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lunedì 14 marzo 2022

I Neanderthal Indiani

Lo storico olandese Rutger Bregman nel suo libro “Una nuova storia (non cinica) dell’umanità” (Feltrinelli, 2020) propone una tesi alternativa del perché gli esseri umani e soprattutto la nostra specie, Homo sapiens, è diventata la predominante sulla terra. Secondo lui, l'ascesa degli Homo sapiens è dovuta al fatto che sono fondamentalmente buoni, e che danno importanza alla convivenza sociale pacifica e all'amicizia.
Neanderthal nella mitologia India - Immagine di S. Deepak

Bregman parla anche del lungo periodo di convivenza di diverse specie umane per almeno una decina di migliaia di anni. Mentre leggevo questa parte del libro, mi sono chiesto se i vari popoli potevano aver conservato un ricordo di questa convivenza nei loro miti e leggende? Questa riflessione mi ha portato ad alcuni antichi testi indiani. Questi testi sono parte di una tradizione popolare vivente, che vengono letti e rappresentati ancora oggi in diversi modi durante le festività indiane.

I Miti e le Storie dei Popoli Antichi

Gli studi genetici hanno dimostrato che tutti noi abbiamo una piccola percentuale di geni di altre specie umane nei nostri DNA, il che significa che vi è stata qualche mescolanza tra le specie.

Non tutti i popoli hanno avuto una continuità delle loro culture orali. Per esempio, l’arrivo di ebraismo, cristianesimo e islam ha introdotto nuovi elementi che hanno sostituito le vecchie storie conservate nelle culture orali. Alcune antiche storie, rituali e pratiche sono state conservate ma sono anche state modificate in alcuni loro aspetti per diventare parte delle nuove credenze.

Il colonialismo e il proselitismo hanno sostituito molte delle antiche storie e leggende in Africa e America latina. Invece in Asia, anche se le nuove credenze sono state introdotte, molti popoli sono riusciti a conservare le loro antiche usanze e storie, anche se in alcuni paesi come Russia, Cina e Vietnam, il comunismo ha agito specificamente contro le antiche usanze e credenze con simili effetti.

In fine oggi, la cultura globalizzata dominata dal consumismo continua ad avere simile effetto di farci ignorare le antiche storie, o di vederle come qualcosa di arcaico e retrogrado, perciò da dimenticare. Fortunatamente, allo stesso momento, oggi lo sviluppo delle nuove tecnologie offre molte possibilità ai singoli di conservare e diffondere quelle antiche conoscenze.

Non possiamo prendere letteralmente i miti e le legende dei popoli come le descrizioni dei fatti realmente accaduti, perché questi sono sicuramente stati modificati e rielaborati più volte lungo i millenni. Tuttavia, forse alcuni di essi conservano un nocciolo di informazioni storiche reali. Un esempio della conservazione delle informazioni tramite la storia orale è quella delle Linee dei Canti (Song lines) dei popoli Aborigeni in Australia. Questi canti possono coprire migliaia di chilometri e conservare informazioni molto complesse e dettagliate sulla geografia, sull’accesso all’acqua e sugli eventi storici.

Cultura Orale in India

India è un paese con una tradizione di cultura orale profondamente radicata. Quando l’India è diventata indipendente 70 anni fa, soltanto il 12% della popolazione sapeva leggere e scrivere e la cultura orale era predominante. Ancora oggi, la cultura orale rimane una sua parte fondamentale soprattutto in alcuni suoi aspetti legati alla religione.

Per esempio, alcuni anni fa, in un documentario della BBC del regista Michael Woods intitolato "The Story of India", vi era una parte che riguardava un gruppo di Bramini del Kerala che cantavano una preghiera in un misto di suoni apparentemente senza senso, che assomigliavano ai canti degli uccelli. Loro non erano in grado di spiegare il significato di quella preghiera ma la conservavano fedelmente come parte della tradizione. Il documentario ipotizzava che quel canto poteva conservare i suoni rituali degli antichi sciamani dai tempi della preistoria.

Gli Antichi Libri dell’Induismo

I libri sacri più antichi della tradizione induista si chiamano i Veda (letteralmente “Vedere”). Questi fanno parte della tradizione chiamata Shruti (Parole udite).

Il secondo gruppo di libri sacri sono i Purana (gli antichi) che fanno parte della tradizione chiamata Smriti (Parole ricordate).

Un terzo gruppo di libri sacri sono le storie cantate o le storie in versi. Vi sono due testi importanti in questo gruppo, Mahabharata (Il grande India) e Ramayana (Storia di Rama). Questi due testi fanno parte della tradizione chiamata Itihasa (Ciò che è successo).

Ho pensato che alcuni elementi di Ramayana e Mahabharata, e alcune storie raccontate nei Purana potrebbero riguardare i rapporti tra gli Homo sapiens e le altre specie umane. Ovviamente le mie sono soltanto delle speculazioni perché non vi sono elementi storici che possono provare queste tesi.

La Tribù dei Kapi in Ramayana

In Ramayana, Kapi è il nome di una tribù che vive nelle foreste. Nella cultura popolare questa tribù è rappresentata da esseri un po’ umani e un po’ scimmie. Bali, Sugriva, Hanuman e Angad sono alcuni personaggi Kapi, che giocano un ruolo importante nella storia di Ramayana, soprattutto Hanuman, che è considerato un essere divino e ha molti seguaci in India.
Neanderthal nella mitologia India - Immagine di S. Deepak

Nella mitologia, Hanuman è il figlio di Pavan, il dio del vento. Lui può saltare molto in alto, è veloce, può coprire grandi distanze e conosce le piante medicinali. Angad, un altro personaggio Kapi di Ramayana, è famoso per la sua grande forza. Penso che i Kapi possono rappresentare una delle specie umane con i quali gli Homo sapiens avevano convissuto.

I Rakshasa in Ramayana

Una parte di Ramayana è ambientata nell’isola di Sri Lanka, e descritta come il regno di un altro gruppo di esseri chiamati i Rakshasa, i quali sono alti, forti e molto intelligenti. Ravana, il re dei Rakshasa, è considerato un grande saggio, un Re-Bramino dei Rakshasa, anche se svolge il ruolo del cattivo nella storia. Lui è rappresentato da un essere con dieci teste, che simboleggiano la sua grande intelligenza. Forse i Rakshasa potevano essere un'altra specie umana?
Neanderthal nella mitologia India - Immagine di S. Deepak

Anche il Mahabharata ha alcune descrizioni dei popoli che vivono nelle foreste e che sono descritti come altri gruppi di umani, diversi dai protagonisti principali del libro. Per esempio, in questo testo, Bhima, uno dei protagonisti principali, si sposa con Hidimba, una donna della foresta e ha un figlio con lei. La città di Manali nelle montagne a nord di Delhi, ha un famoso tempio dedicato a Hidimba. 

I Miti nei Purana

I Purana raccontano le storie delle antiche famiglie nell'India preistorica. In queste storie, i re degli umani si chiamano i Manu. Vi sono diversi altri personaggi non-manu in queste storie, per esempio i gruppi conosciuti come Asura, Detya, Danava e Rakshasa, che potrebbero essere riferimenti alle altre specie umane. Alcuni di questi gruppi sono descritti con simili nomi anche nei testi Avesta, gli antichi libri sacri della Persia (odierno Iran), dai seguaci di Zarathustra.

Nei racconti dei Purana, i rapporti tra i Manu e gli altri gruppi iniziano spesso come parenti (per esempio, sono i figli dello stesso padre con due madri diverse). Inoltre, vi sono molte storie di matrimoni misti tra di loro. Poi con tempo, con alcuni di loro nascono le rivalità che qualche volta sfociano in guerre. Per esempio, nella storia di Shukracharya, il capo dei Detya, lui è considerato un grande saggio e l’insegnante dei Manu, ma dopo qualche generazione, alcuni suoi discendenti diventano i rivali dei Manu e le due fazioni hanno conflitti.

Conclusioni

Mi piace molto la premessa del libro di Rutger Bregman che l'Homo sapiens è diventata la specie dominante perché erano gli uomini buoni che davano più importanza ai rapporti sociali che alle guerre. Non ho ancora finito di leggere questo libro e sono curioso di conoscere come Bregman spiega l’accadere degli eventi come l’olocausto, le guerre di religione e la tratta degli schiavi da parte degli uomini "fondamentalmente buoni".

Mi piace pensare che l’Homo sapiens dal cuore gentile era spesso buono anche con le altre specie umane e che le antiche culture orali hanno conservato la memoria di questa convivenza nei loro miti e leggende. Penso che la cultura orale indiana è una delle poche che oggi può vantare di una tradizione ininterrotta da almeno qualche migliaia di anni. Non so se i personaggi di Ramayana e dei Purana descritti sopra fanno effettivamente riferimento a quella convivenza, ma mi piace pensarlo.

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#mitologiaindiana #neaderthalnellamitologia #tradizioniorali #storiadell'umanità 

giovedì 10 ottobre 2019

Kashmir: Il Paradiso Imprigionato

Nel 17° secolo, Jahangir, l’imperatore Mughal visitò la valle di Kashmir e ne rimase incantato: «Se esiste paradiso sulla terra deve essere proprio qui». Sono più di 30 anni che quel paradiso è sotto assedio. Le storie di Kashmir sono uno groviglio e non è facile capire quale appartiene a chi, fin dove le storie raccontano la verità, dove si travestono e nascondono sotto i racconti immaginari.

Il 5 agosto 2019 un annuncio del governo indiano ha riacceso i fari su questa regione dimenticata.

Sono 3 le parti coinvolte in queste storie: la gente di Kashmir, l’India e il Pakistan.

Considerata la terra del culto di Shiva dai tempi antichi, l’islam arrivò e conquisto questa terra nel 14° secolo. La disputa fra India e Pakistan riguardo Kashmir iniziò nel 1947 subito dopo la partenza del governo coloniale inglese. L’annuncio del governo indiano del 5 agosto è soltanto l’ultimo atto di questa disputa.

È una storia lunga e complessa con colpi e contraccolpi.

Prima di farvi una spiegazione (semplificata) di questa storia e del significato dell’annuncio del governo indiano, vorrei iniziare con un chiarimento riguardo la valle di Kashmir.

La Valle di Kashmir

Lo Stato indiano di Kashmir con circa 13 milioni di abitanti è costituito da 3 regioni: Jammu, Ladakh e la Valle del Kashmir. Le dispute fra India e Pakistan riguardano la Valle di Kashmir: questa è la zona di conflitto non le altre due regioni.



Con circa 6,9 milioni di abitanti (dati del 2011) la regione della Valle di Kashmir rappresenta circa il 15% della superficie dello Stato ed è quella più popolosa. Circa il 96% della popolazione è musulmana, composta da 2 gruppi principali: il 75% sono Sunniti e il 25% sono Shi’a. A ovest questa regione condivide la frontiera con il Pakistan.

Con circa 5,3 milioni di abitanti (sempre dati 2011) la regione di Jammu rappresenta circa il 26% della superfice ed è la seconda per popolazione. Circa l’85% della popolazione di Jammu è induista mentre i musulmani si aggirano sul 7,5%.

Con solo 290.000 abitanti (il riferimento è sempre al 2011) Ladakh è scarsamente popolata. Circa il 46% della popolazione è musulmana, il 39% è buddhista e gli induisti sono il 12%. Al nord questa regione condivide la frontiera con Cina e Pakistan.

La disputa fra l’India e il Pakistan

Nell’agosto 1947 il Governo coloniale inglese aveva lasciato il subcontinente indiano ma prima di partire l’aveva suddiviso in due Paesi: India e Pakistan. Questa suddivisione riconosceva la domanda di una parte di musulmani di essere «un popolo diverso dagli altri indiani» che chiedevano un Paese solo per loro. All’inizio, il Pakistan era composto da due territori – Pakistan est (oggi Bangladesh) e Pakistan ovest – le due aree dove la maggioranza della popolazione era musulmana.

Nel 1947 il subcontinente aveva anche centinaia di principati e regni, i quali potevano scegliere se far parte dell’India o del Pakistan. Questa scelta riguardava soprattutto i regni che si trovavano vicino alle frontiere dei due Paesi, mentre quelli che erano completamente circondati da uno dei Paesi, di fatto non avevano questa scelta.

Il regno di Jammu-Kashmir con la maggioranza della popolazione musulmana (77%) aveva un re induista, Hari Singh. Lui non era sicuro se far parte dell’India o del Pakistan e aveva richiesto del tempo per prendere la sua decisione. Dopo alcuni mesi di attesa, le forze pakistane erano entrate e avevano occupato alcune parti della Valle del Kashmir, soprattutto nel nord ovest. Hari Singh che non aveva una forza militare per resistere, chiese l’aiuto al governo indiano e decise di far parte dell’India. Questa fu la prima guerra fra India e Pakistan per la valle del Kashmir.

Verso la fine del 1948, con l’aiuto delle Nazioni Unite, la guerra finì: i territori della Valle del Kashmir presi dal Pakistan sono rimasti sotto il suo controllo. Vige tutt’ora quella linea di controllo come frontiera, dove le due forze si erano fermate al momento del cessate il fuoco.

Le Nazioni Unite avevano chiesto un referendum fra la popolazione di Kashmir per decidere se volevano andare in Pakistan o restare in India, però non è mai stato organizzato. Secondo l’India, il referendum si deve fare in tutto il territorio della Valle del Kashmir, mentre secondo il Pakistan soltanto nelle parti rimaste in India.

Gli articoli 370 e 35A del Kashmir

L’articolo 370 della Costituzione, approvato nel 1954, garantiva l’autonomia dello Stato di Kashmir, inclusa una sua Costituzione separata. L’articolo 35A – anche esso approvato dal parlamento indiano nello stesso anno – dava poteri allo Stato di Kashmir di decidere i criteri per definire chi poteva diventare residente permanente dello Stato e i suoi diritti.

Scoppio delle violenze in Kashmir

Vi sono state tre guerre fra India e Pakistan per la Valle del Kashmir. La prima, già spiegata sopra, nel 1947-48. La seconda nel 1965 e la terza nel 1998-99.

Fino alla prima parte degli anni ’80, la situazione nella Valle del Kashmir era tranquilla, come testimoniano le scene dei numerosi film di Bollywood girati qui. In quegli anni, le persone del Kashmir chiedevano “azadi”, la possibilità di avere un Paese libero cioè di non essere parte né dell’India né del Pakistan.

Le violenze in Kashmir sono iniziate intorno al 1988-89. Negli anni ’80, gli Usa avevano sostenuto i Mujahideen pakistani per lottare contro i russi in Afghanistan. Dopo il ritiro delle truppe russe dall’Afghanistan nel 1988, molte di queste persone che credevano in un Islam radicale sono arrivate nella Valle del Kashmir. Uno dei loro compiti era reclutare giovani della Valle del Kashmir in India e mandarli nei campi di addestramento in Pakistan per diventare guerriglieri.

All’inizio degli anni ’90 vi erano più di 300.000 induisti nella Valle del Kashmir, conosciuti come i Kashmiri Pandit. Questi sono diventati i bersagli degli islamici radicali. Secondo i rapporti governativi più di mille Kashmiri Pandit sono stati uccisi mentre le loro case e negozi venivano distrutti e bruciati. La maggior parte di loro sono scappati dalla Valle del Kashmir e molti tutt’ora vivono nei campi profughi sparsi in India. Meno dell’ 1% sono rimasti nella Valle del Kashmir.

I mujahideen pakistani e i loro compagni nella Valle del Kashmir hanno iniziato ad attaccare le strutture e i servizi governativi, in particolare i poliziotti locali che erano visti come traditori. Si pensa che negli anni successivi alla fuga dei Kashmiri Pandit dalla Valle, circa 30.000 persone, la maggioranza musulmane, sono state uccise dagli islamisti radicali perché ritenuti favorevoli al governo indiano.

Il governo indiano aveva risposto con l’invio delle forze militari, le quali hanno poteri speciali che garantiscono immunità dai tribunali civili. Così dagli anni ’90 la popolazione vive schiacciata fra queste due forze: da una parte i guerriglieri che vogliono che la Valle del Kashmir diventi parte del Pakistan e dall’altra le forze militari indiane.

Secondo alcuni articoli, di recente un terzo gruppo si è aggiunto alla lotta, cioè le persone che si ispirano alla filosofia dello Stato Islamico (ISIS). Negli ultimi 4-5 anni nelle proteste si vedono sempre di più le bandiere e le rivendicazioni a sostegno del Califfato Islamico e le “chiamate” per stabilire lo Stato islamico in Kashmir con la legge della Shariat.

La posizione pakistana

La religione musulmana è stato il motivo della nascita di Pakistan e dall’inizio i politici pakistani hanno rivendicato il territorio della Valle del Kashmir perché sarebbe una parte della fraternità musulmana.

Nel 1958 in Pakistan vi fu il primo colpo di stato, seguito da diverse dittature militari. Nel 1973 il Pakistan è diventato un Paese basato sulla legge islamica. Negli anni di leadership del dittatore militare Zia-ul-Haq (1977-88) l’islamizzazione si è ulteriormente rinforzata. Risale a quegli anni l’approvazione della legge sulla blasfemia. Gli ultimi decenni hanno visto crescenti suddivisioni fra i vari gruppi di musulmani in Pakistan, per esempio tra i sunni e gli shi’a, e tra i barelavi e i deobandi, mentre altri gruppi di musulmani (come gli ahmadi e i  bohra) sono stati dichiarati “non islamici”.

Questi fattori lasciano poco spazio di manovra ai politici pakistani, anche perché i capi militari detengono tutt’ora molto potere. Avere Kashmir come parte del Pakistan è diventata una questione di orgoglio nazionale e sarà difficile per loro cambiare posizione.

Le decisioni dell’India

Il 5 agosto 2019 il governo indiano ha deciso di revocare gli articoli 370 e 35A: si è giustificato dicendo che entrambi questi articoli erano temporanei e dopo 65 anni è inutile il loro mantenimento. Inoltre si è deciso di separare la regione di Ladakh dallo stato di Kashmir, creando un territorio autonomo sotto la giurisdizione del governo nazionale. Queste risoluzioni sono state approvate da due terzi della maggioranza nel parlamento indiano. Di fatto, questo significa che lo stato di Kashmir con le due regioni (Valle del Kashmir e Jammu) è ora una parte dell'India come tutto il resto del paese.

Dal 5 agosto a oggi (31 agosto) nella Valle del Kashmir non c’è internet e le reti dei telefoni mobili. Dopo il 12 agosto poco alla volta in alcune parti della Valle il servizio di telefoni fissi è stato ripristinato. Molti leader politici e civili sono in prigione o in arresto domiciliare.

Le reazioni

Secondo i giornalisti pro-governativi, dato il continuo rinforzamento dei radicali islamici e dei simpatizzanti di ISIS, bisognava tentare con una strategia nuova in Kashmir e forse l’abrogazione degli articoli 370 e 35A darà una possibilità di avere pace in questa regione. Dicono che con circa 200 milioni di musulmani (stime 2018) India è il secondo Paese nel mondo per il numero di musulmani e non si può rischiare che il radicalismo islamico contagi il resto dell’India.

Inoltre i filo-governativi dicono che l’articolo 35A era discriminatorio e dava diversi privilegi agli uomini del Kashmir. Per esempio, secondo questo articolo, se un uomo di Kashmir sposava una donna lei acquisiva il diritto di vivere nello Stato mentre una donna di Kashmir perdeva il suo diritto di residenza se sposava un uomo forestiero.

Il primo ministro indiano, nel suo discorso per giustificare l’abrogazione dei due articoli, ha parlato soprattutto di aspetti discriminatori inerenti agli articoli 370 e 35A.

Invece secondo i critici, il governo si è comportato in maniera prepotente: avrebbe dovuto avviare un dialogo in Kashmir sulla necessità di abrogare gli articoli. Loro criticano l’arresto di leader politici e civili come il blocco di internet e dei telefoni cellulari.

Le popolazioni delle regioni di Jammu e Ladakh e nel resto dell’India hanno accolto queste decisioni positivamente mentre le principali critiche sono venute dalla Valle di Kashmir e dal Pakistan. I gruppi separatisti hanno giurato “lotta continua” fino alla realizzazione del loro sogno di diventare parte del Pakistan, minacciando attacchi alle strutture governative.

Comunque, con o senza gli articoli 370 e 35A, la situazione del Kashmir non cambierà nel prossimo futuro. Per il momento il blocco di internet e la mancanza di telefoni mobili hanno permesso alle autorità di mantenere il controllo perché senza i social media è difficile organizzare le proteste. Comunque il blocco di internet e dei telefoni cellulari non può durare in eterno e bisognerà vedere che cosa succederà allora.

domenica 16 dicembre 2012

Cortigiane e prostitute nel mondo di Bollywood (1)

Cortigiane-prostitute hanno avuto un ruolo importante nel mondo di Bollywood per gran parte del ventesimo secolo. Questo articolo parla di film di Bollywood centrati sulle figure di cortigiane-prostitute. Questa è la prima parte del articolo.

Bollywood Cortigiane e prostitute

Introduzione

Le cortigiane-prostitute sono state delle figure ibride nella cultura indiana. Erano artisti riconosciuti che salvaguardavano la cultura classica, e allo stesso momento, erano persone costrette a vivere ai margini della società. I film centrati sulle loro figure toccano i temi della moralità pubblica e dell'oppressione delle donne. Allo stesso momento, nei film queste figure presentano la possibilità della libertà delle donne dalle rigide norme sociali che le circondano negli ambienti conservatrici. Anche se in maniera indiretta, spesso questi film toccano anche i temi legati alla sessualità delle donne.

Queste figure sono conosciute con diversi nomi nel mondo del cinema di Bollywood - bai ji, mujrewalli, tawaif, vaishya, nachanewali, nautankiwali, nagarvadhu, ecc. Questi nomi non sono sempre degli sinonimi. Ciascuna di queste figure ha alcune caratteristiche specifiche, il suo mondo dove vive e opera, con le sue regole di comportamento. Alcune di loro si avvicinano all'idea della prostituta come la si conosce nell'occidente, ciò è, come oggetti sessuali in vendita o come soggetti esperti nelle arti erotiche. Altre sono più vicine alle figure delle geisha giapponesi, ciò è, soggetti culturali, venerati dai loro seguaci per la loro bellezza e per loro bravura come cantanti, danzatrici o attrici.

La parola "prostituta" ha un significato specifico e porta dentro di se le immagini di un certo modo di essere della persona. Usare questa parola in questo articolo mi fa sentire un senso di disagio perché non esprime esattamente quello che voglio dire. Ma non ho trovato un'altra parola che esprimesse il concetto meglio.

Origini della tradizione di Cortigiane-Prostitute

Alcuni dei nomi più famosi del mondo culturale nell'India pre-indipendente, compreso diverse attrici famose del cinema indiano nascente, provenivano da questo mondo delle cortigiane-prostitute. Solo per citare qualche esempio, le due cantanti famose di quell'epoca, Jaddan Bai (madre dell'attrice Nargis Dutt) e Begum Akhtar, venivano da questo mondo.

Le figure di cortigiane-prostitute hanno avuto origine in almeno due diverse tradizioni. La prima tradizione riguardava le case dei nobili. Le cortigiane, insieme ai cortigiani, erano artisti di talento che trovavano un rifugio e patrocinio presso le case nobili, i quali sapevano apprezzare l'arte raffinata e classica a differenza delle masse comuni, che preferivano le arti popolari.

La seconda tradizione riguardava le nagarvadhu, le spose della città ("nagar" significa "città" e "vadhu" significa "sposa"), ciò è le donne belle e attraenti, identificate quando erano ancora bambine, sopratutto provenienti dalle famiglie povere. Queste ragazze dovevano imparare danza, canto e le arti erotiche, non potevano sposarsi ed erano a disposizione di tutti gli uomini.

Con tempo, queste due tradizioni si sono fuse con il risultato che nella cultura indiana, fino agli anni 1960-70, spesso gli artisti erano visti come persone di dubbia morale. Si potevano invitarli alle funzioni pubbliche per dimostrare  la propria ricchezza e la cultura, ma allo stesso tempo, erano considerati "inferiori".

In una conferenza stampa a Firenze durante il festival River to River 2012, Amitabh Bachchan, il famoso attore di Bollywood, aveva spiegato, "Quando ero bambino, gli artisti erano visti come delle persone immorali e la professione di attore non era considerata adatta alle persone di buone famiglie."

Rishi Majumdar nel suo articolo sulla storia del vecchio cinema Naaz, centro di finanziamento e distribuzione dei film di Bollywood negli ultimi decadi del ventesimo secolo, aveva scritto, "le persone che lavoravano nel mondo del cinema erano guardate con certo grado di disprezzo negli anni cinquanta e sessanta perché c'erano le attrici ebree e le tawaif ..."

Cortigiane Prostitute Bollywood
Un film che in qualche modo forniva una spiegazione sul perché della confusione tra le donne impegnate nelle arti e le prostitute era  "Lekin" (Ma, 1991) di Gulzar. Il film raccontava la storia di un archeologo (Vinod Khanna) che incontra uno spirito (Dimple Kapadia) tra le rovine di un vecchio palazzo in Rajasthan. E' lo spirito di una danzatrice che aspettava qualcuno che poteva aiutarla ad attraversare il deserto per tornare al suo villaggio. Secoli prima, la ragazza era venuta al palazzo del re come una cortigiana per danzare, ma il re voleva anche il suo corpo, e lei avevo preferito il suicidio piuttosto di concedersi al re. Da allora il suo spirito era rimasto prigioniero nel palazzo.

Storie legate alle cortigiane-prostitute sono state molto frequenti nel mondo di Bollywood fino agli anni 1990. A seguito della liberalizzazione economica dell'India, negli ultimi venti anni queste figure sono gradualmente scomparse dalle storie di Bollywood, e sono state sostituite da occasionali figure di prostituite, più vicine a come si intende il termine in occidente, anche se alcuni elementi che caratterizzano le figure di "cortigiane-prostitute" ancora appaiono nei film.

Il mondo delle cortigiane-prostitute somiglia il mondo di Ukiyo-e in Giappone medievale, un mondo ai margine della società, il mondo che comprendeva gli artisti e le geishe.

Gli uomini che abitavano nel mondo delle cortigiane-prostitute, anche essi erano più o meno esclusi dalla società - i mezzani, gli eunuchi, i kavi (poeti che scrivano versi liberi in Hindi) e i shayar (poeti che scrivano versi in urdu e che seguono alcune regole di composizione legate alle lingue arabe e persiane). Insieme alle cortigiane-prostitute, anche queste figure maschili sono quasi scomparse dal mondo del cinema indiano negli ultimi due decenni.

La cortigiana nell'India antica

I film con storie che parlano delle figure delle cortigiane nell'India antica fino all'arrivo del impero Mughal nel quindicesimo secolo, traggono ispirazione dagli antichi testi indù come il Kamasutra e da alcune figure storiche di nagarvadhu famose. La maggior parte di questi film sono ambientati tra il 500 e 100 a.c., quando i guru indiani componevano i libri sacri di Veda e Buddha predicava il suo messaggio di pace.

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Mrichchkattik (la carrozza di terracotta), una commedia in 10 atti, scritta in sanscrito nel 1 secolo a.c., raccontava la storia di Vasantsena, la cortigiana del re, innamorata del povero bramino, Charudutta. Un film del 1984, Utsav (Festa, regista Girish Karnad) , era ispirato da questa storia. Rekha aveva recitato la parte della cortigiana Vasantsena, come una persona consapevole del proprio potere e della propria libertà in una società fortemente patriarcale. Il film presentava anche la figura dell'asceta Vatsyayan che osservava le cortigiane al lavoro con i clienti e li chiedeva di sperimentare nuove posizioni sessuali, per poi descriverli nel suo libro di Kamasutra. Il film non dava giudizi morali sulla figura della cortigiana, anzi dava una visione delle cortigiane come componenti importanti della società. Le donne del film erano persone libere che potevano vivere la loro sessualità senza dover obbedire gli uomini.

Un altro film che parlava dell'epoca buddista (400 a.c.) in India, era Sidhartha (1972) di Conrad Rooks. Questo film non era di Bollywood ma aveva diversi attori famosi di Bollywood, compreso Shashi Kapoor nel ruolo del giovane Sidhartha e Simi nel ruolo della cortigiana Kamala che lo insegna cosa significa fare l'amore. Questa storia presentava una figura del uomo girovago che si sente irrequieto e non sa cosa fare della sua vita. Per cui lui parte per un viaggio per cercare il senso della sua vita e incontra una cortigiana-prostituta. Anche questo tema del uomo irrequieto e girovago che incontra una prostituta è stato ripreso altre volte nel cinema di Bollywood.

Il terzo esempio di questi film che parlavano del ruolo di cortigiana nell'India antica è quello di Chitralekha (1941 e 1962), girato due volte e entrambe le versioni erano dirette dal regista Kedar Sharma. Il film basato sul romanzo dello scrittore in hindi Bhagwati Charan Verma, raccontava la storia dell'amore tra il re Chandragupta Maurya (Pradeep Kumar) e la cortigiana Chitralekha (Meena Kumari) nel 300 a.c. Anche questo film non dava un giudizio morale sulla figura della cortigiana ma piuttosto era focalizzato su un altro dibattito - il dibattito tra la vita centrata sulla soddisfazione dei sensi da una parte, e il riconoscimento della impossibilità di soddisfare i sensi e la ricerca della pace interiore tramite la rinuncia, dall'altra.

L'asceta Kumargiri (Ashok Kumar) viene alla casa di Chitralekha per chiedere carità e predica la rinuncia ai piaceri del corpo.  Chitralekha gli risponde con sarcasmo, "Sansar se bhaghe firte ho, bhagwan ko kya tum paoghe, is jag ko to apna na sake, us jag ko kya tuma paoghe" (Tu che corri via da questo mondo, come farai a trovare il Dio? Se non sei stato capace di accettare questo mondo creato da Dio, come farai a trovare l'altro mondo?).

Ma quando Chitralekha scopre il suo primo capello bianco, all'improvviso capisce che presto perderà l'amore del re e la sua posizione come la cortigiana principale. Così lei decide di rinunciare alle sue ricchezze e di ritirarsi in montagna vicino all'asceta Kumargiri. Ma questa volta è Kumargiri a perdere l'autocontrollo, attirato dal corpo della bella Chitralekha. Così questo film tocca un altro tema - per le donne niente è facile, se vivono nella società sono accusate di attirare e rovinare gli uomini mondani, e se decidono di rinunciare al mondo, sono accusate di rovinare l'autocontrollo degli sanyasi, gli asceti.

Il quarto film che parla delle cortigiane nell'India antica è "Amrapali" (1966, regista Lekh Tandon) basato sulla leggenda della nagarvadhu (sposa della città) di Vaishali nel regno di Pataliputra durante i tempi di Buddha, 500 a.c.

Cortigiane Prostitute Bollywood

Ajatshatru (Sunil Dutt), il re di Magadha, si innamora di Amrapali (Vajayanti Mala) che vive nel regno di Vaishali. Ma Amrapali non può essere sua perché è troppo bella per essere la moglie di un solo uomo, deve diventare la sposa della città e dare piacere a tutti gli uomini che possono pagarne il prezzo. Arrabbiato Ajatshatru attacca il regno di Vaishali e la distrugge. Vincitore lui arriva nel palazzo di Amrapali per dichiarare il suo amore e per chiederle di diventare la sua regina, ma Amrapali è scioccata da morte di migliaia di persone. Lei rifiuta Ajatshatru e diventa una monaca a seguito di Gautam Buddha.

In tutti questi film, le donne sono cortigiane-prostitute - esperte in danza e canto che vivono in palazzi dorati, ma non possono sognare di amare un uomo solo e di avere una famiglia con lui. Invece, hanno maggiore autonomia e libertà. Questi film non fanno un discorso morale sulla prostituzione. I loro canti sono ispirati dalla mitologia indù e le loro danze sono vicini alle danze classiche indiane come odissi e bharatnatyam.

L'arrivo dell'islam e la figura della cortigiana

I film come Pakeezah, Umrao Jaan e Mughal-e-Azam rappresentano la figura delle cortigiane durante l'epoca musulmana, dopo l'arrivo della dinastia dei Mughal intorno al 1450 d.c.

Mughal-e-Azam (1960, "Imperatore dei Mughal", regista K. Asif) parlava della storia d'amore tra principe Shekhu o Jahangir (Dilip Kumar), figlio dell'imperatore Akbar, per una semplice ragazza, Anarkali (Madhu Bala), figlia di una vecchia cortigiana. Questo amore non è gradito all'imperatore Mughal Akbar, il quale fa seppellire viva in un muro la bella Anarkali. Anche se il film presenta Anarkali come una aspirante cortigiana, il film non approfondisce il mondo delle cortigiane ai tempo dell'imperatore Akbar, ma piuttosto è una storia d'amore.

Uno dei momenti più emozionanti di questo film è la scena quando l'imperatore chiede a Anarkali di ballare nella corte per sottolineare a tutti che è soltanto una cortigiana, e Anarkali decide di ballare cantando, "Jab pyar kiya to darna kya" (Se hai deciso di innamorarti allora perché avere paura), l'inno di tutti gli innamorati indiani e lo slogan usato dalla parata gay pride in India.

Cortigiane Prostitute Bollywood
"Pakeezah" (1972, "Pura") del regista Kamal Amrohi raccontava la storia della cortigiana Sahibjaan (Meena Kumari) e il suo amore per il nobile Salim Khan (Raj Kumar). Salim vuole sposare Sahibjaan e sceglie un nuovo nome per la sua amata, Pakeezah, ma Sahibjaan ha paura che per le persone sarà sempre una prostituta.

Ambientato nella prima metà del ventesimo secolo, il film presentava il mondo dorato delle donne Mujrewali, donne che recitavano raffinati gazal e shayari (poesie urdu) e parlavano di alta cultura, ma che allo stesso tempo, potevano essere vendute come prostitute ai ricchi e nobili.

Invece Umrao Jaan (prima versione nel 1981, regista Muzzafar Ali e seconda versione nel 2006, regista J. P. Dutta) era un film biografico sulla vita di una famosa cortigiana di Lucknow del diciottesimo secolo. Il film sottolineava di nuovo l'aspetto esteriore del mondo dorato e la continua ricerca d'amore delle cortigiane-prostitute nell'epoca islamica.

Le cortigiane-prostitute di questi film erano parte di un sistema diverso da quelle delle nagarvadhu nell'India antica, ma anche questo sistema era altrettanto rigido, ed era controllato dalle donne più vecchie. Per alcuni versi, le donne di questi film sembrano avere meno autonomia. Hanno l'obbligo di coprirsi e di non interagire con gli uomini tranne quando deciso dalle matrone della loro casa. Quando escono fuori dal palazzo, portano il velo nero. Si cimentano in poesie scritte in urdu, la nuova lingua dei Mughal nata dal miscuglio di hindi, persiano e arabo. Le loro poesie sono chiamate sher o gazal, entrambe forme di poesia con delle regole grammatiche molto precise. Le loro danze sono legate sopratutto al movimento veloce dei piedi, in stile chiamato kathak.

Le cortigiane e prostitute dell'epoca moderna

Le figure delle cortigiane hanno subito diverse trasformazioni nei film ambientati nell'epoca moderna, ciò è, nel ventesimo secolo. Anzitutto, in questi film il loro ruolo come oggetto sessuale da comprare è più esplicito, anche se conitinuano a richiamare alcuni tratti delle antiche nagarvadhu e delle cantanti-danzatrice dell'epoca Mughal.

I film centrati sulla figura della cortigiana-prostituta spesso hanno delle storie che seguano alcuni filoni di base, anche se ogni tanto vi sono delle variazioni. Le due varianti più comuni di queste storie sono - (1) la ragazza della buona famiglia costretta da alcuni cattivi o da circostanze avverse a sacrificarsi in un mestiere infame, dalla quale poteva uscire solo con la sua morte e (2) la prostituta dal cuore d'oro che ama l'eroe e sacrifica la sua vita per lui.

Un terzo variante di questi film ha come protagonista una bella prostituta, portata dentro una casa dove deve fingere di essere la moglie. Vi presenterò i film più importanti secondo questi filoni tematici.

Il Richiamo alle storie mitologiche

Tutti questi film richiamano alcune figure mitologiche - sopratutto le mitologie di Sita e Savitri. Sita è la moglie di Rama nel poema epico Ramayana e incarna la moglie obbediente, che segue il marito nella foresta, ma quando la sua fedeltà verso il marito è messa in dubbio, è mandata in esilio. Savitri invece lotta con il dio della morte per riavere il suo marito, perché sa che senza il suo marito la sua vita non ha nessun valore.

Queste due figure mitologiche incarnano i valori di patrivrata - essere obbedienti e fedeli al marito, e riconoscere che il valore di una donna sta soltanto all'interno della casa di suo marito. Spesso questi film parlano della sacralità di sindoor, il polvere vermiglione che è simbolo del matrimonio per le donne non vedove, le quali mettono questo polvere sulla fronte e tra i loro cappelli.

Questi film parlano di queste due figure mitologiche per sottolineare che essendo prostitute e contrarie ai valori rappresentati da Sita e Savitri, non potranno mai raggiungere la vera felicità e non avranno mai l'amore sacro di uomo che poteva garantirle il paradiso. Forse ciò serve per ricordare le spettatrici di questi film che non devono lasciarsi confondere dai valori di libertà sessuale e sociale che le cortigiane-prostitute possono rappresentare.

Alcuni di questi film sono a lieto fine, ma in questo caso, spesso di tratta di ragazze di "buona" famiglia finite in un bordello, ma che sono ancora vergini. Soltanto negli ultimi anni, vi sono stati alcuni film dove alle donne non vergini, viene concessa la possibilità di sposarsi con l'eroe.

Un altro mito che si collega a questi film è legato alla storia di Tulsi, la prostituta salvata dal suo amore per il Dio, e trasformata nella pianta di Tulsi (una specie di basilico indiano). Per questo motivo, la pianta di Tulsi dovrebbe essere nel cortile di ogni casa, e dovrebbe essere venerata dalla padrona di casa, ma non può entrare nella casa. Questo mito viene richiamato nel cinema di Bollywood per parlare delle prostitute che sacrificano la propria vita per salvaguardare il matrimonio degli uomini innamorati di loro.

Ragazze delle buona famiglie costrette a prostituirsi

Le brave ragazze delle buone famiglie costrette a prostituirsi è la tipologia di storia più comune di questi film. Alcuni dei film più importanti con variazioni su questo tema sono i seguenti:

Cortigiane Prostitute Bollywood
Mere Mehboob (Mio Amore, 1963, regista H. S. Rawail) appartiene alla categoria dei film "Muslim social", molto popolare nel mondo di Bollywood alcuni decenni fa. Questi film raccontavano storie melodrammatiche di amori impossibili ambientati nel mondo delle famiglie nobili musulmane. A parte qualche raro film come Garam Hawa (M. S. Sathyu, 1973) o Salim langde pe mat ro (Saeed Mirza, 1989) dove si parlava di famiglie musulmane ordinarie o povere, il cinema di Bollywood era ossessionato dai nobili musulmani, con le poesie gazal e i poeti shayar e con una forte influenza culturale sopratutto nel nord dell'India.

Oggi in occidente la tradizione islamica di coprire le donne con il velo nero viene vista come qualcosa di barbarico per segregare le donne. Invece questi film, i Muslim socials, presentano il velo nero come qualcosa di romantico, un mezzo per nascondere le donne e per sollecitare le fantasie romantiche maschili. Questi film hanno molte canzoni che inneggiano alla bellezza degli occhi o dei piedi visti di sfuggita o nascosti dietro i veli neri.

Il film raccontava la storia di un giovane (Rajendra Kumar) che studia all'università e si innamora di una ragazza (Sadhana) di una famiglia nobile. Per fare colpo sulla ragazza, il giovane fa finta di essere ricco. Lui non sa che sua sorella (Nimmi) è una tawaif (prostituta-cantante) che si esibisce per guadagnare i soldi per pagare i suoi studi. Un'ulteriore complicazione è il fratello (Ashok Kumar) della ragazza, il nawab sahib (nobile) - è innamorato della tawaif e la mantiene affinché la donna canta e balla esclusivamente per lui. Era un film a lieto fine per entrambe le coppie degli innamorati.

Mamata (1966, Amore materno, Asit Sen) era la storia di un giovane avocato (Ashok Kumar) che torna dall'estero e trova che la donna (Suchitra Sen) che lui amava è diventata una cortigiana-prostituta. La donna gli racconta che era stata costretta a sposarsi con un uomo molto più vecchio di lei, il quale l'aveva venduta ad un bordello mentre era in cinta. La donna chiede all'avvocato di prendere la sua figlia e di crescerla lontano dal mondo dei bordelli, senza mai parlarle di sua madre.

Anni passano e la cortigiana si trova in prigione per aver ucciso il suo vecchio marito che cercava di ricattarla. Sua figlia, oramai cresciuta e diventata un avvocato (Suchitra Sen) ha il compito di difenderla, ma non sa che è sua madre.

Ram Teri Ganga Maili (Raj Kapoor, 1985) riprendeva un altro tema molto popolare nel mondo di Bollywood tra 1960-70 - l'amore tra una ragazza innocente di montagna e un ragazzo di città.

Queste storie si rifanno al mito di Shakuntala e il re Dushyant. Secondo questo mito, il re rimane incantato dalla semplice ragazza della foresta e la sposa senza testimoni e poi promette di tornare a prenderla. Shakuntala rimasta in cinta fa il viaggio dalla foresta fino al palazzo del re, ma viene respinta perché un incantesimo ha fatto che il re non ricorda niente della sua promessa.

In Ram Teri Ganga Maili (Dio, la tua Ganga si è sporcata), la bella Ganga (Mandakini) che vive in montagna, arriva in città per cercare il ragazzo che l'aveva sposata e dal quale aspetta il figlio. Dopo alcuni mesi, il suo marito torna in montagna ma scopre che lei è andata via e nessuno sa dove. Dall'altra parte, donna sola in città con un piccolo bambino, Ganga è costretta a diventare una prostituta e viene comprata dal padre del suo ragazzo.  Il marito di Ganga è costretto dalla famiglia a sposare una ragazza scelta da sua famiglia e Ganga è invitata a ballare al suo matrimonio.

Cortigiane Prostitute Bollywood
Amar Prem (1972, Amore eterno, Shakti Samant) era storia di Pushpa (Sharmila Tagore) venduta ad un bordello da suo zio. Al bordello Pushpa conosce Anand Babu (Rajesh Khanna), un ricco signore che si sente solo. Di notte Pushpa canta e balla, ma di giorno gioca con piccolo Nandu, un ragazzino che abita vicino. Per Pushpa, Anand Babu e Nandu sono la sua famiglia perché sono persone che lei ama, ma per la società lei è solo una prostituta. Anni passano, la famiglia di Nandu cambia casa. Nandu torna in città dopo molti anni e incontra di nuovo Anand Babu e poi va alla ricerca di Pushpa, oramai vecchia e ridotta in povertà.

Mausam (Stagione, Gulzar, 1975) era la storia del vecchio medico Amar (Sanjeev Kumar) che arriva in montagna e incontra la giovane prostituta Kajri (Sarmila Tagore). Lui non vuole il sesso da Kajri, ma è alla ricerca di Chanda (Sarmila Tagore), la mamma di Kajri, che lui aveva conosciuto molti anni prima durante le sue ferie in montagna, quando era uno studente di medicina. Kajri si diffida di questo vecchio che la chiama beti (figlia). Lei ha già una lunga esperienza della vita e sa che gli uomini usano parole dolci per calpestare e sfruttare le donne.

Anche questo film tocca il tema del ragazzo di città e la ragazza innocente di montagna. Kajri, la prostituta di Mausam presentava il lato brutale della prostituzione, senza romanticismi di Bollywood.

Cortigiane Prostitute Bollywood
Chandani bar (Madhur Bhandarkar, 2001) è un film più realistico sul mondo dei dance-bar, locali dove si beve alcolici, a Mumbai (Bombay). Il film racconta la storia di Mumtaz (Tabu), una ragazza di un villaggio, prima stuprata dallo zio e poi costretta a ballare e prostituirsi in un locale.

Per una volta, la figura del Tawaif era presentata nella sua brutalità e bruttezza senza il solito romanticismo di Bollywood. Il film ha vinto il premio nazionale per il miglior film ed ha aiutato a costruire la reputazione di Tabu come una brava attrice.

Laaga chunri mein daag (La tua sciarpa si è macchiata, Pradeep Sarcar, 2007), è stata trasmessa su Rai 1 nel ambito del ciclo Amori con..turbanti con il titolo "La verità negli occhi" e raccontava la storia di Badki/Natasha (Rani Mukherjee), costretta a diventare un escort girl a Mumbai per pagare gli studi alla sua sorella minore (Konkana Sen). Il film non ha avuto successo commerciale in India ed è stato criticato dalla stampa indiana per aver ripreso il vecchio stereotipo delle ragazze costrette a prostituirsi.

Questa lista dei film sulle donne costrette a prostituirsi non è completa. Con un po' di ricerca sicuramente mi ricorderò di altri film importanti di questo genere. Ciò può dare un'idea dell'importanza di questo tema nel mondo di Bollywood in passato.

(Fine della prima parte)

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domenica 17 giugno 2012

Le filosofie di Gandhi

Il nome di Mahatma Gandhi è associato a diverse tecniche innovative di protesta, come il Satyagraha o la lotta della verità, dove si utilizza i principi di ahimsa (non violenza) e balidaan (sacrificio personale) per far cambiare la mentalità del avversario. Ero nato nel 1954, 7 anni dopo l'indipendenza dell'India e da bambino, in casa avevo sentito le storie di come Gandhi con i principi della non violenza e degli sacrifici personali era riuscito a liberare l'India dal colonialismo inglese.

Quando avevo otto anni, nel 1962, vi era stata la guerra tra India e Cina e poi, tre anni dopo, nel 1965, la prima guerra tra India e Pakistan. Due di miei zii si erano arruolati nelle forze armate indiane come soldati per la "difesa della matria" (in India, si dice sempre, la matrabhumi o la terra della madre, invece della patria).

E mi chiedevo, dove erano spariti i principi di Mahatma Gandhi durante queste guerre? Nelle lotte con gli altri paesi, i principi di non violenza e del sacrificio personale, non valevano più?

Oggi, finalmente ho trovato una piccola risposta al mio quesito. In un articolo sul giornale Hindustan Times scritto da Gopal Krishna Gandhi, nipotino del Mahatma, è scritto:
1962: Nei primi anni sessanta, tutti si chiedevano se JP sarà il successore di Nehru come capo del governo. Ciò nonostante che nel frattempo, JP era diventato una colonna portante del movimento di Vinoba sulla donazione delle terre, anche se tra i due, vi erano alcune divergenze di opinioni. Quando vi è stata l'invasione cinese nel 1962, JP voleva partire con un gruppo di shanti sainiks (soldati della pace) per ofrire una resistenza non violenta agli aggressori e per fare appello alle due parti di cessare la guerra. Ma Vinoba era contraria all'idea, e JP aveva deciso di ascoltare il suo consiglio.
Vuol dire che alcuni seguaci del Mahatma, come Jayaprakash Narayan (JP), credevano che si potevano sperimentare i suoi principi anche  nelle guerre tra i paesi!

Alla fine non l'avevano fatto, ma leggere che lo volevano fare, mi ha dato immenso piacere.

Quando leggo i libri e gli articoli sugli ultimi anni di vita di Gandhi, mi dispiace per lui. Penso che oramai, era visto come un uomo vecchio, eccentrico e arteriosclerotico, non molto pratico, ignorato da "politici" veri che cercavano soluzioni "pragmatiche". Era qualcuno da tenere in un tempietto, venerato e ignorato. Sapere che persone come JP credevano ancora nei principi di Mahatma Gandhi, mi ha fatto piacere.

Non so spiegare bene i motivi del mio piacere, ma mi è sembrata qualcosa di importante. Per questo volevo parlarne con qualcuno!

Qui sotto due delle ultime immagini di Gandhi scattate dalla famosa fotografa americana Margherita Burke che lavorava per la rivista Life. La prima immagine era stata scattata nel gennaio 1948, pochi giorni prima del suo assassinio e la seconda mostra la cremazione del suo corpo avvenuto a Delhi il 31 gennaio 1948.


Mahatma Gandhi 1948 by Margherita Burke

Cremation of Mahatma Gandhi, 1948 by Margherita Burke

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domenica 7 agosto 2011

La sposa dell'imperatore

Alla fine, ieri 6 agosto sera, il ciclo dei film di Bollywood sul Rai Uno è iniziato con La Sposa Dell'Imperatore (titolo originale "Jodha Akbar", regista Ashutosh Gawarikar, India 2008) e non potevano scegliere un film migliore per iniziarlo.

Finalmente sembra che le persone che curano l'organizzazione della presentazione dei film di Bollywood hanno capito come farlo funzionare e il film presentato ieri sera ne era un buon esempio - non hanno tagliato tutte le canzoni e le danze del film.

Il film "La sposa dell'imperatore" presentato ieri sera sulla TV italiana era molto diverso dal film originale "Jodha Akbar" uscito in India e che aveva vinto diversi premi nazionali ed internazionali. Il film originale durava 3 ore e 33 minuti, mentre la versione italiana durava intorno a 1 ora e 45 minuti, per cui nella versione italiana mancava circa il 50% del film. Soltanto questa differenza può dare un'idea della diversità tra i due film.

Penso che questo fatto solleva questioni interessanti legate al diritto di modificare e cambiare sostanzialmente un'opera artistica. Comunque, è altrettanto vero che secondo le situazioni e il contesto, spesso le scene dei film e dei telefilm sono tagliate, per esempio quando si proiettano i film negli aerei.

La storia di "Jodha Akbar" aveva due filoni principali - (1) la storia d'amore tra imperatore Jalaluddin Mohammed Akbar (interpretato da Hrithik Roshan) e la principessa Rajput Jodha Bai (interpretata da Aishwarya Rai), e (2) la costruzione e consolidamento dell'impero Mughal in India. "La sposa dell'imperatore" focalizza quasi esclusivamente sul primo filone, la storia d'amore tra Jodha e Akbar. Il film originale aveva diverse scene lunghe e imponenti delle guerre, che sono state tagliate completamente dalla versione italiana. In fatti, la versione italiana inizia dopo i primi 30-40 minuti del film originale.

Jodha Akbar - Mahamanga and Jodha

Comunque, sono felice di questa scelta operata da Nicodemo Martino e Michela D'Agata per realizzare la versione italiana di Jodha Akbar. Quando avevo visto il film al cinema in India, avevo trovato noiose le lunghe scene di lotte e di guerre, e avevo pensato che il film sarebbe stato molto migliore se focalizzava solo sulla storia d'amore tra i due protagonisti principali.

L'unica scene che è stata tagliata e che avrei voluto vedere nel film di ieri su Rai Uno, era quella dove il giovane Akbar va a domare un elefante.

Invece, non sono sicuro se è stata una buona scelta, quella di non spiegare le parole delle canzoni con dei sottotitoli. Da una parte penso che sentire solo la melodia potrebbe essere un buon modo per non distrarre gli spettatori italiani e per lasciarli a sentire le emozioni in maniera più profonda e istintiva.

E' vero che per me personalmente, capire il senso delle canzoni è parte importante dell'esperienza del film. Dall'altra parte, penso anche che comprensione letterale delle parole non è sufficiente per capire il loro significato, senza una conoscenza della cultura e della visione di vita di un popolo. Per cui leggere le parole delle canzoni nei sottotitoli forse potrebbe diventare una distrazione per molti spettatori italiani, e non molto utile per sentire le emozioni che le parole vogliono esprimere?

Jodha Akbar - marriage and the sufi singers and dancers

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Altri film di Bollywood sugli imperatori Mughal: "Jodha Akbar" era il primo film di Bollywood centrato sulla loro vita, anche se le due figure avevano avuto un ruolo molto importante in un altro film - "Mughle-Azam" (Il capo dei Mughal", regista K. Asif, India 1960). "Mughle Azam", è oggi considerato un film di culto in India e racconta la storia d'amore del principe Shekhu (Imperatore Jehangir), primogenito di Akbar e Jodha, con la danzatrice Anarkali (letteralmente "Bocciolo di Melograno").

Mughle-azam poster

Un altro film sulla tragica storia d'amore tra principe Shekhu e la danzatrice, era "Anarkali" (regista Jaswantlal, India 1953), ma in questo film le parti relativi all'imperatore Akbar e alla regina Jodha erano meno importanti.

Dopo la scomparsa di Anarkali, l'imperatore Jehangir aveva sposato Nur Jahan, e vi sono stati alcuni film sull'alto senso di giustizia dell'imperatore Jehangir. Si dice che una volta durante una caccia, per sbaglio, la regina Nur Jahan aveva ucciso un uomo e la vedova di questo uomo aveva chiesto giustizia all'imperatore. La decisione dell'imperatore Jehangir, che amava molto la moglie Nur Zehan, era, "Come la regina ha ucciso il tuo marito, anche tu puoi uccidere il marito della regina". Naturalmente la vedova non voleva uccidere l'imperatore e accettò la ricompensa finanziaria offerta dalla corte.

Invece vi sono stati diversi film indiani relativi alla storia di Shahjehan, il figlio dell'imperatore Jehangir e il nipotino di Jodha e Akbar, il quale aveva costruito il famoso Taj Mahal per la sua amata regina Mumtaz Mahal. C'è stato un film anche sulla vita della principessa Jehanara, sorella di Shahjehan.

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Le riforme religiose di Akbar: L'imperatore Akbar aveva forti legami con la famiglia Rajput ("Raj" significa il re o il guerriero, "put" significa "figli", ciò è il clan dei guerrieri - dal loro nome, questa zona nel nord ovest dell'India prende il nome di Rajasthan o "la terra dei guerrieri") e cercò di trovare sinergie tra i principali due gruppi religiosi dell'India - musulmani e indù.

Si dice che lui aveva fatto venire alla sua corte gli uomini religiosi di tutte le diverse religioni e poi aveva proposto una nuova religione che metteva insieme i punti più importanti di diverse religioni. Questa nuova religione si chiamava "Deen-e-ilahi", ciò è, "la religione di Dio". Tuttavia, questa nuova religione non trovò sostegno di altri sovrani che avevano seguito Akbar, a partire dall'imperatore Jehangir e alla fine scomparve.

Jehangir, il figlio di Akbar, e Shahjehan il nipotino di Akbar, comunque, avevano mantenuto stretti legami con gli indù, sopratutto con i Rajput. Il primogenito di Shahjehan che si chiamava Dara Shikoh, era uno studioso di testi sacri indù. Invece un altro figlio di Shahjehan, che si chiamava Aurangzeb, era più ortodosso e vicino al islam più radicale. Aurangzeb aveva ucciso il suo fratello maggiore Dara, e aveva imprigionato il padre Shahjehan, per diventare l'imperatore di Hindustan (India). Con Aurangzeb, la politiche religiose cambiarono e per la durata del suo regno, islam radicale tornò ad essere la forza maggiore nell'impero indiano dei Mughal.

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I monumenti dei Mughal: Akbar era cresciuto a Delhi. La scala alla chiocciola della biblioteca circolare dove era morto Hamayun, il padre di Akbar, si trova dentro il forte vecchio, accanto allo zoo di Delhi. Dall'altra parte della strada c'è ancora il palazzo di Mahamanga, la balia di Akbar (interpretata molto bene da attrice e cantante Ila Arun in "La sposa dell'imperatore").

Palazzo di Mahamanga a Delhi

Il mausoleo di Hamayun, papà di Akbar, che ha ispirato il più famoso Taj Mahal, è un monumento importante di Delhi.

Mausoleo di Hamayun a Delhi

Dopo essere diventato l'imperatore, Akbar aveva fatto costruire il suo palazzo a Fatehpur Sikri, sulla strada che va da Delhi verso Agra. Si dice che Akbar e Jodha non avevano figli e andarono da un santone sufi che si chiamava, Khawaja Muinuddin Chishti, e che abitava da quelle parti. Dopo questa visita la regina Jodha restò incinta e per questo motivo, Akbar decise di avere la sua capitale vicino alla casa del santone. Non so se Ashutosh Gawarikar, il regista di "La sposa dell'imperatore" con la danza dei sufi durante la scena del matrimonio tra Jodha e Akbar, voleva accennare alla devozione dell'imperatore per il santo Khawaja.

La città fortezza di Fatehpur Sikri è chiamata la città fantasma, essa fu abbandonata perché non aveva accesso all'acqua potabile per la popolazione. Jehangir, figlio di Akbar, fece costruire il forte rosso e spostò la capitale dell'impero ad Agra. Anche Shahjehan aveva mantenuto Agra come la sua capitale all'inizio ma poi aveva deciso di far costruire il forte rosso di Delhi. Si possono visitare a Delhi anche i giardini di Roshanara begum, un'altra sorella di Shahjehan.

Poi nel 1658, quando Aurangzeb salì sul trono dei Mughal, la capitale dell'impero Mughal tornò a Delhi definitivamente. La moschea di Moti (perle) dentro il forte rosso di Delhi, fu costruito da lui.

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Potete leggere anche la recensione di Jodha Akbar che avevo scritto quando il film era uscito nel 2008.

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mercoledì 29 giugno 2011

Per Lavare il Sangue

Lady Macbeth, sonnambula e piena di sensi di colpa per aver ucciso il marito, cerca di lavare il sangue dalle sue mani, “Via, maledetta macchia! Via, dico Una... due: ecco, allora è il momento di farlo. L'inferno è buio! Vergogna, mio signore, vergogna! un soldato che ha paura! Che ragione abbiamo di temere che qualcuno lo sappia, quando nessuno può chiamare la nostra potenza a renderne conto? Ma chi avrebbe mai pensato, che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?

In "Firaq" (Ricerca, India, 2009), primo film del regista-attrice Nandita Das, una donna gujarati (interpretata da Deepti Naval), continua a vedere attraverso la finestra della cucina, la ragazza giovane che chiedeva aiuto disperatamente e si sente piena del senso di colpa per non averla aiutata, perché aveva paura del marito anti-islamico. Lei si punisce, bruciando il proprio braccio con le gocce di olio bollente. "Firaq" parlava degli disordini di Gujarat in India nel febbraio 2002, durante i quali erano state uccise più di 2000 persone, quasi tutte musulmane.

Graphics on violence and riots in India

Lo stato di Gujarat si trova nel nord ovest dell'India, ed è la terra natale di Mahatma Gandhi. E' anche la terra dove il messaggio di non violenza di Mahavira ha preso più piede, e circa il 69% della popolazione è vegetariana.

Ma qualche volta si può essere vegetariani e violenti?

Nel bellissimo documentario di Madhushree Dutta, 7 Islands and a Metro (7 isole e una metropoli, India, 2006 ) ambientato nella città di Mumbai (Bombay), c'è un ragazzo che difende le regole del loro condominio - "E' solo per i vegetariani e guai a chi osa farsi un omelette". E' vegetariano, ma c'è una violenza nel suo modo di vedere il mondo.

Comunque, so che per i alcuni gruppi di gianisti e di vaishnaviti, mangiare carne è un tabù così forte che solo l'odore di carne o di uova può crearli un forte disagio. Conosco persone che possono avere nausea solo all'idea di mangiare in un piatto anche se lavato e asciugato, solo perché "qualcun altro poteva aver mangiato carne sullo stesso piatto prima". Per cui, forse si può capire e perdonare la violenza e la severità dei gruppi dei vegetariani che controllano chi può comprare una casa nel loro condominio.

Invece, come fanno i vegetariani a giustificare l'assassinio degli esseri umani solo perché sono di un'altra religione? Nel documentario di Dutta c'è anche un uomo che dichiara di essere gianista, per ciò una persona non violenta, che parla dei disordini religiosi di Bombay nel 1994 e che ammette di aver passato le informazioni riguardo una persona musulmana agli altri perché direttamente non poteva ammazzare qualcuno.

Passare le informazioni affinché un essere umano può essere ucciso o non fare niente per aiutarlo, non è violenza? E quando sai che stanno uccidendo persone, e invece di sentire l'orrore, dentro di te senti gioia, può essere una violenza anche quella?

Era la domanda che mi ero fatto, quando zia dottoressa aveva detto che era giusto quello che stava succedendo a Delhi. Una ginecologa in pensione, zia dottoressa non era una nostra vera parente, ma abitava vicino alla nostra casa e la conoscevamo da quando eravamo bambini.

Era una delle persone più gentili e dolci che conoscevo. Con lei avevo scoperto il mondo della musica classica indiana. Iso-upanishad era il suo libro preferito e tante volte avevo discusso con lei il significato del messaggio spirituale dei testi sacri dell'induismo, e ancora oggi, ogni tanto torno a rileggere il libro di Iso Upanishad che lei mi aveva regalato. Ogni mattina, meditava per 20 minuti e naturalmente, era vegetariana.

Era novembre 1984, quando Indira Gandhi era stata assassinata dalle sue guardie sikh e Delhi, la capitale dell'India, aveva acceso il fuoco della vendetta contro i sikh. Gruppi di persone si aggiravano nei quartieri di Delhi incitati o forse pagati da alcuni leader del partito del congresso, che ammazzavano o davano fuoco ai sikh che trovavano sulla loro strada, e bruciando le loro case mentre la polizia era sparita.

Per diversi anni prima di quel giorno, gli separatisti sikh che volevano un loro paese indipendente fondato sui principi della loro religione, avevano messo in atto attacchi agli indù. I militari erano entrati dentro il loro tempio sacro a Amritsar, avevano ucciso il capo dei separatisti e allo stesso momento avevano distrutto il tempio. Dopo alcuni mesi, le due guardie sikh di Indira Gandhi, l'avevano sparato nel suo giardino di casa. Ed era scoppiata la carneficina.

"Quando un grande albero cade, la terra trema", Rajeev Gandhi aveva detto per giustificare quando era stato informato di quello che stava succedendo a Delhi.

Ero andato da zia dottoressa con il piatto di pakora, verdure fritte impanate nella farina di ceci, cucinate da mia mamma. Lei era persa in meditazione, e mi ero seduto vicino a lei per aspettare che aprisse gli occhi.

"Cosa facevi ieri sera con tutte quelle persone all'angolo della strada?" lei mi aveva chiesto.

"Abbiamo creato un gruppo di persone che controllerà la strada a turno ogni notte. Faremo le guardie del quartiere. Sappiamo che vi sono degli uomini che arrivano da fuori e che cominciano a attaccare le case degli sikh. Non li permetteremo di entrare qui", avevo spiegato a lei.

Nella nostra stradina, avevamo una famiglia musulmana, 4 famiglie sikh, 2 famiglie cristiane, 2 famiglie di religioni miste mentre tutti gli altri erano gli indù. Nel nostro quartiere, nessuna famiglia sikh era stata colpita in questi disordini, perché come noi, anche le altre stradine del quartiere avevano subito creato dei gruppi di guardie che giravano di notte con le torce, pronte a dare allarme appena vedevano gli uomini sospetti.

"Perché volete salvare gli sikh? E' giusto che pagano per quello che hanno fatto. Hanno ucciso delle persone innocenti e hanno ucciso una donna indifesa che si fidava di loro, avevano giurato di salvaguardarla."

Non avevo risposto a lei, perché non sarebbe stato educato a rispondere a lei che non concordavo con lei, ma dentro di me ero rimasto sorpreso. Si può essere vegetariani, fare la meditazione tutti i giorni, leggere i libri che parlano di spiritualità e allo stesso tempo volere la morte delle persone?

Avevano ucciso più di 2000 sikh a Delhi in 3 giorni. Dopo 27 anni, le vedove di quelli massacri ancora oggi vivono nelle colonie sorte dove c'erano i campi profughi. Ogni tanto qualcuno ne parla come questo articolo uscito sulla rivista ribelle Tehelka nel 2009.

Subito dopo l'accaduto, diversi testimoni avevano parlato di personaggi importanti del partito del congresso coinvolti direttamente nel massacro, ma nessuno di loro mai finì in prigione. Sono passati diversi governi da allora, e India ha avuto anche un presidente sikh e attuale governo ha un primo ministro sikh, ma nessuno ha voluto affrontare veramente i fantasmi di quel massacro.

Anche il massacro dei 2000 musulmani in Gujarat in 3 giorni di disordini nel 2002, non ha ancora trovato giustizia. Il primo ministro dello stato di Gujarat, Narendra Modi, è stato messo sotto accusa per aver lasciato che la polizia non intervenisse per fermare il massacro. Alcuni sostengono che Modi aveva giocato un ruolo più attivo nel massacro.

Dopo 10 anni da quel massacro, Modi continua ad essere uno dei leader più popolari del Gujarat. Lui ha vinto tutte le elezioni nello stato di Gujarat ed è riuscito a portare lo stato tra i primi posti in India per il tasso di crescita e per lo sviluppo delle industrie e delle infrastrutture. Subito dopo il massacro nel 2002, gli Stati Uniti gli avevano rifiutato il visto, ma poi in questi anni, dopo la straordinaria crescita economica, uno alla volta, tutti i grandi industriali indiani e multinazionali sono tornati a fare la pace con Modi. Anche l'ambasciatore americano è andato a trovarlo nel 2010.

Nel mondo globalizzato dominato dalle multinazionali, fare gli schizzinosi sulle questioni di diritti umani è difficile. Anzi delle volte si preferiscono i governi dittatoriali e conservatori, perché salvaguardano meglio gli interessi internazionali.

Qualche mese fa quando il capo di una dei centri più importanti di islam in India ha dichiarato che oramai in Gujarat, i musulmani si trovano bene e possono partecipare alla crescita economica, diversi gruppi lo hanno accusato di essersi venduto a Modi.

Comunque, Modi non riesce a lavarsi le macchie di sangue di quel massacro. Nonostante la sua popolarità nello stato di Gujarat, ancora non può sognare di diventare un leader a livello nazionale in India. Alcuni mesi fa ero in India e ne parlavo con alcuni amici.

Tra di loro vi erano alcuni ammiratori di Modi. Loro dicevano che Modi è un bravo leader che sa lavorare bene, che non si è mai sposato, non ha figli, fratelli, nipoti piazzati nei ministeri come fanno la maggior parte dei politici indiani e che nessuno ha mai insinuato che è corrotto. Anzi tutti dicono che Modi è una persona onesta, e sarà un ottimo leader nazionale.

Altri amici non concordavano con questo giudizio su Modi, dicevano che è un mostro, un fondamentalista e che è macchiato di sangue degli innocenti.

Durante le discussioni qualcuno aveva suggerito che l'unico modo per Modi di lavare le sue macchie di sangue è quello di andare al campo profughi dove vivono le donne vittime dei disordini del 2002 e di chiedere perdono a loro, perché anche se non aveva responsabilità dirette, come primo ministro dello stato era comunque colpevole per non aver salvaguardato i suoi cittadini. Se loro lo perdoneranno, solo allora potrà sperare di arrivare a livello nazionale.

Chissà se Modi ha sensi di colpa per quello che era successo in Gujarat nel 2002? C'è qualche testimone che dice che lui sapeva tutto quello che stava succedendo nel suo stato, ma non ha fatto niente per salvaguardare quelle persone. Comunque, non penso che Modi andrà a chiedere il perdono alle vittime della sua violenza. Non lo può fare, perché sarebbe visto come un'ammissione di colpa e perché così perderebbe l'ammmirazione di tanti dei suoi seguaci conservatori che ancora oggi vantano di "aver dato una bella lezione ai musulmani".

Forse oggi nessun leader politico può più permettersi di essere coinvolto in un massacro in India? Con la diffusione dei telefonini e dell'internet, oggi ogni evento può essere registrato e trasmesso in tutto il mondo. Forse queste nuove tecnologie aiuteranno a prevenire futuri massacri anche in India.

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sabato 7 maggio 2011

Tibetani hanno eletto Kalon Trippa

I tibetani che vivono in India hanno eletto il loro primo Kalon Trippa (primo ministro) - Lobsang Sangay.

Per molti secoli il Tibet era una teocrazia, e il Dalai Lama, leader spirituale dei tibetani era anche il loro capo politico. Alcuni mesi fa lui aveva annunciato la sua intenzione di separare il potere politico dal potere religioso e aveva indetto le elezioni per trovare il primo Kalon Trippa dei tibetani in India.

Lobsang Sangay era nato in un campo profughi tibetano in India, ha studiato legge presso l'università di Delhi con un dottorato in Stati Uniti.

Sembra che Sangay si è ispirato da Obama per la sua campagna elettorale. Lobsang Sangay ha anche un suo sito web: http://www.kalontripafortibet.org/

martedì 8 febbraio 2011

Museo comunale e unità d'Italia

Eravamo riuniti al secondo piano del edificio comunale, in attesa dell'inizio della visita guidata per conoscere le tracce dell'unità d'Italia lasciate dalla storia in questo luogo nel centro di Bologna. Ogni volta che torno in questa lunga e rettangolare sala, riscopro lo stupore, come la prima volta quando l'avevo vista. I muri coperti da affreschi delle tonalità calde della terra, dal marrone scuro al siena bruciato al nero, con in fondo la luce che entra dalle due finestre, è un luogo magico che mi incanta ogni volta.

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna

La nostra guida era Mirtide Gavelli. Lei aveva subito chiarito che non era una storica dell'arte, ma soltanto una storica, per cui non dovevamo aspettare di conoscere il patrimonio artistico di questo meraviglioso museo dalla sua visita guidata.

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna

Negli ultimi 13 anni, da quando ci siamo trasferiti a Bologna, sono stato al museo comunale dell'arte diverse volte. Ogni visita è stata una nuova scoperta, per conoscere la cultura, la storia, l'arte della città. Oramai cerco ogni volta che posso, ad aggregarmi alle meravigliose visite guidate che la città organizza periodicamente. Queste visite hanno cambiato profondamente il mio rapporto con Bologna, ma anche con il mondo.

Sembra incredibile, ma penso che non si riesce a vedere ne anche un elefante, se non sai che cosa è un elefante. Quando ero arrivato a vivere a Bologna, pensavo che i musei erano dei posti noiosi. Prima di venire a Bologna, avevo visitato tanti musei in diverse città del mondo. Non voglio dire che non avevo apprezzato i quadri di Van Gogh quando li avevo visit al museo d'arte di Londra, o la cappella Sistina ai musei vaticani, ma era un apprezzamento artistico, un po' distaccato e asettico.

Invece, sentire la storia come qualcosa di vivo, qualcosa che che mi riguarda personalmente, l'ho imparato a sentire a Bologna. I vari musei di Bologna, dal museo archeologico, al museo medievale, e al museo d'arte contemporanea, poco alla volta li ho scoperti tutti, tramite queste visite guidate.

Forse ha aiutato il fatto che a Bologna, l'entrata ai musei è gratuita. Non penso che sia la questione  di risparmiare 4-5 Euro, ma quando paghi un biglietto, vuoi avere il tempo necessario per visitare e vedere tutto per bene. Non paghi il biglietto per passare solo 5-10 minuti dentro il museo. Non lo senti come qualcosa che ti appartiene, non entri dentro solo per 5 minuti perché stai passando e vuoi rivedere solo un quadro che ti era piaciuto.

Questa mia scoperta di vedere la storia e la cultura di Bologna, non l'ho tenuta solo per me. Oggi Bologna ha molti studenti stranieri, compreso quelli che arrivano per gli studi specializzati e per i dottorati. Ho avuto occasione di conoscere molti studenti indiani venuti qui solo per alcuni mesi o magari per qualche anno. Più delle volte loro non parlano italiano, e non hanno il tempo di imparare la lingua, forse perché vivono in mezzo ad altri studenti stranieri, dove tutti parlano inglese, e studiano le loro materie in inglese. Così sento il mio dovere di farli conoscere la città, oltre l'apparenza superficiale. Già alcune volte ho accompagnato piccoli gruppi di studenti indiani per ripercorrere una visita guidata che avevo seguito, per farli conoscere una piccola parte di questo patrimonio.

Anche la visita di ieri sera era molto interessante. La storia del cardinale legato che governava Bologna, l'arrivo delle truppe francesi nel 1796, i dipinti dei fasci littorio nel palazzo comunale per simboleggiare la repubblica giacobina, la scelta dei tre colori della bandiera che sono stati dipinti in diversi modi nel palazzo, le repubbliche cispadana e cisalpine, l'avvio del periodo di 60 anni di rivoluzioni e attacchi che portarono all'unità d'Italia, ho capito alcune parti della storia italiana che prima non conoscevo.

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna
Il fascio littorio dal 1797

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna
Simbolo della repubblica cispadana giacobina

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna
I colori della bandiera italiana espressi nel dipinto

Unità di Italia nel palazzo comunale di Bologna
Le città della repubblica cispadana (forse), poi cambiate e ridipinte con i colori della lega pontificia

Voglio esprimere un grazie alla città di Bologna per queste esperienze, e anche a Mirtide Gavelli, la nostra guida per questa visita.

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domenica 9 gennaio 2011

Al nuovo mondo con le catene del passato

Nota: Questo articolo parla dell'impatto delle caste tra le vecchie diaspore indiane sparse nel mondo, soprattutto tra 19° e 20° secolo. E' un estratto di uno scritto più ampio sul tema delle caste che avevo preparato per una lezione per un corso di sociologia presso il dipartimento delle lingue orientali dell'università di Bologna.

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"Diasporea", dal greco "diaspore", letteralmente significa dispersione, e si usa questa parola per parlare della "dispersione dei popoli" da un territorio al altro. La parola diaspora, mi fa pensare ai semi con le ali che il vento porta via lontano verso un terreno nuovo, dove potrà nascere e crescere uguale al vecchio albero dove era nato.

In questa immagine poetica del seme con le ali, forse non si percepisce la minaccia dell'incertezza e dei pericoli che avvolgono questo viaggio, perché quando si inizia questo viaggio spesso non si sa dove e se mai finirà questo viaggio.

Oggi le persone possono decidere di cambiare paese e prendere un volo per trasferirsi alla loro nuova terra per creare nuove diaspore, ma sono una piccola minoranza. Per la maggior parte delle diaspore, le loro radici si affondano in ricordi dolorosi, separazioni e morte.

Antiche diaspore indiane

Il viaggio dei gruppi partiti dalla casta orientale dell'India per popolare le isole orientali, da Bali fino al Pacifico e in una fase successiva, il viaggio del buddismo e dell'induismo dall'India verso l'estremo oriente, fino alle colonie di Champa in Vietnam nel 300 a.c., possono essere considerate esempi delle prime diaspore indiane. A parte le rovine archeologiche, come i templi di Angkor Wat in Cambogia, sappiamo poco o niente di queste antiche diaspore indiane.

Nei secoli successivi, India è diventato invece la metà delle diaspore che sfuggivano persecuzioni in diverse parti del mondo. Per esempio, i gruppi come gli ebrei di Kochi, i parsi di Mumbai, gli armeni e i cinesi di Calcutta sono arrivati India per cercare rifugio dalle persecuzioni, e per molti secoli India è diventata la terra che accoglieva le diaspore venute da altri paesi.

Diaspore indiane durante il colonialismo

Tra il diciottesimo e i primi decenni del ventesimo secolo, il mondo ha visto la creazione di nuove diaspore indiane legate al colonialismo.

Diaspore commerciali: Da una parte, gli indiani che lavoravano con i padroni inglesi, viaggiavano verso gli altri paesi delle colonie inglesi per accompagnare i padroni perché ritenuti "fedeli e bravi servitori", dall'altra, le altre colonie rappresentavano nuovi mercati per i commercianti indiani. La maggior parte di queste persone erano del varna dei Vaishya (commercianti). I figli di queste diaspore sono ancora presenti in molti paesi delle ex-colonie inglesi, da Kenya alle isole Fiji.

Queste comunità indiane avevano un sistema di supporto commerciale e sociale per far venire nei loro nuovi paesi, altre persone delle proprie famiglie estese e dei propri villaggi di origine. Per cui queste comunità erano molto chiuse verso l'esterno e avevano un sistema molto rigido di controllare che nessun membro della comunità violi le regole tradizionali delle caste.

In diversi paesi dell'Africa orientale, molte di queste comunità continuano a vivere in comunità molto chiuse, e sono circondate spesso da forte risentimento locale. Qualche volta questo risentimento scoppia in episodi violenti, come in Uganda negli anni settanta. Tra questi vi sono anche persone di altre religioni, soprattuto musulmani, i quali delle volte sono caratterizzate da famiglie molto ortodosse e conservatrici.

Minal Hajratwala, nata e cresciuta in America, quarta generazione di una famiglia di commercianti partiti da un villaggio di Gujarat nel nord ovest dell'India alla fine dell'ottocento per fondare un impero commerciale in Fiji, racconta la storia di questa emigrazione e la sua esperienza di essere una persona diversa (omosessuale) nel contesto di una diaspora indiana nel suo libro "Leaving India":
Durante l'epoca dell'imperialismo, quando la definizione dell'essere umano era "uomo" e la definizione dell'uomo era "bianco", niente di tutto questo [uguaglianza degli esseri] era ovvio. .. l'idea dell'uguaglianza era altrettanto impossibile anche per molti indiani. Sicuramente i miei avi, i quali erano arrivati con il loro orgoglio legato alla loro caste, l'hanno trapiantato nelle gerarchie sociali nella loro terre d'adozione. Kaffirs (non credenti) e "colorati", goriyas (Bianchi) e kariyas (neri), chinaas (cinesi) e jewktaas (ebrei) erano subito catalogati dalle menti già abituate all'ordine sociale. .. senza guardare le reali occupazioni delle persone, il sistema delle caste offriva un senso di sicurezza dell'identità, ai rapporti con gli altri, e che coincideva comodamente con il sistema razziale sud africano.

Leaving India by Minal Hazratwala

Diaspore frutto delle emigrazioni forzate: Le migrazioni indiane più consistenti erano nella seconda metà del diciannovesimo secolo, quelle del "lavoratori legati" (indentured labourers), incentivate con la promessa di sfuggire dalla miseria per avere mano d'opera più docile, maneggevole, ed a basso costo per sostituire gli schiavi africani, per lavorare nelle piantagioni coloniali in paesi come le isole Mauritius e i paesi del Caraibi. Lo scrittore Amitav Ghosh nel suo libro "Mare dei Papaveri" racconta la storia di queste diaspore.

Un libretto scritto nel 1840, dalla Società Inglese Contro la Schiavitù, spiegava le richieste dei padroni delle piantagioni di Demerara (Guyana inglese) e di Giamaica per attirare e convincere i manovali indiani nel 1936 perché "la situazione degli schivi africani era molto difficile e rischiavano di restare senza personale".

I primi lavoratori sono partiti dall'India nel 1938 (stesso anno in cui la schiavitù fu formalmente abolita) con i "girmitiya" (contratti) di 5 anni. Soltanto dopo la partenza loro scoprivano che dovevano affrontare un viaggio che durava mesi, durante la quale molti dei loro avrebbero perso la vita e una volta arrivati nei loro nuovi paesi, avrebbero dovuto vivere come schiavi perché dovevano pagare le "spese di viaggio", e alla fine dei 5 anni, se volevano tornare a casa, dovevano avere abbastanza soldi per "pagare il viaggio di ritorno". Era l'inizio di una nuova schiavitù anche se erano persone "libere" di tornare quando volevano!

Nei decenni successivi, centinaia di miglia di indiani hanno lasciato India in questo modo per costruire nuove diaspore in diverse parti del mondo. Per esempio, fino al 1920, erano arrivate 240.000 persone in Guyana inglese, 36.000 in Giamaica e 144.000 in Trinidad e Tobago. Nessuno sa quante erano partite dall'India e mai arrivate alla loro nuova terrà.

Queste persone provenienti soprattutto dal nord-est dell'India, dove si parlava Bhojpuri e altri dialetti, erano caratterizzate dalla povertà, per cui molte delle loro erano persone che appartenevano alle caste più basse.

Maggior parte di queste persone vivevano nei ghetti isolati nelle nuove terre, senza la possibilità di mescolare con i bianchi europei, padroni delle piantagioni e isolate anche dalle persone di origine africana (ex-schiavi), perché "erano ribelli e poco rispettosi verso le autorità degli bianchi". I loro nuovi paesi spesso avevano delle legge che delimitavano le zone geografiche dove potevano vivere. Per esempio, in Sud Africa, gli indiani dovevano vivere a Durban.

La politica di "dividere e regnare" che dava alcuni privilegi agli indiani nei confronti degli schiavi africani, serviva per creare divisioni tra le persone sfruttate e evitare che fanno il fronte comune contro i padroni coloniali. Per esempio, la prigione di Robben Island nei pressi di Città del Capo dove era prigioniero Nelson Mandela, aveva tre tipi di diete - una dieta più povera per i neri, una dieta un po' migliore per i "colorati" indiani e una migliore per i bianchi (nell'immagine, il cartello con le diete per colorati/asiatici e bantu/neri, nella prigione di Robben island).

Board showing diets for asians and blacks in Robben island prison

Comunicazioni con il paese di origine e le possibilità di tornare in dietro erano quasi non esistenti. Nei primi anni, la maggior parte dei "girmitiya" erano soli uomini perché dovevano lavorare nelle piantagioni. Solo dopo alcuni anni quando cominciarono a scoppiare i disordini, i responsabili del trasporto della mano d'opera erano stati costretti a trasportare le donne.

Questa convivenza forzata in spazi stretti e miseri, aveva indebolito le divisioni delle caste tra gli emigrati, e rinforzato le caratteristiche comuni legati alla lingua, religione e tradizioni. Dall'altra parte l'isolamento fisico e culturale, aveva creato comunità fortemente chiuse dove le tradizioni dovevano osservate rigidamente. Così mentre le loro comunità d'origine in India, potevano continuare a crescere e cambiare con i tempi, queste diaspore hanno continuato a preservare una versione dell'indianità di 100 anni fa fino a qualche decennio fa, quando i paesi sono diventati indipendenti e i cambiamenti legati alla globalizzazione hanno mutato la loro condizione di isolamento.

V. S. Naipaul, lo scrittore originario del Trinidad e Tobago e vincitore del premio nobel per la letteratura, ha scritto più volte dei suoi viaggi nella terra di suoi avi. Per esempio nel suo libro "India - un milione di rivolte", lui ha scritto della comunità indiana:
Era al Trinidad che i miei avi sono andati, intorno al 1880 .. i gruppi di emigrati indiani erano misti. Erano India in miniatura, indù e musulmani, persone di diverse caste. Erano emarginati, senza rappresentanti, e senza una tradizione politica. Erano isolati per la loro lingua e la loro cultura dalle altre persone con i quali convivevano. Erano isolati anche dall'India (il viaggio con le navi a vapore richiedeva diverse settimane). In queste circostanze particolari, essi svilupparono qualcosa che non avevano mai sperimentato in India: un senso di appartenenza ad una comunità indiana. Questo senso di comunità avrà sopravvento sulle loro religioni e sulle loro caste.
Nuove diaspore della globalizzazione

Dopo l'independenza dell'India nel 1947, i giovani hanno iniziato a cercare sbocchi all'estero per migliorare la qualità della propria vita, soprattuto in America, Inghilterra e Australia. Fino agli anni novanta, per queste nuove diaspore, spesso persone del ceto medio alto, non era facile mantenere i contatti con la madrepatria a parte un viaggio a casa ogni 2-3 anni. Per cui spesso si creavano due identità - un'identità più cosmopolita per gli amici e i colleghi di lavoro o di studio, e un'identità più indiana per la comunità locale degli indiani.

Dopo gli anni novanta, con la graduale allargamento della rivoluzione dell'internet, con gli strumenti di email, forum, blog, facebook, twitter, ecc., queste due identità si estendono oltre le frontiere locali, ma spesso rimangono due mondi più o meno separati.

In questo nuovo mondo per le amicizie, le frontiere delle caste sembrano più flessibili per quanto riguarda il dialogo e l'interazione sociale con gli altri indiani. Tuttavia per i matrimoni, sopratutto nelle prime generazioni degli emigrati, la questione delle caste e la provenienza geografica (legata agli altri fattori come lingua, cultura, abitudini alimentari, ecc.) continuano ad essere determinanti per la scelta dei partner.

Le seconde e ulteriori generazioni invece erano già dei punti critici ancora prima dell'era informatica, perché avevano dei conflitti con i genitori e con i nonni, i quali vivevano con rimpianti la "perdita della indianità intesa come lingua, modo di vestire e modo di comportare" nei figli, ma sopratutto per la scelta dei partner per il matrimonio. Negli ultimi due decenni, questo processo è diventato ancora più marcato anche se ancora oggi, molti giovani nati e cresciuti in occidente, continuano ad accettare che sia la loro famiglia a scegliere lo sposo o la sposa per loro, o quando cercano i propri partner tramite i siti indiani matrimoniali, lo fanno sulla base delle caste e provenienze geografiche delle loro famiglie di origine.

I blog sono tra i mezzi privilegiati dove discussioni intorno al tema dei matrimoni combinati dei giovani nati e cresciuti in occidente sono più vivaci. In un articolo apparso sul New York Times, Anita Jain, una ragazza americana d'origine indiana, aveva raccontato la storia della ricerca dello sposo adatto per lei:
Recentemente ho ricevuto in coppia un messaggio indirizzato al mio padre. Diceva, "Ci piace il profilo della ragazza. Il ragazzo ha un buon lavoro in servizio pubblico nello stato di Missisipi e non potrà trasferirsi a New York. La ragazza dovrà trasferirsi a Missisipi." Il messaggio era firmato da sig. Ramesh Gupta, "Il padre del ragazzo". Questo non era brutto come l'altro messaggio che ho visto quando ho accesso il computer a casa a Fort Greene e ho trovato questo messaggio che chiedeva, senza tanti giri di parole, la data, il tempo e il luogo della mia nascita. Presumibilmente avevano mandato questo messaggio per verificare se dal punto di vista astrologico, potevo essere una sposa armoniosa per il loro figlio ...

Le seconde generazioni, nate e cresciute all'estero, spesso guardano con disgusto le tradizioni sociali legate alle caste e spesso costringono le persone delle prime generazioni, soprattutto le persone più vecchie, ad adeguarsi al nuovo contesto e lasciar perdere le considerazioni di caste.

Le caste spesso accompagnano le diaspore indiane nel mondo e soltanto con il passare delle generazioni il loro impatto diventa meno importante. Nella mia esperienza personale tra gli immigrati indiani in Italia, le caste perdono la loro importanza per le discriminazioni sociali, ma qualche volta esse continuano ad essere importanti per i matrimoni dei loro figli.

sabato 18 dicembre 2010

Mussolini e Tagore

Le sorprese non finiscono mai. Chi avrebbe pensato che Benito ammirava Ravindranath, o ancora più improbabile, una volta Ravindranath aveva elogiato il Duce?

Invece era successo, nel 1926. La storia è apparsa sulla rivista indiana Outlook con una foto del poeta indiano premio nobel per la letteratura, scattata dal Duce e regalata al poeta.

Una volta per andare in Inghilterra, non c'erano gli aerei, o forse c'erano ma molto più costosi, e si viaggiava sopratutto con le navi che arrivavano fino al porto di Brindisi. Così la maggior parte dei personaggi indiani, attraversavano l'Italia e la Francia per andare al Regno Unito. Anche Mahatma Gandhi aveva attraversato Italia nel dicembre 1931 e anche lui aveva incontrato Benito Mussolini.

La foto di Tagore scattata da Mussolini è custodita in un museo dimenticato di Kerala nel sud dell'India, nel villaggio di G. Ramachandra, un discepolo di Gandhi e Tagore. Nella foto (da Outlook) qui sotto, si vede quella foto e Sr Mythili, l'attuale curatrice del museo.

Sr Mythili and Tagore picture

Potete leggere la storia completa sulla rivista indiana Outlook.

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venerdì 2 dicembre 2005

Assassino di Gandhi

E' morto Gopal Godse. Aveva fatto 18 anni di carcere per aver cospirato all'assassinio di Mahatma Gandhi. Invece, era suo fratello maggiore, Nathuram Godse, il quale aveva premuto il grilletto della pistola e sparato il colpo che aveva ucciso Gandhi. Nathuram fu impiccato. 

Scultura di Mahatma Gandhi

Gopal Godse non si è pentito del suo gesto fino alla sua morte. "Se potrei, lo rifarei", diceva.

Lo smembramento della sua "nazione", la creazione di Pakistan e l'idea che musulmani non potevano vivere in una società multi religiosa come India, erano alcune delle idee di Mahatma Gandhi che lui non accettava.

In un'intervista, prima di morire, Gopal Godse aveva detto, "Se amare il tuo paese è un peccato allora puoi dire che avevamo sbagliato. Il nostro sogno è di riunire la nostra grande nazione (India e Pakistan) come era una volta, anche se ormai vi vorranno delle generazioni che ciò avvenga."

Secondo lui se Gandhi si sarebbe opposto allo smembramento dell'India, gli inglesi non l'avrebbe fatto. "Invece di opporre, lui acconsentì e accettò di dare 55 miliardi di rupie come 'donazione' a quel nuovo paese dei serpi, il quale ci ha attaccato subito per ringraziarci! Se gli islamici non potevano vivere in India e avevano bisogno di un loro paese separato, come mai oggi in India abbiamo più musulmani che in Pakistan?"

Il trauma dello smembramento del subcontinente indiano ha ancora oggi, dopo 58 anni, alcune ferite aperte che si risvegliano periodicamente. Si pensa che più di 1 milione di persone morirono in quei giorni della divisione dei due paesi e 20 milioni di persone avevano perso le loro case e tutto quello che avevano, per diventare dei rifugiati.

K. P. S. Gill, famoso capo della polizia indiana, ha scritto un bel articolo su Heartland, la rivista inglese di Limus, dove lui ripercorre le lotte per motivi religiosi in India e conclude che con il passare degli anni, il numero di questi disordini è in diminuzione. Spero che sia vero.

Comunque, anche oggi i sentimenti verso l'apostolo di pace, Mahatma Gandhi, venerato in tutto il mondo, sono spesso ambigui in India. Mentre tutti sembrano riconoscere il significato profondo del suo messaggio di "satyagraha" (la lotta per la verità) e "ahimsa" (non violenza), molti indiani lo ritengono corresponsabile della partizione dell'India e la perdita di tante vite umane, oltre a creare una nuova ferita al fianco dell'India dove periodicamente scoppiano le guerre, ed i due paesi con milioni di poveri, spendono preziose risorse per costruire bombe atomiche.

Personalmente penso che nessun politico aveva pensato che la creazione di Pakistan avrebbe portato a tanto spargere di sangue e forse molti pensavano che era una cosa temporanea, niente di significativo. Penso che quando parlava Jinnah, il responsabile del partito lega musulmana, molti indiani non lo prendevano sul serio, un po' come succede qui quando Bossi parla della sua nazione del nord!

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La partizione dell'India aveva avuto un impatto diretto sulla famiglia di mia mamma.

Mio nonno paterno apparteneva ad una famiglia feudale della regione di Jhelum, e aveva vasti terreni in quell'area. Lui aveva frequentato il Presidency College di Lahore dove studiavano i rampolli delle famiglie ricche e poi aveva trovato lavoro come ufficiale per il ministero degli interni. Quando il governo inglese decise per la partizione dell'India, mio nonno aveva scelto di andare a vivere in Pakistan perché voleva salvaguardare le terre della sua famiglia e pensava di avere molti amici in Pakistan. Invece, quando è arrivato in Pakistan, scoppiavano i disordini con l'uccisione degli indù.

Liaquat Ali, il primo primo-ministro del Pakistan, era un suo amico, gli consiglio di tornare subito in India perché era troppo rischioso per lui in Pakistan. Così, alla fine era tornato in India come un povero profugo. A Delhi, riuscì a riavere il lavoro presso il ministero degli interni, ma non più come ufficiale, ma come un impiegato semplice, e fu visto con sospetto perché aveva scelto il Pakistan. Fino alla sua scomparsa, rimpiangeva la sua casa, le sue terre, e gli amici, rimasti in Pakistan.

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