giovedì 20 dicembre 2007

Gender gap, la distanza tra uomini e donne

Ieri sera in un quiz televisivo, la domanda era, “Quale di questi stati ha avuto per primo un capo di stato donna”? La ragazza che doveva rispondere alla domanda iniziò dicendo, “India, l’escluderei, forse può essere un paese nordico …”.

Alla fine, la risposta alla domanda era l’Islanda. Ma questo mi ha fatto pensare che come le nostre immagini mentali influiscono sulla nostra comprensione della realtà. Per quanto ne so, le donne forti che hanno guidato i loro paesi, non come figure decorative ma in sostanza, sono quasi tutte nel sud del mondo, da Golda Meir in Isreale, Indira Gandhi in India, Bhandarnaike in Sri Lanka, Benazir Bhutto in Pakistan, a Swarnaputri in Indonesia. Invece, se per caso dovessero eleggere Hilary Clinton come presidente degli Stati Uniti, penso che per domande simili, le persone risponderanno “Stati Uniti”!

Sempre ieri, ho sentito dire, “.. la democrazia più grande del mondo, gli Stati Uniti..”. Scusi ma grande in quale senso? Brogli elettorali o prepotenza? Se parliamo del numero dei cittadini che partecipano alle elezioni, la risposta doveva essere l’India.

E invece se la domanda fosse, come stiamo con la parità tra uomini e donne in Italia, quale risposta avreste dato? Il World Gender Gap Report, ossia, il rapporto sulla distanza tra le generi mi ha sorpreso. Non mi aspettavo di trovare l’Italia così in basso.

E’ vero che se devi basare tuo giudizio sulla condizione femminile in Italia su quello che vedi in televisione, non penso che Italia arriverà molto lontano. Basta pensare a tutte le veline, le cosiddette "professoresse" e altri personaggi femminili, condannate a fare qualche passo di danza e a sorridere in vestiti succinti, mentre sono gli uomini i veri conduttori dei programmi. Quando riescono a fare qualcosa di leggermente complicato, vengono elogiate con “Quante sono brave le mie professoresse!”

Ma pensavo che nella vita reale, le donne italiane non sono poi messe male. Invece il Gender Gap Report, mette Italia al 84 posto nella classifica di 128 paesi analizzati. E’ la Svezia al primo posto nella classifica, lo Sri Lanka arriva al 15 posto, Stati Uniti al 31, Bangladesh al 100, e India al 114 posto.




Come Hanno Valutato la Parità?

Il rapporto ha analizzato 4 ambiti per fare questa classifica, vediamo questi ambiti per capire dove le donne italiane non hanno raggiunto la parità con gli uomini:

Ambito economico e opportunità: per le disparità tra i salari percepiti dalle donne e dagli uomini per lo stesso tipo di lavoro, Italia è al 111 posto nel mondo. Il reddito annuale medio delle donne arriva a 18.070, mentre i maschi prendono 38.902. Donne in ruoli di commando sono 21%, e sono 45% per i lavori tecnici e altamente qualificati. Per cui in ambito economico, le disparità tra maschi e femmine sono alte.

Tuttavia, se pensiamo alle donne che lasciano il lavoro o si allontanano dal mondo lavorativo per alcuni anni, perché hanno bambini piccoli, è difficile pensare alla parità di carriera o dei salari.

Ambito educativo: In questo ambito l’Italia riceve punteggio molto buono. Per esempio, la presenza delle donne nelle scuole superiori e nelle università supera i maschi, per cui in queste due classifiche, Italia è al primo posto nel mondo.

Anche in Ambito della Salute, le disparità non sembrano molto rilevanti.

Ambito politico: Le donne in parlamento sono 17%, donne ministre sono 8% e nessuna donna ha mai occupato il ruolo di capo dello stato e del primo ministro. In queste classifiche, Italia perde molti punti.

Potete trovare molti più dettagli nel World Gender Gap report. La mia opinione personale è che rapporti come questi, sono utili per avere un quadro globale, ma effettivamente pensare che uomini e donne avranno gli stessi ruoli sociali e famigliari, senza tenere conto delle culture e aspettative delle persone, è difficile. Senza parità nei ruoli sociali e famigliari, aspettare la parità è una chimera. Forse invece di misurare parità, bisognerebbe misurare benessere e soddisfazione?

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domenica 16 dicembre 2007

Una ricetta indiana: Pollo al burro (Butter chicken)

Introduzione: Si tratta di un piatto delicato ma sostanzioso, sicuramente non adatto se volete perdere qualche chilo! E’ un piatto per le grandi occasioni.

Pollo Butter Chicken

Spezie: Tutte le spezie si trovano presso i negozi asiatici  degli alimentari. Le spezie usate in questo piatto non sono piccanti e hanno diverse qualità medicinali – per esempio, il Curcuma è un antisettico e anti infiammatorio, mentre il Cumino è un digestivo. Per conoscere meglio il mistero delle spezie vi consiglio il libro “La maga delle spezie” (pubblicato da Einaudi) della scrittrice indiana, Chitra Banerjee Divakaruni.

Ingredienti:

Una cipolla media, 2 spicchi di aglio, un quadrato di zenzero (circa 2-4 cm), 1 pezzettino di finocchio (30 gm), 1 pezzettino di carota – tutto frullato insieme in un purée

Olio di oliva: 4 cucchiai

Spezie: sale secondo i gusti, 1 cucchiaio di curcuma, ½ cucchiaio di cumino in polvere, ½ cucchiaio di polvere di coriandolo, 1 cucchiaio di tandoori masala

Carne: ½ chilo di Pollo tagliato in pezzettini (non molto grandi, meglio se senza ossa)

Altro: una scatola di passato di pomodoro (o in cubetti), una confezione piccola di panna da cucina (50 ml), un cucchiaio di burro, 1 cucchiaio di salsa ketchup

Totale tempo di preparazione: 45-60 minuti

Ricetta

(1) Versate il purée frullato in una pentola capiente – personalmente mi piace usare il wok, ma se non l’avete, potete usare una pentola normale, aggiungete l’olio.


(2) Accendete il fuoco al massimo e mescolate il purée con olio. Aggiungete tutte le spezie.


(3) Il purée diventerà giallo. Fateli rosolare per circa 2-3 minuti, affinché il purée inizia a staccarsi dalla pentola.


(4) Versate i pezzettini di pollo e mescolateli con il purèe affinché la miscela di purée e le spezie coprono bene tutti i pezzi di pollo.


(5) Continuate a girare il pollo per circa 10 minuti con il fuoco alto, affinché i pezzettini di carne assumono un colorito rosa.


(6) Aggiungete il passato o i cubetti di pomodoro e un cucchiaio di salsa di Ketchup. Mescolate il tutto per bene per circa 5 minuti sul fuoco alto. Poi, abbassate il fuoco al minimo e coprite la pentola con un coperchio. Lasciate il tutto sul fuoco lento per circa 25 minuti, ma mescolate il tutto ogni tanto. Nel frattempo, potete pulire tutte le cose che avete sporcato fin'ora e mettere la cucina in ordine!

Pollo Butter Chicken

(7) Ora aggiungete un cucchiaio di burro e tutta la panna. Mescolate il tutto sul fuoco basso per circa 5 minuti e poi ricoprite la pentola per altri 5 minuti.


(8) Spegnete il fuoco. Il butter chicken o il pollo al burro è pronto per servire.



Il giorno che avevo scattato queste foto, questo piatto era stato molto apprezzato. Se provate a farlo, fatemi sapere se vi è piaciuto! Buon divertimento in cucina. E se vi piace la cucina indiana, potete dare un occhio al mio blog delle ricette!

giovedì 29 novembre 2007

Se il Pensiero Scientifico Non Arriva?

Chiara Lalli, bioeticista, non è covinta sull’utilità dell’omeopatia e cita uno studio inglese uscito sul giornale inglese The Guardian e la rivista scientifica The British Medical Journal, “Goldacre demolisce le false credenze riguardo ai presunti benefici dell’omeopatia, enorme contenitore in cui confluiscono interessi commerciali, cattiva informazione e vera e propria ignoranza scientifica”.

Lei punta il dito contro il fanatismo omeopatico, “I sostenitori, mettendo in discussione la medicina basata sull’evidenza, spesso non adottano misure profilattiche importanti (molti fautori dell’omeopatia si oppongono al vaccino contro la rosolia per i propri figli…)”.

Condivido il pensiero di Lalli soprattutto per quanto riguarda il fanatismo di alcuni omeopati soprattutto in Europa, ma vorrei presentare alcune esperienze personali legate al tema.

Qualche Esperienza Personale

Forse l’India è il paese dove l’omeopatia, originata in Germania, ha trovato il terreno più fertile per il suo radicamento e per la sua crescita. E’ un sistema di salute riconosciuto dal governo indiano, con tanto di università e scuole di omeopatia. Allo stesso momento, in India si riconosce il valore degli omeopati autodidatti e con grande sensibilità e esperienza.

In India l’omeopatia è il sistema di cure sanitarie meno costoso in assoluto, se confrontato con altri sistemi di medicina compreso altri sistemi tradizionali quali Ayurveda, Sidha e Unani. Spesso i medici omeopati offrono consulenza e medicine gratuite e in ogni caso, acquistare i farmaci omeopatici al mercato costa meno di un decimo di quanto costano le medicine “normali” (dette anche medicine allopatiche). E’ il sistema di medicina meno influenzato da interessi commerciali.

Alla scuola di medicina dove ho studiato a Nuova Delhi, avevo un professore di farmacologia molto scettico sulla medicina omeopatica, e forse è stata la sua influenza che quando avevo cominciato a esercitare la professione di medico di base, non parlavo contro la medicina omeopatica, ma non la consigliavo agli altri.

India ha una cultura inclusiva, influenzata fortemente dalle religioni come l’induismo, il buddismo e il gianismo, dove si accettano che vi siano diverse strade per arrivare alla verità. Ciò evita esclusione degli altri, perché anche se sono diversi da te, sono ugualmente accettati. Allo stesso tempo, questo modo di ragionare ti permette di sperimentare diversi approcci apparentemente contraddittori simultaneamente. Per esempio, non ho mai incontrato un omeopata “fanatico” in India che consigliasse le persone di non vaccinarsi!

La mia opinione personale verso l’omeopatia mutò nel 1985, quando rimasi bloccato alla spalla sinistra con un forte dolore. Lavoravo come medico di base. Prima ho provato a curarmi da solo con gli anti infiammatori. Dopo due giorni andai da un amico ortopedico, il quale mi consigliò di cambiare il farmaco e mi disse che se non mi passava, si poteva provare con i cortisonici. Ma avevo già la nausea, ed i dolori gastrici e l’acidità per le medicine che prendevo.

Durante il fine settimana, andai a trovare mia zia che insegnava all’università e che aveva la pressione alta. Ogni tanto andavo da lei per controllare la sua pressione. Dopo la visita, mentre prendevamo il thé, parlai del mio dolore alla spalla con il mio zio, un ex ufficiale del dipartimento di fisco in pensione e ora un medico omeopata caritativo nel suo tempo libero. Mi fece un sacco di domande sull’ora precisa del dolore, se mi faceva male respirare girato a destra o sinistra e tante altre cose che secondo la mia conoscenza della medicina, non centravano con la diagnosi o con la cura.

Dopo tutte le domande, lui mi preparò tre piccoli pacchettini di carta di un vecchio giornale, che contenevano le medicine omeopatiche e mi disse di prendere il primo pacchettino subito, il secondo alla sera e il terzo la mattina dopo. Erano piccole palline dolci, come si usano di solito in omeopatia.

Circa 10 minuti dopo il primo pacchettino, il dolore era completamente scomparso. Ero stupefatto. Pensai che forse era una casualità, forse era un effetto psicologico, ma conservai gli altri due pacchettini, che sono rimasti nel mio portafoglio per anni. Dopo qualche anno chiesi al mio zio di prepararmi qualche altro pacchettino di quelle medicine ma lui non si ricordava la composizione di quelle medicine! Per lui bisognava approfondire ogni volta il problema e decidere la medicina adatta secondo quel approfondimento e mi disse che non esiste in omeopatia “una medicina per il mal di spalla sinistra”.

Da quella volta penso alla medicina omeopatica e alle medicine tradizionali in maniera diversa. Posso capire meglio uso delle piante e delle erbe perché tutto sommato il ragionamento scientifico dietro il loro uso è simile a quello che ho imparato alla scuola di medicina. Altri sistemi come agopuntura e omeopatia usano un sistema di spiegazioni che non sembrano logiche con il modo di ragionare “scientifico”. Non pretendo di capirli ma li rispetto.

Tante volte, per le malattie croniche, siamo costretti a prendere farmaci per anni, se non per tutta la vita. Secondo me, in queste situazioni e senza smettere di prendere le medicine abituali, provare anche con delle medicine tradizionali può essere utile, ancora di più quando le persone che li praticano, non lo fanno per lucro. In fatti, per alcuni problemucci, quando sono in India, vado da un cugino, che pratica l'omeopatia. La loro spiegazione su come funzionano le medicine omeopatiche, non ha nessun senso scientifico, ma se aiutano e non fanno male, che problema c'è?

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lunedì 6 agosto 2007

Crescere in Una Famiglia "Diversa"

Sulla questione del riconoscimento dei diritti delle persone conviventi, compreso gli omosessuali, vi è stata molta discussione sull’importanza della famiglia e se una coppia formata da due persone dello stesso sesso può essere riconosciuto come una famiglia. E’ stato detto che una coppia dello stesso sesso non può essere paragonato ad una famiglia “normale” formata da un uomo e una donna, perché è contro natura, ecc.

Love is Love, maglietta

Sul nuovo numero della rivista inglese Wellcome Science, è uscito un articolo sullo studio condotto dalla prof.ssa Susan Golombok dell’università di Cambridge sui bambini che crescono nelle famiglie non convenzionali. Prof.ssa Golombok è direttrice del centro di ricerca sulla famiglia in Inghilterra.

La ricerca più lunga riguarda bambini nelle famiglie formate da coppie lesbiche e copre un periodo di 24 anni.

Altre ricerche riguardano i bambini nelle situazioni particolari compreso i bambini concepiti nella provetta, bambini nati attraverso la fecondazione assistita (sia dove l’ovulo e lo sperma provengono da genitori naturali, che dove lo spera è donato da un donatore esterno), bambini nati da gravidanze portate avanti da mamme affitta-utero.

Come gruppo di controllo la ricerca ha coinvolto i bambini che crescono nelle famiglie eterosessuali.

Vorrei parlare soltanto della ricerca che riguarda i bambini nelle coppie lesbiche, ciò è, formate da due donne, che è la ricerca più affidabile perché copre un periodo molto lungo (24 anni) per valutare l’impatto della famiglia non convenzionale sulla crescita di un bambino. Le altre ricerche coprono un periodo molto più limitato (circa 3 anni), per cui penso che i loro risultati non sono altrettanto affidabili.

Per quanto riguarda i bambini cresciuti nelle famiglie formate da una coppia di donne, le credenze popolari includono le seguenti affermazioni: questi bambini non hanno amici, sono spesso vittime di attacchi e disprezzi da parte di altri bambini, hanno sviluppo psicologico non naturale per cui le ragazze crescono con eccessive caratteristiche maschili e i ragazzi crescono con caratteristiche femminili, bambini cresciuti in queste famiglie hanno maggiore difficoltà a stabilire rapporti normali con le persone del altro sesso, ecc.

Sulla base di queste credenze popolari, in diversi paesi del mondo una donna che vive in coppia con un’altra donna perde il diritto di tenersi i bambini, i quali sono affidati al padre o alle strutture statali dai tribunali.

La ricerca della dott. Golombok non ha trovato riscontri per nessuna di queste affermazioni. I bambini crescono e diventano adulti proprie come i bambini nelle famiglie eterosessuali, ne più ne meno. Secondo questa ricerca la qualità di come una coppia decide di fare i genitori è molto più importante, e non centra se è formata da persone lesbiche o meno.

Anzi, in questo studio hanno trovato che i bambini cresciuti in queste famiglie, quando sono diventati adulti, avevano rapporti molti migliori con i partner della propria madre, se paragonati con il rapporto tra i bambini e i loro patrigni nelle coppie eterosessuali dove le mamme avevano risposato, nel gruppo di controllo della ricerca.

Comunque, penso che nessuna ricerca o prova scientifica potrà far cambiare idee alle persone che pensavo di già sapere tutto.

lunedì 30 luglio 2007

Bollywood a Bologna

Poco dopo che sono salito in autobus ho capito che stava succedendo qualcosa di particolare. L'autobus n. 18 inizia la sua corsa vicino a casa nostra e quando sono salito,  era vuoto. Poi alla fermata successiva è salita una famiglia pakistana. Poi, alla fermata successiva, vi erano due famiglie del Bangladesh. E’ raro che le famiglie orientali, maschi, donne e bambini, tutti insieme, escono da casa alla sera dopo le 21,00.



Eravamo un po’ preoccupati che non saranno in molti ad assistere al, Veer Zara, il film di Bollywood in Piazza Maggiore. Tutte le nostre iniziative fin’ora avevano avuto discreto successo ma era diverso organizzare qualcosa in una saletta con 100 posti e organizzare una proiezione in una piazza che può contenere 10.000 persone!

In ogni caso nelle iniziative organizzate dal Comune, la partecipazione di emigrati resta molto limitata.



L’iniziativa era stata organizzata dalla Cineteca di Bologna e dal Comune di Bologna, e avevano informato la nostra associazione indiana (della quale sono il presidente). Avevamo mandato gli email a tutti i nostri contatti, chiedendoli di passare la parola e di far venire quante più persone possibili in Piazza Maggiore. Era la prima volta che Comune si organizzava qualcosa del genere a Bologna.

Sono decenni che si proiettano i film impegnativi (il cienma parallelo) dall'India, nei cinema d’essai delle città. Per esempio, i film come “Matrabhumi”, che parla del infanticidio femminile. Poche persone, sopratutto gli appassionati e gli studiosi del cinema, guardano questi film.



Negli ultimi anni, i film di registi come Mira Nair (Monsoon wedding, Destino nel nome), Gurinder Chadha (Bride and Prejudice, Bend it like Beckham) e Deepa Mehta (Fire, Water) hanno trovato un mercato in Italia, ma si tratta di film girati da persone che vivono in occidente e che cercano di mescolare la sensibilità indiana alle tradizioni cinematografiche occidentali.

Invece il cinema popolare di Bollywood, quello che produce centinaia di nuovi film ogni anno che si vedono in Asia, medio-oriente e Africa, quello che non cerca di adattarsi alla sensibilità occidentale, questo cinema è quasi sconosciuto in Italia.

Il film di ieri sera, Veer Zara, faceva parte di questa tradizione di Bollywood, cinema secondo i gusti indiani.

E’ stato un grande successo. La piazza era piena di emigrati e italiani, ma forse vi erano più emigrati. Oltre a tutte le sedie già occupate un’ora prima dell’inizio del film, centinaia di persone si erano sedute per terra da tutte le parti in piazza. Era una folla che respirava e viveva il film insieme. La scena quando Preity Zinta appare per la prima volta, si alza dal letto e si mette a cantare, ha fatto scatenare una prima ondata di fischi e applausi. Dopo questa prima espressione dell'apprezzamento, ad ogni canzone, sentivo le persone emigrate sedute intorno a me canticchiare e battere le mani.

Per una sera, gli emigrati asiatici si erano sentiti a casa loro nella piazza di Bologna. Proiettare il film era come legittimare la loro presenza in città.

Una ragazza italiana seduta vicina disse che le piaceva l’eroe, che aveva una faccia molto espressiva. "Si chiama Shah Rukh Khan", le disse un bengalese emozionato e entusiasta seduto vicino, "ha girato molto altri film, altrettanto belli!"

Forse dopo questo inizio così partecipato, avremmo altre iniziative che riconoscono il valore delle espressioni popolari a Bologna, anche se sono così diverse da forme artistiche più evolute e impegnative.

venerdì 27 luglio 2007

Economia delle Bici e il Consumismo?

Le notizie sul cambiamento climatico e l’inquinamento mi angosciano.

Ho scelto di usare la bicicletta quanto più possibile e così penso di mettere la mia coscienza a posto e posso anche sentirmi un po’ superiore a tutte le persone, le quali hanno bisogno di una grande berlina o peggio, una SUV mangia-benzina e mangia-spazio per sentirsi importanti sulle strade affollate delle città, che ormai non hanno più posti liberi dove parcheggiare. Infatti, il giornale di oggi dice che Italia è il secondo paese del mondo per il numero delle macchine per abitanti, secondo soltanto al piccolo e ricco Lussemburgo, e che abbiamo una macchina per ogni due persone.

Bici e il Consumismo

Ma ultimamente ho un dubbio: se anche la mia amata bicicletta è entrata nel meccanismo del consumismo e che ormai come individuo non posso fare niente per contrastare questo?

Prima di tutto oggi non puoi più comprare una bici semplice, ciò e senza il cambio shimano e senza tutta quella ferraglia che fa parte di questo cambio, e che è inutile sulle strade delle città.

Poi, quando ti si buca una ruota, che cosa fai? Cerchi qualcuno che te lo può aggiustare. Non è così facile come sembra. Sembra che la maggior parte delle persone che aggiustano le bici a Bologna sono vecchi e quando essi chiudono il negozio per qualche motivo, nessuno lo vuole riaprire e continuare il lavoro. Forse non c’è più interesse in questo mestiere perché non si guadagna bene?

In ogni caso, penso che tutti i sud asiatici che aprono negozi di alimentari, tutti uguali e tutti nella stessa zona in competizione con tutti gli altri, forse loro non l’hanno ancora capito che questo potrebbe essere un campo libero? Da una parte si dice non c’è lavoro, non sappiamo come contrastare questi centri commerciali che stanno ammazzando tutti i piccoli negozi e dall’altra, se hai la ruota della tua bici bucata, devi fare chilometri per trovare uno che te la può aggiustare!

E poi se trovi uno che te la può aggiustare, indovina cosa ti dirà? Dirà, costa troppa fatica aggiustare una camera d’aria, faccio prima a cambiartela. E’ vero che comprare una nuova camera d’aria non costa molto, ma così un’altra camera d’aria va ad aggiungersi al mucchio di immondizie che nessuno vuole che sia seppellito in una discarica vicina a casa sua.

Questa anno, nei primi 7 mesi dell’anno, fin adesso mi si è bucata la ruota tre volte. Forse è una cospirazione dell’assessore per la viabilità di Bologna che continua a parlare dell’inquinamento ma che riesce a fare ben poco per ridurre il numero delle macchine nella città. Forse vuole convincermi che non vale la pena di andare in giro sulla bici?

Il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, socialista, ha lanciato un nuovo servizio che permette ai cittadini di noleggiare biciclette pubbliche presso 750 stazioni in tutta la città. Il servizio si chiama Vélib (viene da “velo” ciò è bici e da “liberté”, la libertà). L’abbonamento annuale costa 30 euro! Se l’amministrazione vuole ridurre l’inquinamento seriamente, potrebbe pensare a Bolib per Bologna!

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mercoledì 25 luglio 2007

I Film Indiani in Italia?

Ogni tanto ricevo messaggi da persone che mi chiedono informazioni su dove si trovano i film di Bollywood nelle loro città. Oggi ne ho ricevuto un messaggio da una persona che gestisce un negozio di videonoleggio e vorrebbe avere dei film indiani per i suoi clienti.

Ecco la risposta che gli ho scritto:

"Solo un piccolo numero di film indiani entra legalmente in Italia per la distribuzione tramite i cinema d'essai e questi film dovrebbero essere disponibili in DVD legali. Per esempio penso che Carlotta Films (Francia) ha distribuito alcuni film indiani anche in Italia.

La maggior parte di DVD dei film indiani, potrei dire quasi tutti, disponibili in Italia sono copie pirata. E' un po' che non ho noleggiato i DVD indiani perché trovo sempre qualcuno che mi porta i DVD originali dall'India, ma penso che la prima copia pirata é fatta in Bangladesh o in Pakistan, e poi duplicata in Italia/Europa e distribuita ai negozi gestiti per la maggior parte dalle persone del Pakistan o del Bangladesh.

Infatti se conosci un negozio (di solito sono negozi di alimentari o call centre) nella tua città gestito da uno dell'India o del Bangladesh o del Pakistan, basterà chiedere a qualcuno di loro, e sapranno dirti dove puoi trovare i DVD indiani nella tua città.

Questo circuito ha un'economia molto diversa da quella degli altri DVD disponibili in Italia. Un DVD indiano "nuovo" (pirata) da comprare in Italia costa intorno a 4 Euro e il noleggio costa 1 Euro per 3 giorni.

Per procurarli, forse dovrebbe bastare che ne parli con un negozio indiano/Bangalese/pakistano della zona chiedendo loro di mandare da te l'uomo distribuitore dei film. Dato che tutto il circuito è gestito ai margini della legalità (loro pagano i diritti SIAE), non so se questi distributori si fideranno di te e poi effettivamente verranno a trovarti!

La via legale é facile, puoi ordinare i film da un distributore internazionale come Eros International e ordinare online. I film costano sempre meno che non i DVD italiani, sono legali e originali, ma raramente hanno sottotitoli italiani comprensibili."

venerdì 20 luglio 2007

Sensazione di Sfiducia

Ero uscito nel parco con il mio cane per la solita passeggiata serale. Ho visto loro, 4 uomini, seduti sulle panche vicino al ponticello, nell’ombra degli alberi. Quando mi sono avvicinato a loro ho sentito un confuso mormorio delle loro voci. Parlavano la lingua punjabi. Il loro modo di parlare era diverso da come si parla questa lingua tra gli indiani di Delhi, usavano alcune parole della lingua Urdu. E la cadenza delle loro parole era quella del Pakistan.

Uno di loro mi ha visto. Quando vedi qualcuno che può essere un immigrato dal tuo stesso paese, l’espressione degli occhi cambia. C’è una domanda silenziosa che vuole sapere se sei del loro paese?

Ci somigliamo tra di noi, indiani, pakistani e bangladeshi. Qualche volta, i segni esterni legati alla religione aiutano a capire la nostra nazionalità. Come la linea vermiglione tra i capelli o il puntino rosso sulla fronte delle donne, vuol dire che la donna è indù, molto probabilmente dall’India. Uomini vestiti con una camicia lunga fino alle ginocchia e pantaloni larghi della stessa stoffa, sono spesso dalle zone rurali del Pakistan orientale. I bengalesi e gli indiani del sud hanno spesso la pelle più scura. Il piccolo cappellino bianco aderente sulla testa, un piccolo scialle a quadrati sulle spalle o il taglio particolare della barba indicano i musulmani, sopratutto quelli del Pakistan, anche se sempre più spesso anche alcuni uomini del Bangladesh li portano. Il turbante, lunga barba e il braccialetto di acciaio sul polso destro servono per identificare i Sikh.

Ma spesso, non riesco a individuare la nazionalità soltanto dall'apparenza esterna, devo sentire come parlano per capire.

Di solito, quando vedo questa domanda silenziosa negli occhi di qualcuno, mi fermo per sorridere e scambiare le solite domanda “Di dove sei?”, anche quando so già che sono del Pakistan o del Bangladesh. Invece, questa volta guardai dall’altra parte, facendo finta di niente. Sentivo i loro sguardi sulla mia schiena, mentre mi allontanavo da loro.

Gli ultimi attacchi terroristici di Glasgow in Inghilterra mi hanno scosso. Ormai sono anni che si parla dei legami della religione musulmana con il terrorismo, anche se si cerca di separare la vasta maggioranza della comunità musulmana da piccoli gruppi radicali di terroristi. A livello razionale capisco che non si può, e non si dovrebbe, generalizzare e criminalizzare un intero gruppo di popolazione come terroristi, anche perché sarebbe la via più facile per emarginare tutta la comunità e per alimentare ulteriormente la radicalizzazione e la creazione di nuovi fanatici che si vedono sotto assedio da tutte le parti, senza vie di uscita.

Ma il coinvolgimento di giovani medici musulmani provenienti dall’India negli attacchi di Glasgow, mi hanno scosso. Un medico può diventare terrorista e uccidere persone quando ha giurato per salvaguardare la vita, mi sembra inconcepibile. Mi fanno venire brividi quelle persone che cercano di trovare scuse per queste scelte: gli inglesi sono coinvolti in Iraq, stanno uccidendo i talibani in Afghanistan, hanno insultato l’Islam conferendo il titolo di Knight a Salman Rushdie... Penso che le persone che accettano queste scuse sono malate mentali.

Mi sento schizofrenico. A livello logico, mi vergogno e mi disprezzo per questi pensieri di sfiducia verso tutti i musulmani ma dall’altra parte non riesco a controllare la mia paura. Finché i terroristi erano del Pakistan o erano arabi o palestinesi, avevo un po’ di paura di quelle persone che sembrano ortodosse e tradizionali, ma nelle facce di giovani ragazzi indiani presi in Inghilterra, vedo le facce di amici e colleghi, e questo mi fa paura.

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Aggiunta

Qualche giorno fa avevo scritto della mia paura per il coinvolgimento di alcuni medici musulmani dall’India negli attacchi terroristici in Inghilterra. Oggi i giornali raccontano che uno di questi ragazzi è stato scarcerato dopo 4 settimane in una prigione australiana. La sua colpa era soltanto quella di aver dato la sua carta SIM del suo cellulare al suo cugino 2 anni fa, quando aveva lasciato Inghilterra per trasferirsi in Australia. Suo cugino era coinvolte negli attacchi. Forse gli investigatori australiani erano così convinti della sua colpevolezza che hanno “inventato” prove per giustificare la sua carcerazione.

Una persona innocente che è stata etichettata come terrorista, soffrirà le conseguenze di questa ingiustizia per tutta la sua vita.

E’ per questo è controproducente etichettare persone sulla base delle loro religioni. Si rischia di creare ingiustizie.

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domenica 1 luglio 2007

Sangam – l’unione dei fiumi

Secondo le credenze indiane, il luogo dove si riuniscono due fiumi è considerato sacro, e viene chiamato “sangam”, il punto di unione. La città di Allahabad nel nord dell'India è considerata tra le più sacre per gli indù proprio per questo motivo, perché qui riuniscono i due fiumi più importanti dell’India, il Gange e lo Yamuna. Le credenze popolari sostengono che qui c'è il punto di incontro di un terzo fiume, il fiume nascosto che si chiama Saraswati. Il Saraswati è un fiume sotterraneo, che secondo queste credenze, esce proprio nel punto di incontro di Gange e Yamuna.

Pepé Fiore e il suo Tabla, Festa Un Po' di Gange, RE, Italia

Un Po' di Gange in Italia

E’ questa sacralità dell’unione delle acque che si vuole evocare nella festa “Un po’ di Gange” che si organizza in Italia, sulle rive del fiume Po, vicino la piccola cittadina di Guastalla (RE). Questa festa si organizza ogni anno nei mesi di giugno/luglio.

Quest anno (2007), la festa è iniziata venerdì 29 giugno e si concluderà oggi, domenica 1 luglio. Il momento centrale della festa è la cerimonia durante la quale, l’acqua del fiume Gange, portata dall’India, viene versata nel fiume Po, come un simbolo dell’unione dei due popoli e due culture.

L’area intorno alle piccole città come Guastalla e Novellara, nella provincia di Reggio Emilia, ha un’alta concentrazione di emigrati provenienti dall’India, i quali lavorano soprattutto in campo agricolo. Maggior parte di queste persone provengono dallo stato di Punjab in India e circa il 50% di loro sono di religione Sikh. Novellara ha l’unica Gurudwara (letteralmente, la porta del Guru), il tempio dei Sikh di Italia. Si è parlato più volte di buona integrazione degli emigrati indiani nella provincia di Reggio Emilia, e sono considerati tra gli emigrati modello.

Ieri sera eravamo a Guastalla per partecipare alla festa Un Po' di Gange. Sulla strada per Guastalla, ci siamo fermati brevemente al Gurudwara di Novellara.

Arrivati all’ostello di Lido Po, alla periferia di Guastalla, dove si organizza la festa Un Po' di Gange, abbiamo incontrato Mukesh e Paolo, i due organizzatori dell’iniziativa.

Mi piace molto ascoltare le preghiere cantate dei preti sikh (Granthi) anche se non le capisco del tutto (mia mamma sapeva scrivere nella lingua Gurmukhi e parlava Punjabi). Ieri eravamo fortunati perché siamo arrivati al Gurudwara giusto al momento della preghiera cantata da un gruppo di 5 Granthi.

Il Canto-Preghiera Sikh alla Guruduara di Novellara, RE, Italia

I Sikh

Anche la mia bisnonna materna era di religione Sikh. Fino a 25-30 anni fa, era comune trovare famiglie indù nello stato di Punjab in India, dove il primo figlio maschio, veniva cresciuto come un Sikh.

La religione Sikh è nata durante il periodo Mughal, con idee che mettono insieme alcune idee dell'islam con quelle dell'induismo. Il fondatore della religione era Guru Nanak, e i suoi seguaci sono chiamati Nanakpanthi. Guru Nanak è seguito da altre 9 guru, e l'ultimo di questi era Guru Teg Bahadur, il quale aveva deciso che dopo di lui, il libro sacro dei Sikh, Granth Saheb, sarà considerato come il Guru. Per questo motivo, il libro è chiamato Guru Granth Saheb.

Per lottare contro i Mughal, guru Teg Bahadur aveva creato il gruppo dei guerieri, chiamati Khalsa (i puri), persone che portano i cappelli lunghi coperti da un turbante e altri segni come una piccola spada (Kirpan) e un bracciale (kada). Tuttavia, i seguaci di tutti i guru si considerano come Sikh, ma non tutti sono Khalsa, per cui sono visti come gli indù-sikh. 

La Serata a Guastalla

La cena presso il ristorante Sri Ganesh non era niente di eccezionale, come succede spesso quando vi sono grandi feste.

Mentre aspettavamo l’inizio della festa culturale, abbiamo visto un piccolo aeroplano volare basso, toccando quasi la superficie del fiume.

La serata è iniziata con la musica di Pepe Fiore, il quale aveva vissuto in India dal 1978 al 1990. Oltre alla sua bravura come musicista per suonare il tamburo, siamo rimasti un po’ sorpresi a scoprire la sua bravura nella lingua Hindi.

Poi fu il momento della consegna dei premi e anche io ho ricevuto un premio - il premio dell’amicizia per il lavoro fatto per far conoscere il cinema di Bollywood in Italia tramite traduzione dei sottotitoli dei film in italiano. Una scuola di Guastalla che ha ricevuto un premio, ha presentato un documentario sulla comunità indiana della zona girato dagli studenti della scuola.

Poi c’era la danza Kathak di Manisha Mishra, mentre al tabla suonava il maestro Pandit Ravi Nath Mishra e cantava Manjusha Mishra. La danza Kathak per molti versi somiglia al flammenco spagnolo perché in entrambe le danze, il suono prodotto dai piedi è una parte importante della danza.

Il Premio a Sunil Deepak, Festa Un Po' di Gange, RE, Italia

Il Piccolo Aeroplano sul Po, Festa Un Po' di Gange, RE, Italia

Ormai era tardi e dovevamo tornare a Bologna. Così non abbiamo potuto vedere la danza Bhangra. Mentre camminavamo verso il parcheggio, sentivamo le note di musica della famiglia Mishra. Fu una serata molto piacevole.

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sabato 30 giugno 2007

L'Induismo

Spesso le persone mi fanno domande sull'induismo, alle quali non riesco a rispondere. O, almeno, dentro di me penso di non aver spiegato bene. Una volta avevo partecipato in un’intervista con uno studente universitario che scriveva la sua tesi sull’induismo, e ricordo questo senso di frustrazione mentre gli parlavo. Lui mi poneva domande sull'induismo e facevo fatica a fargli capire quello che volevo dire. (Nella foto, un tempio indù a Bilaspur, India)

Un tempio indù, Bilaspur, India

 

Penso che questa difficoltà è dovuta alle differenze interculturali. Le parole che usiamo per parlare delle religioni, hanno significati differenti nelle nostre culture. Quando parlo dell'induismo, uso le stesse parole, ma voglio intendere qualcos'altro. Scrivo questo post, non solo per spiegare a voi lettori, ma anche per chiarire le mie idee.

Concezione Italiana (e Occidentale) della Religione

In Italia, si parte dal Cristianesimo e questo vuol dire avere delle idee specifiche su concetti come Dio, Profeta, Libro Sacro, ecc. Cristianesimo parla anche di idoli, credenti e non-credenti, paradiso e inferno, ecc. Ognuno di queste parole ha un significato specifico.

Quando le persone mi fanno domande sull'induismo, partono da queste parole e questi significati e vorrebbero conoscere i corrispettivi di queste parole per l'induismo. Quando io rispondo a qualche loro domanda, automaticamente loro collocano le mie risposte secondo i loro significati di queste parole.

Per i Cristiani, è più facile capire l'Islam e l'Ebraismo, perché tutti loro seguono lo stesso percorso. Tutti loro si chiamano "religioni monoteiste", perché un Dio che si somiglia ad un padre che richiede il rispetto di alcune regole. Se alcuni di loro cambiano alcune regole, vengono visti come un gruppo a parte. Così i cristiani hanno i cattolici, ortodossi, evangelici, ecc.

La Concezione Indiana della Religione

La concezione indiana della religione è più caotica, le sue credenze e le sue regole, sono variabili, c'è molta più libertà in quello che uno crede o sceglie di non credere. L'induismo non è un fiume con margini ben definiti, piuttosto è un grande fiume con centinaia di corsi di acqua che continuano a separarsi, allontanarsi e ritornare per unirsi. Non c'è un modo formale per diventare indù o per smettere di essere indù.

Singoli gruppi di indù, possono avere delle regole precise su chi considerano il dio, come bisogna pregare, quale libro bisogna recitare, come e quante volta bisogna pregare, ecc. Singoli gruppi possono essere perentori e esigere questo o quello, ma alla fine potete trovare altri gruppi che si considerano altrettanto indù e che non concordano con loro. Tutto si complica ulteriormente se pensiamo che tra i vari gruppi, vi sono anche i "nastik", ciò è, i non-credenti in dio, considerati una parte importante dell'induismo.

Le difficoltà iniziano subito con la parola "religione" - la parola equivalente in sanscrito è "Dharma", ma dharma ha un significato molto più ampio. Esistono il dharma del guerriero, il dharma del commerciante e anche il dharma del capo-famiglia. Per ciò, quando fai una domanda riguardo la "religione" e l'altro ti risponde pensando al "dharma", stiamo parlando di due cose diverse. 

Un Libro sull'Induismo 

Per questo motivo, penso che induismo sia la religione più difficile da spiegare agli altri. Una spiegazione dell’induismo che ho letto recentemente e che mi è sembrato interessante è un libro “Invading the Sacred” (letteralmente, Invasione del sacro) del 2007, con tre editori, Krishnan Ramaswamy, Antonio de Nicolas e Aditi Bannerjee:

E’ una delle religioni più antiche del mondo basato sulla realizzazione e non sulla rivelazione. Induismo si è evoluto dalle esperienze collettive di suoi mistici, i yogi, gli adoratori di Dio. Ciò vuol dire che la religione ha origine nell’esperienza, nella realizzazione della consapevolezza, non ha i dogmi rivelati da qualcuno, è cresciuto dalla base che non era mai stato organizzato dall’esterno, perché non aveva bisogno di un regolamento istituzionale che ne definiva la forma o i limiti o gli significati precisi.

E’ l’unica forma di religione che considera divina la forza femminile, Shakti. In induismo, la sublimazione del mondo fisico tramite il sistema di Tantra ha uguale importanza alla via della Sadhana (meditazione) spirituale ascetico dello Yoga. Da una parte ha l’espressione del amore appassionato in Bhakti e dall’altra ha le filosofie cliniche, sottili e complesse di Advaita Vedanta.

Se volete leggere questo libro, potete scaricarlo gratuitamente in inglese in formato PDF dal seguente link - Invading the Sacred, Rupa & Co. India, 2007.

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giovedì 28 giugno 2007

Le Radici del Cuore

Ho visto “Il destino nel nome” (titolo originale, “The Namesake”), il nuovo film di Mira Nair, uscito al cinema da qualche giorno. Avevo letto il libro “The Namesake” di Jhumpa Lahiri alcuni mesi fa e mi era piaciuto molto. Spesso succede che se ti piace un libro, resti deluso dal film basato su quel libro. Ciò è vero parzialmente anche per “Il destino nel nome”.



Il libro non è molto lungo, anzi, considerando che racconta la storia di oltre 25 anni nella vita di suoi protagonisti, è un libro piuttosto breve. La storia dei due emigrati indiani in America, Ashok e Ashima, era raccontata con grandi pennellate che mi lasciavano la libertà di riempire i dettagli dalla mia fantasia, dai particolari delle persone che avevo conosciuto e delle volte, immaginare me stesso e la mia famiglia come i protagonisti del romanzo.

Se il libro affrontava la storia con grandi pennellate, il film la affronta con brevi scene un po’ staccate per far capire il passaggio degli anni. In questo senso, la vita dei protagonisti del film non è un fiume che corre, ma piuttosto, una serie di fotografie che delle volte danno il senso di episodi distaccati.



Mi piacciono molto i due attori indiani, i principali protagonisti del film, Tabu come Ashima e Irrfan come Ashok. Anche in questo film, i due sono meravigliosi. Tabu come Ashima mi sembrava diversa da come l’avevo immaginata leggendo il libro, ma lei è molto brava. Invece Irrfan incarna molto meglio, il personaggio descritto nel libro. Ovviamente questi sono giudizi molto soggettivi.

La scena del film dove Ashok racconta la storia dietro il nome Gogol al figlio, era una delle mie parti favorite del libro. Nel film, Irrfan Khan riesce a dare un’intensità a questa scena che la rende memorabile.

Il giovane attore americano di origine indiana, Kal Penn, nel ruolo di Gogol/Nikhil mi è piaciuto. Non mi ricordavo tutta la parte relativa alla sua decisione di rasarsi la testa alla morte del padre nel libro, forse non c'era nel libro, invece nel film, questa scena l’ho trovato toccante e significativa.



Verso la fine del film, durante la sua festa di addio, Ashima dice, “Anche se le sue ceneri sono state versate nel fiume Gange in India, ogni volta che penserò a Ashok, lo penserò qui in America, tra di voi, in questa casa.”

Le Radici di un Cuore Emigrato

E pensavo alle radici del cuore che crescono dove tu non li aspettavi, e che stanno in fondo all’esperienza dell’emigrato. Quando lasci il tuo paese d’origine, ti manca tutto – la famiglia, gli amici, la lingua, la musica… e nel tuo nuovo paese, ogni volta che pensi alla parola “casa” pensi anche alla casa lasciata nella tua terra lontana. Poi, non ti accorgi quando l’immagine della tua nuova casa nel tuo nuovo paese sostituisce la vecchia “casa” nel tuo cuore. Le radici che soffrivano dello sradicamento, si trovano accanto delle nuove radici che affondano nella tua nuova terrà.

Prima o poi, ti accorgi che parte di te vive in una terra di mezzo, qualcosa che sta soltanto nel tuo immaginario. Per le persone che avevi lasciato in dietro, diventi uno straniero. Ogni volta che torni nel “tuo” paese, lo trovi sempre meno "tuo". Allo stesso momento, non ti senti mai del tutto accettato dalla tua nuova terrà. Ogni volta che incontri qualcuno di nuovo, questo quasi sempre inizia con la domanda, "Di dove sei?" Sei condannato ad essere un forestiero per sempre. La tua terrà ideale sta dentro il tuo cuore, un po’ di qua, nella tua nuova terra, un po’ di là, nella terra che hai lasciato in dietro.

I Figli

Ashima dice ai figli, “Non riesco a credere che siete usciti dal mio grembo, siete così diversi che ne anche vi capisco.” Come emigrato impari che i tuoi figli cresciuti nella tua nuova terra hanno le loro radici qui, che anche loro delle volte non ti capiscono, un po’ come tutti gli altri che ti vedono come “extra” dalla loro comunità. Nonostante questo, penso che i figli dentro i loro cuori portano anche un pezzo di tuoi radici, consapevoli o inconsapevoli.

Mi è piaciuto molto il film”, mi aveva detto mio figlio, “quel signore, il papà di Gogol, mi faceva pensare al nonno.” Restai senza parole per un secondo. Lui aveva visto suo nonno, mio papà, nella figura di Ashok? Era forse vero che Ashok aveva qualcosa di mio papà, ho pensato. Suo modo di vestire, l’intensità negli occhi, la sua idealità di fondo. Ma come ha fatto mio figlio a riconoscere tutto questo, ha visto soltanto qualche vecchia foto del nonno?

Mio papà era morto più di 30 anni fa, quando avevo più o meno l’età di mio figlio oggi. Delle volte non riesco a ricordare la sua faccia, la sua voce. Delle volte devo guardare la sua foto per sentirlo vicino.

Come ha fatto mio figlio riconoscerlo nel protagonista del film? Mi sono sentito commosso. Forse un po’ delle mie radici, quelle che mi sembrano scomparse, li porta dentro il suo cuore anche lui?

Quelle radici che non sanguinano più, non fanno più male, sono soltanto come un arto fantasma, qualcosa che ti avevano amputato ma che ogni tanto sogni di avere ancora.

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