domenica 9 gennaio 2011

Al nuovo mondo con le catene del passato

Nota: Questo articolo parla dell'impatto delle caste tra le vecchie diaspore indiane sparse nel mondo, soprattutto tra 19° e 20° secolo. E' un estratto di uno scritto più ampio sul tema delle caste che avevo preparato per una lezione per un corso di sociologia presso il dipartimento delle lingue orientali dell'università di Bologna.

***
"Diasporea", dal greco "diaspore", letteralmente significa dispersione, e si usa questa parola per parlare della "dispersione dei popoli" da un territorio al altro. La parola diaspora, mi fa pensare ai semi con le ali che il vento porta via lontano verso un terreno nuovo, dove potrà nascere e crescere uguale al vecchio albero dove era nato.

In questa immagine poetica del seme con le ali, forse non si percepisce la minaccia dell'incertezza e dei pericoli che avvolgono questo viaggio, perché quando si inizia questo viaggio spesso non si sa dove e se mai finirà questo viaggio.

Oggi le persone possono decidere di cambiare paese e prendere un volo per trasferirsi alla loro nuova terra per creare nuove diaspore, ma sono una piccola minoranza. Per la maggior parte delle diaspore, le loro radici si affondano in ricordi dolorosi, separazioni e morte.

Antiche diaspore indiane

Il viaggio dei gruppi partiti dalla casta orientale dell'India per popolare le isole orientali, da Bali fino al Pacifico e in una fase successiva, il viaggio del buddismo e dell'induismo dall'India verso l'estremo oriente, fino alle colonie di Champa in Vietnam nel 300 a.c., possono essere considerate esempi delle prime diaspore indiane. A parte le rovine archeologiche, come i templi di Angkor Wat in Cambogia, sappiamo poco o niente di queste antiche diaspore indiane.

Nei secoli successivi, India è diventato invece la metà delle diaspore che sfuggivano persecuzioni in diverse parti del mondo. Per esempio, i gruppi come gli ebrei di Kochi, i parsi di Mumbai, gli armeni e i cinesi di Calcutta sono arrivati India per cercare rifugio dalle persecuzioni, e per molti secoli India è diventata la terra che accoglieva le diaspore venute da altri paesi.

Diaspore indiane durante il colonialismo

Tra il diciottesimo e i primi decenni del ventesimo secolo, il mondo ha visto la creazione di nuove diaspore indiane legate al colonialismo.

Diaspore commerciali: Da una parte, gli indiani che lavoravano con i padroni inglesi, viaggiavano verso gli altri paesi delle colonie inglesi per accompagnare i padroni perché ritenuti "fedeli e bravi servitori", dall'altra, le altre colonie rappresentavano nuovi mercati per i commercianti indiani. La maggior parte di queste persone erano del varna dei Vaishya (commercianti). I figli di queste diaspore sono ancora presenti in molti paesi delle ex-colonie inglesi, da Kenya alle isole Fiji.

Queste comunità indiane avevano un sistema di supporto commerciale e sociale per far venire nei loro nuovi paesi, altre persone delle proprie famiglie estese e dei propri villaggi di origine. Per cui queste comunità erano molto chiuse verso l'esterno e avevano un sistema molto rigido di controllare che nessun membro della comunità violi le regole tradizionali delle caste.

In diversi paesi dell'Africa orientale, molte di queste comunità continuano a vivere in comunità molto chiuse, e sono circondate spesso da forte risentimento locale. Qualche volta questo risentimento scoppia in episodi violenti, come in Uganda negli anni settanta. Tra questi vi sono anche persone di altre religioni, soprattuto musulmani, i quali delle volte sono caratterizzate da famiglie molto ortodosse e conservatrici.

Minal Hajratwala, nata e cresciuta in America, quarta generazione di una famiglia di commercianti partiti da un villaggio di Gujarat nel nord ovest dell'India alla fine dell'ottocento per fondare un impero commerciale in Fiji, racconta la storia di questa emigrazione e la sua esperienza di essere una persona diversa (omosessuale) nel contesto di una diaspora indiana nel suo libro "Leaving India":
Durante l'epoca dell'imperialismo, quando la definizione dell'essere umano era "uomo" e la definizione dell'uomo era "bianco", niente di tutto questo [uguaglianza degli esseri] era ovvio. .. l'idea dell'uguaglianza era altrettanto impossibile anche per molti indiani. Sicuramente i miei avi, i quali erano arrivati con il loro orgoglio legato alla loro caste, l'hanno trapiantato nelle gerarchie sociali nella loro terre d'adozione. Kaffirs (non credenti) e "colorati", goriyas (Bianchi) e kariyas (neri), chinaas (cinesi) e jewktaas (ebrei) erano subito catalogati dalle menti già abituate all'ordine sociale. .. senza guardare le reali occupazioni delle persone, il sistema delle caste offriva un senso di sicurezza dell'identità, ai rapporti con gli altri, e che coincideva comodamente con il sistema razziale sud africano.

Leaving India by Minal Hazratwala

Diaspore frutto delle emigrazioni forzate: Le migrazioni indiane più consistenti erano nella seconda metà del diciannovesimo secolo, quelle del "lavoratori legati" (indentured labourers), incentivate con la promessa di sfuggire dalla miseria per avere mano d'opera più docile, maneggevole, ed a basso costo per sostituire gli schiavi africani, per lavorare nelle piantagioni coloniali in paesi come le isole Mauritius e i paesi del Caraibi. Lo scrittore Amitav Ghosh nel suo libro "Mare dei Papaveri" racconta la storia di queste diaspore.

Un libretto scritto nel 1840, dalla Società Inglese Contro la Schiavitù, spiegava le richieste dei padroni delle piantagioni di Demerara (Guyana inglese) e di Giamaica per attirare e convincere i manovali indiani nel 1936 perché "la situazione degli schivi africani era molto difficile e rischiavano di restare senza personale".

I primi lavoratori sono partiti dall'India nel 1938 (stesso anno in cui la schiavitù fu formalmente abolita) con i "girmitiya" (contratti) di 5 anni. Soltanto dopo la partenza loro scoprivano che dovevano affrontare un viaggio che durava mesi, durante la quale molti dei loro avrebbero perso la vita e una volta arrivati nei loro nuovi paesi, avrebbero dovuto vivere come schiavi perché dovevano pagare le "spese di viaggio", e alla fine dei 5 anni, se volevano tornare a casa, dovevano avere abbastanza soldi per "pagare il viaggio di ritorno". Era l'inizio di una nuova schiavitù anche se erano persone "libere" di tornare quando volevano!

Nei decenni successivi, centinaia di miglia di indiani hanno lasciato India in questo modo per costruire nuove diaspore in diverse parti del mondo. Per esempio, fino al 1920, erano arrivate 240.000 persone in Guyana inglese, 36.000 in Giamaica e 144.000 in Trinidad e Tobago. Nessuno sa quante erano partite dall'India e mai arrivate alla loro nuova terrà.

Queste persone provenienti soprattutto dal nord-est dell'India, dove si parlava Bhojpuri e altri dialetti, erano caratterizzate dalla povertà, per cui molte delle loro erano persone che appartenevano alle caste più basse.

Maggior parte di queste persone vivevano nei ghetti isolati nelle nuove terre, senza la possibilità di mescolare con i bianchi europei, padroni delle piantagioni e isolate anche dalle persone di origine africana (ex-schiavi), perché "erano ribelli e poco rispettosi verso le autorità degli bianchi". I loro nuovi paesi spesso avevano delle legge che delimitavano le zone geografiche dove potevano vivere. Per esempio, in Sud Africa, gli indiani dovevano vivere a Durban.

La politica di "dividere e regnare" che dava alcuni privilegi agli indiani nei confronti degli schiavi africani, serviva per creare divisioni tra le persone sfruttate e evitare che fanno il fronte comune contro i padroni coloniali. Per esempio, la prigione di Robben Island nei pressi di Città del Capo dove era prigioniero Nelson Mandela, aveva tre tipi di diete - una dieta più povera per i neri, una dieta un po' migliore per i "colorati" indiani e una migliore per i bianchi (nell'immagine, il cartello con le diete per colorati/asiatici e bantu/neri, nella prigione di Robben island).

Board showing diets for asians and blacks in Robben island prison

Comunicazioni con il paese di origine e le possibilità di tornare in dietro erano quasi non esistenti. Nei primi anni, la maggior parte dei "girmitiya" erano soli uomini perché dovevano lavorare nelle piantagioni. Solo dopo alcuni anni quando cominciarono a scoppiare i disordini, i responsabili del trasporto della mano d'opera erano stati costretti a trasportare le donne.

Questa convivenza forzata in spazi stretti e miseri, aveva indebolito le divisioni delle caste tra gli emigrati, e rinforzato le caratteristiche comuni legati alla lingua, religione e tradizioni. Dall'altra parte l'isolamento fisico e culturale, aveva creato comunità fortemente chiuse dove le tradizioni dovevano osservate rigidamente. Così mentre le loro comunità d'origine in India, potevano continuare a crescere e cambiare con i tempi, queste diaspore hanno continuato a preservare una versione dell'indianità di 100 anni fa fino a qualche decennio fa, quando i paesi sono diventati indipendenti e i cambiamenti legati alla globalizzazione hanno mutato la loro condizione di isolamento.

V. S. Naipaul, lo scrittore originario del Trinidad e Tobago e vincitore del premio nobel per la letteratura, ha scritto più volte dei suoi viaggi nella terra di suoi avi. Per esempio nel suo libro "India - un milione di rivolte", lui ha scritto della comunità indiana:
Era al Trinidad che i miei avi sono andati, intorno al 1880 .. i gruppi di emigrati indiani erano misti. Erano India in miniatura, indù e musulmani, persone di diverse caste. Erano emarginati, senza rappresentanti, e senza una tradizione politica. Erano isolati per la loro lingua e la loro cultura dalle altre persone con i quali convivevano. Erano isolati anche dall'India (il viaggio con le navi a vapore richiedeva diverse settimane). In queste circostanze particolari, essi svilupparono qualcosa che non avevano mai sperimentato in India: un senso di appartenenza ad una comunità indiana. Questo senso di comunità avrà sopravvento sulle loro religioni e sulle loro caste.
Nuove diaspore della globalizzazione

Dopo l'independenza dell'India nel 1947, i giovani hanno iniziato a cercare sbocchi all'estero per migliorare la qualità della propria vita, soprattuto in America, Inghilterra e Australia. Fino agli anni novanta, per queste nuove diaspore, spesso persone del ceto medio alto, non era facile mantenere i contatti con la madrepatria a parte un viaggio a casa ogni 2-3 anni. Per cui spesso si creavano due identità - un'identità più cosmopolita per gli amici e i colleghi di lavoro o di studio, e un'identità più indiana per la comunità locale degli indiani.

Dopo gli anni novanta, con la graduale allargamento della rivoluzione dell'internet, con gli strumenti di email, forum, blog, facebook, twitter, ecc., queste due identità si estendono oltre le frontiere locali, ma spesso rimangono due mondi più o meno separati.

In questo nuovo mondo per le amicizie, le frontiere delle caste sembrano più flessibili per quanto riguarda il dialogo e l'interazione sociale con gli altri indiani. Tuttavia per i matrimoni, sopratutto nelle prime generazioni degli emigrati, la questione delle caste e la provenienza geografica (legata agli altri fattori come lingua, cultura, abitudini alimentari, ecc.) continuano ad essere determinanti per la scelta dei partner.

Le seconde e ulteriori generazioni invece erano già dei punti critici ancora prima dell'era informatica, perché avevano dei conflitti con i genitori e con i nonni, i quali vivevano con rimpianti la "perdita della indianità intesa come lingua, modo di vestire e modo di comportare" nei figli, ma sopratutto per la scelta dei partner per il matrimonio. Negli ultimi due decenni, questo processo è diventato ancora più marcato anche se ancora oggi, molti giovani nati e cresciuti in occidente, continuano ad accettare che sia la loro famiglia a scegliere lo sposo o la sposa per loro, o quando cercano i propri partner tramite i siti indiani matrimoniali, lo fanno sulla base delle caste e provenienze geografiche delle loro famiglie di origine.

I blog sono tra i mezzi privilegiati dove discussioni intorno al tema dei matrimoni combinati dei giovani nati e cresciuti in occidente sono più vivaci. In un articolo apparso sul New York Times, Anita Jain, una ragazza americana d'origine indiana, aveva raccontato la storia della ricerca dello sposo adatto per lei:
Recentemente ho ricevuto in coppia un messaggio indirizzato al mio padre. Diceva, "Ci piace il profilo della ragazza. Il ragazzo ha un buon lavoro in servizio pubblico nello stato di Missisipi e non potrà trasferirsi a New York. La ragazza dovrà trasferirsi a Missisipi." Il messaggio era firmato da sig. Ramesh Gupta, "Il padre del ragazzo". Questo non era brutto come l'altro messaggio che ho visto quando ho accesso il computer a casa a Fort Greene e ho trovato questo messaggio che chiedeva, senza tanti giri di parole, la data, il tempo e il luogo della mia nascita. Presumibilmente avevano mandato questo messaggio per verificare se dal punto di vista astrologico, potevo essere una sposa armoniosa per il loro figlio ...

Le seconde generazioni, nate e cresciute all'estero, spesso guardano con disgusto le tradizioni sociali legate alle caste e spesso costringono le persone delle prime generazioni, soprattutto le persone più vecchie, ad adeguarsi al nuovo contesto e lasciar perdere le considerazioni di caste.

Le caste spesso accompagnano le diaspore indiane nel mondo e soltanto con il passare delle generazioni il loro impatto diventa meno importante. Nella mia esperienza personale tra gli immigrati indiani in Italia, le caste perdono la loro importanza per le discriminazioni sociali, ma qualche volta esse continuano ad essere importanti per i matrimoni dei loro figli.

venerdì 7 gennaio 2011

Bollywood: Migliori film del 2010 (Parte 1)

L'anno appena concluso, come è stato per il mondo di Bollywood? Quali film usciti quest anno meritavano di essere visti e quali altri sono stati una delusione? Come consueto, vi presento la mia breve analisi degli film più importanti di Bollywood usciti nel 2010.

Questa prima parte della rassegna riguarda i film usciti tra gennaio e aprile 2010, e iniziamo con i film usciti in gennaio 2010.

Rann (Guerra): Il film del regista Ram Gopal Varma (Ramu) riguarda il mondo del giornalismo televisivo in India. Oggi in India vi sono più di 500 canali tv privati, dei quali più di 100 trasmettono solo telegiornali 24 ore su 24, in diverse lingue e dialetti indiani. Il film di Ramu parla di potere esercitato da queste tv e gli interessi che ne stanno dietro.

Rann, un film di R.G. Varma

L'idea di questo film è probabilmente partita nel novembre 2008, quando un gruppo di terroristi venuti dal Pakistan aveva preso in ostaggio la città di Mumbai (Bombay) per alcuni giorni.

Dopo la cattura/uccisione dei terroristi, il primo ministro dello stato di Maharashtra, sig. Vilasrao Deshmukh era andato a visitare l'hotel Taj Mahal, uno dei teatri del attacco terroristico e subito si era scoppiato uno scandalo. Qualche TV aveva filmato la vista del primo ministro statale Deshmukh, accompagnato dal figlio (attore Riteish Deshmukh) e dal regista Ramu, e aveva subito lanciato le accuse che il regista era andato a visitare l'hotel per vedere i danni creati dai terroristi perché voleva farne un film, che non gli interessava la tragedia delle persone uccise dai terroristi, ma che era uno sciacallo che voleva guadagnare dalla disgrazia degli altri.

La notizia era stata ripresa da altri canali televisivi e subito aveva infiammato le anime ferite dal attacco terroristico e alla fine, il sig. Deshmukh aveva dovuto dare le dimissioni dal ruolo del primo ministro statale. Ramu aveva cercato di chiarire che la sua presenza in quella visita era stato un fatto casuale senza nessuna premeditazione, ma nessuno gli aveva dato ascolto.

Il film Rann, non parla del attacco terroristico ma del mondo delle TV private che trasmettono notizie 24 ore su 24, e che delle volte "fabbricano" notizie o che le presentano in maniera sensazionale per guadagnare audience. Si tratta di un film serio con due buone interpretazioni di Amitabh Bacchan e di Ritesh Deshmukh. Questo film non ha i soliti ingredienti di bollywood, ciò è, danze, musica e una storia romantica, ma è un film coinvolgente, anche se non ha trovato successo commerciale in India.

Ishqiya (Innamorato): Il primo film del regista Abhishekh Chaubey, assistente e collaboratore del regista Vishal Bhardwaj, è stato il primo successo commerciale e critico del 2010. Il film racconta un triangolo d'amore insolito, condito di continui colpi di scena. E' la storia di due malviventi, Khalujaan (Naseeruddin Shah) e Babban (Arshad Warsi) e una allegra vedova, Krishna (Vidya Balan).

Ishqiya, un film di Abhishekh Chaubey

Ambientato in un piccolo villaggio del nord dell'India, il film usa il linguaggio rustico per parlare dell'amore di un vecchio furbo per una giovane e festosa donna, in apparenza modesta e timida, capace di cambiare personaggio per avere quello che vuole.

Tutti i tre protagonisti principali del film sono bravi, ma il film merita di essere visto sopratutto per Vidya Balan, nel ruolo della donna che sa quello che vuole dal mondo dominato dagli uomini. Comunque, questo film non è il solito melodramma alla Bollywood. Il film è stato presentato al festival del cinema River to River nel dicembre 2010 a Firenze.

Road to Sangam (La Strada al fiume): E' un film serio che racconta la storia di un'urna con le ceneri di Mahatma Gandhi sullo sfondo della comunità musulmana in una città del nord dell'India. Il film è ambientato a Allahabad, la città sacra dove incontrano i tre fiumi, Gange, Yamuna e la mitica Saraswati. Il punto d'incontro dei fiumi è conosciuto con il nome di Sangam (letteralmente, "incontro"), ed è il luogo privilegiato per l'immersione delle ceneri dei morti indù.

Road to Sangam di Amit Rai

Il film del regista Amit Rai è basato su un fatto realmente accaduto. Mahatma Gandhi aveva espresso il desiderio che alla sua morte, le sue ceneri fosse suddivise in piccole parti e disperse in diversi fiumi dell'India. Sembra che una delle urne con queste ceneri fosse rimasto in una cassaforte per molti anni e fu portata a Allahabad per l'immersione nelle acque del Sangam molti anni dopo.

Il film parla dell'esplosione di una bomba nella città di Allahabad e i sospetti della polizia che sia opera di terroristi islamici. Così parte l'offensiva contro i quartieri musulmani e diversi giovani sono presi dalla polizia per le interrogazioni. Nelle proteste della comunità musulmana, uno dei giovani perde la vita e la comunità musulmana dichiara lo sciopero di tutti i negozi gestiti dai musulmani affinché i poliziotti responsabili non saranno puniti.

Nel frattempo, il meccanico musulmano, Hashmat Ullah (Paresh Rawal) ha avuto incarico di mettere a posto il motore del vecchio camioncino che avevano usato per trasportare le ceneri di Gandhi e che vogliono usare anche il trasporto dell'ultima urna. Hashmat decide di sfidare lo sciopero e di aggiustare il motore, e così vengono a galla, le contraddizioni della comunità musulmana in India.

Pakistan era stato creato nel 1947 come il "paese dei musulmani", ma molti musulmani erano rimasti in India, perché i leader del congresso come Gandhi e Nehru avevano promesso a loro India come un paese aperto a tutte le religioni, senza discriminazioni. Nel film, la comunità musulmana accusa lo stato indiano di discriminazioni che sono peggiorate negli ultimi anni, dopo l'ascesa del fondamentalismo islamico, e ribadisce che le discriminazioni alimentano il fondamentalismo.

Da una parte, il film spiega le difficoltà dei musulmani moderati in India. Dall'altra, il film pone molte domande sul significato di essere musulmano in India, quando fa vedere persone che vivono in India ma danno più importanza a leader e idee del Pakistan e considerano la religione più importante dell'appartenenza ad una nazione.

Il nipotino di Mahatma Gandhi, Tushar Gandhi, ha una piccola parte nel film. Anche questo è un film serio, non adatto agli amanti del Bollywood tradizionale.

Altri film importanti di gennaio 2010 con le grandi stelle di Bollywood erano Pyaar Impossible (Amore impossibile) con Uday Chopra e Priyanka Chopra, Veer (Valoroso) con Salman Khan e Chance Pe Dance (Danza per caso) con Shahid Kapoor e Genelia D'Souza. Tutti i tre film sono stati rifiutati sia dalla critica che dal pubblico.

Il Film più importante di febbraio 2010 era My Name Is Khan (Mio nome è Khan) del regista Karan Johar, con un discreto successo commerciale e critico. Il film racconta la storia di un uomo musulmano, Rizwan Khan (Shahrukh Khan) affetto dal sindrome di Asperger (una forma di autismo), originario dell'India e residente in America. Rizwan si innamora di Mandira (Kajol), una vedova indù con un figlio, e vuole sposarla. Il fratello di Rizwan (Jimmy Shergill), non è contento che suo fratello vuole sposare una indù, ma Rizwan non lo ascolta.

My name is khan, un film di Karan Johar

Dopo 11 settembre 2001, la percezione verso i musulmani cambia in America. Il figlio di Rizwan e Mandira diventa bersaglio di altri ragazzi della scuola perché porta un cognome musulmano, e muore in un incidente. Rizwan inizia un viaggio per andare a cercare il presidente americano per dirgli che lui è un musulmano ma non è un terrorista.

Avevo visto il film in India, e l'avevo trovato interminabile nella seconda metà con l'eroe che visita le famiglie dei soldati neri morti in Afghanistan e aiuta le famiglie colpite dal ciclone Katrina. Invece mi era piaciuto abbastanza la prima parte del film.

Il film è stato doppiato in altre lingue ed è stato accorciato per la sua uscita in America e Europa. E' stato il film più popolare del anno in medio oriente e Pakistan.

Il film è uscito anche in Italia alla fine del novembre 2010, ma forse non ha avuto molto successo, anche se i giudizi dei critici non erano del tutto negativi. Per esempio, Giancarlo Zuppolo ha scritto nella sua recensione, "Karan Johar riesce a sviluppare i molteplici argomenti della diversità senza mai assumere toni predicatori e andando a toccare tutte le corde di un pubblico semplice ma non stupido. L'handicap mentale, la separazione all'interno dell'universo religioso del subcontinente asiatico, l'irrazionale caccia al musulmano scatenatasi dopo l'attentato alle Twin Towers entrano come temi forti in un film che non disdegna la scena strappalacrime così come, nella migliore delle tradizioni, la sequenza con tanto di canzone e di danza. In un film oversize come durata ma che scorre senza mai annoiare."

Altri film importanti del febbraio 2010 erano Toh Baat Pakki (Allora il matrimonio è fissato) con Tabu e Sharman Joshi, Teen Patti (Tre carte) con Amitabh Bacchan e Madhavan, e Khartik Calling Khartik (Karthik chiama Khartik) con Farhaan Akhtar e Deepika Padukone.

Marzo 2010 ha visto diversi film nuovi compreso Love Sex aur Dhokha (attori nuovi - Amit Sial, Anshuman Jha, Arya Banerjee, ecc.), Right Yaa Wrong (Giusto o Sbagliato) con Sunny Deol Konkana Sen e Irfan Khan, Athithi Tum Kab Jaoge (Ospite quando andrai via) con Ajay Devgan, Konkana Sen e Paresh Rawal e Well Done Abba (Bravo Papà) con Manissha Lamba e Boman Irani.

Tra tutti questi, il film più importante era Love, Sex aur Dhokha (Amore, sesso e tradimento) del regista Dibakar Banerjee. Il film affronta la nuova moralità tra i giovani indiani, influenzata dalle nuove tecnologie (cellulari, internet, ecc.), i media e le reti sociali come il facebook. Alcuni amici l'hanno definito un film scioccante e allo stesso momento, il film più innovativo di Bollywood del 2010. Purtroppo, non ho avuto l'opportunità di vederlo.

Tra i film di aprile 2010, mi è piaciuto molto il nuovo film del regista Aparna Sen, The Japanese Wife (La moglie giapponese).

Ambientato in un villaggio sperduto del Bengala negli anni prima dell'epoca dei telefoni cellulari e dell'internet, The Japanese Wife racconta la storia d'amore di un'insegnante del villaggio, Snehamoy (Rahul Bose) con la sua amica di lettere, Miyage (Chigusa Takaku) che vive in Giappone.

The Japanese Wife, un film di Aparna Sen

Snehamoy vive con sua zia (Mousami Chatterjee) e decide di sposare la sua amica giapponese a distanza tramite una lettera, è un rapporto che entrambi decidono di condividere anche se, probabilmente non ha nessun valore legale. Sua moglie Miyage deve badare a sua vecchia madre in Giappone. I due scambiano regolarmente lettere e qualche dono. Qualche volta Snehamoy cerca di parlare con la moglie al telefono ma sua moglie conosce poco inglese e fa fatica a capire l'accento indiano del marito.

Nella casa di Snehamoy arriva Sandhya, una giovane vedova (Raima Sen) con il suo giovane figlio. In un momento di debolezza, Snehamoy ha un contatto con Sandhya, ma poi pieno di senso di colpa, confessa tutto a sua moglie.

E' un film molto poetico sul senso dell'amore, anche se penso che le generazioni di oggi, in India come in Italia, faranno fatica ad accettare un rapporto d'amore a distanza, fatto solo di sentimenti senza la fisicità. Ovviamente il film non è il solito film romantico di Bollywood, ma mi è piaciuto molto. Il film è stato presentato anche al festival del cinema River to River a Firenze in dicembre 2010.

Housefull: Il secondo film più significativo dell'aprile, Housefull era il primo vero film "masala" di Bollywood del 2010 che ha anche avuto successo commerciale. Il trama del film era contorto e non molto logico, ma era pieno di danze, colori e balli.

Housefull, un film di Sajid Khan

Arush (Akshay Kumar) è uno che porta sfortuna e lavora in un casinò per assicurare che nessun cliente vinca troppo. Lui arriva a Londra da suo amico Bob (Riteish Deshmukh) e da sua moglie Sheetal (Lara Dutta) che lavorano in un casinò. A Londra, Arush si sposa con Devika (Jia Khan) figlia del padrone del casinò, ma poi scopre che sua moglie è innamorata di un ragazzo inglese e che aveva sposato Arush solo per far contento suo padre (Randhir Kapoor). Devika va via con il suo ragazzo inglese e Arush rimasto da solo, si innamora di Sandy o Saundarya (Deepika Padukone). Nel frattempo, papà di Sheetal (Boman Irani) arriva dall'India. Per un disguido, Papà di Sheetal pensa che sua figlia è moglie di Arush, e che i due hanno un bambino. Tutti accettano di stare al gioco. Bob fa finta di essere il maggiordomo e Saundrya diventa la balia di un bimbo rubato a una signora d'origine africana. Inoltre, Papà di Sheetal è un sonnambulo.

Se non avete capito niente del trama, non è molto importante. Per confondere ulteriormente, nel film vi sono anche i reali inglesi, tra il principe Carlo, la regina Elisabetta e Camilla. Se potete guardare questo film senza cercare di trovare qualche senso di logica, il film vi piacerà.

Altri film importanti dell'aprile 2010 erano Prince (Principe) con Vivek Oberoi e Dia Mirza, e Paathshaala (Scuola) con Shahid Kapoor. Entrambi questi film sono stati rifutati dalla critica e dal pubblico.

***

lunedì 3 gennaio 2011

Strumentalizzare Gandhi?

E' naturale che quando una persona diventa un personaggio pubblico, tutti possono commentare e interpretare i suoi gesti e le sue scelte. Quando un personaggio diventa un'icona, ciò è il simbolo di un'idea, spesso nelle comunicazioni perde la sua complessità umana e viene capito e conosciuto dalla maggior parte delle persone in forma semplificata, non più come un essere umano ma come qualcosa di astratto, strumentale all'idea che rappresenta.

Mahatma Gandhi in a prayer meeting

In questo senso oggi per molte persone, Mahatma Gandhi non è più un persona ma è piuttosto, un icona e forse per questo motivo, Vittorio Messori nel suo articolo "La leggenda dell'uomo che aveva una grande anima", uscito sul Sette, il settimanale di Corriere della Sera lo scorso 23 dicembre 2010, ha scritto, ".. ma su Gandhi molti ignorano molto, seguendo miti orecchiati"?

L'articolo di Messori è stato scritto per presentare il libro "Teoria e Pratica della Nonviolenza" che sarà distribuito con il quotidiano nei prossimi giorni. Ho letto questo articolo con un senso di disagio, perché penso che questo articolo si parla di Gandhi in termini un po' strani.

Secondo Messori, i vari concetti della filosofia di Gandhi, come pacifismo, non violenza e resistenza passiva, sono concetti evangelici presi dalla Bibbia. E' vero che in diverse occasioni, Gandhi aveva parlato degli insegnamenti della Bibbia, ma penso che i concetti di pacifismo e resistenza passiva, così importanti per Gandhi, avevano anche molte altre radici.

Per esempio, penso che l'ispirazione fondamentale per il concetto di non violenza enunciato da Gandhi, era l'ambiente famigliare che l'aveva circondato da quando era un bambino, un'ambiente fortemente influenzato dai concetti Gianisti di Ahimsa di Mahavira (dalla religione Gianismo, basato sui principi della non violenza verso tutti gli esseri viventi). Inoltre, in diverse occasioni Gandhi aveva parlato degli insegnamenti di Bhagvadgita, un testo sacro degli indù.

Comunque, non penso che sia un problema se Messori vuole fermarsi sull'influenza della Bibbia sul pensiero di Gandhi, ma mi è parsa strana la giustificazione che lui usa per questo, ".. pacifico di certo non era e non è l'induismo da cui Gandhi veniva. I cristiani e i musulmani (nelle zone in cui questi ultimi erano in minoranza) furono e sono perseguitati spesso in modo sanguinoso."

I conflitti religiosi che si scoppiano ogni tanto in India, sono ben noti. Come tutti i gruppi religiosi, anche tra gli indù, i gruppi più conservatori e fondamentalisti non mancano, e molti di loro credono nella violenza. Ma da questi episodi, per arrivare alla conclusione che l'induismo è una religione non pacifica, ci vuole una certa superficialità e anche, una non-conoscenza dell'induismo.

Nonostante i tanti conflitti religiosi, India è sempre stata e continua ad essere un paese tollerante e aperto, anche se gli indù sono più dell'84% della popolazione. Nei 63 anni trascorsi dalla sua indipendenza nel 1947, tutte le minoranze religiose indiane sono cresciute numericamente, a dispetto di tutti gli altri paesi della regione. In India vivono 120 milioni di musulmani, ed è il secondo paese nel mondo per il numero dei musulmani. Inoltre, in questi 63 anni di indipendenza dell'India, i diversi stati (paragonabili alle regioni italiane) del nord-est del paese sono diventati di maggioranza cristiana. Alla fine, diversi gruppi religiosi come i parsi, i bahai, gli ebrei e gli armeni, perseguitati in diverse parti del mondo, hanno trovato rifugio sicuro in India dai tempi lontanissimi. Penso che tutti questi fatti testimoniano, che come le altre religioni, anche i valori fondamentali dell'induismo parlano di pace e di amore.

La storia umana è piena di racconti di conflitti e perseguitazioni. Anche l'Europa e il cristianesimo non ne sono assenti, basta pensare al medioevo e all' inquisizione. Nel nome del loro Dio, i gruppi più conservatori delle diverse religioni hanno spesso scelto violenza contro gli altri. Recentemente, ho visto il film "Agorà" di Alejandro Amenàbar che racconta le violenze religiose nell'Alessandria del quarto secolo d.c..

Mahatma Gandhi cartoon by Laxman

Tuttavia, penso che spesso le religioni sono solo un pretesto per i cosiddetti "conflitti religiosi" e vi possono essere altri fattori dietro questi conflitti, come il potere, l'invidia, il risentimento e il controllo. Ciò è vero anche per i "conflitti religiosi" in India, anche se spesso i giornali preferiscono "semplificare" le notizie per non confondere i lettori, e anche perché è più facile spiegare tutto sulla base delle differenze religiose.

Le sfide che India deve affrontare sono molte. I conflitti religiosi che ogni tanto scoppiano nel paese, sono fin'ora rimasti abbastanza circoscritti e lo Stato ha sempre reagito con forza per fermarli, anche se qualche volta con un po' di ritardo. La globalizzazione e la crescita economica degli ultimi due decadi, ha messo in moto profondi cambiamenti nella società patriarcale e qualche volta, la società tradizionale ha reagito a questi cambiamenti con terribili violenze.

Se da una parte in India odierna, i gruppi conservatori delle diverse religioni sono diventati più forti, dall'altra parte, vi è una crescita esponenziale dei media nazionali con più di 100 canali televisivi che trasmettono notizie da ogni parte del paese nelle varie lingue e dialetti. Oramai da 5-6 anni, nessun conflitto passa inosservato in India, è subito ripreso da queste televisioni, per cui lo Stato è costretto ad intervenire. Questa situazione si rinforzerà ulteriormente nei prossimi decadi con l'espansione dell'internet a del giornalismo di massa.

Comunque, non solo in India ma in diverse parti del mondo, i gruppi più conservatori e fondamentalisti sono in forte espansione e non si sa, come questo si svilupperà nei prossimi anni. Questo problema riguarda un po' tutte le religioni.

Per tornare all'articolo di Messori, non capisco perché lui sceglie di puntare il dito contro l'induismo per promuovere un libro che parla del messaggio di Gandhi? Forse perché Gandhi si era espresso contro le attività di evangelizzazione dei missionari inglesi durante gli anni del colonialismo?

(Nota: le due immagini usate in questo post sono dalla rivista India Perspectives, January-March 2008)

sabato 18 dicembre 2010

Mussolini e Tagore

Le sorprese non finiscono mai. Chi avrebbe pensato che Benito ammirava Ravindranath, o ancora più improbabile, una volta Ravindranath aveva elogiato il Duce?

Invece era successo, nel 1926. La storia è apparsa sulla rivista indiana Outlook con una foto del poeta indiano premio nobel per la letteratura, scattata dal Duce e regalata al poeta.

Una volta per andare in Inghilterra, non c'erano gli aerei, o forse c'erano ma molto più costosi, e si viaggiava sopratutto con le navi che arrivavano fino al porto di Brindisi. Così la maggior parte dei personaggi indiani, attraversavano l'Italia e la Francia per andare al Regno Unito. Anche Mahatma Gandhi aveva attraversato Italia nel dicembre 1931 e anche lui aveva incontrato Benito Mussolini.

La foto di Tagore scattata da Mussolini è custodita in un museo dimenticato di Kerala nel sud dell'India, nel villaggio di G. Ramachandra, un discepolo di Gandhi e Tagore. Nella foto (da Outlook) qui sotto, si vede quella foto e Sr Mythili, l'attuale curatrice del museo.

Sr Mythili and Tagore picture

Potete leggere la storia completa sulla rivista indiana Outlook.

***

venerdì 17 dicembre 2010

Natale e le altre religioni

Ieri c'era una notizia in La Repubblica, che parlava della scelta di una scuola italiana di non organizzare la consueta festa di natale per "rispetto verso i bambini delle altre religioni" presenti nella classe:
All’asilo ci sono tanti figli di genitori non cristiani e per questo le maestre decidono di non fare la tradizionale festa di Natale aperta alle famiglie. Ai bambini, per di più, non saranno insegnate canzoni su Gesù e Betlemme, ma solo quelle che parlano di renne e di Babbo Natale. La decisione del collegio dei docenti della scuola materna comunale di via Forze Armate 59 però non piace a tutti. A quei genitori che si lamentano, sostenendo che «la festa di Natale non fa male a nessuno», la direzione risponde con una lettera: la tradizionale “canzoncina per le mamme” non si farà, «data la presenza di un’alta percentuale di bambini appartenenti ad altre culture e religioni — si legge — e di stranieri appena ammessi alla frequenza, che non parlano neppure italiano».
Non è la prima volta che si sentono questo tipo di discussioni. L'anno scorso, anche a Londra parlavano di non avere i tradizionali addobbi e luci di natale per "non urtare" la sensibilità delle persone di altre religioni.

So che alcune persone di altre religioni approvano di queste scelte perché per loro non è accettabile che i loro figli imparano cose relative al cattolicesimo. Personalmente ho molti dubbi su questo tipo di ragionamenti. Penso che conoscere un'altra religione, o meglio ancora, conoscere altre religioni, non è soltanto bello, ma è fondamentale per le società multiculturali e multireligiose. Per i bambini festeggiare le feste religiose insieme è il modo più bello per rispettare e valorizzare le nostre diversità.

Secondo me, per rispettare i bambini delle altre religioni e culture presenti nelle classi, è importante celebrare non soltanto natale, ma anche le feste degli altri. L'Idd dei musulmani, Gurupurab dei sikh, Deewali e Holi degli indù, sono opportunità per i bambini di conoscere le altre religioni attraverso la gioia delle feste. Le società multiculturali e multireligiose, hanno bisogno di conoscenze reciproche e non di "ignoranze rispettose" che creano i ghetti.

La soluzione non è di non avere gli addobbi e le luci di natale sulle strade. La soluzione è permettere che le diverse comunità religiose presenti nelle nostre città, hanno la possibilità di praticare le proprie religioni e di festeggiare le proprie ricorrenze religiose, in maniera rispettosa dei valori civili dei paesi dove hanno scelto di vivere, senza suscitare paure e reazioni.

Avere una festa in più, non fa male a nessuno. Fanno male i muri e le diffidenze che stanno nascosti nei cuori.

mercoledì 8 dicembre 2010

I fiumi del cinema indiano a Firenze

Finalmente dopo tanti anni ieri sono riuscito a andare al festival del cinema di Firenze. Il festival River to River organizzato sotto la guida di Selvaggia Velo è il più importante appuntamento annuale con il cinema indiano in Italia che offre la possibilità di vedere il meglio del cinema d'arte indiana e di incontrare i suoi protagonisti. Per esempio, quest anno si ha la possibilità di vedere i lavori più importanti di tre registi bengalesi, Satyajit Ray, Aparna Sen e Onir. Sen e Onir sono presenti al festival con i loro ultimi film, insieme al Rahul Bose, il protagonista comune di questi film.

Inoltre, il festival offre la possibilità di vedere alcune delle novità del mondo di Bollywood in versione integrale (con le canzoni e la musica) e con i sottotitoli in italiano. I film più importanti in programma quest anno comprendono Ishqiya di Vishal Bhardwaj, Love Aaj Kal di Imtiaz Ali (con Saif Ali Khan), Rajneeti di Prakash Jha e Peeple Live di Anusha Rizwi.

Oramai il festival sta per concludere, ma se volete siete ancora in tempo per vedere qualche film importante. Il programma completo lo potete trovare sul sito di River to River Festival. Ho perso la prima parte del festival e mi dispiace molto sopratutto per aver perso la prima europea di Iti Mrinalini del regista e attrice, Aparna Sen e un film in lingua marathi, Maati Maay di Chitra Palekar, della quale avevo sentito parlare molto. Comunque, sono contento che alla fine ho potuto vedere almeno alcuni film.

Ieri, martedì 7 dicembre, ho parlato con il regista Onir. E' stata una conversazione molto interessante perché abbiamo parlato di un tema che mi sta al cuore - il tema dell'emigrazione. Stasera Onir presenterà il suo nuovo film I Am (Io sono) che dovrebbe uscire nelle sale in febbraio 2011. Ho contribuito anch'io a questo film, in quanto ho tradotto parte dei sottotitoli in italiano. Comunque non voglio anticipare altro, nei prossimi giorni scriverò di questa discussione. Oggi, 8 dicembre, spero di parlare anche con Rahul Bose e Aparna Sen.

Invece oggi voglio scrivere brevemente di film visti ieri.

Minimo Maharaja di Franco La Cecla è un lavoro in corso, ciò è un film non ancora completo, che presenta un piccolo ex-re di un piccola città di periferia in Gujarat. Lo spezzone presentato al festival parla sopratutto di una serata di canti organizzata dall'ex-re sulla storia e le imprese dei suoi antenati. Le spiegazioni di La Cecla, dopo il film sulla lingua Pingala usata per scrivere le storie famigliari dei reali locali, erano molto interessanti. Tra i collaboratori, il film riporta anche il nome del amico Dennys.

Mumbai. La cour des Peintres di Louise de Champfleury e Dominique Dindinaud, era sulla preparazione manuale di una grande tela per pubblicizzare il nuovo film di Karan Johar (Il mio nome è Khan), una arte in via di estinzione. Oramai i manifesti creati digitalmente hanno sostituito completamente le tele dipinte manualmente. Mentre proiettavano questo film, parlavo con Onir, per cui ne ho visto solo una parte.

Grant St. Shaving Co. (15') di Payal Sethi era primo dei 4 cortometraggi del pomeriggio sul tema dell'identità. Il film racconta un pomeriggio di ricordi a New York, quando un anziano venuto dall'India per visitare la sua figlia, va in giro per la città insieme a un fattorino e continua a vedere nei negozi e nelle strade, il fantasma di sua giovane moglie scomparsa molti anni fa. E' un film tenero e dolce.

Grant St. Shaving Co. by Payal Sethi

Looking For You (12') di Cary Rajinder Sawhney è ambientato in Inghilterra e in qualche modo somiglia al Grant St. Shavig Co. Con un linguaggio sintetico ma efficace, il film racconta la storia sul tema della reincarnazione.

Un uomo di mezz'età d'origine indiana accompagna la moglie per le compere e viene avvicinato da una giovane donna che lo avvicina, lo guarda in modo strano e dice, "Avevi detto che saresti venuto a prendermi. Sono salita sul treno e mi hanno ucciso." L'uomo ha uno strano flash, una visione di se stesso vestito in una kurta bianco insieme alla giovane donna. Intanto torna la moglie e lui torna a casa un po' perturbato. Poi vede la giovane donna ancora fuori dalla sua casa, che gli ripete le stesse cose. Questa volta la sua visione è dei giorni della separazione tra l'India e Pakistan, e dei disordini violenti tra gli indù e musulmani. La giovane donna si aggrappa a lui e piange disperata, è ancora intrappolata nei ricordi. Arriva una funzionaria che porta via la ragazza piangente, forse è scappata dai servizi psichiatrici.

Looking for you by Cary Rajinder Sawhney

The Road Home (21') di Rahul Gandotra riguarda Pico, un ragazzo di origine indiana, nato e cresciuto in Inghilterra che si trova in una scuola collegio molto prestigiosa nelle montagne in India. Il ragazzo con la pelle bruna, non si sente indiano, non sa parlare hindi, non vuole mangiare cibo speziato e parla con l'accento inglese, ma il colore delle sua pelle significa che per tutti lui è un ragazzo indiano. Il film è la storia di un giorno, quando Pico decide di scappare dalla scuola per tornare in Inghilterra e le persone che lui incontra.

La giovane ragazza francese dice a Pico, "Puoi essere entrambi, inglese e indiano", mentre il tassista dice, "E' il tuo destino, sei scuro di pelle e devi accettarlo che per tutti tu sarai indiano".

Road to Home by Rahul Gandotra

E' il film che mi ha stimolato di più per riflettere sull'identità. Il film parla di questioni che la maggior parte dei giovani emigrati, nati in Italia o venuti qui da piccoli, sperimentano sulla propria pelle. Anche se loro si sentono molto italiani, anche perché è l'unica patria che hanno mai conosciuto, comunque la prima domanda che le persone si fanno a loro è spesso, "Di quale paese sei?". In qualche modo, penso che la questione riguarda anche tutti i bambini di pelle scura o con la fisionomia non europea adottati in Italia.

Il quarto e ultimo cortometraggio di ieri era Kharboozey (19') di Rizwan Siddiqui. C'è un proverbio indiano che riguarda le kharboozey (meloni) - dice che si cambiano il colore come i camaleonti secondo a chi li vicino. Il film riguarda l'identità mussulmana in India, dove per paura di essere oggetti di violenze, due uomini mussulmani quando passano da una zona abitata da indù, fanno finta di essere indù. I due uomini che condividono un passaggio in un risciò, non si fidano uno del altro e del uomo che guida il risciò, e per non destare sospetti raccontano storie razziste contro i mussulmani.

Rizwan Siddiqui and Selvaggio Velo in Florenze, River to River Festival

Penso che il film sarebbe stato più interessante e efficace se finiva al momento quando i due uomini si incontrano inaspettatamente presso la casa di un famigliare. Invece il film continua con le immagini in bianco e nero delle persone mussulmane mescolate con immagini di esplosioni e morti, e poi alcune spiegazioni finali che i due l'avevano fatto per salvaguardarsi perché oramai il nome dell'islam è visto come sinonimo di bombe e terrorismo.

Ho parlato con Rizwan. Lui è di Lucknow e ha lavorato presso un'agenzia di pubblicità a Nuova Delhi. Lui continua a vivere e lavorare tra queste città. Kharboozey è suo primo film, realizzato con mezzi molto limitati a Lucknow, ed ha già guadagnato apprezzamento presso un festival del cinema in India. "Non ho piani per il futuro, preferisco non fare i piani. Voglio vivere quello che sarà. Sono una persona molto sicura e non mi piace pianificare", Rizwan ha detto, sottolineando il suo rapporto con la sua città natale, "mi piace andare in giro sulla mia moto con mai moglie e due figli, mi piace che dove vivo tutti conoscono il mio nome, il mio fruttivendolo conosce i nomi dei miei figli, questo rapporto con le persone con i luoghi è la cosa più importante per me."

Dei 4 cortometraggi visti ieri, i primi due parlavano di identità nel senso personale o privato, mentre gli altri due parlavano di identità sociale. Per quanto riguarda il linguaggio cinematografico, penso che i primi tre film erano molto più sofisticati, mentre il film di Rizwan era un po' più "raw". In modo diverso ho apprezzato tutti i film, ma mi ha stimolato di più il film di Rahul Gandotra, "The Road Home".

sabato 9 ottobre 2010

Bagno di Durga

"Come possiamo portare la dea Durga a fare il fare il bagno?" è la domanda che mi ha posto Binil.

Binil è il presidente dell'associazione dei bengalesi indù di Bologna (Sanatan Sanskritik Parishad) che riunisce persone provenienti dall'India e dal Bangladesh. Hanno circa 60 famiglie di iscritti con più di 300-350 persone in tutto.

Durga Puja Bologna 2007
Lui non sa lavorare con il computer e non parla italiano molto bene, per cui da quando è nata la loro associazione, ho avuto il compito di preparare i loro documenti, aiutarli a presentare le varie domande legate alla loro associazione. Così ogni anno Binil mi cerca per preparare il programma della loro festa annuale, "Durga Puja" che si tiene presso il Centro Zonarelli di Bologna.

Durga Puja ovvero, la preghiera alla dea Durga è la festa più importante nel calendario degli indù bengalesi e dura 10 giorni. La stessa festa è celebrata in altri parti dell'India con altri nomi - Dusshera nel nord e Navratri nel nord ovest. A Bologna, non è possibile organizzare la festa per 10 giorni per cui viene accorciata a 5-6 giorni. Quest anno (2010), la festa si terrà presso Centro Zonarelli dal 12 al 17 ottobre ed è aperta a tutte le persone di tutte le religioni.

Da bambino amavo andare alle feste bengalesi perché offrivano la possibilità di vedere gratuitamente i film bengalesi, che mi piacevano molto con attori-leggende come Uttam Kumar e Suchitra Sen. La loro musica, più tranquilla e spirituale, ispirata ai lavori dei poeti come Ravindra Nath Tagore e Kazi Nazrul Islam, mi faceva addormentare. Inoltre, ero affascinato dalle loro danze, dove si dovevano girare i piatti di terracotta colmi di carboni ardenti in manovre acrobatiche senza far cadere niente e senza ustionare se stessi e gli spettatori.

In India, spesso dopo le feste come Durga Puja, Dusshera e Ganapati puja, i dei devono tornare alle loro dimore celesti per cui quando finisce la festa di Durga Puja, anche la dea dovrebbe andare al fiume a "fare il bagno", ciò è, a disperdersi nell'acqua e diventare tutt'uno con la natura. Ogni anno bisogna avere una nuova statua di terracotta della dea per la festa.

Per i bengalesi di Bologna, "fare il bagno" alla dea ogni anno non è possibile perché la statua, fatta pervenire dall'India, costa troppo. Dopo circa 5 anni di raccolta fondi, alla fine avevano raccolto abbastanza fondi per far pervenire una nuova statua dall'India, così la vecchia statua della dea può andare a fare il bagno, ma nessuno di loro sa come si può fare. E nell'attesa, la vecchia statua sta nella casa di Binil.

L'ultimo giorno della festa, il 17 ottobre, lui vorrebbe organizzare una processione per portare la dea ad un corso d'acqua - il fiume Reno o il canale Navile, e immergere la statua nell'acqua.

"Cosa devo fare?" mi ha chiesto.

Non so se il Comunque accetterà che le persone lasciano una statua nelle acque del fiume o del canale, anche perché la statua è fatta in India e non sappiamo quali materiali hanno usato per costruirla e a colorarla. Rimandare la statua in India per essere immersa nell'acqua costerebbe troppo per loro.

Avete qualche suggerimento per Binil? Cosa può fare? A chi può chiedere? Qualcuno ha sentito di un problema simile per altri gruppi di immigrati?

Post Più Letti (Ultimo Anno)