Nel suo saggio, “Cultura e Sviluppo” (Sotto Sopra – la globalizzazione vista dal sud del mondo, curato da Marco Zupi, ed. Laterza, 2004), l’economista indiano Amartaya Sen dice, “La crescita del benessere e la conquista della libertà che perseguiamo con lo sviluppo non possono non includere un arricchimento della vita umana tramite la letteratura, la musica, le arti e altre forme di espressione e di consuetudini culturali che abbiamo motivo di tenere in gran conto.”
Quando ho letto questo, qualcosa si è scattato dentro di me. Finalmente avevo una risposta, magari parziale ad un mistero che mi aveva tormentato da molti anni.
Era proprio Amartaya Sen che aveva posto le basi di quel mistero. All’assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) dove Sen era l’ospite d’onore, lui aveva parlato delle diseguaglianze della salute tra i paesi e all’interno dei singoli paesi. Salute e il prodotto interno lordo pro capite sono collegate, ma questo non è sufficiente per spiegare le differenze nello stato di salute dei popoli, aveva detto, e aveva parlato di Cuba. Anche se l’America ha un PIL 10 volte più alto, per quanto riguarda gli indicatori basilari della salute come l’aspettativa media della vita o la mortalità infantile, è più o meno allo stesso livello di Cuba.
Poi, avevo avuto l’occasione di approfondire meglio il tema delle diseguaglianze della salute. In fatti, l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla salute Globale (A Caro Prezzo, OISG, ed. ETS, 2006) per quale avevo contribuito qualche articolo, era centrato tutto sulle diseguaglianze della salute. Le scelte del governo cubano di privilegiare i servizi di salute comunitaria, la garanzia dell’accesso universale ai servizi sanitari di base, buon livello di educazione primaria, ecc. sono fattori che spiegano il perché dei buoni risultati raggiunti dalla Cuba in questo senso.
Tra le persone che si occupano dei temi legati alla salute globale, più di una volta si è discusso della cecità degli esperti internazionali verso questi risultati cubani, quando si parla delle strategie per migliorare lo stato della salute dei popoli.
Poi, qualche anno fa in una riunione ragionale tenutasi in Nicaragua, ho avuto l’opportunità di interagire con un gruppi di medici cubani. Pensavo di sentire una immediata simpatia verso loro invece dopo qualche dibattito ho iniziato a cercare di evitarli. Era lo stesso con il gruppo che rappresentava la Venezuela. Mi sembravano paranoici, insistevano a usare parole come proletariato, rivoluzione, imperialismo, ecc. come formule retoriche, ogni tanto tiravano fuori riferimenti alla nobilità e grandezza dei loro leader massimi (Castro e Chavez) e sembravano incapaci di ragionare in maniera libera su qualunque tema senza ricorrere a queste parole.
Forse non mi conoscevano abbastanza. Forse non si fidavano di me. Forse perché era una riunione dell’OMS ed erano presenti i rappresentanti governativi. Non so il motivo. Comunque ne ero rimasto male. Non lo volevo ammettere ma dentro di me sentivo un disagio invece della simpatia.
Così quando ho letto le parole di Sen, “Avere un alto prodotto interno lordo (PIL) pro capite ma poca musica, poca arte, poca letteratura e così via, non sarebbe un indice di grande successo dello sviluppo”, qualcosa si è scattato dentro di me. Era questa sensazione della loro non libertà, di dover esprimersi con certe parole, che mi aveva creato il disagio, anche se sentivo e tutt’ora sento, ammirazione per i risultati raggiunti dai loro programmi sanitari.
Quando ho letto questo, qualcosa si è scattato dentro di me. Finalmente avevo una risposta, magari parziale ad un mistero che mi aveva tormentato da molti anni.
Era proprio Amartaya Sen che aveva posto le basi di quel mistero. All’assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) dove Sen era l’ospite d’onore, lui aveva parlato delle diseguaglianze della salute tra i paesi e all’interno dei singoli paesi. Salute e il prodotto interno lordo pro capite sono collegate, ma questo non è sufficiente per spiegare le differenze nello stato di salute dei popoli, aveva detto, e aveva parlato di Cuba. Anche se l’America ha un PIL 10 volte più alto, per quanto riguarda gli indicatori basilari della salute come l’aspettativa media della vita o la mortalità infantile, è più o meno allo stesso livello di Cuba.
Poi, avevo avuto l’occasione di approfondire meglio il tema delle diseguaglianze della salute. In fatti, l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla salute Globale (A Caro Prezzo, OISG, ed. ETS, 2006) per quale avevo contribuito qualche articolo, era centrato tutto sulle diseguaglianze della salute. Le scelte del governo cubano di privilegiare i servizi di salute comunitaria, la garanzia dell’accesso universale ai servizi sanitari di base, buon livello di educazione primaria, ecc. sono fattori che spiegano il perché dei buoni risultati raggiunti dalla Cuba in questo senso.
Tra le persone che si occupano dei temi legati alla salute globale, più di una volta si è discusso della cecità degli esperti internazionali verso questi risultati cubani, quando si parla delle strategie per migliorare lo stato della salute dei popoli.
Poi, qualche anno fa in una riunione ragionale tenutasi in Nicaragua, ho avuto l’opportunità di interagire con un gruppi di medici cubani. Pensavo di sentire una immediata simpatia verso loro invece dopo qualche dibattito ho iniziato a cercare di evitarli. Era lo stesso con il gruppo che rappresentava la Venezuela. Mi sembravano paranoici, insistevano a usare parole come proletariato, rivoluzione, imperialismo, ecc. come formule retoriche, ogni tanto tiravano fuori riferimenti alla nobilità e grandezza dei loro leader massimi (Castro e Chavez) e sembravano incapaci di ragionare in maniera libera su qualunque tema senza ricorrere a queste parole.
Forse non mi conoscevano abbastanza. Forse non si fidavano di me. Forse perché era una riunione dell’OMS ed erano presenti i rappresentanti governativi. Non so il motivo. Comunque ne ero rimasto male. Non lo volevo ammettere ma dentro di me sentivo un disagio invece della simpatia.
Così quando ho letto le parole di Sen, “Avere un alto prodotto interno lordo (PIL) pro capite ma poca musica, poca arte, poca letteratura e così via, non sarebbe un indice di grande successo dello sviluppo”, qualcosa si è scattato dentro di me. Era questa sensazione della loro non libertà, di dover esprimersi con certe parole, che mi aveva creato il disagio, anche se sentivo e tutt’ora sento, ammirazione per i risultati raggiunti dai loro programmi sanitari.
Yaoni Sànchez, una cubana che descrive la vita quotidiana in Cuba nel suo blog Generación Y, è una delle persone che esprimono questo disagio.
Ma allora è giusto guardare soltanto gli indicatori della salute e dell’educazione senza pensare alle libertà individuali? Se guardiamo il numero dei paesi con dittatori feroci che limitano le libertà individuali e che hanno pessimi indicatori della salute e dell’educazione, l’esempio di Cuba comunque resta importante.
Questo ha fatto nascere un’altra domanda dentro di me. I risultati raggiunti da Cuba, i loro sistemi di sanità comunitaria e educazione primaria, sono possibili in un macro sistema che non è basato sulla censura e sul controllo di quello che le persone pensano e esprimono? Forse si, perché oltre a Cuba, anche lo stato di Kerala in India con un PIL pro capite dei paesi poveri, vanta di indicatori basilari relativi alla salute e all’educazione pari ai paesi sviluppati.
Ma allora è giusto guardare soltanto gli indicatori della salute e dell’educazione senza pensare alle libertà individuali? Se guardiamo il numero dei paesi con dittatori feroci che limitano le libertà individuali e che hanno pessimi indicatori della salute e dell’educazione, l’esempio di Cuba comunque resta importante.
Questo ha fatto nascere un’altra domanda dentro di me. I risultati raggiunti da Cuba, i loro sistemi di sanità comunitaria e educazione primaria, sono possibili in un macro sistema che non è basato sulla censura e sul controllo di quello che le persone pensano e esprimono? Forse si, perché oltre a Cuba, anche lo stato di Kerala in India con un PIL pro capite dei paesi poveri, vanta di indicatori basilari relativi alla salute e all’educazione pari ai paesi sviluppati.