa in una saletta con 100 posti e organizzare una proiezione in una piazza che può contenere 10.000 persone!

In ogni caso nelle iniziative organizzate dal Comune, la partecipazione di emigrati resta molto limitata.



L’iniziativa era stata organizzata dalla Cineteca di Bologna e dal Comune di Bologna. Avevamo mandato gli email a tutti i nostri contatti, chiedendoli di passare la parola e di far venire quante più persone possibili in Piazza Maggiore perché era una questione del nostro onore. Era la prima volta che Comune si organizzava qualcosa del genere a Bologna.

Sono decenni che si proiettano i film impegnativi (il cienma parallelo) dall'India, nei cinema d’essai delle città. I film come “Matrabhumi”, che parla del infanticidio femminile. Poche persone, sopratutto gli appassionati e gli studiosi del cinema, guardano questi film.



Negli ultimi anni, i film di registi come Mira Nair (Monsoon wedding, Destino nel nome), Gurinder Chadha (Bride and Prejudice, Bend it like Beckham) e Deepa Mehta (Fire, Water) hanno trovato un mercato in Italia, ma si tratta di film girati da persone che vivono in occidente e che cercano di mescolare la sensibilità indiana alle tradizioni cinematografiche occidentali.

Invece il cinema popolare di Bollywood, quello che produce centinaia di nuovi film ogni anno che si vedono in Asia, medio-oriente e Africa, quello che non cerca di adattarsi alla sensibilità occidentale, questo cinema è quasi sconosciuto in Italia.

Il film di ieri sera, Veer Zara, faceva parte di questa tradizione di Bollywood, cinema secondo i gusti indiani.

E’ stato un grande successo. La piazza era piena di emigrati e italiani, forse vi erano più emigrati. Oltre a tutte le sedie già occupate un’ora prima dell’inizio del film, centinaia di persone si erano sedute per terra da tutte le parti in piazza. Era una folla che respirava e viveva il film insieme. La scena quando Preity Zinta appare per la prima volta, si alza dal letto e si mette a cantare, ha fatto scatenare una prima ondata di fischi e applausi. Dopo questa prima espressione dell'apprezzamento, ad ogni canzone, sentivo le persone emigrate sedute intorno a me canticchiare e battere le mani.

Per una sera, gli emigrati asiatici si erano sentiti a casa loro nella piazza di Bologna. Proiettare il film era come legittimare la loro presenza in città.

Una ragazza italiana seduta vicina disse che le piaceva l’eroe, che aveva una faccia molto espressiva. "Si chiama Shahrukh Khan", le disse un bengalese emozionato e entusiasta seduto vicino, "ha girato molto altri film altrettanto belli!"

Forse dopo questo inizio così partecipato, avremmo altre iniziative che riconoscono il valore delle espressioni popolari anche se sono così diverse da forme artistiche più evolute e impegnative.

venerdì 27 luglio 2007

Biciclette – simbolo del consumismo?

Le notizie sul cambiamento climatico e l’inquinamento mi angosciano.

Ho scelto di usare la bicicletta quanto più possibile e così penso di mettere la mia coscienza a posto e posso anche sentirmi un po’ superiore a tutte queste persone le quali hanno bisogno di una grande berlina o peggio, una SUV mangiabenzina e mangiaspazio per sentirsi importanti sulle strade affollate delle città che ormai non hanno più posti liberi dove parcheggiare. Infatti, il giornale di oggi dice che Italia è il secondo paese del mondo per il numero delle macchine per abitanti, secondo soltanto al piccolo e ricco Luxemburgo, che abbiamo una macchina ogni due persone.

Ma ultimamente ho un dubbio: se anche la mia amata bicicletta è entrata nel meccanismo del consumismo e che ormai come individuo non posso fare niente per contrastare questo?

Prima di tutto oggi non puoi più comprare una bici semplice, ciò e senza il cambio shimano e senza tutta quella ferraglia che fa parte di questo cambio, e che è inutile sulle strade delle città.

Poi, quando ti si buca una ruota, che cosa fai? Cerchi qualcuno che te lo può aggiustare. Non è così facile come sembra. Sembra che la maggior parte delle persone che aggiustano le bici a Bologna sono vecchi e quando essi chiudono il negozio per qualche motivo, nessuno lo vuole riaprire e continuare il lavoro. Forse non c’è più interesse in questo mestiere perché non si guadagna bene? In ogni caso, penso che tutti i sud asiatici che aprono negozi clonati di alimentari, tutti clonati e tutti nella stessa zona in competizione con tutti gli altri, forse loro non l’hanno ancora che questo è un campo libero? Da una parte si dice non c’è lavoro, non sappiamo come contrastare questi centri commerciali che stanno ammazzando tutti i piccoli negozi e dall’altra, se hai la ruota della tua bici bucata, devi fare chilometri per trovare uno che te la può aggiustare!

E poi se trovi uno che te la può aggiustare, indovina cosa ti dirà? Dirà, costa troppa fatica aggiustare una camera d’aria, faccio prima cambiartela. E’ vero che comprare una nuova camera d’aria non costa molto e così un’altra camera d’aria va ad aggiungersi al mucchio di immondizie che nessuno vuole che sia seppellito in una discarica vicina a casa sua.

Questa anno, nei primi 7 mesi dell’anno, fin adesso mi si è bucata la ruota tre volte. Forse è una cospirazione dell’assessore per la viabilità che continua parlare dell’inquinamento ma che riesce a fare ben poco per ridurre il numero delle macchine nella città, che vuole convincermi che non ne vale la pena di andare in giro sulla bici?

Il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, socialista, ha lanciato un nuovo servizio che permette ai cittadini di noleggiare biciclette pubbliche presso 750 stazioni in tutta la città. Il servizio si chiama Vélib (viene da “velo” ciò è bici e da “liberté”, la libertà). L’abbonamento annuale costa 30 euro! Se l’amministrazione vuole ridurre l’inquinamento seriamente, potrebbe pensare a Bolib per Bologna!

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Qualche giorno fa avevo scritto della mia paura per il coinvolgimento di alcuni medici musulmani dall’India negli attacchi terroristici in Inghilterra. Oggi i giornali raccontano che uno di questi ragazzi è stato scarcerato dopo 4 settimane in una prigione australiana. La sua colpa era soltanto quella di aver dato la sua carta SIM del suo cellulare al suo cugino 2 anni fa, quando aveva lasciato Inghilterra per trasferirsi in Australia. Suo cugino era coinvolte negli attacchi. Forse gli investigatori australiani erano così convinti della sua colpevolezza che hanno “inventato” prove per giustificare la sua carcerazione.

Una persona innocente che è stata etichettata come terrorista, soffrirà le conseguenze di questa ingiustizia per tutta la sua vita.

E’ per questo è controproducente etichettare persone sulla base delle loro religioni. Si rischia di creare ingiustizie.

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Oggi la prima notizia di BBC riguarda circa 2 milioni di profughi iracheni. Si dice che sia la più grande emergenza umanitaria. La maggior parte di questi si trovano in Siria e Giordania. Sembra che ogni mese circa 50.000 iracheni stanno scappando dall’Iraq. Le persone e i paesi responsabili di questo catastrofe, loro cosa hanno da dire? Fanno fatica a giustificare quello che hanno fatto e quello che continuano a fare?

Potete immaginare la risposta da soli! Purtroppo.

mercoledì 25 luglio 2007

Dove si trovano i film indiani?

Ogni tanto ricevo messaggi da persone che mi chiedono informazioni su dove si trovano i film di Bollywood nelle loro città. Oggi ne ho ricevuto un messaggio da una persona che gestisce un negozio di videonoleggio e vorrebbe avere dei film indiani per i suoi clienti. Ecco la risposta che gli ho scritto:

Solo un piccolo numero di film indiani entra legalmente in Italia per la distribuzione tramite i cinema d'essai e questi film dovrebbero essere disponibili in DVD legali. Per esempio penso che Carlotta Films (francia) ha distribuito alcuni film indiani anche in Italia.

La maggior parte di DVD dei film indiani, potrei dire quasi tutti, disponibili in Italia sono copie pirata. E' un po' che non ho noleggiato i DVD indiani perché trovo sempre qualcuno che mi porta i DVD originali dall'India, ma penso che la prima copia pirata é fatta in Bangladesh o in Pakistan e poi duplicata in Italia/Europa e distribuita ai negozi gestiti per la maggior parte dalle persone del Pakistan o del Bangladesh.

Infatti se conosci un negozio (di solito sono alimentari o call centre) nella tua città gestito da uno dell'India o del Bangladesh o del Pakistan, basterà chiedere a loro e sapranno dirti dove puoi trovare i DVD indiani nella tua città.

Questo circuito ha un'economia molto diversa da quella degli altri DVD disponibili in Italia. Un DVD indiano "nuovo" da comprare in Italia costa intorno a 4 Euro e il noleggio costa 1 Euro per 3 giorni. Immagino che i tuoi eventuali clienti di questi film vorranno queste stesse condizioni per il noleggio!

Per procurarli, forse dovrebbe bastare che ne parli con un negozio indiano/Bangalese/pakistano della zona chiedendo loro di mandare da te l'uomo distribuitore dei film. Dato che tutto il circuito è gestito ai margini della legalità (loro pagano i diritti SIAE), non so se questi distributori si fideranno di te e poi effettivamente verranno a trovarti!

La via legale é facile, puoi ordinare i film da un distributore internazionale come Eros International e ordinare online. I film costano sempre meno che non i DVD italiani, sono legali e originali, ma raramente hanno sottotitoli italiani comprensibili.

venerdì 20 luglio 2007

Sensazione di sfiducia

Ero uscito con il mio cane per la solita passeggiata serale. Ho visto loro, 4 uomini, seduti sulle panche vicino al ponticello, nell’ombra degli alberi. Quando mi sono avvicinato a loro ho sentito un confuso mormorio delle loro voci. Parlavano il pungiabi. Il loro modo di parlare pungiabi è diverso da come si parla questa lingua tra gli indiani di Delhi e alcune parole sono diverse. La cadenza delle loro parole era quella del Pakistan.

Uno di loro mi ha visto. Quando vedi qualcuno che può essere un tuo concittadino, l’espressione degli occhi cambia. C’è una domanda silenziosa che vuole sapere se sei del loro paese?

Ci somigliamo tra di noi, indiani, pakistani e bangladeshi. Qualche volta, i segni esterni legati alla religione aiutano a capire la nostra nazionalità. Come la linea vermiglione tra i capelli o il puntino rosso sulla fronte delle donne, vuol dire che la donna è indù, molto probabilmente dall’India. Uomini vestiti con una camicia lunga fino alle ginocchia e pantaloni larghi della stessa stoffa, sono spesso dalle zone rurali del Pakistan orientale. I bengalesi e gli indiani del sud hanno spesso la pelle più scura. Il piccolo cappellino bianco aderente sulla testa, un piccolo scialle a quadrati sulle spalle o il taglio particolare della barba indicano i musulmani. Il turbante, lunga barba e il braccialetto di acciaio sul polso destro servono per identificare gli sikh. Ma spesso, non riesci a idividuare la nazionalità soltanto dall'apparenza esterna.

Di solito, quando vedo questa domanda silenziosa negli occhi di qualcuno, mi fermo per sorridere e scambiare le solite domanda “Di dove sei?”, anche quando so già che sono del Pakistan o del Bangladesh. Invece, questa volta guardai dall’altra parte, facendo finta di niente. Sentivo i loro sguardi sulla mia schiena, mentre mi allontanavo da loro.

Gli ultimi attacchi terroristici di Glasgow in Inghilterra mi hanno scosso. Ormai sono anni che si parla insieme della religione musulmana e del terrorismo, anche se si cerca di separare la vasta maggioranza della comunità musulmana da piccoli gruppi radicali di terroristi. A livello razionale capisco che non si può generalizzare e criminalizzare un’intero gruppo di popolazione come terroristi, anche perché è la via più facile per emarginare tutta la comunità e per alimentare ulteriormente la radicalizzazione e la creazione di nuovi fanatici che si vedono sotto assedio da tutte le parti senza vie di uscita.

Ma il coinvolgimento di giovani medici musulmani provenienti dall’India negli attacchi di Glasgow, mi hanno scosso. Un medico può diventare terrorista e uccidere persone quando ha giurato per salvaguardare la vita, mi sembra inconcepibile. Mi fanno venire brividi quelle persone che cercano di trovare scuse per queste scelte: gli inglesi sono coinvolti in Iraq, stanno uccidendo i talibani in Afghanistan, hanno insultato l’Islam conferendo il titolo di Knight a Salman Rushdie... Penso che le persone che accettano queste scuse sono malate.

Mi sento schizofrenico. A livello logico, mi vergogno e mi disprezzo per questi pensieri di sfiducia verso tutti i musulmani ma dall’altra parte non riesco a controllare la mia paura. Finchè tutti i terroristi erano del Pakistan o erano arabi o palestinesi, avevo un po’ di paura di quelle persone che sembrano ortodosse e tradizionali, ma nelle facce di giovani ragazzi indiani presi in Inghilterra, vedo le facce di amici e colleghi e questo mi fa paura.

domenica 1 luglio 2007

Sangam – l’unione dei fiumi

Secondo le credenze indiane, il luogo dove si riuniscono due fiumi è considerato sacro, e viene chiamato “sangam”, il punto di unione. La città di Allahabad nel nord dell'India è considerata tra le più sacre per gli indù proprio per questo motivo, perché qui riuniscono i due fiumi più importanti dell’India, il Gange e lo Yamuna. Le credenze popolari sostengono che vi è anche il punto di incontro di un terzo fiume, il fiume nascosto Saraswati, il quale esce dal suo passaggio sotterraneo nel luogo di ricongiungimento di Gange e Yamuna.

E’ questa sacralità dell’unione delle acque che si vuole evocare alla festa “Un po’ di Gange” sulle rive del fiume Po, vicino la piccola cittadina di Guastalla (RE). La festa “Un po’ di Gange” si organizza ogni anno verso giugno-luglio. Quest anno, la festa è iniziata venerdì 29 giugno e si concluderà oggi, domenica 1 luglio. Il momento centrale della festa è la cerimonia durante la quale, l’acqua del fiume Gange portata dall’India, viene versato nel fiume Po come simbolo dell’unione dei due popoli e due culture.




L’area intorno alle piccole città come Guastalla e Novellara nella provincia di Reggio Emilia, ha un’alta concentrazione di emigrati provenienti dall’India, i quali lavorano soprattutto in campo agricolo. Maggior parte di queste persone provengono dallo stato di Punjab in India e circa il50% di loro sono di religione Sikh. Novellara ha l’unica Gurudwara (letteralmente, la porta del Guru), il tempio sikh di Italia. Si è parlato più volte di buona integrazione degli emigrati indiani nella provincia di Reggio Emilia, e sono considerati tra gli emigrati modello.

Ieri sera eravamo a Guastalla per partecipare alla festa Un Po' di Gange. Sulla strada per Guastalla, ci siamo fermati brevemente al Gurudwara di Novellara. Mi piace molto ascoltare le preghiere cantate dei preti sikh (Granthi) anche se non le capisco del tutto e ieri eravamo fortunati perché siamo arrivati al Gurudwara giusto al momento della preghiera cantata da un gruppo di 5 Granthi.




Arrivati all’ostello di Lido Po, alla periferia di Guastalla, dove si organizza la festa Un Po' di Gange, abbiamo incontrato Mukesh e Paolo, i due organizzatori dell’iniziativa.

La cena presso il ristorante Sri Ganesh non era niente di eccezionale, come succede spesso quando vi sono grandi feste.

Mentre aspettavamo l’inizio della festa culturale, abbiamo visto un piccolo aeroplano volare basso, toccando quasi la superficie del fiume.




La serata iniziò con la musica di Pepe Fiore, il quale ha vissuto in India dal 1978 al 1990. Oltre alla sua bravura come musicista per suonare il tamburo, siamo rimasti un po’ sorpresi a scoprire la sua fluenza nella lingua Hindi.




Poi fu il momento della consegna dei premi e anche io ho ricevuto un premio - il premio dell’amicizia per il lavoro fatto per far conoscere il cinema di Bollywood in Italia tramite traduzione dei sottotitoli dei film in italiano. Una scuola di Guastalla che ha ricevuto un premio, ha presentato un documentario sulla comunità indiana della zona girato dagli studenti della scuola.




Poi c’era la danza Kathak di Manisha Mishra, mentre al tabla suonava il maestro Pandit Ravi Nath Mishra e cantava Manjusha Mishra. La danza Kathak per molti versi somiglia al flammenco spagnolo perché in entrambe le danze, il suono prodotto dai piedi è una parte importante della danza.

Ormai era tardi e dovevamo tornare a Bologna. Così non abbiamo potuto vedere la danza Bhangra. Mentre camminavamo verso il parcheggio, sentivamo le note di musica della famiglia Mishra. Fu una serata molto piacevole.










sabato 30 giugno 2007

Induismo

Spesso le persone mi fanno domande sull'induismo, che non riesco a rispondere. O, almeno, dentro di me penso di non aver spiegato bene. Una volta partecipai in un’intervista per uno studente universitario che scriveva la sua tesi sull’induismo, e ricordo questo senso di frustrazione mentre gli parlavo. Lui mi poneva domande su quello che sono basi della via dell’induismo e ogni volta io dovevo aggiungere che veramente lo pensavo in maniera completamente diversa, e che nonostante ciò, mi considero un’indù.

Penso che sia più facile per le altre religioni che hanno un profeta e un libro sacro, mentre in induismo puoi anche non accettare nessun profeta e nessun libro sacro o magari accettare diversi profeti e altrettanto libri sacri, che non concordano tra di loro. Per questo penso che induismo sia la religione più difficile da spiegare agli altri.

Una spiegazione dell’induismo che ho letto recentemente e che mi è sembrato interessante è scritto da un’avocatessa americana, Aditi Banerjee, scrittrice del libro “Invading the Sacred” (Invasione del sacro):

E’ una delle religioni più antiche del mondo basato sulla realizzazione e non sulla rivelazione. Induismo si è evoluto dalle esperienze collettive di suoi mistici, i yogi, gli adoratori di Dio. Ciò vuol dire che la religione ha origine nell’esperienza, nella realizzazione della consapevolezza, non ha i dogmi rivelati da qualcuno, è cresciuto dalla base che non era mai stato organizzato dall’esterno, perché non aveva bisogno di un regolamento istituzionale che ne definiva la forma o i limiti o gli significati precisi.

E’ l’unica forma di religione che considera divina la forza femminile, Shakti. In induismo, la sublimazione del mondo fisico tramite il sistema di Tantra ha uguale importanza alla via della Sadhana (meditazione) spirituale ascetico dello Yoga. Da una parte ha l’espressione del amore appassionato in Bhakti e dall’altra ha le filosofie cliniche, sottili e complesse di Advaita Vedanta.

giovedì 28 giugno 2007

Le Radici del Cuore

Ho visto “Il destino nel nome” (titolo originale, “The Namesake”), il nuovo film di Mira Nair, uscito al cinema da qualche giorno. Avevo letto il libro “The Namesake” di Jhumpa Lahiri alcuni mesi fa e mi era piaciuto molto. Spesso succede che se ti piace un libro, resti deluso dal film basato su quel libro. Ciò è vero parzialmente anche per “Il destino nel nome”.



Il libro non è molto lungo, anzi, considerando che racconta la storia di oltre 25 anni nella vita di suoi protagonisti, è un libro piuttosto breve. La storia dei due emigrati indiani in America, Ashok e Ashima, era raccontata con grandi pennellate che mi lasciavano la libertà di riempire i dettagli dalla mia fantasia, dai particolari delle persone che avevo conosciuto e delle volte, immaginare me stesso e la mia famiglia come i protagonisti del romanzo.

Se il libro affrontava la storia con grandi pennellate, il film la affronta con brevi scene un po’ staccate per far capire il passaggio degli anni. In questo senso, la vita dei protagonisti del film non è un fiume che corre, ma piuttosto, una serie di fotografie che delle volte danno il senso di episodi distaccati.



Mi piacciono molto i due attori indiani, i principali protagonisti del film, Tabu come Ashima e Irrfan come Ashok. Anche in questo film, i due sono meravigliosi. Tabu come Ashima mi sembrava diversa da come l’avevo immaginata leggendo il libro, ma lei è molto brava. Invece Irrfan incarna molto meglio, il personaggio descritto nel libro. Ovviamente questi sono giudizi molto soggettivi.

La scena del film dove Ashok racconta la storia dietro il nome Gogol al figlio, era una delle mie parti favorite del libro. Nel film, Irrfan Khan riesce a dare un’intensità a questa scena che la rende memorabile.

Il giovane attore americano di origine indiana, Kal Penn, nel ruolo di Gogol/Nikhil mi è piaciuto. Non mi ricordavo tutta la parte relativa alla sua decisione di rasarsi la testa alla morte del padre nel libro, forse non c'era nel libro, invece nel film, questa scena l’ho trovato toccante e significativa.



Verso la fine del film, durante la sua festa di addio, Ashima dice, “Anche se le sue ceneri sono state versate nel fiume Gange in India, ogni volta che penserò a Ashok, lo penserò qui in America, tra di voi, in questa casa.”

E pensavo alle radici del cuore che crescono dove tu non li aspettavi, e che stanno in fondo all’esperienza dell’emigrato. Quando lasci il tuo paese d’origine, ti manca tutto – la famiglia, gli amici, la lingua, la musica… e nel tuo nuovo paese, ogni volta che pensi alla parola “casa” pensi alla casa lasciata nella tua terra lontana. Poi, non ti accorgi quando l’immagine della tua casa nel tuo nuovo paese sostituisce la “casa” nel tuo cuore. Le radici che soffrivano dello sradicamento, si trovano accanto nuove radici che affondano nella tua nuova terrà.

Prima o poi, ti accorgi che parte di te vive in una terra di mezzo, qualcosa che sta soltanto nel tuo immaginario. Per le persone che avevi lasciato in dietro, diventi uno straniero. Ogni volta che torni nel “tuo” paese, lo trovi sempre meno tuo. Ma non ti senti del tutto accettato dalla tua nuova terrà. Ogni volta che incontri qualcuno di nuovo, quasi sempre inizia con la domanda, di dove sei? Sei condannato ad essere un forestiero per sempre, un extracomunitario. La tua terrà ideale sta dentro il tuo cuore, un po’ di qua nella tua nuova terra, un po’ di là nella terra che hai lasciato in dietro.

Ashima dice ai figli, “Non riesco a credere che siete usciti dal mio grembo, siete così diversi che non vi capisco ne anche.” Come emigrato impari che figli cresciuti nella tua nuova terra hanno le loro radici qui, che anche loro delle volte non ti capiscono, un po’ come tutti gli altri che ti vedono “extra” dalla loro comunità, ma che dentro i loro cuori portano un pezzo di tuoi radici, consapevoli o inconsapevoli.

Mi è piaciuto molto il film”, mi disse mio figlio, “quel signore, il papà di Gogol, mi faceva pensare al nonno.” Restai senza parole per un secondo. Lui aveva visto suo nonno, mio papà, nella figura di Ashok?

Era forse vero che Ashok aveva qualcosa di mio papà, ho pensato. Suo modo di vestire, l’intensità negli occhi, l’idealità di fondo. Ma come ha fatto mio figlio a riconoscere tutto questo, ha visto soltanto qualche vecchia foto del nonno? Mio papà era morto più di 30 anni fa, quando avevo più o meno l’età di mio figlio oggi.

Delle volte non riesco a ricordare la sua faccia, la sua voce. Delle volte devo guardare la sua foto per sentirlo vicino. Come ha fatto mio figlio riconoscerlo enl protagonista del film? Mi sono sentito commosso. Forse un po’ delle mie radici, quelle che mi sembrano scomparse, li porta dentro il suo cuore anche lui? Quelle radici che non sanguinano più, non fanno più male, sono soltanto come un arto fantasma, qualcosa che ti avevano amputato ma che ogni tanto sogni di avere ancora.

giovedì 29 marzo 2007

Molto mosso, agitato, allegro

Ero molto agitato. Forse perché ero un po’ stanco di questi viaggi. Alzare presto, partire presto alla mattina e tornare tardi alla sera. Durante la mattina continuamente cercare i bagni per via del diuretico che devo prendere. E alla sera, fare tardi con le medicine serali, e così essere costretto a svegliarmi di notte una o due volte per andare in bagno.

L’altro giorno, nel parco mentre portavo il cane alla sua solita passeggiata, avevo incontrato una signora e che ad un certo punto del nostro breve scambio, aveva fatto una smorfia e sussurrato, “Che brutta che è la vecchiaia!” Ero embarassato, l’avevo salutato e me ne andato via a passo veloce.

Vecchiaia è brutta? Sono d’accordo con lei fino ad un certo punto. E’ bello non avere le ansie della gioventù. E’ bello pensare ai nipotini che forse arriveranno, prima o poi. E’ bello non lasciarsi preoccupare più di tanto perché per esperienza si sa già che tutto passa, prima o poi. Invece i diuretici, quelli si che sono noiosi. E la fatica di cercare i titoli dei libri nella biblioteca. Provi con gli occhiali, provi senza, ma non si vedono bene lo stesso.

Scusatemi, ho perso la strada. Ultimamente mi succede abbastanza spesso, e non so se devo cominciare a preoccuparmi. Inizio qualcosa ma poi perdo il filo e parto per un’altra direzione e finché mi perdo completamente. Forse non è la vecchiaia, è lo stress? Ieri in treno leggevo dello stress e del “burnout” degli insegnanti. Insegnanti che all’improvviso hanno paura che uno studente potrebbe accoltellarli sulla schiena mentre sono girati verso la lavagna. Insegnanti che non sorridono più. Che non riescono più ad andare avanti, o in dietro. Ecco, avete visto, è successo di nuovo, mi sono perso un’altra volta.

Voglio parlare del mio viaggio di ieri, invece mi perdo nelle storie degli insegnanti pietrificati e delle signore con i cani. Ricominciamo da capo. Ero agitato.

Avevo voluto scrivere qualche post sul mio nuovo blog che si chiama “Blog Che Ci Piacciono”, prima di partire. Tutto perché nella mia testa ho pensato che ogni giorno, questo blog deve avere almeno tre post nuovi, e quando sei in ritardo e cerchi di fare troppe cose, è facile agitarsi.

Così avevo fatto un po’ tardi e poi alla stazione, la macchina automatica dove facevo la fila era occupata da una persona che continuava a toccare lo schermo per andare avanti e in dietro al infinito forse perché voleva controllare tutti i percorsi possibili e non riusciva a decidersi. Invece non potevo fare meno della macchina automatica perché con la prenotazione via internet, avevo chiesto di avere un biglietto tramite le macchine. Arrivai alla macchina giusto all’ultimo minuto quando ormai il mio treno era già arrivato in stazione e poi, mi lancai in una corsa che sicuramente fece bene al mio cuore e al mio desiderio di bruciare più calorie possibili, ma forse qualche altro passegero è rimasto un po’ scioccato.

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A Roma mi ricordavo la strada fino alla fermata Flaminio della metropolitana. Dopo mi ricordavo un autobus che mi avrebbe portato fino ad una grande piazza da dove potevo camminare fino alla Farnesina. Ma non mi ricordavo il numero dell’autobus che dovevo prendere, ne il nome della piazza dove dovevo andare.

Mentre cercavo l’autobus che dovevo prendere, intravidi uno spettacolo stranissimo. La piazza del popolo era stata riempita dalle figure di altezza umana costruite con le lattine vuote, carta da macero, pezzi di tubi e di macchinette varie, e altre cose che di solito si buttano nei rifiuti.

Era la mostra Trash People dell’artista tedesco Ha Schultz e mi faceva ricordare l’armata di terracotta del tredicesimo secolo sepolta a Xian in Cina. Una volta in Piazza, dimenticai completamente che ero venuto a Roma per andare alla Farnesina. Invece andai su Pincio fino al piazzale Napoleone. Anche questa fu una mossa buona per il mio cuore e per bruciare le calorie, anche se nella mia giacca e cravatta, iniziavo a sudare. La visione dell’armata degli esseri dei rifiuti era favolosa. Con riluttanza scesi giù e iniziai a correre. Ormai mancavano 20 minuti al mio appuntamento e non avevo ancora scoperto come arrivare alla Farnesina.





Ho letto che il comune vuole fare un parcheggio intterrato dentro la collina di Pincio. Penso che non sarebbe una buona mossa. Ormai le macchine sono come i poveri che dalle aree rurali che vengono nelle grandi metropoli della Cina e dell’India, non c’è modo di ridurrne il numero finché il sistema resta invariato. Tutti i parcheggi che oggi sembrano grandi, domani saranno insufficienti e si dovrà cercare altri parcheggi per ridurre il casino del traffico che poi non si ridurrà lo stesso.

Famose ultime parole, sento qualcuno sussurare. Magari le macchine stanno per scomparire fra qualche anno. Avremmo un nuovo mezzo di transporto che dopo il viaggio si potrà piegare e tenere in tasca. Così potremmo avere tutte le macchine che vogliamo. Non inquineranno ne anche, e non intaseranno le strade perché voleranno. Dopo potremmo lamentare di questa cortina di macchine che blocca i raggi del sole e sta creando il grande freddo, e così i poveri immigrati non dovranno morire in mare, potranno camminare lungo il ponte ghiacciato che collega Africa all’Europa e Europa el polo nord e il polo nord all’america!

Scusate, è successo di nuovo, mi sono perso un’altra volta.

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Ero stato alla Farnesina molti anni fa ma allora fu per una riunione non molto importante. Forse eravamo rimasti in una sala poco importante. Non me la ricordavo così imperiale e grandiosa. Invece questa volta dovevamo andare all’ufficio del vice ministro. Ero affascinato dalla statua dorata di Giulio Cesare che si ammirava in uno specchio, dalle sculture lungo i corridoi che guardavano fontane e ampi saloni di marmo e stucco. Invece eravamo in ritardo e non si poteva fermare.

Quando torniamo, farò tante foto, mi sono detto.

Invece durante il viaggio di ritorno, ci siamo persi. Scendevamo lungo scale e corridoi affiancati dagli uffici, ma non si vedeva nessuna statua o scultura. Cercai di dire che forse era meglio tornare in dietro e rifare la strada che avevamo fatto per venire ma ormai era troppo tardi e chiedendo istruzioni in giro, siamo usciti fuori!

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Ho preso il nuovo treno superveloce da Roma che si chiama T-Biz. Avevano un’offerta speciale con biglietti a “prezzo amico”. Costava quanto un Eurostar normale. Interni del treno erano molto belli e curati e avevano anche le hostess le quali hanno offerto anche una bibita gratis, un po’ come si faceva una volta con gli Eurostar. Non hanno offerto un giornale, ma forse hanno già superato quella fase o forse lo fanno soltanto di mattina.

Comunque, viaggiare era un piacere. Roma-Bologna in meno di 2,5 ore senza fermate. Ogni tanto quando i binari si avvicinavano all’autostrada, faceva impressione vedere che nessuna macchina riusciva a superare il nostro treno.

L’unico neo era la porta della nostra carrozza che ha rifiutato di aprirsi a Bologna. Un guasto tecnico nella nuova meraviglia della tecnologia. Succede nelle migliori famiglie. Comunque alle 21,00 ero già a casa. Allegro e contento della giornata.

giovedì 8 marzo 2007

Difficoltà di comunicare!

Ricevuto questa storia da un'amica indiana:

La nazioni unite hanno svolto un indagine in tutto il mondo. L'indagine comprendeva soltanto una domanda:

"Per favore, può darci la sua onesta opinione riguardo le soluzioni relative alla scarsità di cibo nel resto del mondo?"

Purtroppo, l'indagine non ha fornito risposte adeguate per i seguenti motivi:

In Africa, non sapevano cosa significa "cibo".

In India non sapevano cosa signifca "onesta".

In Cina non sapevano cosa significa "opinione".

In medio oriente non sapevano cosa significa "soluzioni".

In Europa non capivano il significato di scarsità.

In Sud America non riuscivano a capire cosa vuol dire "per favore".

E negli Stati Uniti, non capivano la frase "resto del mondo".

giovedì 1 marzo 2007

Dor – Il Filo (2006)

Dor (Filo) è nuovo film del giovane regista indiano Nagesh Kukunoor. Nagesh è conosciuto per i suoi piccoli film senza le grandi stelle di Bollywood, ma sono film con trame innovative, anche se un po’ di nicchia. Il successo del suo ultimo film “Iqbal” (2004), la storia di un ragazzo musalmano sordo che vuole diventare parte della squadra nazionale di cricket, l’aveva portato al primo piano nel mondo del cinema popolare indiano.



Trama del film: Dor è la storia del filo invisibile del destino che può all’improvviso sconvolgere le nostre vite e può costringerci di agire in modo inconsueto che non avremmo mai sperimentato prima. Il film è la storia di due donne, Mira (Ayesha Takia), una neo-sposa indù nel deserto di Rajasthan e Zeenat (Gul Panang), un’insegnante da un piccolo villaggio musulmano delle montagne di Himalaya.



Mira

Mira è stata sposata con Shanker (Anirudh Jayakar), è piena di vita, e sta imparando a conoscere e amare il marito scelto dalla sua famiglia. Loro vivono con i genitori di Shanker, Randhir (Girish Karnad) e Leela (Shivani Joshi), e la vecchia nonna vedova, Laxmi Bai (Uttara Baokar). Il mondo di Mira è pieno di felicità e promesse, suo marito ha trovato lavoro in medio-oriente e potrà guadagnare molti soldi per aiutare il padre a riscattare l’antico palazzo della famiglia. Sono costretti a vivere nella piccola e miserabile abitazione adatta ai servi nel cortile del loro grande palazzo mentre il palazzo è occupato da un giovane industriale (Nagesh Kukunoor, anche il regista). I suoi suoceri la vogliano bene perché ha portato buona fortuna alla famiglia. Lontano dagli sguardi dei genitori, Mira prova a ballare come le attrici di bollywood per il suo marito. Solo la nonna, vestita sempre con i colori neri delle vedove, sembra un po’ infastidita dalla giovane sposa.

Shanker e Mira

Zeenat vive nella montagna con il suo padre Beg Sahib (Banwarilal Taneja) e ama Amir (Rushad Rana). E’ una ragazza indipendente, vuole vivere la sua vita secondo i propri principi. Non porta il velo, va a lavorare alla scuola e forse per questo, non è ben vista dai genitori di Amir. Anche Amir riesce a trovare un impiego in medio-oriente e vuole approfittare da questa opportunità di guadagnare un po’ di soldi, con i quali potrà avviare una propria attività al suo ritorno. Prima di partire chiede a Zeenat di sposarlo e la ragazza acconsente. I genitori di Amir non partecipano alla festa, perché secondo loro il loro figlio è stato stregato da questa ragazza poco ortodossa.

Dall’Arabia Saudita Shanker manda i soldi alla famiglia e suo padre conta i mesi che mancano per saldare tutto il debito per riavere il loro palazzo. Questo loro figlio è stato proprio bravo, dice alla giovane nuora che deve fare diverse ore di strada su un cammello per andare da uno con un telefono cellulare per poter parlare con il suo sposo per qualche minuto.

Anche Amir manda i soldi ogni mese alla sua neo-sposa, ma Zeenat porta tutti i soldi ai genitori del marito. “Io guadagno come maestra, non ne ho bisogno, ma voi ne avete più bisogno”, dice. Poco alla volta i genitori di Amir cominciano a capire che la sposa del loro figlio è una brava ragazza.

All’improvviso tutto cambia. Al telefono Mira scopre che il suo marito è morto in un incidente. Mira diventa una vedova poco gradita alla famiglia, ha portato sfortuna alla famiglia. Deve vestirsi di nero e non ha più diritto di sorridere, ballare o cantare.

Dall’altra parte, Zeenat riceve la visita di un funzionario del governo. Sembra che il suo marito ha spinto il suo compagno di camera giù dal balcone uccidendolo. Secondo la legge islamica, deve pagare con la sua morta. L’unico modo per sfuggire la sua condanna di morte è di avere un perdono dalla moglie dell’uomo ucciso.

Zeenat ha soltanto una foto del proprio marito con il suo compagno di camera, Shanker. Non sa il cognome di Shanker, non sa dove abita la sua famiglia. Ma se vuole salvare il proprio marito, deve cercare la vedova di Shanker e convincerla di firmare il perdono per Amir. Lei conosce Amir, pensa che non è una persona violenta. Se Shanker è caduto dal balcone, deve essere stato un’incidente, lei ne è convinta. Anche se non è mai andata fuori dai confini del suo mondo da sola, per salvare il marito, lei parte alla ricerca della vedova di Shanker.

In Rajasthan, lei incontra Behroopiya (Shreyas Talpade), un ragazzo giovane con un’ampia gamma di travestimenti per truffare e rubare gli ignari. Behroopiya è catturato da questa ragazza strana che va in giro da sola. Prima la ruba e poi si offre di aiutarla, Behroopiya diventa il suo compagno nella ricerca. Anche se Zeenat ha subito chiarito che è li solo per salvare il proprio marito, in un momento di debolezza, Behroopiya non riesce a controllarsi e le confessa il proprio amore.

Zeenat incontra Behroopiya
Alla fine Zeenat arriva nel villaggio giusto e va a parlare con i genitori di Shanker. Viene insultata, sputata in faccia e cacciata da casa, dicono che non firmeranno mai il perdono per l’assassino del loro figlio. Zeenat non si lascia scoraggiare e decide di fermarsi un po’ fuori del vilaggio per cercare di parlare con la vedova di Shanker. L’opportunità arriva quando scopre che ogni giorno Mira esce da casa per andare al tempio.

Soltanto quando Zeenat incontra Mira capisce la tragedia della giovane vita e non ha il corraggio di dirle la verità. Poco alla vita le due donne diventano amiche. Mira che si sente così sola e la sua vita ha perso tutta la gioia, resta affascinata da Zeenat, che vuole vivere la propria vita secondo le proprie convinzioni e non secondo le tradizioni. Poco alla volta Mira sviluppa coraggio di interrogare le regole tradizionali che governano la vita delle vedove della sua comunità così rigidamente.

Intanto il tempo passa. Un giorno Behroopiya porta la notizia. E’ vicina il giorno della condanna di morte per Amir. Se Zeenat vuole salvare la vita del proprio marito, deve affrettarsi. Dall’altra parte, lo suocero di Mira accetta la proposta dell’industriale che abita nel palazzo, di pagare parte del suo debito con il corpo della giovane vedova.

Quando Zeenat le svela il suo segreto, Mira ne resta sconvolta, e rifiuta di firmare il perdono. Dice, “Hai approfittato di me, della mia semplicità! Hai fatto finta di essere la mia amica, e mi hai tradito”, e torna a casa dove i suoceri hanno scoperto che lei si vede con la moglie del assassinio del loro figlio. Non potrà più uscire fuori da casa.

Zeenat è scoraggiata. Ha fatto tutto quello che poteva ma non è riuscita a salvare il proprio marito, e parte per il viaggio di ritorno.

Intanto Mira ci ripensa alla sua amica e vorrebbe aiutarla. La nonna vedova aiuta Mira a scappare da casa e andare a cercare Zeenat.



Commenti: La forza del film è la sua semplicità e i suoi tre attori principali. Gul Panang nel ruolo di Zeenat, è brava a esprimere un senso di forza e determinazione. Ayesha Takia ha la faccia innocente di una bambina e riesce a trasmettere l’angoscia della giovane vedova, piena di vita ma costretta a chiudersi nella prigione delle tradizioni. Shreyas Talpade, nel ruolo di Behroopiya aggiunge gioia al film con il suo continuo chieccherare e travestimenti.

Da una parte, tramite il personaggio di Mira il film tocca la vita delle vedove nei villaggi dell’India odierna e dall’altra presenta il volto della modernità e autodeterminazione delle donne, tramite il personaggio di Zeenat. Che Zeenat sia una donna musulmana è importante anche per allargare l’immaginario popolare del cinema indiano, quasi esclusivamente popolato da personaggi delle donne musulmane tradizionali e sottomesse.

Il film è molto piacevole da guardare, dove i colori del deserto fanno da sottofondo. Senza cadere nella trappole del melodramma e delle prediche, il film riesce a toccare argomenti importanti e passare il proprio messaggio in maniera leggera e piacevole.

mercoledì 17 gennaio 2007

Il coraggio di Taslima

Taslima Nasrin è una scrittrice originaria del Bangladesh. A seguito del suo libro "Vergogna", alcuni Mullah del Bangladesh avevano decretato il fatwa per la sua morte e lei fuggì prima in India e poi per qualche anno in Scandinavia. Oggi lei vive a Calcutta in India.

Questa settimana è apparso un suo nuovo scritto sull'uso del chaddor nelle donne musulmane, nel settimanale indiano Outlook.

Qualche tempo fa, la famosa attrice e attivista indiana, Shabana Azmi, insieme ad un gruppo di donne musulmane avevano chiesto alle donne musulmane di non portare il velo perché secondo loro, il Corano non chiede alle donne di coprirsi il corpo. Anzi, secondo loro, i principi dell'Islam sono basati sulla parità tra uomini e donne.

Il nuovo scritto di Taslima è in risposta a questo invito di Shabana Azmi.

Non è vero che il Corano non chiede alle donne di coprirsi il proprio corpo dalla testa fino ai piedi, dice Taslima in questo scritto, e cita diversi versi del Corano e analizza diversi episodi nella vita del profeta Maometto per spiegare come il Corano e l'Islam chiedono esplicitamente alle donne di coprire il proprio corpo.

Taslima pone la sua domanda a Shabana e altri sostenitori,
"Se il Corano dice che le donne devono coprire il proprio corpo, è giusto che noi ci copriamo? La mia risposta è no. Non importa quale libro, quale persona, quale autorità chiede alle donne di coprirsi, noi dobbiamo rifiutare. Nessun velo, nessun chaddor, nessun hijab, nessuna burqa, nessuna sciarpa per coprire la testa. Le donne non devono portare niente di tutto ciò perché sono segni di dispetto. Sono i simboli dell'oppressione delle donne. Questi simboli dicono alle donne che sono le proprietà degli uomini, sono oggetti per il loro uso. Questi copricorpi sono usati per tenere le donne passive a sottomesse. Chiedono alle donne di portarle così le donne non possono vivere con auto rispetto, onore, fiducia, identità, opinioni e ideali. ..."
Quali reazioni vi saranno a questo scritto? Per la "colpa" di aver detto o scritto molto meno hanno torturato e ucciso altri. Ma Taslima non ha paura della morte. O forse pensa che avevano già decretato la sua morte, cosa possono farle di più?




Sicuramente ci saranno molte persone che non concorderanno con quanto scrive Taslima. Ma nessuno potrà negare che lei ha coraggio.


Nota: Taslima Nasreen. Vergogna (tit. or. Lajja - Shame, 1995). Oscar Mondadori, Milano 1996, pp. 250, € 7,40. ISBN 8804394277

lunedì 15 gennaio 2007

L'altro

Ero con Ermanno. Conosco Ermanno da diversi anni, ma soltanto come uno che ci da una mano al magazzino. Non gli avevo mai parlato prima. Così ho scoperto che è un chiacchierone. E' una persona che si interessa di tante cose, è molto disponibile e ha un modo positivo e speranzoso di guardare il mondo, per cui ascoltarlo è molto piacevole. Raccontava della sua vita da allenatore e arbitro delle piccole squadre locali della provincia di Bologna per 25 anni.

Poi, quando siamo arrivati a Lagaro, l'ho visto parlare con una ragazzo di 11 anni. "Devi rispettare le regole e devi divertirci. Sport è soprattutto per divertire", diceva. Sarebbe bello per un ragazzo averlo come nonno, pensai.

Dovevo parlare ai bambini del gruppo di catechesi e poi, fare una testimonianza durante la messa. Come è il parrocco, gli avevo chiesto. "E' giovane, molto simpatico e molto religioso", mi aveva risposto. "Non creerà problemi che non sono cattolico?" avevo chiesto, subito allarmato da questa descrizione. No, non dovevo preoccupare, Ermanno mi aveva rassicurato.

Infatti, Don Roberto, il parrocco di Lagaro nel comune di Sasso Marconi, è molto giovane. Deve avere intorno a 40 anni. Ha un sorriso da ragazzo buono. In chiesa durante la messa, invece aveva la faccia seria e poi si è lanciato in un' omelia appassionata sulle nozze di Canna. Ascoltarlo era così coinvolgente. Mi ha fatto pensare a "La Messa è Finita" di Nanni Moretti.

Poi, in pomeriggio, tornato a casa, continuavo a pensare del mio cambiato rapporto con le religioni. Penso che il pensiero occidentale è troppo basato sulla logica, sulla razionalità. Così, qualcosa può essere "a" o "b", ma non può essere "a" e "b" allo stesso momento. Non ti è permesso di non fare parte di una categoria. Quando si parla di religioni, si parla di convivenza e di rispetto dell'altro, ma non di accettazione piena dell'altro perché l'altro resta sempre qualcuno estraneo.

Non era così in India. Tu potevi essere parte dell'altro, senza per questo perdere la tua identità. Così non si parlava di convivenza e di rispetto ma di fare proprio. Quando andavo a messa di mezza notte al cattedrale di Delhi vicino a Gol Dak khana e durante la messa facevo il segno della croce, era un modo di vivere la gioia di tutti i cristiani intorno. Per la festa di Diwali, potevo fare gli auguri a tutti senza preoccuparmi se l'altro era un indù o un musulmano o sikh. Così come Irene, la nostra vicina, quando ci portava i dolci di Idd, dovevamo tutti farci gli auguri di "Idd mubarak". Quante volte mi sono svegliato alle 4 di mattino per andare a ricevere il kacchi lassi che i sikh distribuivano per l' anniversario di Guru Nanak!

Invece, qui si parla di rispetto dell'altro un po' ascetico, un po' tenuto a distanza. Mi sembra un modo di dire, veramente penso che tutto quello che la tua religione dice è sbagliato, ma per rispetto ti tollerò, basta che limitiamo queste cose nella nostre privacy. Nella chiesa non posso fare il segno della croce perché ciò non sarebbe giusto perché non sono cattolico. Si dice che non dobbiamo avere addobbi di natale per strade perché ciò offende le altre religioni. Invece di dire che per natale mettiamo gli addobbi di natale, per Idd mettiamo gli addobbi dei musulmani e per Diwali mettiamo di addobbi dgli indù sulle strade, affinché tutti possono gioire nella gioia degli altri, noi diciamo che è meglio non avere feste religiose per rispetto, per non offendere l'altro? Mi sembra che così si spinge verso intolleranza e isolamento.

Ma forse dipende tutto da questo modo di ragionare logico e razionale? All'inizio del ventesimo secolo, gli inglesi avevano condotto il primo censimento nazionale in India. Durante questo censimento, in Punjab avevano trovato molte persone che si dichiaravano hindu-sikh, i quali erano stati costretti a scegliere di essere o l'indù o i sikh, non potevano essere sia uno e l'altro. Pensavo che gli inglesi l' avevano fatto per cattiveria, per dividerci. Ma se non l'hanno fatto per cattiveria, ma semplicemente per questa ossessione alla logica? Questa ossessione per "Ogni cosa deve avere un suo posto e un suo titolo, senza confusone".

Oggi domina il pensiero occidentale. E il nostro pensiero di essere un po' dell'altro senza per questo perdere la propria identità, penso che rischia di diventare sempre più debole. Qualche giorno fa avevo letto di un prete indù di Gujarat con una figlia adottiva musulmana e il prete aveva celebrato il matrimonio di questa sua figlia con il rito musulmano, nel cortile del suo tempio. Poi, avevo letto di 5 copie musulmane e 5 copie indù, i quali avevano deciso di farsi celebrare i matrimoni insieme, sia con i riti indù che con quelli musulmani. Forse questo può succedere solo in India perché questo modo di ragionare "non logico" e "non razionale" per il momento sopravvive.

Cosa possiamo fare affinché si capisce di più il valore di quello che abbiamo, prima di perderlo?

Nelle immagini di oggi, la visita di Lagaro di ieri.






domenica 7 gennaio 2007

Cinema di Bollywood nel 2006

Nuovi sviluppi nel 2006: L’anno appena trascorso è stato uno dei migliori anni per il cinema di Bollywood per quanto riguarda i guadagni dei botteghini. Erano anni che così tanti film ricevevano un consenso popolare così ampio. L’anno è stato importante non soltanto per i guadagni economici ma anche per la varietà di nuovi film usciti nelle sale cinematografiche.

In parte, il merito di questo successo così ampio va all’apertura di nuovi teatri multiplex nelle metropoli, dove le sale sono piccole e possono accogliere i film di nicchia e dove i prezzi dei biglietti di entrata sono relativamente alti. Fino a 5 anni fa, i biglietti di ingresso più costosi nelle sale cinematografiche costavano intorno costavano intorno a 20 rupie (circa 40 centesimi) mentre nelle nuove sale multiplex il prezzo del biglietto arrivo fino a 4 euro. Questo ha permesso l’uscita di nuovi film fuori delle regole del cinema popolare (i masala films), indirizzati ad un gruppo ristretto di persone nelle zone urbane e la possibilità comunque di recuperare i costi con ampi margini di guadagno.

La scomparsa del cinema parallelo: Intorno agli anni settanta, il cinema di Mumbai aveva un forte movimento di cinema parallelo o cinema d’arte con esponenti come Shyam Benegal e Govind Nihalani, e film che potevano sfidare le formule del cinema popolare e comunque trovare un consenso popolare. L’arrivo della televisione e le video-cassette con la pirateria ad ampio scalo potrò alla morte del cinema parallelo ed i registi come Shyam Benegal e Govind Nihalani erano costretti a fare i film per la tv o ricorrere alle stelle di Bollywood.

Le tre "colonne" del cinema paralello indiano: Shabana Azmi nel film Ankur (Germoglio) di Shyam Benegal; Smita Patil e Om Puri nel film Ardh Satya (Mezza verità) di Govind Nihalani.








La scomparsa del cinema di mezzo: Negli anni sessanta e settanta, era nato un altro movimento nel cinema popolare di Mumbai – quello del cinema di mezzo. Ciò è, il cinema che continuava a seguire le regole dei film popolari, ma li ambientava in famiglie meno facoltoso e presentava le storie della gente comune con un pizzico di realismo. Registi come Bimal Roy, Hrishikesh Mukherjee, Gulzaar, Basu Chatterjee erano i fautori di questo cinema. Anche questo cinema fu inghiottito dall’arrivo della TV e delle video cassette. Nell'immagine sotto, Vidya Sinha e Amol Palekar nel film Rajnigandha (Gelsomino) di Basu Chatterjee.




Nuovi sviluppi: Negli anni ottanta e novanta, progressivamente, il cinema di Bollywood fu dominato da cinema popolare e dalle stelle piuttosto che dagli attori e dai registi. Invece la comparsa delle multiplex ha dato la possibilità a diversi nuovi registi di uscire dalle regole del cinema popolare a sperimentare nuovi temi e nuove metodologie di raccontare le proprie storie.

Vediamo i film più significativi del 2006. Ovviamente, questa è tutta una mia scelta personale e so bene che molti altri non concorderanno con me.

Rang de Basanti (Colora mi di arancione): il 2006 è iniziato con il nuovo film del regista Rakeysh Om Prakash Mehra. In India, il colore arancio è considerato il segno della rinuncia e anche di primavera. Il film è la storia di Sue (Alice Patten), nipote di un ex-ufficiale del governo coloniale inglese in India, la quale vuole girare un documentario in India sulla storia di alcuni uomini impiccati perché facevano parte della resistenza contro il governo coloniale. In India, lei incontra un gruppo di ragazzi all’università di Delhi ai quali chiede di far parte del suo documentario – DJ (Aamir Khan), Karan (Sidharth), Sukhi (Sharman Joshi), Aslam (Kunal Kapoor) e Sonia (Soha Ali Khan).




I ragazzi sono cinici, pensano che il paese sia in mano ai corrotti e vogliono soltanto emigrare in America. Loro non sanno niente della lotta per l’indipendenza dell’India e delle persone morte per questa lotta, e non ne vogliono ne anche sapere. DJ, il capo del gruppo, è un ragazzo sikh, è l’eterno ragazzo il quale ha paura del mondo esterno e continua a girare nel mondo universitario anche se ha finito di studiare 5 anni fa.

Poco alla volta la partecipazione al documentario cambia i ragazzi da dentro. Laxman (Atul Kulkarni), uno che fa parte di un gruppo fondamentalista indù e molto arrabbiato perché contrario alla presenza del ragazzo musulmano Aslam nel documentario, entra a far parte del gruppo e poco alla volta anche lui cambia il suo modo di guardare il mondo.

Morte di Ajay (Madhawan), un pilota dell’aereonautica e fidanzato di Sonia, in un incidente aereo porta una crisi all’interno del gruppo. C’è il sospetto che il ministero della difesa abbia trascurato il mantenimento degli aerei comprando pezzi di ricambio scadenti da una ditta corrotta, intascando milioni sottobanco. Il governo lancia una compagna di diffamazione contro il defunto pilota, dando colpa a lui per l’incidente. Il gruppo di ragazzi viene trascinato nella polemica creata dalla repressione governativa e manipolazioni politiche della storia. (Nell'immagine, Alice Patten e Aamir Khan in una scena di Rang de Basanti).




I ragazzi si trovano ad una svolta, non possono più fare gli spettatori disinteressati. Loro decidono di agire e per attirare l’opinione pubblica uccidono il ministro della difesa innescando uno spirale di eventi e violenza che culmina con la loro morte.

Il cinismo e disinteresse dei ragazzi e la loro graduale trasformazione in ragazzi tormentati dalla corruzione e mancanza di valori della nuova società consumistica dell’India ha trovato un' immediata identificazione nella gioventù indiana e il film è diventato un culto.

Negli stessi giorni quando era uscito questo film nelle sale, la decisione di un tribunale di Delhi di prosciogliere il figlio di un ministro, accusato di aver ucciso una ragazza, ha innescato violente proteste in India, un po’ simili alle proteste presentate nel film. E' stata iniziata una compagna di mobilitazzione. Verso la fine del 2006, il tribunale superiore ha rivisto questa decisione, condannando il figlio del ministro all’ergastolo. Molti hanno salutato questo evento come una vittoria di questo film.

Dopo circa 12 mesi dalla uscita, il film continua a innescare forti dibattiti in India ed è il candidato ufficiale dell’India al premio Oscar nella categoria di “Migliore film straniero”. Il trattamento del film, con la trasposizione delle storie del passato, legate all’indipendenza dell’India (girate in color seppia) e sull’attuale vita dei ragazzi indiani nelle metropoli, è innovativo. Il provocante tema del film, fuori dalle solite storie di amori tragici del cinema indiano, e il cast di bravi attori, fanno di questo film un’importante tappa della storia del cinema di Bollywood. Aamir Khan, l’attore principale del film è già conosciuto al pubblico italiano come eroe del film “Lagaan – una volta in India” uscito qualche anno fa.

Lago Raho Munna Bhai: è il secondo film che scelgo per l’orginalità del trama e per l' impatto che ha avuto sugli indiani. Il titolo significa Continua Fratello Munna ed è la seconda parte di un fortunato film del 2005 (Munna Bai MBBS, ciò è Fratello Munna Medico Chirurgo). Lago Raho Munna Bhai riprende le avventure del simpatico mafioso di Munna Bhai (Sanjay Dutt), il suo assistente, Circuit (Arshad Warsi) e la loro banda di malviventi, i quali tra altro, si occupano di sgombrare con forza le case dei poveri per conto del ricco costruttore Lucky Singh (Boman Irani).




Munna è innamorato della voce della radio-jockey Jhanvi (Vidya Balan). Per incontrare Jhanvi, Munna vuole partecipare ad un quiz radiofonico sul Mahatma Gandhi. Con l’aiuto di alcuni professori universitari rapiti da Circuit per il compito, Munna riesce a vincere il quiz e viene invitato agli studi radiofonici dove si presenta come un professore universitario. Jhanvi vive con il suo nonno in una casa con un gruppo di anziani senza casa e catturata dal fascino di Munna, lo invita a casa sua per parlare di Gandhi agli anziani.

Ma Munna non sa niente di Gandhi e non avendo altre vie di uscita, è costretto ad andare alla biblioteca a studiare la vita di Gandhi. Una sera, stanco e insonne, Munna vede una apparizione. E’ Gandhi venuto ad aiutarlo. “Sono pronto ad aiutarti se seguirai le mie indicazioni”, gli dice il fantasma di Gandhi. Tutti, compreso Circuit, pensano che Munna sia impazzito, anche perché nessun altro riesce a vedere il fantasma di Gandhi. Comunque, Munna accetta di seguire le indicazioni della fantasma di Gandhi e così è costretto a intraprendere la via della non violenza e della verità. Jhanvi e il gruppo di vecchiotti prima, e il pubblico ascoltatore della radio, sono tutti presi dalle parole di Munna sulla filosofia di Gandhi.

L' unica verità che Munna non riesce a dire a Jhanvi, è quella sul suo proprio passato di mafioso. Cosa farà Jhanvi quando verrà a sapere la reale identità di Munna?

Il film è riuscito a attualizzare il pensiero di Gandhi per i giovani indiani di oggi ed ha raccolto consensi sia della critica che del pubblico. Il film è un candidato indipendente ai premi Oscar nella categoria Migliore Film Straniero.

Il film è come una fiaba moderna sui principi insegnati da Gandhi, un film divertente e allo stesso momento, una provocazione per ripensare ai valori di Gandhi nel mondo odierno.

Khosla Ka Ghosla: Il terzo film che mi è piaciuto, è un film piccolo senza le stelle di Bollywood. Il titolo del film significa “Il Nido dei Khosla”. Il film presenta la storia dei Khosla, una famiglia medio borghese di Delhi. Sig. Kamal Kishore Khosla (Anupam Kher), il capo famiglia sogna di costruire una propria casa indipendente. Il suo figlio maggiore, Chiraunjilal (Praveen Dabas) odia il proprio nome e preferisce essere chiamato Cherry, sta preparando per emigrare in America. Il suo secondo figlio, Balwant (Ranvir Shorey) non ha voglia di studiare e pensa che il suo padre sia antiquato.




Il terreno comprato con il TFR e i risparmi di tutta la vita per costruire la casa viene occupato illegalmente dal corrotto costruttore Kishen Kapore (Boman Irani). Sig. Khosla è disperato. Nessuno può aiutarlo. Gli uomini di Kapore sorvegliano il terreno armati di bastoni. Kapore vuole 200.000 rupie (10.000 euro) per liberare il terreno. Lui ha anche i poliziotti dalla sua parte, i quali suggeriscono a Khosla di pagare i soldi richiesti da Kapore e di versare un’ulteriore somma anche alla polizia.

Balwant, il figlio più piccolo, chiama i suoi amici e attacca gli uomini di Kapore, ma ciò porta Khosla alla prigione per qualche giorno e lui riceve dalla polizia l' avvertimento di stare attento e di non usare i mezzi illegali!

Alla fine è il figlio maggiore, Cherry che non riesce a vedere il suo padre abbattuto. Lui rinuncia al suo sogno di partire per l’America per aiutare il suo padre. Con l’aiuto della sua ragazza Meghna (Tara Sharma) e un gruppo di attori teatrali guidati dal maestro Bapu (Navin Nischal) e un ex-collega di Kapore, (Vinay Pathak), Cherry prepara una trappola per Kapore.

Animato da un cast di bravi attori, il film è molto piacevole. Come tema e trattamento, questo film potrebbe entrare nel gruppo del "cinema di mezzo" degli anni settanta. Il film è stato apprezzato sia dalla critica che dal pubblico.

Altri film del 2006: A parte questi 3 film che mi sono piaciuti di più, vi erano diversi altri film di Bollywood che hanno ricevuto consensi nel 2006. Per esempio il nuovo film di Nagesh Kukunoor, Dor (Filo) che parla del filo del destino che collega le vite di due donne – una donna istruita della metropoli (Gul Panang) e una vedova (Aysha Takia) del deserto di Rajasthan. (Nell'immagine, Ayesha Takia in Dor).




Mi è piaciuto anche Omkara, il nuovo film di Vishal Bhardwaj basato sul Othello di Shakespeare, ambientato nelle zone rurali del nord est dell’India, con cast di diverse stelle di Bollywood. Il film è la storia del capo dei banditi Omkara (Ajay Devgan), sua amante Dolly (Kareena Kapoor) e la rivalità tra i suoi due luogotenenti, Keshav (Vivek Oberaoi) e Langda (Saif Ali Khan). Langda, gesloso dei favori ricevuti da Keshav, riesce a creare sospetti nella mente di Omkara di un rapporto illecito tra la sua Dolly e Keshav. In un piccolo ruolo, l’attrice Konkana Sen, come moglie di Langda, lascia un’impressione indelibile. Mentre tutti gli attori di questo film sono bravi, è Saif Ali Khan nel ruolo di Langda che è particolarmente bravo. (Nell'immagine, Ajay Devgan e Kareena Kapoor in Omkara).




Un’altro piccolo film Woh Lamhe (Quei momenti) con nuovi attori (Shiney Ahuja e Kangna Rennaut) ha raccolto molti consensi. Ispirato dalla storia di amore tra l’attrice Praveen Babi e il regista Mahesh Bhatt negli anni ottanta, il film affronta il tema della schizofrenia ed il spietato mondo dell’immagine pubblica che divora le icone del cinema. (Nell'immagine Kangna Rennaut e Shiney Ahuja in Woh Lamhe).




L’anno è stato fortunato anche per i mercanti dei sogni, i zar di Bollywood, i quali costruiscono grandi sogni del cinema di svago – Krissh di Rakesh Roshan (storia di un super eroe con poteri speciali), Vivah (Matrimonio) di Suraj Barjatya (una storia mielosa di un fidanzamento e di valori tradizionali indiani), Dhoom 2 della casa produttrice Yash Chopra (un film di avventura con effetti speciali, è anche il film con maggiori incassi dell’anno) e Kabhi Alvida Na Kehna (Non dire mai addio) di Karan Johar. Quest’ultimo è un film con lussuose scenografie ambientato a New York, ma riesce ad essere controcorrente perché parla di divorzio e di secondi matrimoni, temi generalmente evitati dalla cinema popolare indiana. (Nell'immagine Rani Mukherjee e Abhishekh Bacchan in Kabhi Alvida Na Kehna).





In un rapporto pubblicato da una rivista americana, tra i 15 film stranieri con maggiori incassi in America nel 2006, ben otto sono film di Bollywood. Per cui, il 2006 non è stato soltanto un anno di successi in India, bensì in tutti i paesi dove vive la diaspora sud asiatica.

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