martedì 16 giugno 2009

Convivenza tra le religioni in India

Tutti i giorni sembrano uguali, e le giornate sono lente e languide. Già alla mattina comincia ad essere caldo e in primo pomeriggio, le temperature superano i 40 gradi e le strade si svuotano. In questi giorni sono a Nuova Delhi, in casa con la mia mamma. Ogni giorno, passo diverse ore a leggere i giornali e poi sono costretto a guardare la televisione con mia madre, la quale resta immobile davanti alle telenovelas interminabili.
Alla mattina presto, quando le temperature sono ancora supportabili, accompagno mia madre a fare una passeggiata nel parco che circonda il nostro gruppo di condomini. In India, la maggior parte delle persone che fanno le passeggiate nei parchi, le fanno presto la mattina. Per cui, già verso le 5,30 quando andiamo giù, troviamo molte persone a chiacchierare allegramente. In un angolo del nostro parco, un gruppo di persone si dedica allo yoga. In un altro angolo, un piccolo gruppo si dedica alla riso-terapia, ciò è, tutti ridono insieme per una decina di minuti.
Tutta la varietà religiosa dell’India è rappresentata in questi 4 condomini. L’anziana signora che abita accanto a noi è cattolica, originaria di Goa. Dall’altra parte del corridoio, abita una famiglia sikh.
Un condominio deve convivere con una vecchia moschea che già si trovava la, quando avevano deciso di costruirlo. Dalla moschea si alza l’azaan, il richiamo alla preghiera musulamana, cinque volte al giorno, anche se io sento soprattutto il primo azaan, quello delle 4,30 di mattina, quando non vi sono altri rumori. L’azaan inizia con “Allah ho Akbar …”, “Dio è grande”. La strada dietro i condomini è chiamata la strada della preghiera, ha diversi templi e anche una chiesa cattolica mentre il Guruduara, il tempio dei sikh, è un po’ più lontano.
Fino a qualche anno fa, tutti questi luoghi di preghiera gareggiavano tra loro per avere i loro richiami più forti, aiutati dagli altoparlanti. Allora, solo l’idea di venire a vivere qui mi faceva venire un po’ di mal di testa, con queste preghiere delle diverse religioni, gridate a volume alta dalla mattina alla sera tardi. Adesso la situazione va molto meglio. Si sono concordati tra loro e hanno deciso di non usare più gli altoparlanti. Ora i suoni delle campane e delle preghiere sono più dolci.
Il 12 giugno nella città di Mumbai (Bombay), vi è stata una riunione tra gli indù e i cattolici. “The Times of India”, il quotidiano nazionale, del 13 giugno ha parlato di questa riunione alla quale hanno partecipato i massimi capi religiosi indù guidati da Shankaracharya di Kanchi (Swami Sri Jayanendra Saraswati) e il rappresentante del Vaticano, Cardinale Jean Louis Tauran, responsabile per il dialogo inter-religioso per il Vaticano. Questa riunione era importante perché era la prima volta dopo gli attacchi alle chiese in Orissa e in Karnataka, che i rappresentanti delle due religioni si parlavano tra loro per cercare una convivenza pacifica.
La riunione si è conclusa con una risoluzione che aveva 3 punti principali:
  • no alla violenza contro le minoranze religiose;
  • no alle conversioni degli indù con l’aiuto degli “incentivi”;
  • collaborazione per le attività sociali e caritative a favore dei più bisognosi.
Sudheendra Kulkarni, un teologo e saggio induista, ha parlato di questa riunione dalle pagine del quotidiano nazionale, The Hindustan Times, del 14 giugno con le seguenti parole:
Era la prima interazione formale tra le due parti dopo lo sfortunato peggioramento del conflitto in Orissa nel 2008, che aveva sottolineato due fatti co-relati – violenti attacchi contro la chiesa e contro i cristiani innocenti da una parte, e dall’altra parte, il disagio tra gli indù verso la sostenuta campagna di conversioni religiose al cristianesimo. .. Le discussioni durante la riunione sono state franche e cordiali. I capi religiosi indù hanno condannato unanimemente la violenza contro i cristiani.
I rappresentanti cattolici hanno affermato con uguale chiarezza che le conversioni religiose basate sugli incentivi di qualunque tipo sono invalide e non accettabili. Hanno affermato che tutte le religioni meritano uguale rispetto.
Molti capi religiosi indù richiedevano una dichiarazione del genere da tanto tempo, perché i teologi cristiani e musulmani, spesso distinguano tra le religioni “monoteiste” o le religioni del “Libro” dalle altre religioni. Spesso nella lunga storia delle conversioni religiose in India, i cristiani parlano dell’induismo come una religione “falsa” e “pagana” e che la vera salvezza viene solo se si abbandona “la falsità” e si accetta la “vera via”.
Per concludere il dialogo, i rappresentanti cattolici hanno visitato il tempio indù di Sidhivinayak e i capi religiosi indù sono andati a pregare alla cattedrale di Sacro Nome. Dopo queste visite, il cardinale Tauran è stato l’ospite d’onore ad un incontro multi-religioso alla quale hanno partecipato importanti personalità musulmane, ebree, seguaci di Zoroastra, sikh, Gian e indù.
Purtroppo durante i momenti di conflitti e di violenza tra le religioni, tranne qualche eccezione, spesso i capi religiosi non si esprimono per la pace e per la convivenza. Se loro possono dare un esempio di rispetto e cordialità tra le religioni per parlare contro la violenza con una voce chiara e unita, forse questi episodi diventeranno meno gravi.
Personalmente penso che in India, tra le persone ordinarie, esiste il forte senso di rispetto per le diverse religioni. Questo senso di rispetto e armonia ha bisogno di essere rinforzato anche dai capi religiosi, senza dubbi o tentennamenti.

domenica 14 giugno 2009

Il flagello delle caste

Il sistema delle caste è considerato uno dei problemi più difficili dell’India.
Il sistema delle caste tra gli induisti suddivide le persone in 4 categorie principali – i bramini o la casta dei sacerdoti; i kshatriya o i guerrieri; i vaishya o i commercianti; e gli shudra o le caste basse, ciò è le persone che si occupano di lavori considerati non puliti.
Ogni casta è composta di una complessa rete di sottocaste, organizzate in un sistema gerarchico con delle norme che regolamentano i rapporti di vario tipo tra loro, soprattutto i rapporti sociali, alimentari e i rapporti matrimoniali. I rapporti tra le sottocaste variano in diverse parti dell’India, così un gruppo di sottocaste che è ad un livello gerarchico più alto in una parte del paese, potrebbe occupare uno spazio più basso in un’altra parte dell’India. Le caste sono ereditate dai padri e relativamente, la casta della donna influisce meno in una copia.
All’interno delle caste basse, gli shudra, un sottogruppo di persone che sono chiamate gli intoccabili, appartengono al livello gerarchico più basso tra tutti i gruppi e subiscono discriminazioni e oppressione da tutti. Sono due i sottogruppi più importanti tra gli intoccabili, i ciamar che si occupano del lavoro di concimare la pelle ed i bhanghi, che si occupano della pulitura delle toilette.
Oltre a queste caste tra gli induisti, anche i popoli indigeni sono considerati induisti dal punto di vista legale, ma non appartengono alle caste, e sono conosciuti come popoli tribali o gli scheduled tribes. Per tutte le considerazioni pratiche, queste persone “fuori casta” sono equiparabili alle caste basse.
Le discriminazioni sulla base delle caste sono vietate e sono punibili secondo la costituzione indiana. Nella storia indiana, vi sono diversi movimenti di riformismo religioso dell’induismo e diversi personaggi religiosi hanno predicato per superare le barriere delle caste. Già un secolo fa, Mahatma Gandhi aveva avviato un simile movimento, nominando le persone che appartengono alle caste basse come gli harijan, ciò è, il popolo di dio. Ciò nonostante, ancora oggi, il sistema delle caste è vivo e esse continuano ad esercitare una forte influenza nella vita pubblica in India.
Diverse religioni basate sull’idea dell’eguaglianza tra le persone, venute dall’estero come l’islam e il cristianesimo, o nate in India, come il sikhismo e il buddismo, hanno cercato di superare le barriere delle caste, ma spesso hanno creato altri sistemi altrettanto discriminatori. Così le persone delle basse caste che si convertono alle altre religioni per sfuggire al sistema delle caste, incontrano nuove discriminazioni, e ciò crea nuove tensioni in queste religioni.
Vorrei parlare di due esempi recenti che illustrano questa situazione nelle religioni che teoricamente non prevedono discriminazioni sulla base delle caste.
Il primo esempio riguarda il cattolicesimo. La pratica di avere entrate e banchi diversi nelle chiese per diversi gruppi di fedeli è stata denunciata più volte. I cattolici “dalit”, ciò è, persone delle basse caste convertite al cristianesimo, non possono entrare dalla porta principale in alcune chiese in India.
Amen – l’autobiografia di una suora” (Amen – the autobiography of a nun”, Penguin Books India, 2009) è il libro scritto da una suora, Sr. Jesme, nel quale lei parla della sua decisione di rinunciare alla sua vocazione e denuncia i diversi mali che affliggono la chiesa cattolica in India, compreso lo sfruttamento sessuale delle suore da parte dei preti e dei vescovi. In questo libro lei parla anche delle discriminazioni basate sulle caste anche tra le suore:
Primo che entrassi nel convento negli anni settanta, vi erano discriminazioni delle caste anche tra le suore. Le suore meno educate e con meno privilegi erano quelle che appartenevano alle classi più basse, e esse seguivano percorsi formativi diversi dalle altre suore sotto la tutela di suore specifiche. Queste suore tutor, anche esse dalle classi basse, sono diverse dalle cheduthies, anche se esse hanno preso i tre voti della povertà, castità e obbedienza e portano l’abito delle suore. Queste suore non possono sedersi sulle sedie accanto alle loro consorelle, ma devono sedersi sui propri “bauli”. Esse lavorano soprattutto nelle cucine, nell’accoglienza, nei campi e nei cortili. Poi, quando ho iniziato, alcune di queste distinzioni sono diventate meno evidenti, ma esse restano ancor’oggi nelle menti delle suore. Così vi sono suore della pelle chiara e le suore della pelle scura.
Il secondo esempio riguarda i sikh. Qualche settimana fa, un gruppo di sikh appartenenti alle “caste alte” è entrato in Guruduara (tempio sikh) di Vienna e hanno sparato ai fedeli radunati dentro, perché questi erano “sikh delle basse caste”, e venti persone sono morte. Nello stato di Punjab in India, vi sono scoppiati disordini, durante i quali sono stati altre morti.
In un articolo scritto da Sujata Parmita intitolato, “Nafrat ke Bige” (I semi dell’odio) uscito sul quotidiano Jansatta l’11 giugno 2009, si parla di questa situazione e le regole di comportamento descritte nel loro libro sacro, “Guru Granth Saheb”:
E’ difficile trovare spiegazioni così chiare e inequivocabili del principio di eguaglianza in un libro sacro. Ma la verità è che le realtà sociali non coincidono con le realtà religiose. Nella religione dei sikh, non vi sono caste e vi sono chiare e forti istruzioni per rifiutare caste e riti superstiziosi. … Ma come l’induismo, anche la società sikh è piena di disuguaglianze sociali e religiose, e così sono presenti le discriminazioni basate sulle caste… Il controllo dei templi principali, delle terre e del potere è tutto nelle mani dei sikh Jaat (di alte caste). Anche dopo la conversione religiosa, i sikh di origine dalit (di basse caste), essi non hanno uguali diritti e non godono di rispetto. Le persone che volevano sfuggire all’oppressione delle caste, e rinunciano alla religione indù, sperano in un ordine sociale senza caste e quando esse chiedono la dignità, sono bersagliati di insulti e di violenza.
L’urbanizzazione e il progresso economico rendono il peso delle discriminazioni basate sulle caste meno pesanti nelle città, ma la situazione nelle aree rurali fa fatica a cambiare. La democrazia popolare, praticata a livello comunitario nei villaggi, è spesso controllata dalle caste alte e diventa un altro strumento di discriminazione. Speso sono i consigli comunitari nei villaggi a decidere le norme sociali basate sul sistema delle caste.
Qualche giorno fa, per la prima volta nella storia indiana, una signora di origine dalit, signora Meira Kumar, è diventata il presidente della camera bassa del parlamento indiano. India ha già avuto anche un presidente dalit. In uno degli stati della federazione indiana, il partito dei dalit ha formato il governo. Vi sono leggi affermative nazionali per aiutare le persone dalit delle caste basse a migliorare la propria situazione educativa e economica, ma dopo 60 anni dell’indipendenza, la strada da fare per superare lo scoglio delle caste resta ancora lunga.
Il sistema delle caste era presente in altre società, come nel Giappone medievale, dove gruppi di persone che si occupavano di lavori più umili, erano considerati i paria, ma il Giappone è riuscito a cambiare questo sistema. Forse, in India, dobbiamo studiare questi altri paesi per capire come sono riusciti a cambiare questa situazione, so vogliamo superare questo retaggio del passato che ha permeato tutti gli strati della società.

domenica 31 maggio 2009

Bollywood per sensibilizzare e educare

In un paese dove più del 50% della popolazione è analfabeta, poeti hanno utilizzato le canzoni e la musica dei film di bollywood per attirare attenzione verso i problemi sociali e per educare. Spesso poeti famosi e bravi hanno scritto canzoni per i film di Bollywood.

Una canzone di un film che avevo visto, quando avevo 7-8 anni, mi aveva colpito molto e ancora oggi, dopo quasi 45 anni riesco ancora a ricordare il mio stupore e senso di shock d’allora, quando l'avevo ascoltato per la prima volta.

Il film si chiamava, Sadhana (1958, Meditazione) e riguardava un professore universitario (Sunil Dutt) che non vuole sposare e per far contenta la sua madre (Leela Chitnis) morente che lo vuole vedere sposato, paga una prostituta (Vyjayanti Mala) per far finta di essere sua moglie.

La canzone era stato scritto da Sahir Ludhyanavi, un poeta musulmano e un ateo dichiarato, il quale aveva preso i concetti dell’induismo e dell’islam per denunciare la situazione della donna in India. La canzone, “Aurat ne janam diya mardon ko” (La donna partorì l’uomo) diceva:

"La donna partorì l’uomo, e l’uomo la vendette al mercato
Quando voleva, la spremeva e la calpestava
e quando voleva, la respingeva via con disprezzo

Viene pesata contro la moneta, viene venduta ai mercati
I potenti la fanno ballare nuda
E’ una cosa senza dignità, che gli uomini dignitosi spartiscono tra di loro

Agli uomini è permesso ogni crudeltà, alle donne è vietato piangere
Uomini possono sposarsi quante volte vogliono, le donne devono bruciarsi vive
Gli uomini hanno diritto al lusso, alle donne anche la vita è una punizione

Quelle labbra che li baciavano, hanno commerciato in quelle labbra
Quel utero che li aveva cresciuti, quel utero l'hanno venduto
Quel corpo che li aveva nutrito, quel corpo hanno disprezzato

Gli uomini hanno deciso le tradizioni, questi sono diventati i loro diritti
Le donne bruciate vive, sono chiamate nobili sacrifici
Quei figli che aveva cresciuto, l'hanno messa sul letto"

Purtroppo, vi sono molte canozni, e anche molto popolari, che invece rinforzano l'ignoranza. Come una canzone di un film recente che aveva le seguenti parole, "TV chale hai remote se, aur bivi chale hai note se", ciò è "Fai funzionare la TV con il telecommando e fai funzionare la moglie con le banco note".

domenica 17 maggio 2009

Lettera di Mallika

Mallika Sarabhai aveva scritto una lettera a L. K. Advani, che ho letto stamattina sulla rivista indiana, Outlook. Mallika è una famosa danzatrice e attivista sociale, mentre L. K. Advani è il capo del partito conservatore induista, Bhartiya Janata Party (BJP).



Qui, vi presento un estratto dalla lettera di Mallika che mi è piaciuta:
“Sono un’indiana nata dopo l’indipendenza dell’India. Sono cresciuta con le idee di valorizzare e di fare tesoro della unicità della mia cultura indiana, di valorizzare la nostra costituzione nazionale che da uguali diritti a tutti gli indiani, qualunque siano nostri credi, culture, pratiche o religioni. Ho imparato a gioire nelle differenze che costituiscono il nostro paese arcobaleno. Siamo come un’insalata mista, un miscuglio di culture e non siamo un purée dove tutte le diversità si riducono ad una polpa omogenizzata - questo per me è la nostra forza maggiore.

Invece di parlare della fame, della sete e delle tremende deprivazioni che affliggono il nostro popolo, tu parli di spade e di tridenti. Invece di parlare dei linciaggi dei dalit (persone intoccabili) e degli stupri di migliaia di ragazze e donne, tu parli di costruire templi e di distruggere le moschee. Invece di diffondere il concetto indù di Vasudeva Kutumbka (Il mondo è mia famiglia), tu cerchi di dividere la nostra famiglia nelle diverse religioni e vuoi che gli “altri” vadano via o che accettino di vivere come esseri sottomessi.

Come un indù orgogliosa e come un’indiana orgogliosa, mi sento profanata da te. Hai ridotto la nostra grande filosofia Sanatana (eterna) ad un tipo di induismo talibano. Vuoi ridurre la mia identità ad un singolo fattore, se sono un indù o non lo sono...”

Mi piace quello che scrive Mallika e quello che rappresenta. In queste elezioni, i 714 milioni di indiani che sono andati a votare, hanno dato credito al pensiero di persone come Mallika. Hanno scelto di sostenere le forze che parlano di armonia tra le religioni e dell’unità nella diversità dell’India.

Mallika ha perso personalmente l’elezione contro L. K. Advani, ma l’India, queste elezioni le ha vinte.

In Kashmir ha perso il suo seggio il leader “indipendista”, mentre il partito di Omar Abdullah che parla di futuro e di progresso all’interno dell’India ha vinto la maggioranza dei seggi. Lo so che sarebbe da stupidi tirare delle conclusioni azzardate dal risultato delle elezioni, su che che cosa vogliono i Kashmiri. Mi piacerebbe pensare che sia comunque un rifiuto delle idee talibane.

sabato 16 maggio 2009

Vince la democrazia

Il conto dei voti delle elezioni indiane è iniziata e sembra che il partito del congresso ha avuto una vittoria schiacciante.
Fino a ieri, i sondaggi parlavano di una sostanziale parità tra il congresso e il partito conservatore, BJP. Si diceva che i piccoli partiti regionali e le forze che cercavano di promuovere gli interessi di singoli gruppi sulla base delle caste e delle religioni vinceranno. Invece è stato il contrario.
BJP ha perso, ma i piccoli partiti, la sinistra e i partiti regionali hanno perso ancora di più. Il popolo è stato più saggio di quanti lo giudicavano “poveri, analfabeti, ignoranti ...”, ha premiato il primo ministro uscente, Manmohan Singh, riconosciuto da tutti per la sua integrità personale e onestà.
I giovani leader, a partire da Rahul Gandhi e Omar Abdullah escono più forti da queste elezioni. Narendra Modi e L.K. Advani, i due leader conservatori, ritenuti responsabili degli attacchi contro i musulmani hanno perso.
In Orissa, dove vi erano stati attacchi contro i cristiani, sembra che il BJP ha perso e il congresso ha vinto. Nello stato di Bengala, il congresso ha vinto sulla sinistra dopo quasi 30 anni. In Kerala, Shashi Tharoor ha vinto. 
Durante il precedente governo, alcuni partiti regionali e partiti di sinistra avevano più volte cercato di far cadere il governo, sembra che hanno perso tutti questi partiti. 
Democrazia è viva in India!

giovedì 14 maggio 2009

Limiti della democrazia

Ogni volta che leggo un nuovo articolo di Arundhati Roy, continuo a pensarci su per molti giorni. E’ stato così anche questa volta quando ho letto il suo articolo “Tramonto della democrazia” sull’ultimo numero di Internazionale (8/14 maggio 2009).

Come sempre, Arundhati ha la capacità di esprimersi in un linguaggio molto poetico, anche quando le sue parole servono per evocare tragedie immani, morti, sofferenze e brutalità. Per esempio, leggete questa parte:
“Mi ha sempre colpito il fatto che il partito politico turco responsabile del genocidio degli armeni si chiamasse Comitato per l’unione e il progresso. Molti miei articoli parlano proprio del rapporto tra unione e progresso, ciòè, per usare un linguaggio più attuale, tra nazionalismo e sviluppo: le inattaccabili torri gemelle della moderna democrazia del libero mercato.”
A parte la sua consueta eloquenza che rende la lettura dei suoi scritti un piacere, l’articolo segue diversi filoni tematici già affrontati da Arundhati altre volte, anche se questa volta lei cerca di spiegare meglio la propria logica. Così, l’articolo parla dell’emarginazione dei poveri in nome dello sviluppo, della crescente elite della classe media che di fatto decide le politiche governative, del pericolo del partito conservatore induista e la sua politica di nazionalismo, religione e odio che semina morte e paura tra le minoranze etniche, dell’influenza dei vote banks e la frammentazione del popolo secondo le logiche degli interessi di gruppo, della feroce e sanguinosa repressione in Kashmir, ecc.

Comunque, non concordo con il titolo dell’articolo, “Il tramonto della democrazia”. Non penso che l’articolo parla propria del declino dei principi democratici in India, semmai parla dei limiti del sistema democratico comuni a tutti i paesi. Ieri si è concluso l’ultimo turno delle elezioni indiane e complessivamente il 60% dei 750 milioni di persone aventi diritto ha votato. I primi exit poll parlano di un pareggio tra i due schieramenti principali, quelli del partito del congresso da una parte e dall’altra, del Bharitya Janata party. Ma democrazia è viva e gode di ottima salute in India.

Qualche settimana fa proprio su Internazionale, Shashi Tharoor aveva scritto del miracolo delle elezioni indiane:
“Le elezioni sono lo spettacolo dell'India libera, e danno ai giornalisti stranieri l'opportunità di ricordare al mondo che l'India è la più grande democrazia del mondo. Ormai i suoi cittadini danno per scontato che ci saranno le elezioni, che saranno libere e trasparenti, e che produrranno una effettiva alternanza al potere.

La stessa cosa si può dire per pochissimi paesi in via di sviluppo, e ancora meno per quelli in cui regnano la povertà e l'analfabetismo. Questo potrebbe essere il vero miracolo indiano nelle prossime settimane.”
Se l’America rielegge Bush o se l’Italia elegge Berlusconi o Bossi, non penso che possiamo parlare del tramonto della democrazia in America o in Italia?

Fondamentalismi di parte? Giustamente Arundhati parla della virulenza dei fondamentalisti induisti nei confronti delle minoranze cristiane di Kandhamal in Orissa e il loro pogrom contro i musulmani nel Gujarat di Narendra Modi, ma penso che lei ignora volutamente certi aspetti problematici relativi ai fondamentalismi delle altre religioni in India.

Così quando lei parla di “induizzazione di dalit e adivasi”, lei tace sull’evangelizzazione aggressiva o sul crescente numero di madrasse (scuole islamiche) in alcune zone del paese. Per esempio, nel distretto di Kandhamal in Orissa, teatro degli attacchi dei fondamentalisti induisti contro i cristiani, negli ultimi 30 anni la percentuale dei cristiani nella popolazione è cresciuta da 5% al 30%. Un cambiamento così imponente della popolazione deve aver innescato tremendi mutamenti sociali? Che cosa ne pensa lei di questi cambiamenti?

Mentre lei parla giustamente di “decine di migliaia di cristiani vivono nei campi profughi”, penso che lei sminuisce ingiustamente l’impatto dei fondamentalisti islamici sugli indù in Kashmir. Li descrive soltanto come, “una specie di esodo della minuscola minoranza indù”. Ma siamo parlando di 400.000 persone che vivono nei campi profughi da circa 20 anni, dall’inizio degli anni novanta quando i fondamentalisti islamici iniziarono le loro attività in Kashmir? Sembra che lei usi due pesi e due misure per parlare della sofferenza umana.

Lei parla degli attacchi dei gruppi come il Bajrang Dal contro le donne nelle città di Mangalore, ma non dice niente riguardo gli attacchi dei fondamenti islamici contro la scrittrice Taslima Nasrin, originaria del Bangladesh e rifugiatasi in India, costretta a lasciare l’India.

Arundhati dichiara di non sostenere nessuna violenza ma se proprio deve scegliere, accetta come male minore quella dei rivoluzionari, quelli che lottano contro i poteri più forti. Non condivido questa scelta. Rifiuto il fondamentalismo dei maoisti che usa l’emarginazione e sofferenza dei poveri per giustificare la sua violenza. Rifiuto la violenza del fondamentalismo di tutte le religioni, non sono mali minori soltanto perché opera delle minoranze di qualche tipo.

E perché questa condanna solo di alcuni fondamentalismi e non degli altri?

In un recente articolo apparso sulla rivista indiana Outlook, Ramanath Guha, scrittore e storico indiano, aveva spiegato che secondo lui il fondamentalismo della maggioranza indù è più importante perché ha più influenza. Forse è vero se guardiamo globalmente, ma penso che nei singoli contesti, ogni fondamentalismo è uguale e altrettanto terribile, e va combattuto con uguale forza. Accettare che oltre ai fondamentalisti indù, vi sono fondamentalisti evangelisti o islamici, non sminuisce niente della gravità di nessuno. Come possiamo lottare contro un fondamentalismo mentre tacciamo sugli altri fondamentalismi?

Mentre leggevo l’articolo di Arundhati, pensavo anche alla situazione in Italia. Per molti versi, il partito conservatore induista si somiglia alla chiesa cattolica. Se il Vaticano parla delle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa, il partito conservatore induista parla delle radici induiste dell’India. Mentre la chiesa parla di “pescare anime e espandere il regno di dio”, i conservatori induisti parlano sopratutto di fermare le conversioni religiose e di ritrovare la purezza antica. Come la chiesa, anche i conservatori indù parlano della moralità, della centralità della famiglia e del ruolo della donna. Ma in questo senso, forse tutte le religioni del mondo si assomigliano!

mercoledì 1 aprile 2009

Convivere con le diversità religiose

Domenica pomeriggio ero auditorium della scuola delle arte drammatiche (DAMS) di Bologna per un incontro organizzato nell’ambito del Festival del Cinema HRN sui diritti umani. Il tema dell’incontro era la ricerca della spiritualità nelle diverse religioni a Bologna. 
Ero il rappresentante della religione indù. Avevo spiegato a Virginia (Cenresig), organizzatrice della serata, che non sarei stato un rappresentante ideale degli indù. Non sono mai stato religioso nel senso concreto e quotidiano, anche se cerco di seguire sopratutto il lato spirituale della ricerca della coscienza interiore. In più, come famiglia siamo un miscuglio delle religioni tra induismo, cattolicesimo, sikhismo con un pizzico di islam. Pensavo che sarei stato un rappresentante migliore dei meticci delle religioni che nel mondo di oggi, sono in aumento. 
Comunque è stato un incontro molto bello e caloroso. Gli ebrei erano rappresentanti da Giuliano Colla, i cattolici da suor Annamaria Gellini, i musulmani da Luigi Amin Bettazzoni, i buddhisti da Tiziana Losa, i Bha’i da Ezzat Heirani e i Baye Falli (un sottogruppo musulmano) da Daour Arona.
Tutti hanno parlato del bisogno di riconoscere che le religioni sono diverse vie ma che portano alla stessa direzione e del bisogno di superare le barriere e di cercare di conoscere gli altri. Alcuni hanno riconosciuto il pericolo rappresentanto dai conservatori delle proprie religioni, quelli che vorrebbero chiudersi nei recinti e qualcuno ha accennato alla sfida delle antiche religioni di misurarsi con i diritti umani.

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