domenica 1 novembre 2009

Se ami, non devi avere paura

Era il 1960. Il nuovo film di K. Asif con Dileep Kumar e Madhu Bala, Mughle-azam (Imperatore dei Mughal) fu subito dichiarato un successo. Era la storia tragica di amore tra Shekhu (Dileep Kumar) figlio dell'imperatore Akbar (Prithviraj Kapoor) e la bella danzatrice Anarkali (Madhu bala). Imperatore quando viene a sapere che il principe vorrebbe sposare la danzatrice, si arrabbia e fa imprigionare Anarkali (letteralmente "bocciolo di melograno") e minaccia di farla ammazzare.

"Devi dichiarare che in cambio di soldi hai accettato di rinunciare al matrimonio con il principe, se vuoi vivere", viene detto a Anarkali. Sembra che non vi sia altra scelta e Anarkali accetta, chiede solo di ballare un'ultima volta nel palazzo reale. Al principe viene raccontato che la bella Anarkali non lo amava da vero e si è venduta per i soldi.

Anarkali arriva al palazzo dell'imperatore e inizia a ballare. Dichiara apertamente il suo amore per il principe e dice che preferisce morire piuttosto di rinunciare al suo amore. Ad un certo punto, tira fuori il coltello dalla cintura del principe e lo porta all'imperatore.

La bella Anarkali non poteva sfidare il potere dell'imperatore e continuare a vivere. In fatti alla fine del film, viene sepolta viva dentro un muro. Ma dopo quasi 50 anni, la sua canzone d'amore "Giab piar kia to darna kia?" (Se ami, non devi avere paura) non mostra segni di invecchiamento. La canzone era subito diventato l'inno degli innamorati indiani.

Dopo alcuni anni, la bella Madhubala morì perché soffriva di un disturbo al cuore, ma il suo nome resta legato a questa canzone.

Da diversi anni, in India le persone omosessuali lottano per far cambiare la legge che criminalizza i rapporti omosessuali. Recentemente la corte suprema indiana ha dato ragione a loro ed ha chiesto il governo di cambiare questa legge discriminatoria. In giugno 2009, durante la seconda parata Gay-Lesbian-Bisexual-Transgender (GLBT), ho visto una coppia di ragazze che portavano la scritta - "Giab piar kia to darna kia", ciò è, "Se ami, non devi avere paura".



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La visita

Il nostro gruppo aspettava fuori nella piazza del Quirinale. Nel gruppo vi erano anche Jose venuto dall'America, Zilda venuta dal Brasile e Kofi venuto dal Ghana. Tutte le tre persone erano ospiti un po' particolari per il Quirinale. Erano venute in Italia per la canonizzazione di Padre Damiano e tutte le 3 persone avevano avuto la lebbra in passato.

Quando avevamo scritto al Quirinale per chiedere un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, avevamo spiegato l'importanza di questo incontro. "Oggi la lebbra è facilmente curabile. Quando le persone iniziano a prendere le medicine, diventano non contagiose quasi subito, per cui alla fine, oggi la lebbra dovrebbe essere una malattia come tante altre. Invece non è così. I muri di pregiudizi che circondano questa malattia, continuano ad essere alti come sempre e le persone che hanno avuto la malattia continuano a subire discriminazioni."

Per questo motivo, l'incontro con il Presidente Napolitano doveva essere un gesto simbolico forte, per far capire le persone che non vi era bisogno di avere paura.

Qualche giorno prima dell'incontro abbiamo saputo che il Presidente Napolitano era occupato ma che potevamo incontrare il segretario generale del Quirinale. Eravamo li per questo incontro.

Avevo sentito che per entrare al Quirinale vi sono controlli di sicurezza e non possiamo portare la macchina fotografica. Invece, quando siamo entrati, nessuno ci fermò o ci controllò. Avevo la macchina fotografica e scattavo diverse foto, e nessuno mi ha detto di lasciare la mia macchina fotografica fuori. Tutto il personale era molto cortese, molto gentile, ma mi è sembrato che nessuno si è avvicinato troppo a noi.

Mentre eravamo nella sala d'attesa, mi è venuto il dubbio che forse il personale del Quirinale aveva paura delle persone guarite dalla lebbra, e per questo nessuno ci aveva controllato o avvicinato. Ho avuto un attimo di paura che avremmo fatto una brutta figura davanti a questi ospiti venuti da altri paesi.

Invece il segretario generale del Quirinale, consigliere Donato Marrà è stato bravissimo. Ha ascoltato tutti senza mostrare segni di impazienza e alla fine, ha salutato i nostri tre ospiti con un abbraccio. Mi sono sentito orgoglioso di essere li come parte del gruppo italiano e i nostri tre ospiti si erano emozionati.


Alla fine mentre tornavamo Kofi ha detto, "E' una persona molto generosa e gentile. Non ho visto persone di suo livello comportarsi in questo modo!"

Identità, dolore e violenza

Oggi (3 ottobre) ero a Ferrara al Festival di Internazionale, definito come "un weekend con i giornalisti del mondo". E per la prima volta nella mia vita, ero ufficialmente "un giornalista"! Alcuni giorni fa avevo provato a compilare il modulo per i giornalisti al sito del Festival, giustificandolo per il mio rapporto con il sito di Kalpana e poco dopo avevo ricevuto la conferma della mia registrazione.

L'anno scorso al premio Grinzane Cavour ero stato uno "scrittore", anche quella era la prima volta che mi ero trovato nei panni scomodi di un'identità nuova!

Sia come scrittore che come un giornalista, mi sento un po' un impostore e forse un traditore, forse perché dentro di me, vorrei sentirmi ancorato alla mia identità di medico e magari di quello che lavora per un organismo umanitario senza dubbi e ambiguità? Ci ho pensato, quando Suad Amiry, la scrittrice e architetto, metà palestinese e metà siriana che vive a Gaza e scrive della vita palestinese, si è definita come "scrittrice per caso" (accidental writer).

Cosa significa sentirsi dentro di se diverse identità? Suad ha detto che è naturale avere identità multiple, che siamo anche figli e genitori allo stesso momento, siamo fratelli e zii allo stesso momento, così possiamo essere anche architetti e scrittori allo stesso momento. Lei definiva la propria identità come le 20 pagine di un libro, che viene semplificata e ridotta a una pagina sola, quella di essere "musulmani arabi fanatici" per poter colpirli e giustificarsi davanti agli altri. In questo senso, le parole che parlano delle nostre identità, le descrizioni dei popoli che evocano le nostre immagini, sono strumenti molto potenti.

"C'era un tempo che dicevano che le mamme vietnamite, non erano come noi. Mandavano i propri figli a morire per le strade. Oggi siamo noi, le mamme palestinesi, ad essere descritte così", ha detto Suad.

E' stato molto bello e forte la sessione su "La scrittura al tempo della violenza". I tre relatori rappresentavano tre diversi modi di essere scrittori e di ragionare sulla violenza nella loro scrittura.

Abdourahman Waberi, originario di Gibuti, che vive tra Francia e Stati Uniti, ha scritto "Gli Stati Uniti d'Africa", nel quale lui capovolge il mondo e guarda alla "povera Europa" dagli occhi di un'Africa ricca e potente, e vede le tribù e le etnie in lotta tra di loro in Italia, in Svizzera, in Belgio. Il suo approccio mi sembrava più intellettuale e cerebrale.


Romesh Gunesekera, originario di Sri Lanka, cresciuto tra le Filippine e l'Inghilterra, ha parlato dei suoi libri come "the Reef", dove storie umane all'improvviso si trovano mischiate nella violenza. Il suo modo di parlare e di ragionare sul suo lavoro era molto più legato all'emotività e alla sensibilità umana.

Dopo l'incontro, mentre camminavo con Romesh fuori, parlavamo degli scrittori emigrati per i quali il tema della ricerca delle proprie radici è spesso una fase importante del loro lavoro. Lui ha risposto che "tutti i bravi scrittori sono stati emigrati - da Dante a Shakespear". Era un'affermazione che mi ha incuriosito. Sapete dei bravi scrittori che non sono mai andati fuori dalle proprie città, per rispondere a Romesh? Comunque, penso che non è una domanda molto chiara, perché come si fa a definire "un bravo scrittore"?


Invece Suad Amiry parlava della violenza come vita vissuta, non come qualcosa di astratto. Aveva un modo molto semplice di parlare e spesso cercava di sdrammatizzare quando parlava delle situazioni tremendamente dolorose o tragiche, cercava di farci ridere. Invece aveva due occhi pieni di tristezza, e nonostante la risata o il sorriso, ogni tanto il tremolio della sua voce o gli occhi che diventavano lucidi, tradivano il dolore. Mi è piaciuta molto e vorrei leggere i suoi libri.


Maria Nadotti, giornalista italiana che conduceva l'incontro è stata brava. La sua osservazione che mentre emigrazione riduce e rimpicciolisce i paesi coinvolti nelle guerre, allo stesso momento espande i loro confini, per esempio come gli scrittori emigrati, mi è piaciuta molto e mi ha fatto riflettere.


Dopo questo incontro, ho ascoltato anche Christian Caujolle, il responsabile dell'agenzia di fotografia Vu di Parigi. Mi aspettavo qualcosa di diverso e non sempre condividevo quello che lui diceva. E' vero che la mia comprensione del francese non è proprio perfetta, e forse non ho capito bene quello che lui diceva, ma la distinzione che lui faceva tra la fotografia come un'immagine stampata frutto della reazione delle particelle di argento e le immagini digitali, mi è sembrata più una posizione nostalgica che di reale differenza.


Non mi trovavo anche con il suo discorso sulla quantità e la qualità per parlare della fotografia digitale come qualcosa di inferiore. Ma anche le macchine fotografiche tradizionali, ormai non erano usate da tutti? Forse lui parlava dell'enorme quantità di foto che si possono fare le macchine digitali?

Invece mi è piaciuto il suo discorso sul rapporto tra la macchine digitali e l'internet e come le due tecnologie sono venute insieme per crescere, rinforzandosi a vicenda.

Il mio ultimo incontro del pomeriggio, l'avevo con la giornalista cinese Karen Ma che vive a Nuova Delhi. Mentre l'aspettavo, ho visto Fred Pearce, il giornalista della rivista scientifica New Scientist, che appare spesso anche su Internazionale con il suo pezzo sul valore ecologiche delle nostre scelte quotidiane. Mentre l'argomento ambiente è tra le mie passioni, il suo modo di ragionare mi lascia indifferente e raramente lo leggo.


L'incontro con Karen Ma mi ha sorpreso. All'inizio, si vedeva che non era a proprio agio mentre parlava con me. Conoscendo i delicati rapporti tra India e Cina, potevo capire la sua paura di trovarsi in qualche pasticcio con la stampa indiana. Invece dopo un po' si è rilassata. Mi ha sorpreso un po' la sua considerazione che non riesce a capire il modo di ragionare degli indiani, i quali non dicono mai niente in maniera chiara, sopratutto quando non sono in accordo con qualcosa o se devono dire di no per qualcosa. Penso che sia un tratto comune in tutta Asia, questa difficoltà ad essere sinceri e chiari per "non urtare i sentimenti del altro" o "per non essere maleducati"! Anche tra i cinesi, penso che funziona così. Forse lei ha bisogno di più tempo per iniziare a capire il linguaggio non verbale degli indiani, quando vogliono dire di no, le ho suggerito.


Ho registrato tante interviste e interventi oggi al Festival. Spero prima o poi, di trascriverli tutti e presentarli. In tanto, sono felice per questa giornata così stimolante e ricca, grazie a Internazionale.

martedì 29 settembre 2009

Vita dopo la morte

Ciao sono "Awaragi", il blog italiano di Sunil. Ero nato su questa piattaforma nel giugno 2005. Era solo 4 anni fa, ma per la tecnologia dei blog, erano altri tempi. Inoltre Sunil aveva scelto di ospitarmi sul suo sito Kalpana e aveva deciso di usare un template speciale e molto bello.

Purtroppo con tempo, la tecnologia è cambiata e quel template così bello e speciale, è diventato un limite. Non è facile cambiarlo. Non è facile aggiornare il blog. Quello che è stato scritto qui (in 238 post) deve restare chiuso qui dentro, perché non si può importare questi contenuti da altre parti. O, forse dovrei dire che con la sua conoscenza della tecnologia, Sunil non è stato capace di farlo.

Così da tanto tempo brontolavo con lui. Alla fine lui ha ceduto e ha deciso di costruire un nuovo corpo per me, e sono rinato con giovane e leggero, come nuovo awaragi.Ciao vecchio Awaragi, resti in pace. Spero di tornare a rivisitarti qui ogni tanto per vedere quello che era scritto su queste pagine e magari portare i migliori post al nuovo blog. Spero che i miei vecchi lettori verrano a trovarmi nella mia nuova casa.Invece, è arrivato il momento di dire addio a questo corpo di Awaragi. Ciao caro mio, resti in pace.


Non avevo fatto i conti con l'abitudine! Wordpress è una bella piattaforma, ma sono abituato a Blogger. Il problema di template che avevo è stato risolto e alla fine, ne anche un mese, sono tornato in dietro al mio vecchio blog!

venerdì 21 agosto 2009

Un padre per mio figlio (Kuch na kaho, India, 2003)

Avevo sbagliato. Avevo scritto che il titolo indiano del film di domani sabato 22 agosto sera, “Un padre per mio figlio” era “Dil ka rishta”, invece si tratta di un’altro film, “Kuch na kaho” (letteralmente significa, “Non dire niente”). Sapevo solo che c’era Aishwarya Rai nel film e dal nome italiano avevo cercato di indovinare.

Nel 2003, “Un padre per mio figlio” era primo film insieme della coppia Aishwarya Rai e Abhishekh Bacchan. Era il primo film del regista Rohan Sippy, amico d’infanzia di Abhishekh e figlio del regista Ramesh Sippy. Nel 1975 Ramesh Sippy aveva girato un film “Sholay” (Fiamme) con gli attori Amitabh Bacchan e Jaya Bhaduri, i genitori di Abhishekh. Amitabh e Jaya sono considerate due icone del cinema di Bollywood. Da allora Rohan e Abhishekh erano amici.

In quell’epoca Aishwarya aveva una storia sentimentale con l’attore Salman Khan, mentre Abhishekh pensava di sposare Karishma Kapoor, la sorella maggiore di Kareena. Nessuna delle due storie andò a buon fine. Nel 2007, Aish e Abhi si sono ritrovati per girare un altro film, “Guru” e dopo quel film si sposarono.

Il film è la storia di Raj (Abhishekh), un ragazzo di origine indiana che vive in America, in una vista in India. Durante un matrimonio lui conosce Namrata (Aishwarya). Poi scopre che Aishwarya è già sposata e ha un figlio, ma il suo marito Sanjeev (Arbaaz Khan) l’ha lasciata da diversi anni e forse si è messo con un’altra donna. A tutti gli effetti, Namrata può essere considerata singola. Quando Namrata si accorge del buon rapporto tra il suo figlio e Raj, poco alla volta nasce l’amore tra i due. In quel momento, all’improviso, Sanjeev torna a casa e pretende di avere il ruolo del marito.

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La conclusione del ciclo Amori Con ... Turbanti 2009

Era bello ogni settimana sentirsi un po’ tristi perché “oramai il ciclo Amori Con ... Turbanti” è finito e poi scoprire invece che la festa continuava. Invece sembra che questa volta siamo proprio a capolinea con “Un padre per mio figlio”. Dal sabato 29 agosto, riprenderà la normale programmazione delle reti RAI. Immagino che le persone che hanno curato questa serie presso la RAI siano giustamente soddisfatte, forse non si aspettavano questo successo di pubblico.

Ma un giorno questi film potranno uscire anche al cinema? Penso che vi sono delle possibilità nuove che ciò sarà possibile, magari per un numero limitato dei film.

Sono le diaspore, gli emigrati sparsi in altri paesi che trascinano i film dei propri paesi all’estero. Già da diversi anni, i film indiani escono in pochi cinema nei paesi come Olanda, Francia, Svizzera e Germania. Qualche volta sono proiettati soltanto durante la fine settimana, e sono indirizzati sopratutto alle persone dei paesi sud asiatici – India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, Nepal.

I film di Bollywood hanno una distribuzione migliore nei paesi come la Gran Bretagna perché lì il numero di emigrati sud asiatici è molto più alto, per cui, è possibile vederli anche nelle multisale moderne e nei centri città. Negli ultimi 3-4 anni, alcuni film di Bollywood hanno voluto le antiprime mondiali proprio a Londra nei cinema di Leicester square.

In Italia ciò non è possibile perché gli emigrati sud asiatici sono piccola percentuale, al massimo in qualche città si può pensare a proiezioni di film durante i fine settimana. Ma in fondo, la questione fondamentale è quella economica – si può guadagnare con i film indiani? Sembra che alcuni grandi distributori di film a livello mondiale – Sony, Fox, ecc. pensano che ciò è possibile.

“Sawariyaa”, il film di Sanjay Leela Bhansali uscito nel 2007 è arrivato in Italia proprio perché era una coproduzione di Sony. Nel 2008, Warner ha co-prodotto Chandni Chowk to China, un colossal indo-cinese che non ha trovato consenso pubblico, per cui non ha trovato la distribuzione mondiale, ma forse arriverà anche in Italia in DVD.

Anche la Fox ha fatto un accordo con il regista e produttore Karan Johar per la distribuzione del suo nuovo film, “My name is Khan” (il mio nome è Khan), con le due stelle di Bollywood, Shahrukh Khan e Kajol. Il film parla del sospetto degli americani verso i musulmani dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Settimana scorsa, Shahrukh Khan è stato fermato all’aeroporto di New York dalla polizia, insospettita per il suo nome musulmano, ed è stato tenuto chiuso per 2 ore. La notizia ha creato un’onda di indignazione tra i milioni di fans di Shahrukh Khan in India, ma l’episodio ha servito come pubblicità al suo film.

Alcuni anni fa con i film di Zhang Zimou (Addio mia concubina, Lanterne rosse) e di Ang Lee, anche il cinema cinese è arrivato sulla scena mondiale. Ciò non significa che potremmo vedere tutti i film cinesi che vogliamo – soltanto alcuni film importanti arrivano in Italia. Lo stesso potrebbe succedere con il cinema indiano.

domenica 16 agosto 2009

“La paura nel cuore” e “Un Padre per mio figlio”

Pensavo che “La Paura nel cuore” forse l’ultimo film del ciclo “Amori Con... turbanti” invece sembra che il ciclo continuerà per il momento, forse perché questi film hanno avuto il successo dell’audience. Il film del prossimo sabato, 22 agosto è “Un padre per mio figlio” (Titolo originale, “Dil Ka Rishta”, India 2003).

Prima di parlare di “Un padre per mio figlio”, vorrei spiegare un po’ il contesto culturale del film di ieri, “La paura nel cuore”. Il film è ambientato in due luoghi principali – la città di Nuova Delhi e una valle vicina a Udhumpur in Kashmir. Mentre la parte relativa a Delhi è stato girato a Delhi, la parte relativa al Kashmir, sopratutto la parte conclusiva con tutto il paesaggio coperto di neve è stato girato in qualche paese dell’est Europa, perché le condizioni di sicurezza in Kashmir non permettevano di girare il film.

La città di Delhi del film di ieri, non era la città dove vive la gente, ma era sopratutto la città dei grandi monumenti del sud di Delhi, la città dei turisti, con i monumenti delle dinastie Khilji e Mughal. Recentemente, alcuni film sono stati ambientati nella Delhi vera, quella dove vivono le persone normali. Tra questi i film più belli sono - Rang de Basanti (Colorami d'arancione), Khosla Ka Ghosla (Il nido dei Khosla) e Oye Lucky, Lucky Oye (Un richiamo per Lucky). Invece nel film di ieri, le scene che dovevano rappresentare la vita nella città, mancavano di ambientazione reale.

La prima parte del film con lo scambio continuo di poesie era basato sulla cultura “shero-shayiri” nata negli anni della dinastia Mughal. I “sher” sono breve poesie in lingua urdu, un po’ simili agli Haiku giapponesi, nel senso che sono governate da alcune regole fisse. Immagino che la traduzione di queste poesie, sicuramente avvenuto dalla traduzione in inglese delle poesie originali, non deve essere stato facile. Anche se le poesie recitate nel film, almeno per me, non avevano la bellezza dei “sher” originali, erano comunque belle, ma forse non molto comprensibile. Se volete conoscere di più su sulle regole che governano i “sher” per cimentarvi in qualche sher in italiano, vi consiglio un mio post su questo blog di qualche tempo fa – le poesie indiane.

Sono contento che nel film di ieri sera, la RAI aveva deciso di lasciare qualche spezzone di alcune canzoni. Mentre ogni film di Bollywood dovrebbe avere della musica originale, qualche volta i registi decidono di usare parti di una vecchia e famosa canzone, sopratutto quando vogliono sottolineare le emozioni. Gli spettatori indiani che conoscono queste vecchie canzoni a memoria, possono subito intuire i collegamenti la scena attuale con le scene dei film già conosciuti. Così in “Vogliamo essere amici”, il protagonista Raj (Hrithik Roshan) ascoltava e cantava “Pyar hua iqrar hua, to pyar se phir kyon darta hai dil” (Se mi sono innamorato, se l’ho accettato, allora perché ho la paura dell’amore) da un film degli anni cinquanta (Shri 420). Anche in “La paura nel cuore” vi era una vecchia canzone in sottofondo quando Zooni (Kajol) vuole passare la notte con Rehan, ma lui vorrebbe tirarsi in dietro. La canzone era:

Lag ja gale, ke phir ye hasin raat ho na ho
Shayad phir iss janam mein, mulakat ho na ho


Abbracciami, una notte bella così potrebbe non tornare mai più
Può darsi che in questa vita, non incontreremo mai più

Questa canzone è stata definita “la canzone più romantica di Bollywood”, è dal film “Woh kaun thi?” (Chi era lei?) del 1964. Ovviamente classifiche come queste, sono molto soggettive. Se volete sentire questa canzone, potete guardare il video di Youtube, i protagonisti sono Manoj Kumar e Sadhana. Alla fine del video, si ha anche la possibilità di guardare qualche altra canzone di questa classifica delle "canzoni più romantiche" di Bollywood.

Il film di ieri era doppiato bene e nell'insieme i tagli erano stati fatti con cura, per cui il film aveva un ritmo giusto. L'unico punto debole era la mancanza di sottotitoli durante le canzoni. Dato che capisco le parole delle canzoni, mi sembra che aiutano ad aumentare le emozioni della scena, e penso che sarebbe opportuno che siano sottotitolate ma forse la musica ha un linguaggio universale e non sapere il senso delle parole delle canzoni non influisce troppo negativamente?
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Il prossimo film “Un padre per mio figlio” (Titolo originale “Dil Ka Rishta”, India, 2003) è la storia di Tia (Aishwarya Rai) e Jai (Arjun Rampal). Jai è innamorato di Tia, ma poi scopre che Tia è già fidanzata con Raj (Priyanshu Chaterjee). Tia si sposa con Raj e hanno un figlio. Anni passano. In un incidente stradale con la macchina di Jai, Raj muore e Tia resta gravemente ferita e perde la memoria. Jai vorrebbe farsi perdonare per aver causato la morte del suo marito. Insomma, un normale film masala di Bollywood con gli amori non corrisposti, i malintesi vari, la madre conservativa, ecc.

Altri attori del film sono Isha Koppikar (nel ruolo della amica di Tia) e Rakhi (nel ruolo della madre di Tia). Isha Koppikar ha lavorato in alcuni film anche come la protagonista principale, mentre Rakhi, era una delle stelle di Bollywood negli anni settanta e ottanta.

I tre protagonisti principali del film, hanno tutti iniziato la carriera come modelli. Aishwarya Rai è stata Miss India e poi Miss Mondo e ha già lavorato in alcuni film occidentali. Arjun Rampal, uno dei modelli più popolari in India, non ha trovato successo per molti anni e soltanto nel 2007-08 ha trovato popolarità come attore. Priyanshu Chatterjee, ha lavorato in alcuni film negli anni 2000-05 ma ultimamente non si è visto nei film.

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