lunedì 3 gennaio 2011

Strumentalizzare Gandhi?

E' naturale che quando una persona diventa un personaggio pubblico, tutti possono commentare e interpretare i suoi gesti e le sue scelte. Quando un personaggio diventa un'icona, ciò è il simbolo di un'idea, spesso nelle comunicazioni perde la sua complessità umana e viene capito e conosciuto dalla maggior parte delle persone in forma semplificata, non più come un essere umano ma come qualcosa di astratto, strumentale all'idea che rappresenta.

Mahatma Gandhi in a prayer meeting

In questo senso oggi per molte persone, Mahatma Gandhi non è più un persona ma è piuttosto, un icona e forse per questo motivo, Vittorio Messori nel suo articolo "La leggenda dell'uomo che aveva una grande anima", uscito sul Sette, il settimanale di Corriere della Sera lo scorso 23 dicembre 2010, ha scritto, ".. ma su Gandhi molti ignorano molto, seguendo miti orecchiati"?

L'articolo di Messori è stato scritto per presentare il libro "Teoria e Pratica della Nonviolenza" che sarà distribuito con il quotidiano nei prossimi giorni. Ho letto questo articolo con un senso di disagio, perché penso che questo articolo si parla di Gandhi in termini un po' strani.

Secondo Messori, i vari concetti della filosofia di Gandhi, come pacifismo, non violenza e resistenza passiva, sono concetti evangelici presi dalla Bibbia. E' vero che in diverse occasioni, Gandhi aveva parlato degli insegnamenti della Bibbia, ma penso che i concetti di pacifismo e resistenza passiva, così importanti per Gandhi, avevano anche molte altre radici.

Per esempio, penso che l'ispirazione fondamentale per il concetto di non violenza enunciato da Gandhi, era l'ambiente famigliare che l'aveva circondato da quando era un bambino, un'ambiente fortemente influenzato dai concetti Gianisti di Ahimsa di Mahavira (dalla religione Gianismo, basato sui principi della non violenza verso tutti gli esseri viventi). Inoltre, in diverse occasioni Gandhi aveva parlato degli insegnamenti di Bhagvadgita, un testo sacro degli indù.

Comunque, non penso che sia un problema se Messori vuole fermarsi sull'influenza della Bibbia sul pensiero di Gandhi, ma mi è parsa strana la giustificazione che lui usa per questo, ".. pacifico di certo non era e non è l'induismo da cui Gandhi veniva. I cristiani e i musulmani (nelle zone in cui questi ultimi erano in minoranza) furono e sono perseguitati spesso in modo sanguinoso."

I conflitti religiosi che si scoppiano ogni tanto in India, sono ben noti. Come tutti i gruppi religiosi, anche tra gli indù, i gruppi più conservatori e fondamentalisti non mancano, e molti di loro credono nella violenza. Ma da questi episodi, per arrivare alla conclusione che l'induismo è una religione non pacifica, ci vuole una certa superficialità e anche, una non-conoscenza dell'induismo.

Nonostante i tanti conflitti religiosi, India è sempre stata e continua ad essere un paese tollerante e aperto, anche se gli indù sono più dell'84% della popolazione. Nei 63 anni trascorsi dalla sua indipendenza nel 1947, tutte le minoranze religiose indiane sono cresciute numericamente, a dispetto di tutti gli altri paesi della regione. In India vivono 120 milioni di musulmani, ed è il secondo paese nel mondo per il numero dei musulmani. Inoltre, in questi 63 anni di indipendenza dell'India, i diversi stati (paragonabili alle regioni italiane) del nord-est del paese sono diventati di maggioranza cristiana. Alla fine, diversi gruppi religiosi come i parsi, i bahai, gli ebrei e gli armeni, perseguitati in diverse parti del mondo, hanno trovato rifugio sicuro in India dai tempi lontanissimi. Penso che tutti questi fatti testimoniano, che come le altre religioni, anche i valori fondamentali dell'induismo parlano di pace e di amore.

La storia umana è piena di racconti di conflitti e perseguitazioni. Anche l'Europa e il cristianesimo non ne sono assenti, basta pensare al medioevo e all' inquisizione. Nel nome del loro Dio, i gruppi più conservatori delle diverse religioni hanno spesso scelto violenza contro gli altri. Recentemente, ho visto il film "Agorà" di Alejandro Amenàbar che racconta le violenze religiose nell'Alessandria del quarto secolo d.c..

Mahatma Gandhi cartoon by Laxman

Tuttavia, penso che spesso le religioni sono solo un pretesto per i cosiddetti "conflitti religiosi" e vi possono essere altri fattori dietro questi conflitti, come il potere, l'invidia, il risentimento e il controllo. Ciò è vero anche per i "conflitti religiosi" in India, anche se spesso i giornali preferiscono "semplificare" le notizie per non confondere i lettori, e anche perché è più facile spiegare tutto sulla base delle differenze religiose.

Le sfide che India deve affrontare sono molte. I conflitti religiosi che ogni tanto scoppiano nel paese, sono fin'ora rimasti abbastanza circoscritti e lo Stato ha sempre reagito con forza per fermarli, anche se qualche volta con un po' di ritardo. La globalizzazione e la crescita economica degli ultimi due decadi, ha messo in moto profondi cambiamenti nella società patriarcale e qualche volta, la società tradizionale ha reagito a questi cambiamenti con terribili violenze.

Se da una parte in India odierna, i gruppi conservatori delle diverse religioni sono diventati più forti, dall'altra parte, vi è una crescita esponenziale dei media nazionali con più di 100 canali televisivi che trasmettono notizie da ogni parte del paese nelle varie lingue e dialetti. Oramai da 5-6 anni, nessun conflitto passa inosservato in India, è subito ripreso da queste televisioni, per cui lo Stato è costretto ad intervenire. Questa situazione si rinforzerà ulteriormente nei prossimi decadi con l'espansione dell'internet a del giornalismo di massa.

Comunque, non solo in India ma in diverse parti del mondo, i gruppi più conservatori e fondamentalisti sono in forte espansione e non si sa, come questo si svilupperà nei prossimi anni. Questo problema riguarda un po' tutte le religioni.

Per tornare all'articolo di Messori, non capisco perché lui sceglie di puntare il dito contro l'induismo per promuovere un libro che parla del messaggio di Gandhi? Forse perché Gandhi si era espresso contro le attività di evangelizzazione dei missionari inglesi durante gli anni del colonialismo?

(Nota: le due immagini usate in questo post sono dalla rivista India Perspectives, January-March 2008)

sabato 18 dicembre 2010

Mussolini e Tagore

Le sorprese non finiscono mai. Chi avrebbe pensato che Benito ammirava Ravindranath, o ancora più improbabile, una volta Ravindranath aveva elogiato il Duce?

Invece era successo, nel 1926. La storia è apparsa sulla rivista indiana Outlook con una foto del poeta indiano premio nobel per la letteratura, scattata dal Duce e regalata al poeta.

Una volta per andare in Inghilterra, non c'erano gli aerei, o forse c'erano ma molto più costosi, e si viaggiava sopratutto con le navi che arrivavano fino al porto di Brindisi. Così la maggior parte dei personaggi indiani, attraversavano l'Italia e la Francia per andare al Regno Unito. Anche Mahatma Gandhi aveva attraversato Italia nel dicembre 1931 e anche lui aveva incontrato Benito Mussolini.

La foto di Tagore scattata da Mussolini è custodita in un museo dimenticato di Kerala nel sud dell'India, nel villaggio di G. Ramachandra, un discepolo di Gandhi e Tagore. Nella foto (da Outlook) qui sotto, si vede quella foto e Sr Mythili, l'attuale curatrice del museo.

Sr Mythili and Tagore picture

Potete leggere la storia completa sulla rivista indiana Outlook.

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venerdì 17 dicembre 2010

Natale e le altre religioni

Ieri c'era una notizia in La Repubblica, che parlava della scelta di una scuola italiana di non organizzare la consueta festa di natale per "rispetto verso i bambini delle altre religioni" presenti nella classe:
All’asilo ci sono tanti figli di genitori non cristiani e per questo le maestre decidono di non fare la tradizionale festa di Natale aperta alle famiglie. Ai bambini, per di più, non saranno insegnate canzoni su Gesù e Betlemme, ma solo quelle che parlano di renne e di Babbo Natale. La decisione del collegio dei docenti della scuola materna comunale di via Forze Armate 59 però non piace a tutti. A quei genitori che si lamentano, sostenendo che «la festa di Natale non fa male a nessuno», la direzione risponde con una lettera: la tradizionale “canzoncina per le mamme” non si farà, «data la presenza di un’alta percentuale di bambini appartenenti ad altre culture e religioni — si legge — e di stranieri appena ammessi alla frequenza, che non parlano neppure italiano».
Non è la prima volta che si sentono questo tipo di discussioni. L'anno scorso, anche a Londra parlavano di non avere i tradizionali addobbi e luci di natale per "non urtare" la sensibilità delle persone di altre religioni.

So che alcune persone di altre religioni approvano di queste scelte perché per loro non è accettabile che i loro figli imparano cose relative al cattolicesimo. Personalmente ho molti dubbi su questo tipo di ragionamenti. Penso che conoscere un'altra religione, o meglio ancora, conoscere altre religioni, non è soltanto bello, ma è fondamentale per le società multiculturali e multireligiose. Per i bambini festeggiare le feste religiose insieme è il modo più bello per rispettare e valorizzare le nostre diversità.

Secondo me, per rispettare i bambini delle altre religioni e culture presenti nelle classi, è importante celebrare non soltanto natale, ma anche le feste degli altri. L'Idd dei musulmani, Gurupurab dei sikh, Deewali e Holi degli indù, sono opportunità per i bambini di conoscere le altre religioni attraverso la gioia delle feste. Le società multiculturali e multireligiose, hanno bisogno di conoscenze reciproche e non di "ignoranze rispettose" che creano i ghetti.

La soluzione non è di non avere gli addobbi e le luci di natale sulle strade. La soluzione è permettere che le diverse comunità religiose presenti nelle nostre città, hanno la possibilità di praticare le proprie religioni e di festeggiare le proprie ricorrenze religiose, in maniera rispettosa dei valori civili dei paesi dove hanno scelto di vivere, senza suscitare paure e reazioni.

Avere una festa in più, non fa male a nessuno. Fanno male i muri e le diffidenze che stanno nascosti nei cuori.

mercoledì 8 dicembre 2010

I fiumi del cinema indiano a Firenze

Finalmente dopo tanti anni ieri sono riuscito a andare al festival del cinema di Firenze. Il festival River to River organizzato sotto la guida di Selvaggia Velo è il più importante appuntamento annuale con il cinema indiano in Italia che offre la possibilità di vedere il meglio del cinema d'arte indiana e di incontrare i suoi protagonisti. Per esempio, quest anno si ha la possibilità di vedere i lavori più importanti di tre registi bengalesi, Satyajit Ray, Aparna Sen e Onir. Sen e Onir sono presenti al festival con i loro ultimi film, insieme al Rahul Bose, il protagonista comune di questi film.

Inoltre, il festival offre la possibilità di vedere alcune delle novità del mondo di Bollywood in versione integrale (con le canzoni e la musica) e con i sottotitoli in italiano. I film più importanti in programma quest anno comprendono Ishqiya di Vishal Bhardwaj, Love Aaj Kal di Imtiaz Ali (con Saif Ali Khan), Rajneeti di Prakash Jha e Peeple Live di Anusha Rizwi.

Oramai il festival sta per concludere, ma se volete siete ancora in tempo per vedere qualche film importante. Il programma completo lo potete trovare sul sito di River to River Festival. Ho perso la prima parte del festival e mi dispiace molto sopratutto per aver perso la prima europea di Iti Mrinalini del regista e attrice, Aparna Sen e un film in lingua marathi, Maati Maay di Chitra Palekar, della quale avevo sentito parlare molto. Comunque, sono contento che alla fine ho potuto vedere almeno alcuni film.

Ieri, martedì 7 dicembre, ho parlato con il regista Onir. E' stata una conversazione molto interessante perché abbiamo parlato di un tema che mi sta al cuore - il tema dell'emigrazione. Stasera Onir presenterà il suo nuovo film I Am (Io sono) che dovrebbe uscire nelle sale in febbraio 2011. Ho contribuito anch'io a questo film, in quanto ho tradotto parte dei sottotitoli in italiano. Comunque non voglio anticipare altro, nei prossimi giorni scriverò di questa discussione. Oggi, 8 dicembre, spero di parlare anche con Rahul Bose e Aparna Sen.

Invece oggi voglio scrivere brevemente di film visti ieri.

Minimo Maharaja di Franco La Cecla è un lavoro in corso, ciò è un film non ancora completo, che presenta un piccolo ex-re di un piccola città di periferia in Gujarat. Lo spezzone presentato al festival parla sopratutto di una serata di canti organizzata dall'ex-re sulla storia e le imprese dei suoi antenati. Le spiegazioni di La Cecla, dopo il film sulla lingua Pingala usata per scrivere le storie famigliari dei reali locali, erano molto interessanti. Tra i collaboratori, il film riporta anche il nome del amico Dennys.

Mumbai. La cour des Peintres di Louise de Champfleury e Dominique Dindinaud, era sulla preparazione manuale di una grande tela per pubblicizzare il nuovo film di Karan Johar (Il mio nome è Khan), una arte in via di estinzione. Oramai i manifesti creati digitalmente hanno sostituito completamente le tele dipinte manualmente. Mentre proiettavano questo film, parlavo con Onir, per cui ne ho visto solo una parte.

Grant St. Shaving Co. (15') di Payal Sethi era primo dei 4 cortometraggi del pomeriggio sul tema dell'identità. Il film racconta un pomeriggio di ricordi a New York, quando un anziano venuto dall'India per visitare la sua figlia, va in giro per la città insieme a un fattorino e continua a vedere nei negozi e nelle strade, il fantasma di sua giovane moglie scomparsa molti anni fa. E' un film tenero e dolce.

Grant St. Shaving Co. by Payal Sethi

Looking For You (12') di Cary Rajinder Sawhney è ambientato in Inghilterra e in qualche modo somiglia al Grant St. Shavig Co. Con un linguaggio sintetico ma efficace, il film racconta la storia sul tema della reincarnazione.

Un uomo di mezz'età d'origine indiana accompagna la moglie per le compere e viene avvicinato da una giovane donna che lo avvicina, lo guarda in modo strano e dice, "Avevi detto che saresti venuto a prendermi. Sono salita sul treno e mi hanno ucciso." L'uomo ha uno strano flash, una visione di se stesso vestito in una kurta bianco insieme alla giovane donna. Intanto torna la moglie e lui torna a casa un po' perturbato. Poi vede la giovane donna ancora fuori dalla sua casa, che gli ripete le stesse cose. Questa volta la sua visione è dei giorni della separazione tra l'India e Pakistan, e dei disordini violenti tra gli indù e musulmani. La giovane donna si aggrappa a lui e piange disperata, è ancora intrappolata nei ricordi. Arriva una funzionaria che porta via la ragazza piangente, forse è scappata dai servizi psichiatrici.

Looking for you by Cary Rajinder Sawhney

The Road Home (21') di Rahul Gandotra riguarda Pico, un ragazzo di origine indiana, nato e cresciuto in Inghilterra che si trova in una scuola collegio molto prestigiosa nelle montagne in India. Il ragazzo con la pelle bruna, non si sente indiano, non sa parlare hindi, non vuole mangiare cibo speziato e parla con l'accento inglese, ma il colore delle sua pelle significa che per tutti lui è un ragazzo indiano. Il film è la storia di un giorno, quando Pico decide di scappare dalla scuola per tornare in Inghilterra e le persone che lui incontra.

La giovane ragazza francese dice a Pico, "Puoi essere entrambi, inglese e indiano", mentre il tassista dice, "E' il tuo destino, sei scuro di pelle e devi accettarlo che per tutti tu sarai indiano".

Road to Home by Rahul Gandotra

E' il film che mi ha stimolato di più per riflettere sull'identità. Il film parla di questioni che la maggior parte dei giovani emigrati, nati in Italia o venuti qui da piccoli, sperimentano sulla propria pelle. Anche se loro si sentono molto italiani, anche perché è l'unica patria che hanno mai conosciuto, comunque la prima domanda che le persone si fanno a loro è spesso, "Di quale paese sei?". In qualche modo, penso che la questione riguarda anche tutti i bambini di pelle scura o con la fisionomia non europea adottati in Italia.

Il quarto e ultimo cortometraggio di ieri era Kharboozey (19') di Rizwan Siddiqui. C'è un proverbio indiano che riguarda le kharboozey (meloni) - dice che si cambiano il colore come i camaleonti secondo a chi li vicino. Il film riguarda l'identità mussulmana in India, dove per paura di essere oggetti di violenze, due uomini mussulmani quando passano da una zona abitata da indù, fanno finta di essere indù. I due uomini che condividono un passaggio in un risciò, non si fidano uno del altro e del uomo che guida il risciò, e per non destare sospetti raccontano storie razziste contro i mussulmani.

Rizwan Siddiqui and Selvaggio Velo in Florenze, River to River Festival

Penso che il film sarebbe stato più interessante e efficace se finiva al momento quando i due uomini si incontrano inaspettatamente presso la casa di un famigliare. Invece il film continua con le immagini in bianco e nero delle persone mussulmane mescolate con immagini di esplosioni e morti, e poi alcune spiegazioni finali che i due l'avevano fatto per salvaguardarsi perché oramai il nome dell'islam è visto come sinonimo di bombe e terrorismo.

Ho parlato con Rizwan. Lui è di Lucknow e ha lavorato presso un'agenzia di pubblicità a Nuova Delhi. Lui continua a vivere e lavorare tra queste città. Kharboozey è suo primo film, realizzato con mezzi molto limitati a Lucknow, ed ha già guadagnato apprezzamento presso un festival del cinema in India. "Non ho piani per il futuro, preferisco non fare i piani. Voglio vivere quello che sarà. Sono una persona molto sicura e non mi piace pianificare", Rizwan ha detto, sottolineando il suo rapporto con la sua città natale, "mi piace andare in giro sulla mia moto con mai moglie e due figli, mi piace che dove vivo tutti conoscono il mio nome, il mio fruttivendolo conosce i nomi dei miei figli, questo rapporto con le persone con i luoghi è la cosa più importante per me."

Dei 4 cortometraggi visti ieri, i primi due parlavano di identità nel senso personale o privato, mentre gli altri due parlavano di identità sociale. Per quanto riguarda il linguaggio cinematografico, penso che i primi tre film erano molto più sofisticati, mentre il film di Rizwan era un po' più "raw". In modo diverso ho apprezzato tutti i film, ma mi ha stimolato di più il film di Rahul Gandotra, "The Road Home".

sabato 9 ottobre 2010

Bagno di Durga

"Come possiamo portare la dea Durga a fare il fare il bagno?" è la domanda che mi ha posto Binil.

Binil è il presidente dell'associazione dei bengalesi indù di Bologna (Sanatan Sanskritik Parishad) che riunisce persone provenienti dall'India e dal Bangladesh. Hanno circa 60 famiglie di iscritti con più di 300-350 persone in tutto.

Durga Puja Bologna 2007
Lui non sa lavorare con il computer e non parla italiano molto bene, per cui da quando è nata la loro associazione, ho avuto il compito di preparare i loro documenti, aiutarli a presentare le varie domande legate alla loro associazione. Così ogni anno Binil mi cerca per preparare il programma della loro festa annuale, "Durga Puja" che si tiene presso il Centro Zonarelli di Bologna.

Durga Puja ovvero, la preghiera alla dea Durga è la festa più importante nel calendario degli indù bengalesi e dura 10 giorni. La stessa festa è celebrata in altri parti dell'India con altri nomi - Dusshera nel nord e Navratri nel nord ovest. A Bologna, non è possibile organizzare la festa per 10 giorni per cui viene accorciata a 5-6 giorni. Quest anno (2010), la festa si terrà presso Centro Zonarelli dal 12 al 17 ottobre ed è aperta a tutte le persone di tutte le religioni.

Da bambino amavo andare alle feste bengalesi perché offrivano la possibilità di vedere gratuitamente i film bengalesi, che mi piacevano molto con attori-leggende come Uttam Kumar e Suchitra Sen. La loro musica, più tranquilla e spirituale, ispirata ai lavori dei poeti come Ravindra Nath Tagore e Kazi Nazrul Islam, mi faceva addormentare. Inoltre, ero affascinato dalle loro danze, dove si dovevano girare i piatti di terracotta colmi di carboni ardenti in manovre acrobatiche senza far cadere niente e senza ustionare se stessi e gli spettatori.

In India, spesso dopo le feste come Durga Puja, Dusshera e Ganapati puja, i dei devono tornare alle loro dimore celesti per cui quando finisce la festa di Durga Puja, anche la dea dovrebbe andare al fiume a "fare il bagno", ciò è, a disperdersi nell'acqua e diventare tutt'uno con la natura. Ogni anno bisogna avere una nuova statua di terracotta della dea per la festa.

Per i bengalesi di Bologna, "fare il bagno" alla dea ogni anno non è possibile perché la statua, fatta pervenire dall'India, costa troppo. Dopo circa 5 anni di raccolta fondi, alla fine avevano raccolto abbastanza fondi per far pervenire una nuova statua dall'India, così la vecchia statua della dea può andare a fare il bagno, ma nessuno di loro sa come si può fare. E nell'attesa, la vecchia statua sta nella casa di Binil.

L'ultimo giorno della festa, il 17 ottobre, lui vorrebbe organizzare una processione per portare la dea ad un corso d'acqua - il fiume Reno o il canale Navile, e immergere la statua nell'acqua.

"Cosa devo fare?" mi ha chiesto.

Non so se il Comunque accetterà che le persone lasciano una statua nelle acque del fiume o del canale, anche perché la statua è fatta in India e non sappiamo quali materiali hanno usato per costruirla e a colorarla. Rimandare la statua in India per essere immersa nell'acqua costerebbe troppo per loro.

Avete qualche suggerimento per Binil? Cosa può fare? A chi può chiedere? Qualcuno ha sentito di un problema simile per altri gruppi di immigrati?

giovedì 30 settembre 2010

Colori del teatro - tra sessualità e identità

Quale rapporto esiste tra l'attore come persona e il suo personaggio teatrale?

E' questa la domanda che pone il film Natrang (regista Ravi Jadhav, lingua Marathi, India, 2010) e tramite il mondo del teatro esplora diversi mondi che si ruotano intorno al tema dell'identità e sessualità - il mondo interiore dell'attore chiamato a svolgere un ruolo di un omosessuale effeminato, e il mondo dei pregiudizi che da una parte li ammira nel teatro e dall'altra, li disprezza nella società.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Bombay (Mumbai), la capitale dello stato di Maharashtra è anche l'epicentro del mondo di Bollywood. Allo stesso momento, è anche la base del cinema regionale in lingua marathi, un mondo molto vivace dove spesso si fanno film fuori dai canoni popolari e populisti di Bollywood. Anche Natrang rientra in questa categoria dei film che rompono gli schemi di Bollywood.

Trama: Gunawant Kagalkar (Atul Kulkarni), chiamato Guna da tutti, è un uomo povero senza terra, uno che fa piccoli lavori per i ricchi contadini, ma è anche un appassionato di body-building, segue un regime di ginnastica per sviluppare i muscoli. E' sposato con Darki (Vibhavri Deshpande) e ha due figli.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Guna è anche appassionato delle danze del teatro tradizionale "Tamasha" del Maharashtra rurale. Suo padre e sua moglie gli chiedono di non sprecare i pochi soldi che lui guadagna sulle donne che danzano negli spettacoli di Tamasha, ma Guna non ascolta a nessuno e ogni volta che c'è un nuovo gruppo del teatro Tamasha, va a vederli.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Il contadino per il quale lavora Guna compra una macchina elettrica e così Guna ha meno possibilità di lavorare. Anche altri amici di Guna (Mangesh Satpute, Saddheshwar Zadbuke, Kishor Choughule, Rajesh Bhosale, Mahadev Salukhe, Prashant Tapasvi, Sunil Dev e Ganesh Revadekar), tutti manovali senza terra, sono nelle stesse condizioni. Uno di loro suggerisce di creare un proprio gruppo di teatro per guadagnare un po' di soldi. Guna è entusiasta dell'idea. Lui ha sempre sognato di fare il teatro e fare la parte di un re valoroso. Inoltre, Guna vuole provare a scrivere le sceneggiature. Tutti i compagni amano la prima sceneggiatura che lui scrive per il gruppo.

Il gruppo è pronto per mettere in scena il loro primo spettacolo, ma l'amico Pandoba (KIshore Kadam), nominato il manager del gruppo, fa presente che hanno bisogno di una ragazza danzatrice perché non si può avere lo spettacolo di Tamasha senza le danze Lavni di una ragazza, e anche perché senza le danze, nessun uomo verrà a guardare il loro spettacolo.

Pandoba va alla ricerca di una ragazza per il gruppo e alla fine trova la giovane e bella Nayan (Sonali Kulkarni) accompagnata da sua madre (Priya Berde). Nayan è disponibile a far parte del gruppo ma ha una condizione - il gruppo deve avere anche un Nach (un omosessuale effeminato), perché questi personaggi sono molto apprezzati dal pubblico.

Nessuno del gruppo ha il coraggio di fare la parte del Nach e alla fine, Guna è costretto a accettare questa parte. Per questo ruolo, deve tagliarsi i baffi, perdere peso e deve imparare i gesti femminili. Lui osserva le donne e segue le lezioni di danze e di portamento da Nayan. Tutti i compagni sono sorpresi dalla sua bravura e dalla sua capacità di immedesimare nel personaggio di omosessuale effeminato.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Così poco alla volta Guna cambia aspetto, sembra un'altra persona, non soltanto quando è sul palcoscenico e fa la parte del Nach, ma anche come persona - non ha più i baffi, è molto più magro. Ma oltre l'apparenza fisica, sembra una persona diversa.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

In casa sua, sua moglie Darki, suo suocero e altri parenti si vergognano di lui. Altri nel villaggio fanno le battute crudeli, anche per insinuare che i figli non sono suoi. Darki gli chiede di rinnunciare al personaggio effeminato.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Guna non vuole ascoltare nessuno, si sente felice come attore e come scrittore, e parte con il gruppo per un tour nei villaggi.

Mentre Guna è in giro, suo padre muore e sua moglie Darki, insieme ai figli ritorna alla casa del proprio padre. Guna è ignaro di tutto, ha mandato soldi e vestiti per la famiglia e pensa che ora potranno vivere meglio. E' molto apprezzato dal pubblico come Nach e i loro spettacoli sono sempre pieni di spettatori. Guna si sente attratto da Nayan, l'eroina e danzatrice del gruppo.

Suo malgrado, Guna si trova mischiato in un gioco di potere tra due politici. Per vendicarsi, uno dei politici fa rapire Guna e lo fa stuprare dagli suoi uomini.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Guna, sconfitto e depresso torna a casa ma sua moglie e suo figlio non vogliono vivere con lui. Il gruppo decide di abbandonare il sogno del teatro. Invece Guna sa di aver perso tutto e non vuole rinunciare a fare l'attore. Così lui decide di andare in città insieme a Nayan per cercare lavoro come attore.

Commenti: Come si può intuire dal trama, il film tocca la questione della costruzione dell'identità sessuale. Che cosa significa essere un uomo o una donna, quale è il ruolo dei "diversi" nella società patriarcale, quali sono i pregiudizi e le discriminazioni nelle società tradizionali, sono le domande che il film pone.

All'inizio del film, il personaggio di Guna è una personaggio macho, orgoglioso della propria mascolinità. E' povero, non riesce a guadagnare abbastanza per comprare i libri di scuola per la figlia, ma nessuno mette in dubbio il suo ruolo sociale come uomo. E' rispettato e perfino invidiato dagli altri.

Quando decide di interpretare il ruolo del Nach, Guna dice alla moglie, "Ti coprirò d'oro e di vestiti, i figli avranno tutto, sarai una regina", ma ha già cambiato aspetto, ha un aspetto esteriore femminile e per cui, il suo ruolo sociale come uomo si è indebolito. Qualche collega del teatro, cerca di toccarlo di notte "per divertirci", ma Guna reagisce male, e ribadisce che lui non è un vero Nach, è solo un attore che interpreta il ruolo del Nach.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Più volte nel film si torna sull'incongruità tra aspetto esteriore di una persona contro quello che si sente di essere. Quello che appare e sembra contro quello che vuole essere. Come succede spesso alle donne che osano a sfidare le regole degli uomini potenti nelle società patriarcali, anche per Guna la punizione è lo stupro per sottolineare che lui è come le donne, di poco valore.

Cambiano anche i suoi rapporti con le donne. Lui va a letto con Nayan e la chiede di sposarla ma lei gli risponde che non c'è futuro per una donna con un Nach - "I nach sono richiesti al teatro solo finché sono giovani, ma nessuno li vuole quando si invecchiano; possono andare bene in letto ma non sono accettabili come mariti."

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Guna vuole interpretare altri ruoli nel teatro e cerca di uscire dalla prigione del personaggio di Nach, ma gli spettatori non gli permettono di sperimentare, "Uno identificato come un omosessuale effeminato non può avere altri ruoli" è il loro giudizio.

Guna perde il suo ruolo sociale quando si mostra un bravo attore nel ruolo di un omosessuale effeminato, e a quel punto non è importante che lui è un uomo sposato con la famiglia. In seguito perde la moglie e i figli. Quando lui chiede al suo figlio di venire con lui, il figlio sputa per terrà e va via senza rispondere.

Ma il confine tra il mondo di finzione e la realtà non ha le frontiere molto nette. Guna lo scopre quando dietro le sollecitazioni del suo manager, accetta di comportarsi da Nach per vincere un contratto di lavoro da un politico.

Natrang - film indiano di Ravi Jadhav sull'identità e sessualità

Dall'altra parte molte persone che sono attratte dal suo fascino come Nach e cercano di portarlo a letto, in pubblico assumano la maschera dei "giustamente indignati da questi pervertiti" per vendicarsi di lui per aver rifiutato le loro avance.

Ma le identità di maschio e femmina sono così chiare, ben definite e rigide per natura o sono così per rispettare le regole della società? Guna risponde a questa domanda verso la fine del film quando ammette, "Ogni essere ha dentro di sé la parte maschile e la parte femminile, ma non siamo liberi di esprimerli."

Penso che "Natrang" (letteralmente "i colori del treatro") è un film complesso che merita di essere visto più volte per cogliere le diverse questioni che pone e per le riflessioni che provoca sul tema dell'identità sessuale.

Tutti gli attori del film sono bravi, ma è sopratutto Atul Kulkarni nel ruolo di Guna che presenta un'interpretazione impeccabile. Si dice che lui aveva messo su 16 chili per la prima parte del film, dove si presentava come uomo muscoloso e macho, mentre per la seconda parte, per interpretare il personaggio di Nach, aveva perso quasi venti chili. La differenza tra i due personaggi è così grande che sembra di vedere due persone completamente diverse.

Il mondo del cinema regionale in India, è meno sottoposta alle pressioni commerciali per cui può permettersi di sperimentare con dei temi particolari, di scarso interesse per le masse che amano i film masala di Bollywood. Natrang è un ottimo esempio di questo cinema che merita di essere conosciuto ampiamente tra le persone che amano il cinema serio e provocatorio.

lunedì 27 settembre 2010

Vite alla matrioska

Perché certi libri ci piacciono molto e gli altri no?

Preferisco leggere i libri che mi introducono alle esperienze nuove, non sperimentate prima. Allo stesso momento, preferisco i libri che hanno qualcosa di familiare, qualcosa con cui posso identificarmi.

Quando mi piace un libro, spesso vado a cercarne altri simili, ma più delle volte gli altri libri non danno lo stesso piacere.

Per esempio, mi piacciono le storie alla matrioska, dove la storia di una vita racchiude dentro di sé un altra, e quella ti porta ad un'altra ancora e così via. Spesso queste storie sono legate alla ricostruzione ossessiva di un passato.

Le storie alla matrioska ambientate sullo sfondo di shoah sono tra le mie favorite. Forse avevo 13 o 14 anni, quando avevo letto il mio primo libro di questo tipo e ne ero immediatamente catturato. La drammaticità degli eventi, le tragedie di tante vite, le lotte per la sopravvivenza nei ghetti e nei campi di concentramento, erano tutti elementi che mi colpivano con molta forza e quando leggevo una di queste storie, per settimane continuavo a sentire i loro echi nella mia testa.

C'è stato un periodo quando ero convinto che avevo vissuto in un campo di concentramento in un'altra vita. Sognavo di essere chiuso dentro un treno merci con tante altre persone. All'epoca, leggevo le storie dei giovani israeliani che lavoravano dentro i kibbutz e sognavo di andare un giorno in Israele per vivere dentro un kibbutz.

Negli ultimi 15-20 anni, quando ho iniziato a capire quello che succede in Palestina, la mia ammirazione per Israele si è disperso poco alla volta. Comunque ancora oggi continuo a cercare e leggere i libri che parlano di Shoah.

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Quando ho letto l'introduzione sulla copertina del nuovo libro di Gad Lerner, "Scintille - una storia di anime vagabonde", non ho resistito.

Come me, anche Gad è nato nel 1954 e come me, anche lui ha una famiglia mista dal punto di vista religioso - lui ebreo e la moglie cattolica. Inoltre, come me anche la sua famiglia ha lasciato pezzi di sé nei vari paesi dove ha vissuto. Potevo capire il suo desiderio di riscoprire i luoghi del passato:
... è nato in me l'impulso di visitare i loro luoghi. Non so perché, ma ero sicuro di riconoscerli. Frugando nel mosaico di felicità perdute, rintracciabili nei loro accenni, volevo capire cosa ci fosse d'inenarrabile nella vicenda che li ha schiacciati entrambi. Ho deciso di far da me, essendo la trasmissione naturale del racconto ostruita da grumi d'imbarazzo e avversione.
Invece nonostante tutte le promesse, non ho amato "Scintille". E' un libro interessante, da leggere senza annoiarsi ma non ha evocato la passione dentro di me. Ho avuto la sensazione che Gad non voleva lasciarsi coinvolgere emotivamente mentre lo scriveva. Tornare nei luoghi del proprio passato, nel tentativo di ricostruire le storie di parenti morti o scomparsi tanti anni fa, può essere qualcosa che ti tocca profondamente e ti cambia per sempre. Ciò è vero ancora di più se le storie del passato si sono consumate sullo sfondo di un evento drammatico come shoah. Invece nelle parole di Gad sentivo più il distacco del giornalista che le emozioni di un nipotino alla ricerca della storia di suoi nonni.

Anche lui ammette questo distacco, questa volontà di non lasciarsi coinvolgere troppo, quasi all'inizio del libro:
Cerco l'oggi, non l'eri. Scoprire cosa ne è delle dimore da cui siamo passati forse mi aiuterà a scacciare la tentazione del resoconto vendicativo, di un'altra saga familiare ebraica nei giorni infernali del Novecento, infarcita come di prammatica di controversie patrimoniali, aborti, richieste inoltrate ai figli o al fratello tramite avvocato. Un ginepraio in cui non fingerò di immedesimarmi: frugare nel passato per cucirlo su misura intorno ai nostri malesseri è un detestabile.
Inoltre, mi aspettavo un punto di vista diverso riguardo la religione ebraica da questo libro. Mi aspettavo lo sguardo di uno che conosce la propria religione, ma che ha vissuto un rapporto d'amore vicino ad un'altra religione e per cui, può guardare la propria religione con gli occhi nuovi. Invece, questo sguardo, diverso e nuovo, manca dal libro. Non voglio dire che il libro non sia interessante, ma l'ho trovato un po' limitato.

Per esempio, mi è piaciuta questa descrizione delle diverse anime degli esseri secondo la tradizione ebraica:
Ecco perché Bibbia necessita di nomi diversi per definire i diversi gradi dell'anima, come ricorda lo Zohar, cioè, il "Libro dello splendore", testo principe della Qabbalah: si tratta di nefes (spirito vitale), ruach (spirito) e neshamà (anima interiore o super-anima).
Mentre lo leggevo, pensavo alle descrizione dei diversi strati delle coscienze secondo la tradizione Ayurvedica in India.

Per cui leggere Scintille era come leggere un rapportage dei viaggi, scritto bene, in stile asciutto e giornalistico, ma non ho sentito le voci d'anima dei suoi personaggi.
Quando la storia infrange il mosaico della convivenza, ne prorompe il rancore delle vittime impossibilitate a rifarsi una vita. E intorno a loro si propaga l'ignoranza ben oltre i protagonisti del dramma, trasformando il senso comune; scavando un fossato incolmabile di estraneità negli stessi luoghi che per secoli, prima della separazione forzata, erano fioriti solo grazie alla loro capacità di far tesoro della convivenza.
Scintille - una storia di anime vagabonde, Gad Lerner, Feltrinelli editore 2010

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