domenica 22 ottobre 2006

Passamano: Abbracciare il mondo a Bologna

L'iniziativa di Passamano a Bologna voleva abbracciare il mondo. Mille persone dovevano formare una catena umana che collegava il Meloncello con il piazzale di San Luca. Poi, quella catena umana doveva passare le bandiere di tutti i paesi del mondo lunga la scalinata di San Luca per poi alla fine piantare tutte le bandiere del mondo nel piazzale di San Luca.

Passamano, San Luca, Bologna, Italia

L'iniziativa era parte della Festa della Storia, iniziata una settimana fa.

Invece si è messo a piovere. Quando sono arrivato a Meloncello, le ragazze che aspettavano i volontari della catena umana mi hanno chiesto se volevo far parte della catena anch'io. No, ho cercato di dire ma sembravano così preoccupate che alla fine ho accettato. Poi ho cominciato a salire la scalinata, dovevo trovare un buco libero e mettermi li per completare la catena. Invece interi tratti della scalinata erano vuoti. Forse era la pioggia, forse le persone avevano scelto di fare qual cos'altro, e le persone presenti, erano sopratutto gli studenti con i maestri, che aspettavano l'inizio del passaggio delle bandiere.

Passamano, San Luca, Bologna, Italia

Infatti, alla fine hanno dovuto rinunciare alla catena umana e le bandiere sono state portate su con il camioncino.

Passamano, San Luca, Bologna, Italia

L'idea di creare una catena umana ed abbracciare il mondo non ha avuto successo. Ma devo dire che mi sono divertito tantissimo. Forse la prossima volta andrà meglio. 

Passamano, San Luca, Bologna, Italia

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venerdì 13 ottobre 2006

Rifiuti - Mondo Schizofrenico

C’è questa nuova pubblicità sulla televisione dove si parla di prugne californiane, ogni prugna racchiusa in piccolo sacchettino tutto suo, bello e luccicante. L’idea è di promuovere le prugne come un’idea di regalo, forse un po’ come i famosi baci perugina. Penso che questa pubblicità sia il simbolo del mondo schizofrenico nella quale viviamo.

Discarica Boregaon, Guwahati, India

Siamo sommersi dai rifiuti. Ne produciamo a tonnellate. Le amministrazioni comunali parlano di come smistare e riciclare questi rifiuti e allo stesso momento continuiamo a trovare nuovi modi per aggiungere altri rifiuti inutili. E’ la schizofrenia tra quelli che pensano al futuro, alla sostenibilità, alla vita dei nostri figli e nipotini e quelli che pensano alle vendite, alla crescita economica, al guadagno degli azionisti. Ma poi, questa schizofrenia sta dentro ciascuno di noi, perché siamo sempre noi, uomini, donne, padri, madri, nonni, azionisti, lavoratori, consumatori, venditori, secondo il contesto.

Quando la Coop, una cooperativa dei consumatori, mi risponde che devono continuare a fissare i bollini di plastica ad ogni mela che vendono perché è necessario per salvaguardare il marchio Coop e la loro quota del mercato delle mele, penso che sia un altro esempio della stessa schizofrenia.

Alla mattina vedo questa fila di macchine, tutti impazienti, una persona in ogni macchina, molti con i fronti corrucciati e con gli occhi che cercano varchi per poter passare davanti di qualche metro, pronti ad incazzarsi. Dappertutto si costruiscono le rotatorie “perché così le macchine passano molto più veloci”, ma che penalizzano i pedoni e quelli come me che vogliono salvare il mondo con le proprie biciclette.

E penso all’inquinamento, ai mari che si innalzano minacciando di sommergere qualche isola, al caldo torrido che arriva puntualmente ogni anno, ai nuovi tifoni che devastano qualche paese ogni tanto, al deserto che cresce mangiando le foreste, e tutti quelli che parlano del trattato di Kyoto e di ridurre l’emissione dei gas, di usare i mezzi pubblici, di non inquinare. Che poi girano dall’altra parte e parlano di crisi della vendita delle macchine e di come incentivare che la gente compri più macchine. E' sono orgogliosi di essere razionali e pragmatisti, convinti di sapere tutto.

Nessuno vuole le discariche vicino alla casa propria, perché sono inquinanti, sono anti estetiche, sono pericolose, ma poi vai fuori alla sera e vicino ai cassonetti dei rifiuti trovi frigoriferi, tv, materassi, armadi , ecc. che aspettano di essere buttati via nelle discariche. Ormai, non è conveniente far riparare niente, conviene sempre comprare nuovo e buttare via il vecchio.

E per l’inquinamento, cosa bisogna fare? Ah, quelli disgraziati in Cina, in India, in Brasile, hanno cominciato a stuprare la terra proprio come la facciamo noi! Devono smettere subito. Bisogna che imparino un nuovo modello di sviluppo, non consumistico.

Si, ovviamente non possiamo dare via la nostra tecnologia migliore che inquina un po’ meno perché è il nostro copyright e abbiamo diritto a guadagno. Ma cosa centrano i milioni di morti per la mancanza di farmaci con il nostro guadagno? Gli affari sono affari. Forse ci vorrebbe uno scudo spaziale che separi l’aria e l’acqua del nostro mondo!

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mercoledì 20 settembre 2006

Black Italians - Jaques Riparelli

E' uscito un libro, "Black Italians", (italiani neri), storie degli atleti neri nelle squadre italiane. Una delle storie di questo libro riguarda Jacque Riparelli il velocista italiano. Mi ricordo Jacque quando veniva in ufficio con il suo papà, Franco.


Franco aveva trovato la sua moglie in Cameroun e per un po' di anni aveva lavorato in AIFO, poi era partito per un progetto in Mali. Franco mi aveva insegnato a lavorare con il computer, era appassionato di informatica.

Ultima volta che avevo incontrato Franco era quando aspettavamo lo sblocco di un progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano, per la quale doveva ripartire anche Franco. Lui non poteva aspettare, doveva mantenere la famiglia, anche perché nel frattempo era arrivata anche la Katia, la sorellina di Jacque. Per cui Franco aveva deciso di partire per il Mali con una ditta di costruzioni. "Appena il progetto si sblocca tornerò in Italia", ci aveva detto. Invece, dopo qualche mese, era morto in un incidente stradale a Bamako.

Oggi Jaque è un'atleta velocista centometrista e racconta la sua storia in questo libro, "Ho iniziato a fare sport quando è morto mio papà. All'epoca non me ne sono reso conto, ma per me lo sport è stato una valvola di sfogo… quando ho indossato la mia prima maglia azzurra, è stata una cosa indescrivibile, perché in quel momento hai l'onore di rappresentare l'Italia."

Parlando del razzismo, lui dice, "..anche a me capita di andare in un ufficio e la prima cosa che mi chiedono è se ho il permesso di soggiorno. Alla gente non viene in mente da subito che io possa essere italiano… Bisogna cambiare la gente e fargli capire che esiste anche l'italiano di colore."

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E' arrivato un altro invito dal comune di Bologna. E' per una serata sulla società multiculturale. L'ospite d'onore è una persona che viene dalla Canada e poi, c'è una lista lunghissima di altri relatori, ma non c'è nessun nome straniero tra questi.

Già qualche mese era arrivata la comunicazione sulla creazione di un comitato per le attività a favore delle associazioni di emigrati e anche in quel comitato, non vi era nessun nome straniero.

Penso che sicuramente sarà bello ascoltare gli illustri relatori ma in questa grande Bologna multiculturale, com'è possibile che non riescono a trovare uno straniero come relatore o membro di un comitato, magari soltanto come un simbolo?


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Di nuovo c'è la bufera nel mondo musulmano. Questa volta per le cose dette dal Papa in Germania. Posso capire che possiamo non concordare con qualcosa che dice il Papa ma ogni volta che non concordiamo con qualcosa bisogna arrivare a ammazzare persone, bruciare negozi, minacciare ….? Non è possibile esprimere il proprio dissenso in maniera pacifica con le parole e dichiarazioni?

Tutto questo non fa che aumentare il senso della paura verso l'islam. Ogni volta che qualcuno osa a dire qualcosa contro l'islam, il messaggio arriva chiaro e forte: Non osate a parlare di noi altrimenti saranno guai per voi!

Comunque, mi rendo conto che spesso creiamo un'immagine monolitica del mondo musulmano che non esiste nel mondo reale. Un recente articolo nella rivista indiana Outlook spiegava i litigi tra i musulmani Barelwis e i musulmani Deobandis. Sembra che un gruppo di persone Barelwis aveva partecipato in un preghiera dei Deobandis, e per questo avevan perso il diritto di essere musulmani ed erano stati automaticamente divorziati dalle loro moglie. Hanno dovuto seguire i riti di purificazione per essere riammessi tra i Barelwis e di risposare le loro moglie.

Si parla da anni della persecuzione di musulmani Shia e Ahmadiya da gruppi Sunniti in Pakistan, e in Sudan, i musulmani arabi stanno ammazzando i musulmani neri!

Ma sembra che tutte queste fazioni si uniscono solo quando si tratta della minaccia esterna, tipo quella dell'occidente!

domenica 10 settembre 2006

Il boss simpatico: Munna Bhai MBBS

Spesso i film di bollywood sono copie indianizzate dei film di Hollywood. I registi indiani li definiscono come film “inspirati” perché spesso la trama del film inspirato viene arricchita con il “masala” o le spezie di bollywood – si aggiungono delle scene emozionali, canzoni, danze, ecc. Non succede spesso che un film indiano viene copiato a Hollywood, forse perché i film con le trame originali provenienti dall’India sono molto radicati nella cultura indiana e non avranno molto senso per il pubblico che non capisce il contesto culturale specifico.


Munnabhai MBBS Film Bollywood

Comunque un film indiano recente è stato acquistato da una casa produttrice di Hollywood per essere rifatto con gli attori americani. Si tratta di “Munnabhai MBBS” (Fratello Munna, medico chirurgo), un film di Rajkumar Hirani, uscito alla fine del 2004.

Il film racconta la storia di un piccolo boss mafioso di Mumbai, che si chiama Munna. A Mumbai tutti i mafiosi sono chiamati con l’appellativo di “bhai” (fratello). Munna bhai (Sanjay Dutt) non è un mafioso qualunque, ha dei principi morali. Per esempio, lui è contento di rapire qualcuno su ordine, ma quando capisce che l’ordinante non si comportato in maniera corretta, è capace di rapire anche l’ordinante e chiedere un riscatto per la sua liberazione.

Circuit (circuito, l’attore Arshad Warsi) è l’assistente fedele di Munna Bhai, nonché il papà di un bimbo (Short Circuit o corto circuito), disponibile a seguire ogni ordine del suo capo.

L’unica persona di cui Munna bhai ha paura è il suo papà, un vecchio insegnante in pensione, che abita in un villaggio. Scappato da casa quando era un ragazzo, Munna sa di aver deluso le aspettative di suo papà e gli racconta una bugia, gli dice che ha studiato come medico e ora gestisce un ambulatorio.

Ogni volta che il suo padre viene in città a trovarlo, la casa di Munna si trasforma in un finto ospedale, i suoi colleghi malviventi si vestono da medici, infermieri e pazienti, affinché il suo papà pensi che il suo figlio è un vero dottore.

Quando la sua bugia viene scoperta, il suo padre si offende e giura di non tornare mai più dal figlio. Umiliato davanti a tutti, Munna giura di diventare un medico. Per farlo è pronto a rapire, ammazzare chiunque e pagare quanto necessario. Ma quando riesce a frequentare la scuola di medicina, resta scioccato dalla mancanza di umanità e empatia nella professione medica.

La lezione finale di Munnabhai è di far ricordare a tutti l’importanza delle rapporti umani. E’ un film semplice e divertente, ma anche con un forte messaggio, quello di non dimenticare la gentilezza nei rapporti con gli altri. Il film ha riscosso un grande successo, del pubblico e della critica.

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Recentemente è uscito il nuovo film della serie di Munnabhai, si chiama Lago Raho Munnabhai (Continua fratello Munna). Il film riguarda l'incontro del mafioso Munna con il fantasma di Mahatma Gandhi. I critici e i siti indiani, sono tutti unanimi, è meglio anche del primo film di Munna bhai.

Lage Raho Munna Bhai - Bollywood film

Appena dopo 10 giorni della uscita, il film è stato dichiarato un campione di incassi. I genitori sono contenti perché il film fa riscoprire i valori di Mahatma Gandhi alla generazione di oggi. I giovani sono contenti perché il film è divertente. Spero di vederlo presto.

domenica 27 agosto 2006

Convivenza

Penso che l'India è il primo paese nel mondo per capire la convivenza delle diversità. Recentemente, ho letto un articolo scritto da G.V. Dasarathi, che lo spiega molto bene. Sig. Dasarathi ha 46 anni e gestisce un’attività di preparare il software informatico in India. Lui ha scritto questo articolo in inglese sul portale indiano Rediff.com che ho pensato di tradurre e presentare qui parzialmente.
 
Diversità in India

Dall'articolo "Why I am Bullish About India"

… Miei genitori parlavano il tamil, mio papà aveva la pelle scura e invece, mia mamma aveva la pelle più chiara. La mia governante era una signora con la pelle chiara, proveniva dallo stato di UP (nell’India del nord) e parlava hindi. Abitavamo dentro una densa foresta nello stato di Jharkhand (nell’India centro-orientale) dove la maggior parte della popolazione era composto da tribù con la pelle nera che parlavano la lingua “ho”. Quando uscivo di casa vedevo persone che portavano abiti di tutti i tipi – i sadhu (i monaci indù) nudi, le persone delle tribù che erano topless, e le donne musulmane con il burqa (il velo integrale).

Maggior parte degli ospiti che veniva a trovarci parlava l’inglese. Noi eravamo indù, la mia governante era musulmana, la maggior parte delle tribù erano cristiani o animisti…Le persone che ci circondavano avevano tutte le abitudini alimentari possibili. Alcuni mangiavano solo verdure, alcuni non mangiavano carne di mucca, alcuni non mangiavano carne di maiale, altri mangiavano tutto compreso i topi e i camaleonti.

La nostra piccola comunità delle persone legate alle miniere, celebrava le feste di tutte le religioni con uguale gioia…questa era la mia introduzione all’enorme diversità della nostra meravigliosa terra. Da bambino incontravo persone con colori della pelle diversa, i loro tratti somatici diversi, le loro lingue diverse, le loro religioni diverse, il loro modo di vestirsi diverso, che mangiavano cose diverse…

Mentre crescevo, mio papà fu trasferito più volte in diversi stati dell’India. Così ho conosciuto il resto dell’India. Ho imparato che gli indiani credono in tanti dei, molto di più delle religioni che avevo conosciuto da bambino. Ho imparato che ogni stato dell’India ha almeno 3 - 4 diverse regioni. Persone di queste regioni parlano lingue o dialetti diversi tra di loro e spesso non capiscono i dialetti delle altre regioni dello proprio stato. Ogni regione ha la propria cucina diversa dalle altre, si veste diversamente e ha apparenze fisiche diverse.

Oggi nessuno può convincermi che sono superiore a qualcuno altro per la mia religione o per il colore della mia pelle o per la mia lingua. La diversità che ho vissuto, e accettato e nella quale ho gioito da bambino, non è qualcosa di unico. Penso che ogni indiano vive questa stessa esperienza, soltanto i dettagli possono essere diversi. Credo che sia questo che fa di noi il paese più tollerante del mondo…

Si è vero che ogni tanto scoppiano disordini per questa diversità, quando ci ammazziamo tra di noi per le nostre diversità. E’ tragico e vorrei che non succedesse mai più, ma guardatelo in un altro modo: i musulmani sunni, i buddisti, i cattolici romani, i sikh, i musulmani bohra, i giani digambara, i parsi, i khurmi, gli iyers, gli agarwals, i nairs, i cristiani siriani, i musulmani shia, i giani shwetambara, gli ebrei, i musulmani ismailiti, gli avventisti del settimo giorno, i bishnoi, e persone di molte altre religioni vivono insieme in India da secoli.

In Gran Bretagna e in Yemen per decenni persone di due branche diverse della stessa religione si sono ammazzati tra di loro. In Libano, per quanti anni le persone di due religioni hanno ucciso tra di loro? In Stati Uniti e in Sud Africa, per decenni le persone hanno litigato per la differenza nella colore della pelle. In Canada litigano per le due lingue diverse.

Come indiano, questi conflitti mi fanno sorridere – solo due religioni, solo due colori, due lingue! Vorrei dire a loro, “Ragazzi provate la coesistenza tra un gianista digambara, che parla gujarati, che si veste con il kurta pigiama, che mangia solo erbe e un cristiano siriano del kerala che parla malayalam, che porta un mundu e che mangia tutto”. Dove saremmo se diventassimo intolleranti come gli altri?

Penso che l’intolleranza religiosa che vediamo in questi giorni in India è una cosa limitata ad una piccola percentuale di noi, e che a lungo andare sappiamo che non è importante prendere troppo seriamente le nostre differenze, sappiamo che la maggior parte di noi è risultato di mescolanze di razze, religioni e culture…

… penso che il futuro di India sarà positivo. Non perché possiamo produrre e esportare acciaio o armi o tessuti, ma perché noi comprendiamo la convivenza.

giovedì 29 giugno 2006

La Madre del Terrorista

"La Madre del Terrorista" (1997) era un film del regista Govind Nihalani. Il film racconta il disperato tentativo di una madre di cercare di capire le scelte fatte dal suo figlio, che è stato ucciso dalla polizia.

Titolo originale del film era 'Hazar Chaurasi ki Ma' ('La mamma del numero 1084'), ed era basato su un romanzo di Mahashweta Devi, la scrittrice e attivista bengalese. Il film guarda con empatia, la scelta di un giovane per la rivoluzione armata. E' uno di miei film indiani preferiti per la sua intensità.

Trama del Film

Il film era ambientato a Calcutta nel 1970.

Sujata Chakraborty (Jaya Bhaduri), ha un sonno agitato, si sveglia quando suona il telefono. Accanto a lei dorme suo marito. Al telefono qualcuno le chiede se conosce Brati Charavorty? “Si, è mio figlio”risponde lei. “Venga a Kantipokhar per il riconoscimento del corpo” dice la voce e interrompe il collegamento.

Che cosa significa” si chiede Sujata, ancora intontita dal sonno, senza capire. 

Brati, non vive in casa da diversi anni e nessuno in famiglia ha le sue notizie. Soltanto il giorno dopo qualcuno spiega a Sujata che Kantipokhar è il mortuario della polizia di Calcutta. E' la polizia che vuole qualcuno della famiglia per andare al mortuario riconoscere il corpo di Brati. Il papà e il fratello maggiore di Brati non vogliono andare al mortuario.

Scioccata, Sujata va a vedere il corpo del figlio a Kantipokhar e si trova spinta in una stanza spoglia dove giacciono 5 corpi senza vita coperti da un telo lacero, macchiato di sangue secco. Vicino, sono 3 persone povere sedute per terra, le loro facce sono scioccate. Quando tolgono il telo dal corpo del suo figlio, Sujata lo sente come uno schiaffo. Il corpo di suo figlio è crivellato di pallottole, e la sua faccia è stata pestata fino a diventare irriconoscibile. Al piede porta la targa "1084".

Non si può portare via i corpi dei morti” dice la polizia, perché sono terroristi, criminali pericolosi per la società. Impotente, Sujata guarda i cinque corpi dei giovani ventenni dati alle fiamme per la cremazione.

Così inizia Hazaar Chaurasi Ki Maa (La madre del 1084), il film sulle origini del movimento maoista nel nord-est dell'India.

Il film è la storia della scoperta di se stessa da parte di Sujata e della scoperta di un mondo a lei sconosciuto. Sujata non capisce perché tutta la famiglia vuole far finta di non aver mai avuto una persona di nome Brati, di dimenticarlo e quando ne parla lo fa esclusivamente nominandolo come criminale e terrorista. Lei è dilaniata da un profondo senso di colpa, perché non l'aveva capito suo figlio? Perché aveva continuato a vedere il ragazzo sorridente di sempre che tutti i giorni usciva da casa per andare a studiare all'università senza dare peso alle sue idee di rivoluzione per un mondo meno ingiusto?

Sujata vuole capire e così torna alla famiglia di Somu, uno degli altri ragazzi uccisi con Brati (Joy Sengupta). Poi va a trovare Nandini (Nandita Das), la ragazza e compagna di Brati, resa mezza cieca dalle torture della polizia. Questo tentativo di capire le ragioni della morte del proprio figlio portano Sujata a vedere il mondo degli oppressi e a iniziare a capire le grandi disuguaglianze che caratterizzano la società indiana. Allo stesso momento, questo viaggio di scoperta fa capire a Sujata la ipocrisia della propria vita, la vita fatta di facciata, nella quale lei stessa è calpestata ogni giorno nel suo ruolo di madre, donna e moglie.

Commenti

Il film è molto forte con 3 attrici più brave del cinema indiano di Mumbai - Jaya Bhaduri, Seema Biswas e Nandita Das.

Seema Biswas nel ruolo di madre di Somu presenta un performance incredibile. Il suo urlo del pianto rituale quando Sujata entra nella sua casa per la prima volta (in diverse parti del India, dopo la morte di un famigliare, ogni volta che un amico o un parente entra in casa per la prima volta, c'è il pianto rituale) fa drizzare i peli. Quando c'è lei sullo schermo è difficile toglierle gli occhi di dosso.

La parte del film legata a Nandini, la ragazza di Brati, che spiega le motivazioni del movimento di Naxalbari, mi è sembrata un po’ meno efficace perché troppo pieno di parole. Sembra di vedere qualcuno recitare un libro piuttosto che una scena del film. Nandita Das al suo primo film nel ruolo di giovane e magra “naxalite” (rivoluzionaria) con la fibra di acciaio che non si piega alle torture, non è perfetta ma fa già intuire che diventerà un'attrice di grande sostanza.

Ma tra tutti gli attori del film, la migliore è Jaya Bhaduri, nel ruolo di Sujata. L’attrice è tornata a recitare per questo film dopo un intervallo di circa venti anni, ed è la sua interpretazione migliore in una carriera fatta di molti film belli. Il dolore nei suoi occhi, la sua confusione, la sua fatica di capire quello che sta succedendo e alla fine, la sua consapevolezza, tutto diventa credibile. In molte scene del film riesce a trasmettere sentimenti complessi senza gesti o parole.

Questo non è un film passatempo - è un film molto impegnativo. Fa parte dell’ ormai defunto Art cinema di Mumbai che si differenziava dal cinema commerciale (masala film) di bollywood. Alla fine possiamo concordare o meno con i ragionamenti dei suoi protagonisti riguardo le cause delle disuguaglianze sociali in India e la loro scelta della violenza della lotta armata, ma sicuramente è un film che ti fa riflettere.

Personalmente non concordo con le lotte armate perché non portano a nessun cambiamento reale, sostituiscono un'oppressione con un'altra. Anche i protagonisti del film arrivano alla stessa conclusione.

Govind Nihalani è uno dei registi dissidenti di Mumbai più importanti, iniziò la sua carriera come cinematografo nel lontano 1962. Tra i suoi film più importanti come cinematografo, c’è anche il famoso 'Gandhi' di Richard Attenborough. Dal 1981, quando lui esordì come regista con il suo primo film, Aakrosh (la rabbia), ha seguito la strada dei film denuncia.

La scrittrice Mahashweta Devi aveva passato la sua vita nella lotta per i diritti dei gruppi più poveri ed emarginati in India, dando voce a persone emarginate e senza potere, tramite i suoi romanzi. Diversi suoi libri sono stati tradotti in italiano.

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martedì 6 giugno 2006

Non ho ucciso Gandhi

Il titolo del film mi aveva molto incuriosito "Maine Gandhi Ko Nahin Mara" (Non ho ucciso Gandhi). Mi sono chiesto, con questo titolo “non ho ucciso Gandhi” cosa vogliono dire? Si sa chi aveva ucciso Mahatma Gandhi nel 1948, si chiamava Nathu Ram Godse e fu impiccato - allora è una domanda retorica?

Maine Gandhi Ko Nahin Mara (Non ho Ucciso Gandhi) Film Bollywood

Ero curioso e così ho voluto vedere questo film.

E’ il primo film del regista indiano Jahnu Barua. Il film è stato prodotto dall'attore Anupam Kher, già conosciuto al pubblico italiano come il padre sikh della ragazza indiana nel film inglese, "Bend it like Beckham".

Trama del film: Non ho Ucciso Gandhi

Il film è la storia di un vecchio professore, che si chiama Uttam Chowdhury (Anupam Kher). Il professore è in pensione, soffre di demenza e sta perdendo la sua memoria. Delle volte non si ricorda che è in pensione o che la sua moglie è morta un anno e mezzo fa. Non ha perso tutti i suoi ricordi, per esempio, delle volte si ricorda quella volta che era finito in un'aula diversa da dove doveva andare a insegnare. Lui vive con la figlia Trisha (Urmila Matondkar) e il figlio Addi (Karan Chaudhury). Invece il suo figlio maggiore, Ronu (Rajat Kapoor) vive in America.

Trisha è innamorata di Ashish ma per il loro matrimonio, lei deve essere “approvata” dai genitori di Ashish perché lui non vuole sposarsi senza il loro consenso. Addi, il fratello di Trisha è preoccupato, perché se lei si sposerà, chi baderà a suo padre? “Possiamo mandarlo in un istituto”, propone, “non voglio rovinarmi la vita”.

Trisha è sconcertata dall’insensibilità del fratello. Poi, Ashish rompe la relazione con lei perché i suoi genitori hanno paura che la malattia del professore sia ereditaria e non vogliono che il loro figlio sposi Trisha.

Improvvisamente la condizione mentale del professore peggiora, comincia ad avere delle allucinazioni e più volte borbotta “Non ho ucciso Gandhi di proposito, è stata una disgrazia. Pensavo di avere una pistola giocattolo, ma qualcuno ha messo una pallottola vera alla mia insaputa e quando ho sparato, Gandhi ha attraversato la mia strada e così è rimasto ucciso.” Nessuno riesce a capire il motivo di queste allucinazioni e le condizioni del professore si deteriorano di giorno in giorno.

Addi, il figlio più giovane telefona al fratello maggiore in America e gli racconta la situazione del padre. Ronu torna a Bombay.

Trisha va parlare con Sidharth (Praveen Dabas, conosciuto al pubblico in Italia come lo sposo nel film 'Monsoon Wedding' di Mira Nair), un altro psichiatra. Indagando si scopre il motivo di queste allucinazioni. Si tratta di una ferita dell’infanzia, mai chiusa. Quando il professore aveva 8 anni, durante un gioco con altri bambini aveva sparato una freccia alla foto di Gandhi e poi era arrivata la notizia che quello stesso giorno Gandhi era stato assassinato. Il padre del bambino, seguace convinto del Mahatma, si era arrabbiato con il figlio per aver osato a profanare la foto del Mahatma. Quel episodio era rimasto impresso nella mente del bimbo, e che ora è convinto che il suo gesto aveva fatto morire Gandhi.

Come terapia, lo psichiatra decide di organizzare una finta seduta da tribunale coinvolgendo un gruppo di attori per fare un finto-processo al professore, per aver assassinato Gandhi. Il finto-processo conclude con la dichiarazione che bmabino non ha colpa.

Il professore in un momento di lucidità, si guarda intorno nella finta aula del tribunale e riconosce che si, non fu lui ad uccidere il Mahatma, ma che ormai il Mahatma è solo un simbolo vuoto, una faccia da stampare sulle banconote, ma che tutti hanno dimenticato i suoi insegnamenti.

Commenti

L'idea del film sul trauma dell’infanzia che affiora quando le memorie iniziano a morire è interessante (anche se poco credibile), e il film è molto coinvolgente. L’attore Anupam Kher, nel ruolo del professore malato è grandioso. Anche gli altri attori, soprattutto Urmila Matondkar nella parte della figlia Trisha, sono bravi. La musica del film (Bappi Lehri) anche se alle volte troppo ripetitiva, è efficace.

La storia del fidanzato che decide di non sposare la ragazza che ama perché ha paura della demenza del padre, sembra solo una strategia per rendere il film più drammatico.

Se vi piacciono i film seri, questo film vi piacerà. L’unica parte che ho trovato meno convincente è il momento di lucidità del professore verso la fine. La sua predica finale, molto bella e commovente, non mi sembra molto logica con il resto del personaggio e la sua malattia.

Alla fine, non cercate le coerenza logica in tutti gli aspetti della storia, e accettate questi aspetti poco credibili come strategie narrative, il film è interessante.

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