domenica 18 settembre 2005

Londra, dopo le bombe

Sono tornato a Londra dopo 2 mesi. Ultima volta ero rientrato da Londra, un giorno prima delle bombe nella metropolitana. Per questo motivo, sono curioso di vedere se le bombe hanno cambiato la città.
Millenium Bridge, Londra
 
Ho fatto questa stessa domanda gli altri, quelli che vivono a Londra. "Si è cambiato", quasi tutti concordano.
 
"Nella parte centrale di Londra, alla sera era piena di gente, si andava ai pub per bere una birra. Oggi sembra che è sparito tutto. Dopo le 19 di sera, le strade sono già deserte. I pub sono vuoti", un'amica mi ha raccontato.
 
"Il metro ha meno persone, sopratutto il giovedì", mi ha detto un'altra, "vi sono più bici e moto sulle strade."

Ma francamente non ho visto questo cambiamento. Alla sera, mentre tornavo in hotel dopo la cena sotto una leggera pioggerellina classicamente inglese, mi sembrava che le strade erano piene di persone. I pub non erano straripanti di persone, ma non sembravano vuoti. Il metro, nell'ora di punta, era così pieno che facevo fatica a respirare.

Il treno "Stansted express", che collega Londra all'aeroporto di Stansted, era tappezzato di pubblicità come sempre, "Al centro di Londra in 45 minuti", ma in realtà sembra un treno locale di Bombay, si fermava ogni tanto e il viaggio aveva richiesto un'ora e 10 minuti, ciò è, 25 minuti di ritardo. Alle belle stazioni di metro, si sentivano gli annunci che tale linea è chiusa, o quell'altra è in ritardo, e sembrava che mancava il personale.

Dopo la riunione di lavoro, sono andato al Millennium bridge, il primo ponte di Londra sul fiume Tamigi, costruito dopo circa 100 anni. Al Tate gallery c'era la mostra di Frida Kahlo.

Quella stessa mattina, avevano celebrato i 100 anni del funerale del generale Nelson con una processione di barche sul Tamigi. Il giorno dopo, doveva iniziare il Festival di Tamigi, con mercatini e spettacoli lungo il fiume.


Una coppia Punk, Londra

Poi, stamattina, sono stato svegliato dalle voci che venivano da una delle case dietro al mio hotel. Una coppia litigava.

La donna sembrava un vecchio disco di 33 giri, incantato, continuava a ripetere, "Fuori di qui, fuori, fuori...".

Dopo un po' le cose si sono scaldate.

"Fottiti puttana" .... "Figlio di puttana, non ti voglio, vai via da qui subito...".

Ero un po' preoccupato che se uno di loro ammazzava l'altro, forse mi avrebbero chiamato a testimoniare! Mentre, ho preparato la mia valigia e lasciato la camera, quella coppia continuava a litigare.

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giovedì 15 settembre 2005

Il mondo come era

Ho ricevuto un email, dove si parlava del mondo e del nostro modo di vivere di una volta. Penso che questo si collega in qualche modo con il discorso che facevo qualche giorno fa sul mondo senza batteri che si vorrebbe promuovere oggi.


 L'email diceva:

"Se eri un bambino negli anni 50, 60 e 70 Come hai fatto a sopravvivere ?

1.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag...
2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale e ancora ne serbiamo il ricordo.
3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.
4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte.
5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.
6.- Bevevamo l'acqua dal tubo del giardino, invece che dalla bottiglia dell'acqua minerale...

7.- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Si, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!
8.- Uscivamo a giocare con l'unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari... cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile .
9.- La scuola durava fino alla mezza , poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con il papà ).
10.- Ci tagliavamo , ci rompevamo un osso , perdevamo un dente , e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
11.- Mangiavamo biscotti , pane olio e sale , pane e burro , bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di soprappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare...
12.- Condividevamo una bibita in quattro... bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.
13.- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi , televisione via cavo con 99 canali , videoregistratori , dolby surround , cellulari personali , computer , chatroom su Internet ... Avevamo invece tanti AMICI.
14.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell'amico , suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.
15.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis , si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma .
16.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psico-pedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né di iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.
17.- Avevamo libertà , fallimenti , successi , responsabilità ... e imparavamo a gestirli.
La grande domanda allora è questa:
Come abbiamo fatto a sopravvivere ? ed a crescere e diventare grandi ?"

Non concordo con tutti i punti questo email. Per esempio, viaggiare con le cinture di sicurezza o non avere le vernici con il piombo, siano fattori positivi. Anche se bevevamo le bibite zuccherate, le quantità erano molto inferiori e non ci riempivamo di merende, merendine, piene di zuccheri e conservanti. Potevamo girare liberamente per le strade a giocare, perché il mondo aveva meno macchine. E i nostri genitori erano più rilassati perché c'erano più fratelli e sorelle, il mondo non girava intorno ad un figlio unico. Comunque, qualcosa di vero c'è in questo messaggio. 

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martedì 13 settembre 2005

Un mondo senza batteri?

Da bambino in India, io imparavo che ciascuno di noi è in questo mondo con un suo preciso scopo. In questo "ciascuno" rientravano tutti gli esseri, non soltanto noi, gli esseri umani.

Non devi uccidere gli altri esseri è il principio cardine dei Gianisti, una delle religioni indiane, dove i santoni gianisti vanno in giro con una stoffa per coprire il bocca perché ne anche per sbaglio vorrebbero commettere il peccato di uccidere gli insetti piccoli o gli esserini invisibili.

Tempio Gianista, Halebidu, Karnataka, India

In India, è anche facile vedere le persone indù che spargono un po' di farina per terra, per dare da mangiare alle formiche, perché pensano che se Dio ha creato loro, ci deve essere un posto anche per loro negli equilibri del mondo.

Gli indù hanno milioni di dei, ciascuno di loro ha un suo animale e una sua pianta, per questo tutti gli animali e le piante del mondo sono sacre, e non dovrebbero essere tagliate o danneggiate o uccise inutilmente.

Tutte queste credenze sono viste come superstizioni o "vecchi modi di pensare" da persone che credono nella logica e razionalità. Invece, penso che questi sono modi rispettosi della natura e della diversità del pianeta.

Forse è per questo che quando vedo la pubblicità per tutti i prodotti per rendere la tua casa sterile, mi sento un po' disturbato. Che bisogno c'è per i detersivi antisettici o prodotti per pulire i pavimenti con proprietà antibatteriche? Perché non bastano più saponi normali per lavare le mani e bisogna avere lozioni potenti che rendono sterile tutto?

Mi chiedo se i batteri non sono necessari per l'equilibrio della natura? Se i bambini non verranno in contatto con i batteri normali della terra, come svilupperanno i loro sistemi immunitari? O smetteremo di portarli fuori dalla casa, nei parchi o sulle giostre perché il mondo è pieno di batteri e li faremmo crescere dentro globi sterili?

I batteri che vivono sulla nostra pelle, nelle nostre bocche e intestini, si sono sviluppati insieme a noi nei milioni di anni di evoluzione, vogliamo eliminarli senza capire quale ruolo svolgono per la nostra salute?

So che l'uso scorretto degli antibiotici è responsabile per lo sviluppo dei ceppi resistenti dei batteri. Vi sono dei batteri che ormai non rispondono a nessun antibiotico. In questa situazione, vendere questi detersivi che ammazzano i batteri non sono rischiosi per lo sviluppo di nuovi ceppi ultra-resistenti di batteri, questa volta davvero nocivi per la salute umana? O forse ormai, tutto viene deciso da venditori e interessi commerciali, i quali hanno più diritti di altri noi, esseri consumatori?

Credo che dobbiamo ribellare, rifiutando di comprare tutti questi prodotti che vantano di sostanze antibatteriche sempre più potenti.

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lunedì 12 settembre 2005

11 settembre 2001: 4 anni fa

Ieri mattina, quando mi sono svegliato, il mio primo pensiero era che dovevo mandare un messaggio di auguri alla mia amica Mariangela per il suo compleanno. Poi ho pensato alla marcia Perugia-Assisi, alla quale avrei voluto andare ma ho dovuto rinunciare perché dovevo partecipare ad una riunione di lavoro. In pomeriggio, quando sono tornato a casa dopo la riunione, casualmente ho accesso la TV è ho trovato il film sull'11 settembre 2001, fatto di tanti piccoli film girati da diversi registi provenienti da tante parti del mondo. Soltanto allora mi sono ricordato che ieri era anche l'11 settembre. Come avevo fatto a dimenticare che era l'11 settembre?

Panorama di NY visto dalle Torri Gemelle, 1996
Le emozioni di quel 11 settembre sono ancora vive dentro di me. Il film rappresentava alcuni aspetti di quelle emozioni.

Il film parlava del marine americano, del kamikaze palestinese, delle persone che si lanciavano giù dalle torre gemelle, delle grida dei passeggeri sentite dalle loro famiglie attraverso i cellulari prima dell'impatto degli aerei, delle ragazze serbe che ricordavano le proprie stragi, dell'esule cileno che ricordava la cinica politica degli Stati Uniti che disfa i governi degli altri paesi se li giudica favorevoli alle proprie politiche, dell'etichetta del terrorista attaccato sulla fronte delle famiglie musulmane di New York, e così via. Tutte queste immagini evocate dal film, erano già più o meno conosciute. Invece mi è piaciuto il film sull'insegnante del villaggio che cercava di spiegare la tragedia ai piccoli bambini vicino una fabbrica dei mattoni, dove la ciminiera serviva come la metafora delle Torri Gemelle. Mi è piaciuto il film sulla ragazza sordomuta, arrabbiata con il suo ragazzo, perché lui voleva un miracolo. E mi è piaciuto il sogno dei ragazzi di Burkina Faso, di catturare l'Osama Bin Laden.

Anche le mie memorie di quell'11 settembre, sembrano un episodio di quel film. Quella mattina dovevo partire per il Libano, per una riunione dell'OMS, invece il mio volo Austrian da Bologna era stato annullato ed ero finito a Milano. Nelle ore passate all'aeroporto Malpensa di Milano, nell'attesa del mio volo per Libano, avevo visto gli immagini americane sugli schermi delle TV e le persone che chiudevano i loro negozi nell'aeroporto per paura. Anche il mio volo per Libano era stato cancellato. In tarda notte ero tornato a Bologna, con l'incubo di quelle immagini scioccanti nella mia testa.

Quella mattina mia madre viaggiava per Washington DC dalla mia sorella. Qualche ora prima del arrivo del suo arrivo, i terroristi avevano fatto cadere un aereo su Pentagono, così avevano chiuso l'aeroporto di Washington e lei era finita in Canada, in un campo gestito dalla Croce Rossa. Per giorni non avevamo le sue notizie. Erano giorni di angoscia.

E penso alle foto del 1996 nel nostro album delle vacanze in Stati Uniti. E penso ad una coppia che si era sposata nell'atrio delle Torre Gemelli o forse erano arrivati in quel atrio, dopo il matrimonio per farsi fotografare.

E penso a quel viaggio del 2002 al "gound zero", e le magliette e i cartelloni sbiaditi dal sole, esposti intorno al cratere, dove una volta stavano le torri gemelle.

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sabato 10 settembre 2005

John Grisham e le Piste Ciclabili

Sono riuscito ad avere un permesso dal lavoro per andare a sentire lo scrittore americano, John Grisham. L'aula grande di Santa Lucia con tutto il suo splendore era piena. C'era anche il sindaco Sergio Cofferati, il quale ha consegnato una targa della città allo scrittore.

Sergio Cofferati e John Grisham, Bologna

Grisham ha parlato della sua prima visita a Bologna nel luglio 2004, quando lui cercava una piccola città italiana dove poteva nascondersi l'eroe del suo nuovo libro ed si era  commosso davanti al muro della sala Borsa tappezzato dalle foto dei ragazzi morti per la resistenza negli anni della seconda guerra mondiale.

La domanda che gli avrei voluto fare relativa all'opinione dei critici riguardo le sue capacità letterarie, gli ha fatta qualcun altro, in maniera indiretta. Era l'unico momento che Grisham ha perso la calma, "I critici possono andare in inferno. Cosa ne sanno della scrittura popolare? Prima mi criticavano che tutti i miei libri hanno la stessa formula, ora criticano che non seguo la formula..."

Mi ha colpito che lui ha caratterizzato i propri lavori di scrittura come "scrittura popolare" - penso che questo voleva dire che aveva interiorizzato le definizioni dei critici che decidono cosa è la scrittura popolare e cosa è la letteratura.

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In tanto si era messo a piovere con i lampi e tuoni e quando sono uscito fuori dall'aula, pioveva forte. Ho camminato fino alla via Saragozza e pensavo che continuano a parlare del peggioramento dell'ambiente e il bisogno di usare i mezzi pubblici o le biciclette, ma secondo me, oggi a Bologna ci sono meno biciclette di 15 anni fa. Perché non costruiscono più le nuove piste ciclabili e perché aumentano, invece di diminuire, le macchine?

Anche quando costruiscono le nuove strade, non c'è nessuna attenzione a creare nuove piste ciclabili. E' vero che molti parchi hanno le piste ciclabili ma per non usare la macchina, anche le altre strade devono avere le piste, altrimenti le macchine che sfrecciano così veloci e tutte le nuove giratorie che stanno sostituendo i semafori, rendono la vita dei ciclisti impossibile.

E poi pensavo che quanti marciapiedi ci sono in giro nel centro di Bologna, senza le piccole rampe per salire o scendere con le sedie a rotelle! Posso soltanto immaginare come devono sentirsi le persone sulle sedie a rotelle, in mezzo a tutti questi figli di Schumacher nelle macchine, che non esitano a esprimere la propria impazienza se devono rallentare per una bicicletta o una sedia a rotelle.

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giovedì 8 settembre 2005

John Grisham: Scrittura o letteratura?

Domani ci sarà lo scrittore americano, John Grisham, all'università di Bologna. Riceverà un premio dal sindaco Cofferati perché il suo nuovo libro è ambientato a Bologna. Per scriverlo, Grisham ha vissuto a Bologna per un po' di tempo. Si spera che questo suo libro, porterà più turisti a Bologna. Non so se per i suoi propri meriti, il sindaco avrebbe scelto Grisham per un premio!

John Grisham a Bologna

Grisham è stato criticato perché scrive pulp fiction, libri spazzatura, libri per passare il tempo ma non letteratura seria. Anche se ha venduto milioni di libri e forse guadagnato milioni di dollari, è rimasto un po' male da questa critica. Alla fine, ha deciso di cambiare stile e di scrivere "letteratura".

Mi sembra che questi suoi libri più "seri", non hanno avuto altrettanto successo, di quelli precedenti. Ma forse quando hai già tanti soldi, non ti interessa più vendere altri libri, vuoi l'apprezzamento della critica!

Personalmente, all'inizio, avevo letto alcuni dei suoi libri con molto piacere ma da qualche anno, li trovo noiosi - prendo i suoi nuovi libri dalla biblioteca ma poi, li restituisco senza finire di leggerli. Speriamo per il sindaco di Bologna che il suo nuovo romanzo ambientato a Bologna, sarà un libro popolare e avrà più successo.

A questo proposito, mi chiedo chi o cosa è che fa diventare un libro "letteratura"? Il modo di scrivere o il linguaggio o il tema o il trattamento del tema? Forse una delle regole per decidere è se la gente riesce a capire quello che hai scritto. Se la risposta è si, allora non è letteratura.

Un altro criterio potrebbe essere, se lo scrittore è vivo o morto? Scrittori morti hanno maggiori possibilità di essere considerati meglio di quelli vivi. La stragrande maggioranza di scrittori nelle lingue indiane fanno fatica a sopravvivere soltanto con le entrate dovute ai loro libri. Spesso devono cercare un altro lavoro per mantenere le famiglie. Penso che per molti di loro, e ancora di più per le loro famiglie, diventare scrittori spazzatura ricchi e famosi sarà considerato meglio di essere scrittori seri ma poveri? Cosa ne pensate?

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Alla fine ho ricevuto un primo commento per questo blog. Ormai era sicuro che tranne per la mia amica Mariangela (e me), nessuno lo leggerà. Grazie anonimo commentatore per esserti fermato alla mia porta e per aver lasciato un segno del tuo passaggio!

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domenica 4 settembre 2005

India e Italia

India e Italia hanno molto in comune, secondo una giornalista indiana. Tutti gli esseri umani hanno qualcosa in comune, ma non mi sembra che India e Italia hanno in comqune, più di quanto abbiano in comune India e Francia o Italia e Vietnam!

Taj Mahal, India

Seema Sirohi, una giornalista di una delle riviste indiane in inglese più lette nel paese, Outlook, ha scritto:

"Si dice che nessun paese occidentale somiglia all'India come l'Italia. Entrambe hanno civilizzazioni antiche con il senso del tempo che si misura non in centenari ma in millenni, dove l'amore per la bellezza può essere un'opera squisita come La Pietà o un monumento all'amore, come il Taj Mahal; dove la famiglia viene prima di tutto, seguito subito dalla religione. Santi protettori sono numerosi in Italia, e ogni cittadina vuole la benedizione del proprio santo patrone, molto simile ai dei e le dee prese così seriamente in India. Vi sono rivalità intense tra le città perché hanno santi patroni diversi. Poi vi è la lingua, piena di passione e le parole piene di espressione, la sua cadenza ti obbliga ad ascoltarla con attenzione anche quando non la capisci. Un po' come ascoltare all'urdu di Luknow o il bengalese di alta società."

Non so quanti italiani concorderanno con quest'analisi delle somiglianze tra l'India e l'Italia!




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