“In Nome di Allah” (nome originale “Khuda Ke Liye”), è il nuovo e coraggioso film del regista pakistano Shoaib Mansoor. Nella pubblicità del film, il suo nome è stato tradotto in “In Nome di Dio”, invece ho preferito tradurlo come “In Nome di Allah”, perché il film è l’analisi della situazione dei musulmani moderati assediati dal fondamentalismo islamico da una parte e dall’altra, circondati da pregiudizi occidentali contro i musulmani dopo i fatti dell’11 settembre 2001. E’ un film onesto che affronta la questione in una maniera diretta.
Trama: Mansoor (Shan) e Sarmad (Fawad Khan) sono due fratelli musicisti che vivono con i genitori a Lahore in Pakistan. La loro è una famiglia benestante e liberale, che vuole vivere in maniera libera dai dettami dell’islam conservatore. I due fratelli sono appassionati della musica pop moderna.
Lo zio paterno di Mansoor e Sarmad vive a Londra. Lui convive con una donna inglese e ha una figlia Mary/Maryam (Iman Ali) da un precedente matrimonio con una donna inglese. Mary/Maryam è cresciuta con i valori più cristiani che musulmani ed è innamorata di un ragazzo inglese, Dave (Alex Naz), ma suo padre vuole che lei si comporti da una ragazza musulmana.
Tramite Sher Shah (Hameed Sheikh), un vecchio collaboratore afgano della famiglia, Sarmad viene in contatto con un prete musulmano, Maulana Tahir (Rasheed Naz). Secondo Maulana Tahir, suonare musica, vivere senza seguire le regole Coraniche, ecc. sono tutti peccati gravi e contro la legge islamica. Poco alla volta Sarmad comincia a cambiare, non vuole suonare musica, vuole che la madre porti il velo, si fa crescere la barba e inizia a frequentare la moschea.
Mansoor resta scioccato dal cambiamento che vede nel suo fratello ma non riesce a cambiarlo. Alla fine, i due fratelli so allontanano.
A Londra, il padre di Mary/Maryam non vuole che sua figlia si sposi con un cristiano ma finge di essere d’accordo e propone alla figlia di andare in Pakistan per una vacanza prima del matrimonio.
A Lahore, lui chiede a Mansoor di sposare forzatamente con Maryam, per salvarla dal "peccato mortale di sposare un non musulmano". Mansoor rifiuta lo zio. Il Papà di Mansoor chiede al fratello di non tentare di forzare il matrimonio della propria figlia, dice che anche tu avevi sposato una donna cristiana. Ma il papà di Maryam insiste, secondo lui l’uomo musulmano può sposare un infedele ma non una donna, e alla fine riesce a convincere Sarmad e Sher Shah, i quali portano Maryam in un villaggio isolato dell’Afghanistan, dove Maryam è costretta a sposare Sarmad, anche se dichiara di non voler sposare il suo cugino.
Il padre di Maryam parte lasciando la figlia con Sarmad nella casa di Sher Shah, dove vivono anche la madre a sposa di Sher Shah. Maryam cerca la fuga ma viene catturata. Sarmad ha dei dubbi continuamente se quello che lui fa nel nome di islam è giusto e tra Maulana Tahir e Sher Shah viene rassicurato. Così Sher Shah lo convince di violentare la moglie, “perché altrimenti cercherà sempre di sfuggire e non potremmo mai essere tranquilli”.
Mansoor e la famiglia non sanno dove si trovi Sarmad e non sanno né anche che ha avuto il matrimonio forzato con Maryam. Mansoor riceve una borsa di studio per l’America per studiare la musica e lascia il Pakistan. In America lui conosce Jenny (Austin Marie Sayse), una musicista e due si innamorano, ma Mansoor cerca di resistere perché ha molti dubbi se è il rapporto con una donna non musulmana funzionerà. Alla fine Mansoor parla con i suoi genitori i quali lo consigliano di seguire il suo cuore e non pensare alla differenza delle religioni.
Vi sono gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e in quel clima, Mansoor e Jenny si sposano. Poco dopo Mansoor viene prelevato dalla polizia americana e portato in prigione, c’è sospetto che lui sia un terrorista.
Maryam in Afghanistan resta incinta e fa finta di essere una donna sottomessa ma continua a tramare un modo per scappare, e alla fine riesce a mandare una lettera a Dave in Inghelterra. Dave insieme alla madre di Maryam, mobilità l’ambasciata inglese e la madre di Maryam parte per il Pakistan.
Mansoor è rinchiuso in prigione in America e viene torturato. Il fatto che suo fratello Sarmad sia un fondamentalista in Afghanistan, è una delle prove contro di lui.
Il padre di Sarmad quando conosce quello che hanno fatto suo fratello e padre di Maryam insieme al figlio Sarmad, parte subito per Afghanistan. Nessuno nel villaggio può fermarlo perché essendo padre dello sposo, può portare con se la nuora. Anche Sarmad decide di tornare in Pakistan insieme al padre e a Maryam. Essendo cittadina inglese, nessuno può fermare Maryam da lasciare il Pakistan, ma è in cinta e Maulana Tahiri chiede al tribunale che le sia vietato lasciare il paese in quanto il futuro bimbo appartiene al padre.
Al tribunale la testimonianza di un altro prete islamico, Maulana Wali (Naseeruddin Shah) è importante. Lui spiega che secondo il Corano, il matrimonio forzato non è valido e in ogni caso, Maryam non è musulmana per cui non si possono applicare le leggi musulmane per lei. Lui spiega anche che i divieti fondamentalisti contro la musica sono sbagliati in quanto uno dei santi musulmani Dawood era in musicista. Maryam è libera di tornare a Londra e Sarmad chiede scusa a Maryam e al padre per essersi lasciato influenzare da fondamentalisti.
Mansoor quando viene rilasciato dalla polizia americana per mancanza di prove, è un uomo distrutto, non riesce a stare in piedi e ha avuto danni cerebrali. Lui chiede di tornare in Pakistan. Sarmad pentito, suona la musica per il suo fratello, sperando che un giorno tornerà ad essere come era prima.
Commenti: E’ il secondo film pakistano che ho visto. Qualche anno fa avevo visto anche Khamosh Pani (Acque silenziose) che mi era piaciuto molto. In generale, il Lollywood (cinema di Lahore) è vista come una copia pallida del cinema di Bollywood ma ogni tanto vi sono registi indipendenti coraggiosi che riescono a sorprendere.
Non penso che sia facile per un regista Pakistano di parlare contro il fondamentalismo islamico. Dall’altra parte, il film ragiona anche sugli eccessi americani e occidentali, ed i rischi quando non si rispettano i diritti civili e umani delle persone, e per lottare contro il terrorismo, si sovvertono le leggi e la giustizia.
Il fatto che il film cerchi di mostrare Mansoor e i suoi genitori come bravi musulmani (persone che non bevono alcolici, che pregano, ecc.) anche se amano la musica e portano vestiti occidentali, mi ha colpito molto. Anche le discussioni conclusive al tribunale, dove tutto viene dibattuto in termini di lecito e illecito secondo il Corano, mi ha fatto pensare un po’.
Personalmente penso che nessun libro sacro può e deve dettare come dobbiamo viverci, se ciò è contro i diritti umani e la dignità delle persone secondo le concezioni sociali odierne. Dover ragionare tutto in termini di quello che dice o non dice il Corano mi sembra eccessivo. Ma questa è più una critica verso come si lascia che la religione determini tutto e non un problema del film. Si possono usare le stesse critiche anche verso altre religioni quando chiedono che le decisioni siano prese sulla base di quello che dice la Bibbia o il Bhagvad Gita o Il Torah.
Comunque il film cerca di mostrare che l’islam è una religione ragionevole e che i musulmani moderati si trovano in difficoltà più complesse. Nonostante qualche limite, il film fa riflettere e ci aiuta a capire i dilemmi per il mondo musulmano. Gli attori sono tutti bravi, il film è stato fotografato molto abilmente e la musica è bella.