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lunedì 10 agosto 2020

Per Salvare i Bambini

Qualche giorno fa rimasi esterrefatto dalla pubblicità in tv di un’associazione che si occupa dell’infanzia nel mondo. Si vedevano immagini dei bambini africani piccoli gravemente malati e denutriti mentre una voce parlava della siccità nel loro Paese e chiedeva contributi per portare aiuto a queste popolazioni.

Conosco il mondo delle associazioni di volontariato, in Italia e a livello internazionale, da circa 35 anni. Per circa tre decenni ho lavorato con AIFO, un’associazione nazionale con sede a Bologna. Per cui ho seguito da vicino i dibattiti sulle esigenze della raccolta fondi e il diritto di rispettare la dignità delle persone e delle popolazioni con le quali lavoriamo.



Voglio parlarvi di questi dibattiti e delle scelte fatte da alcune associazioni di volontariato in Italia sull’uso della pubblicità.

Persone da Salvare?

Fino a qualche decennio fa l’uso di simili immagini era considerato normale. Nella rivista e nel materiale pubblicitario di AIFO spesso si usavano immagini dei malati di lebbra con gravi disabilità. Io sentivo un senso di fastidio quando guardavo quella pubblicità. Da una parte, parlavamo della solidarietà e della carità, dei diritti umani e della dignità delle persone e poi usavamo le immagini più brutte che potevamo perché avrebbero fatto colpo sui potenziali donatori e avrebbero aumentato le donazioni.

Almeno in parte, il mio senso di fastidio era dovuto anche al fatto che mi sentivo colpito in prima persona, perché l’India era il Paese con il più alto numero dei malati di lebbra e spesso quelle immagini riguardavano l’India. È vero che l’India aveva molti milioni di poveri; e nonostante il grande progresso di queste ultime decadi tutt’ora ne ha, anche se meno di prima. Ma vi era qualcosa fra i nostri proclami e quella pubblicità che stonava.

Primi Dibattiti sull’Uso della Pubblicità

Penso che le prime discussioni serie sulle immagini e sui messaggi nelle associazioni umanitarie siano iniziate negli anni della grande crisi in Corno d’Africa. La grave siccità in Etiopia intorno al 1984-85 aveva visto migliaia di foto simili nei giornali e telegiornali di tutto il mondo. Forse vi ricorderete la terribile fotografia del bimbo morente con l’avvoltoio in attesa seduto dietro, l’emblema di una tragedia che scosse il mondo.

Quelle immagini avevano fatto nascere molte discussioni, non solo dentro le associazioni ma anche nelle nostre piattaforme comuni. Negli anni Novanta avevo partecipato in molte discussioni anche nelle federazioni europee e internazionali. In alcune discussioni parteciparono anche i rappresentanti dei “beneficiari” degli interventi e delle associazioni di volontariato nei Paesi meno sviluppati, i quali fecero presente che quel tipo di pubblicità era contro la dignità delle persone e a volte vanificava i risultati dei nostri interventi. Per esempio: da una parte lamentavamo i pregiudizi e promuovevamo interventi di sensibilizzazione, dall’altra parte – con immagini e messaggi – fomentavamo gli stessi stereotipi.

Risultato di Quelle Discussioni

Eravamo giunti alla conclusione che l’uso di simili immagini e messaggi era in contrasto con i nostri obiettivi. In AIFO e nelle diverse associazioni internazionali che lottano contro la lebbra decidemmo di non usare più foto “forti” di persone con gravi disabilità. Infatti sono circa 20 anni che in AIFO non si utilizzano e qualche volta – quando ho voluto usarne una per illustrare le disabilità e le complicazioni che possono insorgere se le persone non vengono curate in tempo – ho dovuto limitarmi alle immagini “soft”.

Per quanto riguarda i minori nel 1989 è arrivata la Convenzione Internazionale sui Diritti dei Bambini. L’articolo 16 di questa Convenzione riguarda il rispetto della privacy. L’articolo 34 chiede ai governi di proteggere i bambini dallo sfruttamento mentre l’art. 36 demanda ai governi di salvaguardare i bambini da tutto ciò che li danneggia. Infine l’articolo 39: i bambini che hanno sofferto diverse forme di violenza e negligenza dovrebbero essere aiutati a recuperare la loro salute, la dignità e l’autostima.

In Italia la firma della Convenzione aveva innescato molte discussioni. Infatti, La Carta di Treviso era stata firmata il 5 ottobre 1990, per l’iniziativa della Federazione Nazionale della stampa, dell’Ordine dei Giornalisti e di “Telefono Azzurro”. La Carta di Treviso regolamenta il rapporto fra due diritti-doveri costituzionalmente garantiti: esercitare la libertà di informazione e proteggere un cittadino al di sotto dei 18 anni nel suo sviluppo, garantendo una corretta formazione.

Nel 2006 a livello europeo la confederazione delle associazioni umanitarie CONCORD ha deciso un Codice di Condotta sulle Immagini e sui Messaggi nelle strategie di comunicazione pubblica. Questo Codice chiede che la scelta delle immagini e dei messaggi rispetti 3 princìpi fondamentali: la dignità delle persone coinvolte, l’uguaglianza di tutti i popoli e il bisogno di promuovere un trattamento equo, solidarietà e giustizia.

Pubblicità sui Bambini Gravemente Malati

Questa pubblicità è di Save the Children Fund (SCF) Italia. Devo dire che durante i miei anni di lavoro in AIFO più volte ho collaborato con la SCF inglese e ho appreso molto da loro, per esempio nel campo dell’educazione inclusiva. Ho ammirato la dedizione e impegno di diversi colleghi che lavorano per la SCF. So anche che SCF era uno dei motori dietro l’approvazione della Convenzione sui diritti dei bambini. Forse è per questo che vedere quella pubblicità, secondo me contraria ai princìpi fondamentali che segue SCF, mi ha così turbato.

Nei telegiornali spesso vedo che i volti dei minorenni sono resi sfuocati e invisibili, ma quelle misure valgono soltanto per gli italiani. I bambini africani nella pubblicità di SCF Italia non hanno simili diritti? Anche se un simile uso delle immagini dei bambini può essere legale perché l’opinione pubblica non condanna questo tipo di sfruttamento?

Il Garante per i diritti dei minori cosa dice di questa pubblicità? Nel 2017 un gruppo di lavoro guidato dall’Autorità garante per l’infanzia e adolescenza aveva elaborato un documento sulla tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione. Questa tutela copre anche i bambini africani usati nella pubblicità?

All’inizio pensavo che soltanto SCF-Italia adottasse questo tipo di strategie per la raccolta dei fondi ma una ricerca su internet ha fatto emergere simili preoccupazioni anche in altri Paesi. Per esempio un articolo uscito nel 2015 dal titolo “A quale punto la pubblicità per la raccolta fondi supera i limiti?” parlava di simili preoccupazioni riguardo la pubblicità di SCF inglese e chiedeva se «la porno-povertà era tornata». L’articolo prendeva atto che «le immagini che sfruttano i poveri stanno tornando nelle campagne di raccolta fondi».

Conclusioni

Il mondo delle associazioni di volontariato italiane era molto ricco e aveva le radici nelle comunità locali. Insieme a centinaia di gruppi parrocchiali, le associazioni come Mani Tese, Cuamm-Medici con l'Africa e AIFO avevano molte offerte e progetti. Negli ultimi 10-15 anni, gradualmente questo mondo è andato in crisi con un calo delle offerte. Molte piccole associazioni umanitarie hanno dovuto chiudere.

Non è successo solo in Italia ma in tutta l’Europa. Forse per questo alcune associazioni europee e americane più forti sono diventate internazionali e hanno aperto i loro uffici in diversi Paesi. Questi hanno più risorse e possono organizzare campagne di comunicazione molto efficaci per la raccolta dei fondi. Save the Children Fund è tra queste. Forse è l’unico modo per loro di continuare a portare avanti le loro attività?

Devo dire che è deprimente dopo tutte le discussioni, convenzioni e linee guida, tornare a dove eravamo partiti!

giovedì 10 ottobre 2019

Kashmir: Il Paradiso Imprigionato

Nel 17° secolo, Jahangir, l’imperatore Mughal visitò la valle di Kashmir e ne rimase incantato: «Se esiste paradiso sulla terra deve essere proprio qui». Sono più di 30 anni che quel paradiso è sotto assedio. Le storie di Kashmir sono uno groviglio e non è facile capire quale appartiene a chi, fin dove le storie raccontano la verità, dove si travestono e nascondono sotto i racconti immaginari.

Il 5 agosto 2019 un annuncio del governo indiano ha riacceso i fari su questa regione dimenticata.

Sono 3 le parti coinvolte in queste storie: la gente di Kashmir, l’India e il Pakistan.

Considerata la terra del culto di Shiva dai tempi antichi, l’islam arrivò e conquisto questa terra nel 14° secolo. La disputa fra India e Pakistan riguardo Kashmir iniziò nel 1947 subito dopo la partenza del governo coloniale inglese. L’annuncio del governo indiano del 5 agosto è soltanto l’ultimo atto di questa disputa.

È una storia lunga e complessa con colpi e contraccolpi.

Prima di farvi una spiegazione (semplificata) di questa storia e del significato dell’annuncio del governo indiano, vorrei iniziare con un chiarimento riguardo la valle di Kashmir.

La Valle di Kashmir

Lo Stato indiano di Kashmir con circa 13 milioni di abitanti è costituito da 3 regioni: Jammu, Ladakh e la Valle del Kashmir. Le dispute fra India e Pakistan riguardano la Valle di Kashmir: questa è la zona di conflitto non le altre due regioni.



Con circa 6,9 milioni di abitanti (dati del 2011) la regione della Valle di Kashmir rappresenta circa il 15% della superficie dello Stato ed è quella più popolosa. Circa il 96% della popolazione è musulmana, composta da 2 gruppi principali: il 75% sono Sunniti e il 25% sono Shi’a. A ovest questa regione condivide la frontiera con il Pakistan.

Con circa 5,3 milioni di abitanti (sempre dati 2011) la regione di Jammu rappresenta circa il 26% della superfice ed è la seconda per popolazione. Circa l’85% della popolazione di Jammu è induista mentre i musulmani si aggirano sul 7,5%.

Con solo 290.000 abitanti (il riferimento è sempre al 2011) Ladakh è scarsamente popolata. Circa il 46% della popolazione è musulmana, il 39% è buddhista e gli induisti sono il 12%. Al nord questa regione condivide la frontiera con Cina e Pakistan.

La disputa fra l’India e il Pakistan

Nell’agosto 1947 il Governo coloniale inglese aveva lasciato il subcontinente indiano ma prima di partire l’aveva suddiviso in due Paesi: India e Pakistan. Questa suddivisione riconosceva la domanda di una parte di musulmani di essere «un popolo diverso dagli altri indiani» che chiedevano un Paese solo per loro. All’inizio, il Pakistan era composto da due territori – Pakistan est (oggi Bangladesh) e Pakistan ovest – le due aree dove la maggioranza della popolazione era musulmana.

Nel 1947 il subcontinente aveva anche centinaia di principati e regni, i quali potevano scegliere se far parte dell’India o del Pakistan. Questa scelta riguardava soprattutto i regni che si trovavano vicino alle frontiere dei due Paesi, mentre quelli che erano completamente circondati da uno dei Paesi, di fatto non avevano questa scelta.

Il regno di Jammu-Kashmir con la maggioranza della popolazione musulmana (77%) aveva un re induista, Hari Singh. Lui non era sicuro se far parte dell’India o del Pakistan e aveva richiesto del tempo per prendere la sua decisione. Dopo alcuni mesi di attesa, le forze pakistane erano entrate e avevano occupato alcune parti della Valle del Kashmir, soprattutto nel nord ovest. Hari Singh che non aveva una forza militare per resistere, chiese l’aiuto al governo indiano e decise di far parte dell’India. Questa fu la prima guerra fra India e Pakistan per la valle del Kashmir.

Verso la fine del 1948, con l’aiuto delle Nazioni Unite, la guerra finì: i territori della Valle del Kashmir presi dal Pakistan sono rimasti sotto il suo controllo. Vige tutt’ora quella linea di controllo come frontiera, dove le due forze si erano fermate al momento del cessate il fuoco.

Le Nazioni Unite avevano chiesto un referendum fra la popolazione di Kashmir per decidere se volevano andare in Pakistan o restare in India, però non è mai stato organizzato. Secondo l’India, il referendum si deve fare in tutto il territorio della Valle del Kashmir, mentre secondo il Pakistan soltanto nelle parti rimaste in India.

Gli articoli 370 e 35A del Kashmir

L’articolo 370 della Costituzione, approvato nel 1954, garantiva l’autonomia dello Stato di Kashmir, inclusa una sua Costituzione separata. L’articolo 35A – anche esso approvato dal parlamento indiano nello stesso anno – dava poteri allo Stato di Kashmir di decidere i criteri per definire chi poteva diventare residente permanente dello Stato e i suoi diritti.

Scoppio delle violenze in Kashmir

Vi sono state tre guerre fra India e Pakistan per la Valle del Kashmir. La prima, già spiegata sopra, nel 1947-48. La seconda nel 1965 e la terza nel 1998-99.

Fino alla prima parte degli anni ’80, la situazione nella Valle del Kashmir era tranquilla, come testimoniano le scene dei numerosi film di Bollywood girati qui. In quegli anni, le persone del Kashmir chiedevano “azadi”, la possibilità di avere un Paese libero cioè di non essere parte né dell’India né del Pakistan.

Le violenze in Kashmir sono iniziate intorno al 1988-89. Negli anni ’80, gli Usa avevano sostenuto i Mujahideen pakistani per lottare contro i russi in Afghanistan. Dopo il ritiro delle truppe russe dall’Afghanistan nel 1988, molte di queste persone che credevano in un Islam radicale sono arrivate nella Valle del Kashmir. Uno dei loro compiti era reclutare giovani della Valle del Kashmir in India e mandarli nei campi di addestramento in Pakistan per diventare guerriglieri.

All’inizio degli anni ’90 vi erano più di 300.000 induisti nella Valle del Kashmir, conosciuti come i Kashmiri Pandit. Questi sono diventati i bersagli degli islamici radicali. Secondo i rapporti governativi più di mille Kashmiri Pandit sono stati uccisi mentre le loro case e negozi venivano distrutti e bruciati. La maggior parte di loro sono scappati dalla Valle del Kashmir e molti tutt’ora vivono nei campi profughi sparsi in India. Meno dell’ 1% sono rimasti nella Valle del Kashmir.

I mujahideen pakistani e i loro compagni nella Valle del Kashmir hanno iniziato ad attaccare le strutture e i servizi governativi, in particolare i poliziotti locali che erano visti come traditori. Si pensa che negli anni successivi alla fuga dei Kashmiri Pandit dalla Valle, circa 30.000 persone, la maggioranza musulmane, sono state uccise dagli islamisti radicali perché ritenuti favorevoli al governo indiano.

Il governo indiano aveva risposto con l’invio delle forze militari, le quali hanno poteri speciali che garantiscono immunità dai tribunali civili. Così dagli anni ’90 la popolazione vive schiacciata fra queste due forze: da una parte i guerriglieri che vogliono che la Valle del Kashmir diventi parte del Pakistan e dall’altra le forze militari indiane.

Secondo alcuni articoli, di recente un terzo gruppo si è aggiunto alla lotta, cioè le persone che si ispirano alla filosofia dello Stato Islamico (ISIS). Negli ultimi 4-5 anni nelle proteste si vedono sempre di più le bandiere e le rivendicazioni a sostegno del Califfato Islamico e le “chiamate” per stabilire lo Stato islamico in Kashmir con la legge della Shariat.

La posizione pakistana

La religione musulmana è stato il motivo della nascita di Pakistan e dall’inizio i politici pakistani hanno rivendicato il territorio della Valle del Kashmir perché sarebbe una parte della fraternità musulmana.

Nel 1958 in Pakistan vi fu il primo colpo di stato, seguito da diverse dittature militari. Nel 1973 il Pakistan è diventato un Paese basato sulla legge islamica. Negli anni di leadership del dittatore militare Zia-ul-Haq (1977-88) l’islamizzazione si è ulteriormente rinforzata. Risale a quegli anni l’approvazione della legge sulla blasfemia. Gli ultimi decenni hanno visto crescenti suddivisioni fra i vari gruppi di musulmani in Pakistan, per esempio tra i sunni e gli shi’a, e tra i barelavi e i deobandi, mentre altri gruppi di musulmani (come gli ahmadi e i  bohra) sono stati dichiarati “non islamici”.

Questi fattori lasciano poco spazio di manovra ai politici pakistani, anche perché i capi militari detengono tutt’ora molto potere. Avere Kashmir come parte del Pakistan è diventata una questione di orgoglio nazionale e sarà difficile per loro cambiare posizione.

Le decisioni dell’India

Il 5 agosto 2019 il governo indiano ha deciso di revocare gli articoli 370 e 35A: si è giustificato dicendo che entrambi questi articoli erano temporanei e dopo 65 anni è inutile il loro mantenimento. Inoltre si è deciso di separare la regione di Ladakh dallo stato di Kashmir, creando un territorio autonomo sotto la giurisdizione del governo nazionale. Queste risoluzioni sono state approvate da due terzi della maggioranza nel parlamento indiano. Di fatto, questo significa che lo stato di Kashmir con le due regioni (Valle del Kashmir e Jammu) è ora una parte dell'India come tutto il resto del paese.

Dal 5 agosto a oggi (31 agosto) nella Valle del Kashmir non c’è internet e le reti dei telefoni mobili. Dopo il 12 agosto poco alla volta in alcune parti della Valle il servizio di telefoni fissi è stato ripristinato. Molti leader politici e civili sono in prigione o in arresto domiciliare.

Le reazioni

Secondo i giornalisti pro-governativi, dato il continuo rinforzamento dei radicali islamici e dei simpatizzanti di ISIS, bisognava tentare con una strategia nuova in Kashmir e forse l’abrogazione degli articoli 370 e 35A darà una possibilità di avere pace in questa regione. Dicono che con circa 200 milioni di musulmani (stime 2018) India è il secondo Paese nel mondo per il numero di musulmani e non si può rischiare che il radicalismo islamico contagi il resto dell’India.

Inoltre i filo-governativi dicono che l’articolo 35A era discriminatorio e dava diversi privilegi agli uomini del Kashmir. Per esempio, secondo questo articolo, se un uomo di Kashmir sposava una donna lei acquisiva il diritto di vivere nello Stato mentre una donna di Kashmir perdeva il suo diritto di residenza se sposava un uomo forestiero.

Il primo ministro indiano, nel suo discorso per giustificare l’abrogazione dei due articoli, ha parlato soprattutto di aspetti discriminatori inerenti agli articoli 370 e 35A.

Invece secondo i critici, il governo si è comportato in maniera prepotente: avrebbe dovuto avviare un dialogo in Kashmir sulla necessità di abrogare gli articoli. Loro criticano l’arresto di leader politici e civili come il blocco di internet e dei telefoni cellulari.

Le popolazioni delle regioni di Jammu e Ladakh e nel resto dell’India hanno accolto queste decisioni positivamente mentre le principali critiche sono venute dalla Valle di Kashmir e dal Pakistan. I gruppi separatisti hanno giurato “lotta continua” fino alla realizzazione del loro sogno di diventare parte del Pakistan, minacciando attacchi alle strutture governative.

Comunque, con o senza gli articoli 370 e 35A, la situazione del Kashmir non cambierà nel prossimo futuro. Per il momento il blocco di internet e la mancanza di telefoni mobili hanno permesso alle autorità di mantenere il controllo perché senza i social media è difficile organizzare le proteste. Comunque il blocco di internet e dei telefoni cellulari non può durare in eterno e bisognerà vedere che cosa succederà allora.

mercoledì 16 maggio 2012

La lettera di Sikand

Per più di 25 anni, Prof. Yoginder Sikand è stato una voce autorevole per parlare della situazione delle minoranze oppresse e emarginate in India. Ha parlato e ha scritto più volte sulla situazione dei gruppi come le cosidette "caste basse" e i musulmani in India e ha denunciato con forza i meccanismi del fondamentalismo indù.  Lui scrive regolarmente per riviste indiane autorevoli come l'Outlook.

Il 19 aprile scorso, lui ha pubblicato una lettera shock, intitolata, "Perché rinuncio all'attivismo sociale", dove lui parla del suo bisogno di introspezione e riflessione, e del "negativismo" che pervade i "progressisti" indiani impegnati nelle lotte per i diritti dei gruppi oppressi e delle minoranze etniche e religiose.

La lettera di Sikand ha toccato un vespaio, con lancio di accuse e di controaccuse di altri "progressisti" e attivisti sociali nelle settimane successive, i quali si sono sentiti colpiti dalle critiche di Sikand.

Penso che sia utile riflettere su alcune questioni che solleva Sikand nella sua lettera:
"..essendo un attivista sociale, avevo immaginato che le fonti di tutta l'oppressione e di tutta la negatività erano esterne - "là fuori" nel "mondo oltre" - da cercare nelle classi sociali, nelle caste, nelle strutture e nelle ideologie che avevo identificato come oppressive - Bramini e Commercianti, Ebrei, Americani e i loro fedeli Sauditi-Wahabiti, Feudalismo, Comunalismo, Capitalismo, Castismo, Zionismo, Braminismo,  Fondamentalismo religoso, Imperialismo e così via. Se potevamo combattere contro questi oppressori, avevo creduto, che il mondo si sarebbe cambiato...
.. l'odio che spesso passa per il "progressismo" nei circoli degli "attivisti" era veramente incredibile, e io ci credevo pienamente. Si imparava a cercare il negativo in ogni angolo e ogni buco, e se non lo trovavi in quelli luoghi, allora immaginavi fermamente che esisteva lo stesso.Tutta la tua vita era una grande protesta. Protestare contro le ingiustizie reali o immaginarie era quasi la sola cosa rispettabile che potevi fare ...
Ma questo negativismo dei circoli degli attivisti era solo verso una parte, perché per essere contato come un "attivista sociale" "vero" era impensabile trovare difetti di qualunque tipo negli "oppressi". Per un "attivista sociale" era impensabile anche parlare, tanto meno condannare, qualcosa che "non andava bene" nelle "comunità oppresse" - ingiustizie di genere o lotte di caste tra le "caste basse" o l'oscurantismo e la misoginia che insegnano nelle scuole musulmane tradizionali (madrasse) o gli attacchi terroristici e l'uccisione degli innocenti da parte dei naxaliti (maoisti) e dei musulmani radicali - parlarne era visto come un tradimento. Rapporti riguardo simili cose erano da ignorare perché sono "la propaganda maliziosa della classe regnante" o perché è "il lavaggio strumentale di cervello da parte dei bramini" o anche perché è "una reazione comprensibile delle comunità di minoranze vulnerabili all'oppressione delle caste / classi / imperialisti dominanti". Qualche volta, anche se si poteva accettare con riluttanza che i rapporti erano veritieri, si cercava di lasciarli passare sotto silenzio per "rispettare le sensibilità degli oppressi" o come "piccole contradizioni" che non bisogna esternalizzare perché ciò avrebbe "diviso" gli oppressi e avrebbe "sabotato" la lotta contro "l'oppressione" e sarebbe stato "fare il gioco dei veri oppressori".
Oltre alle sue confessioni sul proprio mondo "progressista", Sikand spiega la propria decisione di abbandonare l'attivismo sociale con queste parole:
"Anche se riconoscevo che l'ingiustizia sociale era una realtà universale, ed anche brutale, sopratutto per alcuni gruppi di minoranze, ho dovuto accettare anche le "minoranze" sono spesso colpevoli delle stesse ingiustizie (per esempio per come trattano le donne e le altre minoranze tra di loro) come le "maggioranze" e che nessuna comunità ha il monopolio, ne sulle virtù, né sui peccati. Un marito o padre tiranno, che esso sia musulmano o Dalit, è ugualmente oppressore quanto un bramino, almeno per me... affinché le persone non cambieranno come individui, non è importante in quale "sistema" credono, quale è la loro religione, o di quale retorica radicale parlano... affinché le persone, compreso gli oppressi, resteranno come sono, con tutta la negatività che abbiamo dentro, l'oppressione resterà intatto, anche se le sue forme possono cambiare e gli "oppressi" di oggi diventeranno gli "oppressori" di domani. La sola rivoluzione che cercavo, avevo capito, era quella interna... soltanto se mi riformavo veramente, se mi guarivo psicologicamente dal di dentro, per diventare intero, gentile e amorevole, ho capito, solo allora potrò veramente aiutare gli altri...
"So che non voglio più cambiare il mondo, dolorosamente consapevole che non importa quanto posso provare, i problemi del mondo resteranno e forse peggioreranno. Perché devo sprecare quello che resta della mia vita inseguendo il miraggio di un mondo senza problemi? ... Lasciamo stare il mondo intero o il "sistema", non ho potuto cambiare ne anche la mia famiglia e gli amici intimi, affinché loro pensassero e comportassero come volevo io .. il meglio che posso fare è di cercare di diventare una persona migliore, più gentile, con più compassione e amore, e di liberarmi di tutta questa negatività che si è entrata dentro di me. Veramente è l'unica e la migliore cosa che posso fare. E se anche gli altri penseranno in questo modo, non ci sarà più bisogno di sognare le rivoluzioni o di cambiare gli altri per avere un mondo migliore."

In qualche modo queste ultime parole di Sikand, mi fanno pensare a Mahatma Gandhi, per il quale la soluzione di ogni problema era dentro di se e per ogni crisi, lui proponeva digiuni o giornate di silenzio per la riflessione e per la purificazione.

Personalmente non ho mai avuto grande amore per le ideologie di qualunque colore. Mi trovo più vicino al pensiero di sinistra, ma non ci sto quando si cerca di giustificare tutto partendo da pensieri ideologici. Proprio per questo motivo, non concordavo quando Arundhati Roy, in qualche modo giustificava la violenza dei maoisti come "unica soluzione possibile dei gruppi emarginati e poveri, perché cosa altro possono fare?"

Ma la lettera di Sikand, vuol dire che non dobbiamo affrontare le ingiustizie? Non credo. Più che altro penso che sia importante liberarsi dagli spazi stretti che ci costruiamo intorno a noi, gli spazi delle ideologie, delle ideologie di sinistra che ripetono i mantra delle lotte contro imperialismo, e delle ideologie di destra che vedono tutte le soluzioni nei mercati.

Nietzsche diceva, "Le convinzioni sono le nemici più pericolose della verità, più delle bugie." Penso che le ideologie fanno proprio questo, ti spiegano il problema e le soluzioni prima di ascoltare e capire qualcosa. Ti chiudono gli occhi e le orecchie e non puoi più sentire la voce delle persone.

Concordo con Sikand che se non siamo aperti alle riflessioni e all'auto-cambiamento, non possiamo cambiare gli altri. Anche Raoul Follereau diceva, "cambiare noi per cambiare il mondo". Penso che le parole di Sikand hanno valore non solo per i "progressisti" indiani ma per tutti quelli che si nascondono dietro alle ideologie.

Se volete leggere l'intera lettera di Sikand (in inglese) la troverete cliccando al sito di Counter-currents.

***

giovedì 18 agosto 2011

Io canterò dopo la mia morte

Io lavoro per AIFO, un'associazione che lavora con i malati di lebbra e con le persone disabili. Penso che sia stata una grande fortuna per me poter lavorare per qualcosa che mi appassiona e che mi dà tanta soddisfazione.

Vi presento alcune parole di Raoul Follereau, la persona che ha ispirato AIFO, che spiegano il senso di quello che sento dentro di me:
E' questo l'esempio, questo ricordo vi lascio.
Non avrete bisogno di girare il mondo senza sosta per trovare la felicità .
La vostra felicità e nel bene che farete, nella gioia che diffonderete intorno a voi,
Nel sorriso che farete fiorire, nelle lacrime che avrete asciugato.
Certo la vita quotidiana e difficile, ma essa è giovane e bella per l'eternità.
E poi quando avrete delle difficoltà, dei contrasti,
Ricordatevi che l'importante non è ciò che si raccoglie, ma ciò che si semina,
L'importante non è ciò che si è, ma ciò che si offre.
Siate seminatori d'amore, il mondo vi attende e vi reclama.
Organizzate l'epidemia del bene e che essa contamini il mondo.
Che importano la stanchezza del giorno, l'incertezza del giorno dopo?
Chi combatte per un ideale, anche se vinto, è invincibile.
Il mondo ha fame di grano e di tenerezza.
Lavoriamo! 
Raoul Follereau

lunedì 3 gennaio 2011

Strumentalizzare Gandhi?

E' naturale che quando una persona diventa un personaggio pubblico, tutti possono commentare e interpretare i suoi gesti e le sue scelte. Quando un personaggio diventa un'icona, ciò è il simbolo di un'idea, spesso nelle comunicazioni perde la sua complessità umana e viene capito e conosciuto dalla maggior parte delle persone in forma semplificata, non più come un essere umano ma come qualcosa di astratto, strumentale all'idea che rappresenta.

Mahatma Gandhi in a prayer meeting

In questo senso oggi per molte persone, Mahatma Gandhi non è più un persona ma è piuttosto, un icona e forse per questo motivo, Vittorio Messori nel suo articolo "La leggenda dell'uomo che aveva una grande anima", uscito sul Sette, il settimanale di Corriere della Sera lo scorso 23 dicembre 2010, ha scritto, ".. ma su Gandhi molti ignorano molto, seguendo miti orecchiati"?

L'articolo di Messori è stato scritto per presentare il libro "Teoria e Pratica della Nonviolenza" che sarà distribuito con il quotidiano nei prossimi giorni. Ho letto questo articolo con un senso di disagio, perché penso che questo articolo si parla di Gandhi in termini un po' strani.

Secondo Messori, i vari concetti della filosofia di Gandhi, come pacifismo, non violenza e resistenza passiva, sono concetti evangelici presi dalla Bibbia. E' vero che in diverse occasioni, Gandhi aveva parlato degli insegnamenti della Bibbia, ma penso che i concetti di pacifismo e resistenza passiva, così importanti per Gandhi, avevano anche molte altre radici.

Per esempio, penso che l'ispirazione fondamentale per il concetto di non violenza enunciato da Gandhi, era l'ambiente famigliare che l'aveva circondato da quando era un bambino, un'ambiente fortemente influenzato dai concetti Gianisti di Ahimsa di Mahavira (dalla religione Gianismo, basato sui principi della non violenza verso tutti gli esseri viventi). Inoltre, in diverse occasioni Gandhi aveva parlato degli insegnamenti di Bhagvadgita, un testo sacro degli indù.

Comunque, non penso che sia un problema se Messori vuole fermarsi sull'influenza della Bibbia sul pensiero di Gandhi, ma mi è parsa strana la giustificazione che lui usa per questo, ".. pacifico di certo non era e non è l'induismo da cui Gandhi veniva. I cristiani e i musulmani (nelle zone in cui questi ultimi erano in minoranza) furono e sono perseguitati spesso in modo sanguinoso."

I conflitti religiosi che si scoppiano ogni tanto in India, sono ben noti. Come tutti i gruppi religiosi, anche tra gli indù, i gruppi più conservatori e fondamentalisti non mancano, e molti di loro credono nella violenza. Ma da questi episodi, per arrivare alla conclusione che l'induismo è una religione non pacifica, ci vuole una certa superficialità e anche, una non-conoscenza dell'induismo.

Nonostante i tanti conflitti religiosi, India è sempre stata e continua ad essere un paese tollerante e aperto, anche se gli indù sono più dell'84% della popolazione. Nei 63 anni trascorsi dalla sua indipendenza nel 1947, tutte le minoranze religiose indiane sono cresciute numericamente, a dispetto di tutti gli altri paesi della regione. In India vivono 120 milioni di musulmani, ed è il secondo paese nel mondo per il numero dei musulmani. Inoltre, in questi 63 anni di indipendenza dell'India, i diversi stati (paragonabili alle regioni italiane) del nord-est del paese sono diventati di maggioranza cristiana. Alla fine, diversi gruppi religiosi come i parsi, i bahai, gli ebrei e gli armeni, perseguitati in diverse parti del mondo, hanno trovato rifugio sicuro in India dai tempi lontanissimi. Penso che tutti questi fatti testimoniano, che come le altre religioni, anche i valori fondamentali dell'induismo parlano di pace e di amore.

La storia umana è piena di racconti di conflitti e perseguitazioni. Anche l'Europa e il cristianesimo non ne sono assenti, basta pensare al medioevo e all' inquisizione. Nel nome del loro Dio, i gruppi più conservatori delle diverse religioni hanno spesso scelto violenza contro gli altri. Recentemente, ho visto il film "Agorà" di Alejandro Amenàbar che racconta le violenze religiose nell'Alessandria del quarto secolo d.c..

Mahatma Gandhi cartoon by Laxman

Tuttavia, penso che spesso le religioni sono solo un pretesto per i cosiddetti "conflitti religiosi" e vi possono essere altri fattori dietro questi conflitti, come il potere, l'invidia, il risentimento e il controllo. Ciò è vero anche per i "conflitti religiosi" in India, anche se spesso i giornali preferiscono "semplificare" le notizie per non confondere i lettori, e anche perché è più facile spiegare tutto sulla base delle differenze religiose.

Le sfide che India deve affrontare sono molte. I conflitti religiosi che ogni tanto scoppiano nel paese, sono fin'ora rimasti abbastanza circoscritti e lo Stato ha sempre reagito con forza per fermarli, anche se qualche volta con un po' di ritardo. La globalizzazione e la crescita economica degli ultimi due decadi, ha messo in moto profondi cambiamenti nella società patriarcale e qualche volta, la società tradizionale ha reagito a questi cambiamenti con terribili violenze.

Se da una parte in India odierna, i gruppi conservatori delle diverse religioni sono diventati più forti, dall'altra parte, vi è una crescita esponenziale dei media nazionali con più di 100 canali televisivi che trasmettono notizie da ogni parte del paese nelle varie lingue e dialetti. Oramai da 5-6 anni, nessun conflitto passa inosservato in India, è subito ripreso da queste televisioni, per cui lo Stato è costretto ad intervenire. Questa situazione si rinforzerà ulteriormente nei prossimi decadi con l'espansione dell'internet a del giornalismo di massa.

Comunque, non solo in India ma in diverse parti del mondo, i gruppi più conservatori e fondamentalisti sono in forte espansione e non si sa, come questo si svilupperà nei prossimi anni. Questo problema riguarda un po' tutte le religioni.

Per tornare all'articolo di Messori, non capisco perché lui sceglie di puntare il dito contro l'induismo per promuovere un libro che parla del messaggio di Gandhi? Forse perché Gandhi si era espresso contro le attività di evangelizzazione dei missionari inglesi durante gli anni del colonialismo?

(Nota: le due immagini usate in questo post sono dalla rivista India Perspectives, January-March 2008)

mercoledì 16 giugno 2010

L'altro punto di vista

Non mi piacciono i militari. Se posso, cerco di evitarli, e cerco di non parlarli.

Non era sempre così. Due fratelli di mia mamma erano militari e da bambino, mi piacevano molto i loro uniformi, ero orgoglioso di vederli marciare nella parata della giornata della repubblica indiana, anche se non ero attirato dalle pistole e dai giochi di guerra.

Il più vicino alle armi che sono andato, erano gli archi e le frecce, costruiti con le bacchette delle spazzole di canne usate per pulire per terrà. La storia del re Dashrath e del giovane Shravan Kumar che portava i suoi genitori ciechi al pellegrinaggio, mi piaceva molto. Dashrath era fiero della sua capacità di arciere, si bendava gli occhi e sparava le frecce solo ascoltando il suono della sua preda. Così aveva ucciso Shravan Kumar durante la caccia ai cervi, mentre Shravan raccoglieva acqua da un laghetto. Come il re Dashrath, mi bendavo gli occhi e lanciavo le mie frecce, e mi arrabbiavo se la persona colpita dalla mia freccia rifiutava di far finta di morire.

Forse erano le discussioni in famiglia riguardo Mahatma Gandhi e le sue lezioni sulla non violenza che mi avevano influenzato. Comunque, la cosa che mi segnò era la decisione di un mio amico di infanzia di entrare come un ufficiale nelle forze aeree. Siamo cresciuti insieme, abitavamo vicino e studiavamo nella stessa classe. Eravamo molto legati e non passava giorno che non ci incontravamo per chiacchierare per delle ore. Dopo esser diventato un ufficiale, qualcosa è cambiato tra di noi. Ogni volta che tornava a casa, mi sembrava diverso. Mi sembrava che dava solo degli ordini e esigeva obbedienza, il che mi faceva andare in bestia. Non riuscivamo più a parlare con lui e litigavamo spesso. Lui diceva che ero cambiato, che ero diventato molto suscettibile. Io pensavo che lui si era montato la testa, non voleva più sentire le opinioni diverse dalle sue e pensava di essere un'ufficiale anche con gli amici. Poco alla volta ci siamo allontanati. Forse questo fatto ha creato in me, una diffidenza verso i militari.

Poi, negli ultimi decenni, sono diventato un pacifista più consapevole, mi sento contro le guerre e contro ogni tipo di violenza. Penso che niente giustifica una guerra. Quando sento che militari sono morti in Iraq o in Afghanistan, penso che sia parte del loro lavoro, mentre le notizie della morte dei civili mi colpiscono molto di più.

Capisco che questo ragionamento non spiega cosa fare per contrastare i terroristi o i fondamentalisti. Penso che in parte queste guerre hanno ulteriormente alimentato il terrorismo, ma so che anche senza le guerre, atti di violenza e terrorismo, fanno oramai parte della vita. Se io fossi una donna di Kabul che sa che torneranno i talibani, e non potrò lavorare o studiare, forse mi sentirei diversamente riguardo i soldati? Non ho una risposta per questo.

Qualche tempo fa ho conosciuto un ragazzo che fa il militare in Afghanistan. Lui si chiama Rajeev Srinivasan, è un ufficiale americano di 24 anni ed è di origine indiana. Un amico mi aveva scritto per parlare di lui e aveva raccomandato di leggere il suo blog. Ero molto diffidente e quando sono andato sul suo blog, ero sicuro che l'avrei guardato per qualche secondo ma che non poteva veramente interessarmi. Invece sono rimasto affascinato dalla storia che lui raccontava - Era stato in India da ragazzo per le ferie estive e aveva aiutato il suo nonno nei campi. Poi, in Afghanistan, il suo comandante gli ha detto una notte che vi erano due uomini che facevano qualcosa di sospettoso nei campi, forse erano terroristi  e bisognava eliminarli. Lui si è ricordato della propria esperienza con il nonno nei campi e ha spiegato al comandante, che quelli due uomini probabilmente costruivano i canali per portare acqua ai loro campi.

La sua storia mi ha incuriosito. Gli ho scritto per chiedere se per caso, il suo comandante non si convinceva della sua spiegazione e gli ordinava di "eliminare" quelle persone, cosa avrebbe fatto? Gli avrebbe uccisi anche se sapeva che non facevano niente di male?

Ogni tanto torno al suo blog per leggere le sue storie di guerra. Sento subito un disagio dentro di me, un rifiuto. Non vorrei capire e conoscere cosa si sente dentro un militare. Penso che sia sbagliato pensare così, chiudere gli esseri umani in gruppi di stereotipi e rifiutare di  riconoscere le loro diversità e la loro complessità.  E le sue storie, i suoi dilemmi della guerra, mi affascinano. Oggi leggevo un suo post riguardo il trasporto di un talibano che si era ferito mentre costruiva una bomba che si è esplosa. Mentre lui trasporta questo giovane talibano,  riflette sul fatto che è un ragazzo di 24 anni come lui, probabilmente hanno un patrimonio genetico simile, provengono entrambi dalla stessa zona geografica, e allora perché hanno fatto scelte di vita così diverse? La sua conclusione è che forse i talibani non hanno avuto buon rapporto con i propri padri e lo cercano in altri rapporti.

Alla fine quando ci penso, mi sento confuso. Non sono più sicuro delle mie categorie mentali, i buoni e i cattivi, tutto si mescola insieme!
Maschere - il disegno di Sunil Deepak

lunedì 27 luglio 2009

Le canzoni della pace

Tutto è partito da una canzone che non avevo sentita da più di 10 anni. Ero sulla bici e mi ha emozionato. Quasi, non me la ricordavo più. Poi, quando l’ho sentita, ho iniziato a pensare alle altre canzoni che parlano della pace. "Pace" nel senso più ampio della parola, canzoni contro la violenza, canzoni che parlano di fratellanza e di rispetto della natura.

Ho pensato che mi piacerebbe raccogliere una lista delle canzoni più belle sul tema della pace in diverse lingue del mondo. Per cui se conoscete una canzone, o una poesia, che parla della pace e della fratellanza, e che ha toccato il profondo del vostro cuore, non importa in quale lingua del mondo, fatemi sapere.

Per iniziare presento le cinque canzoni della pace che mi piacciono di più:

(1) La mia prima canzone preferita che parla della pace è “Imagine” di John Lennon. Potete pensare che sia una scelta scontata, ma non importa quante volte l’ho già sentita, ha le parole così semplici e allo momento così profonde, che mi emozionano ogni volta.

Imagine there's no countries,
It isn't hard to do,
Nothing to kill or die for,
And no religion too,
Imagine all the people
living life in peace...


Immagina che non ci siano le nazioni,
Non è difficile farlo,
Nulla per cui uccidere o morire,
E nessuna religione,
Immagina che tutti i popoli
Vivano la vita in pace..

(2) La seconda canzone di questa mia lista è quella che ha iniziato tutta questa riflessione - Krishna ni begane baaro (Krishna vieni presto), una canzone in 2 lingue – la maggior parte in inglese e alcune parole in Kannada, una lingua del sud dell'India. La canzone è del gruppo Colonial Cousins (Cugini coloniali), un gruppo composto da due cantanti - Hariharan, un cantante indiano e Leslie Lewis, un cantante inglese di origine indiana, e la canzone è un appello alla pace alle varie religioni del mondo.

Darkness coming around,
And every body fight with the brother
Every body wants control,
Don't hesitate to kill one-another
So come back as Jesus
Come back and save the world
Bless all the future of every boy and girl
Come back as Rama,
Forgive us for what we've done
Come back as Allah,
Come back as anyone


Il buio incombe
Persone lottano contro i fratelli
Tutti vogliono il controllo
e non esitano a uccidere uno o l'altro
Per cui torna come Gesù
Torna e salva il mondo
Benedici il futuro di ogni ragazzo e ragazza
Torna come dio Rama
Perdonaci per quello che abbiamo fatto
Torna come Allah
Torna come chi vuoi


(3) La mia terza canzone favorita è in italiano, cantata dal cantante italo-spagnolo Miguel Bose nel 1993-94, “I cieli dell’est”. L'idea di un sogno di un colore che non ha bandiere, lo trovo bellissima.

Sogna una Terra che guerre non ha

che ama la libertà

Sogna un colore che bandiere non ha
che ama la libertà sogna forte amore
E se senti gridare lontano

non avere paura perché

giuro che ci sarò io con te
sotto i cieli dell'est


(4) La quarta canzone della mia lista si chiama “Gurus of Peace”, (i guru della pace) ed è stata cantata da un cantante pakistano, Nusrat Fateh Ali Khan, e un cantante indiano, A. R. Rahman, insieme ad un coro di bambini. Le parole di questa canzone sono in 3 lingue - hindi, urdu e inglese e le trovo bellissime. Il contrasto tra il richiamo dei bambini (What are you waiting for – cosa aspettate?) insieme alla voce ruvida di Nusrat Fateh Ali, mi piace molto. Questa canzone chiede di dimenticare il passato delle guerre e di costruire un futuro di pace tra le nazioni.


Chanda suraj laakhon taarehain jab tere hi yeh saare

Kis baat par hothi hai phir thakraarein


Keenchi hai lakkeere is jameen pe par na keencho dekho
Beech mein do dilon ke yeh deewaarein
Duniya mein kahin bhi, dard se koyi bhi…
Duniya mein kahin bhi, dard se koyi bhi
Thadpe to humko yahan pe
Ehsaas uske zakhmon ka ho ke
Apna bhi dil bhar bhar aaye roye aankhein

Luna, sole, migliaia di stelle
quando sono tutte vostre
Allora cosa avete da litigare
Le linee tracciate sulle terre,
non tracciate li tra i vostri cuori
Non importa chi nel mondo ha male
Il tuo cuore dovrebbe sentire il suo dolore
Che sei consapevole delle sue ferite
Che il tuo cuore si riempie con le sue lacrime

(5) Al quinto e ultimo posto in questa lista, vorrei scegliere una canzone di Michael Jackson. Lui ha diverse canzoni che possono entrare nella categoria delle canzoni di pace. Per esempio, "The earth song" (La canzone della terra) o "Heal the world" (Guarisci il mondo). Comunque, per questa lista ho scelto Black or White (Bianco o nero) perché parla delle discriminazioni sulla base del colore della pelle e allo stesso momento, ha un bel ritmo.



They Print My Message In The Saturday Sun
I Had To Tell Them I Ain't Second To None
And I Told About Equality An It's True
Either You're Wrong Or You're Right
But, If You're Thinkin' About My Baby
It Don't Matter If You're Black Or White


Hanno pubblicato il mio messaggio sul giornale Saturday Sun
Ho dovuto dirli che non ero secondo a nessuno
e ho raccontato a loro dell'uguaglianza, ed è vero
che sei giusto o sei sbagliato.
Ma se stai pensando alla mia bambola
Non importa che sei bianco o nero.


Allora cosa pensate dalle canzoni che ho scelto? e al mio posto, cosa avreste scelto voi? Quali canzoni di pace vi piacciono di più?

giovedì 14 agosto 2008

Mio Sogno

Leggevo un articolo che parlava male dei musulmani e della loro idea di costruire la nuova moschea a Bologna, e ho pensato al mio sogno.

Sogno un grande spazio. Un enorme spazio che si chiama “Casa della Umanità” o si chiama, “Casa di Dio”. Dentro questo spazio persone di tutte le religioni possono riunirsi, pensare, meditare e pregare. Cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani, indù, buddisti, parsi, sikh, giani, ma anche atei e quelli che pensano che la religione sia qualcosa di negativo. La domenica può essere il giorno per i cristiani, sabato per gli ebrei, venerdì per i musulmani, martedì per gli indù, lunedì per i parsi, e così via. E se lo stesso giorno è sacro per due o tre religioni diverse, questi si faranno le loro preghiere uno dopo l’altro o insieme o a turno. Anche gli atei avranno il loro turno e potranno pensare a Gandhi, a Martin Luther King, a Newton, o a Sabrina Ferrilli o a Raoul Bova, se vorranno. Quelli contro le religioni, potranno discutere e criticare Rama, Krishna, Zarathustra, Gesu o Maometto o altri. Si potrà ragionare su quello che dicono i vari libri sacri e quello che dice la dichiarazione universale sui diritti dell’uomo. Potrai imparare gli inni e le preghiere di tutte le religioni che vorrai.

Sogno questo grande spazio.

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