mercoledì 16 maggio 2012

La lettera di Sikand

Per più di 25 anni, Prof. Yoginder Sikand è stato una voce autorevole per parlare della situazione delle minoranze oppresse e emarginate in India. Ha parlato e ha scritto più volte sulla situazione dei gruppi come le cosidette "caste basse" e i musulmani in India e ha denunciato con forza i meccanismi del fondamentalismo indù.  Lui scrive regolarmente per riviste indiane autorevoli come l'Outlook.

Il 19 aprile scorso, lui ha pubblicato una lettera shock, intitolata, "Perché rinuncio all'attivismo sociale", dove lui parla del suo bisogno di introspezione e riflessione, e del "negativismo" che pervade i "progressisti" indiani impegnati nelle lotte per i diritti dei gruppi oppressi e delle minoranze etniche e religiose.

La lettera di Sikand ha toccato un vespaio, con lancio di accuse e di controaccuse di altri "progressisti" e attivisti sociali nelle settimane successive, i quali si sono sentiti colpiti dalle critiche di Sikand.

Penso che sia utile riflettere su alcune questioni che solleva Sikand nella sua lettera:
"..essendo un attivista sociale, avevo immaginato che le fonti di tutta l'oppressione e di tutta la negatività erano esterne - "là fuori" nel "mondo oltre" - da cercare nelle classi sociali, nelle caste, nelle strutture e nelle ideologie che avevo identificato come oppressive - Bramini e Commercianti, Ebrei, Americani e i loro fedeli Sauditi-Wahabiti, Feudalismo, Comunalismo, Capitalismo, Castismo, Zionismo, Braminismo,  Fondamentalismo religoso, Imperialismo e così via. Se potevamo combattere contro questi oppressori, avevo creduto, che il mondo si sarebbe cambiato...
.. l'odio che spesso passa per il "progressismo" nei circoli degli "attivisti" era veramente incredibile, e io ci credevo pienamente. Si imparava a cercare il negativo in ogni angolo e ogni buco, e se non lo trovavi in quelli luoghi, allora immaginavi fermamente che esisteva lo stesso.Tutta la tua vita era una grande protesta. Protestare contro le ingiustizie reali o immaginarie era quasi la sola cosa rispettabile che potevi fare ...
Ma questo negativismo dei circoli degli attivisti era solo verso una parte, perché per essere contato come un "attivista sociale" "vero" era impensabile trovare difetti di qualunque tipo negli "oppressi". Per un "attivista sociale" era impensabile anche parlare, tanto meno condannare, qualcosa che "non andava bene" nelle "comunità oppresse" - ingiustizie di genere o lotte di caste tra le "caste basse" o l'oscurantismo e la misoginia che insegnano nelle scuole musulmane tradizionali (madrasse) o gli attacchi terroristici e l'uccisione degli innocenti da parte dei naxaliti (maoisti) e dei musulmani radicali - parlarne era visto come un tradimento. Rapporti riguardo simili cose erano da ignorare perché sono "la propaganda maliziosa della classe regnante" o perché è "il lavaggio strumentale di cervello da parte dei bramini" o anche perché è "una reazione comprensibile delle comunità di minoranze vulnerabili all'oppressione delle caste / classi / imperialisti dominanti". Qualche volta, anche se si poteva accettare con riluttanza che i rapporti erano veritieri, si cercava di lasciarli passare sotto silenzio per "rispettare le sensibilità degli oppressi" o come "piccole contradizioni" che non bisogna esternalizzare perché ciò avrebbe "diviso" gli oppressi e avrebbe "sabotato" la lotta contro "l'oppressione" e sarebbe stato "fare il gioco dei veri oppressori".
Oltre alle sue confessioni sul proprio mondo "progressista", Sikand spiega la propria decisione di abbandonare l'attivismo sociale con queste parole:
"Anche se riconoscevo che l'ingiustizia sociale era una realtà universale, ed anche brutale, sopratutto per alcuni gruppi di minoranze, ho dovuto accettare anche le "minoranze" sono spesso colpevoli delle stesse ingiustizie (per esempio per come trattano le donne e le altre minoranze tra di loro) come le "maggioranze" e che nessuna comunità ha il monopolio, ne sulle virtù, né sui peccati. Un marito o padre tiranno, che esso sia musulmano o Dalit, è ugualmente oppressore quanto un bramino, almeno per me... affinché le persone non cambieranno come individui, non è importante in quale "sistema" credono, quale è la loro religione, o di quale retorica radicale parlano... affinché le persone, compreso gli oppressi, resteranno come sono, con tutta la negatività che abbiamo dentro, l'oppressione resterà intatto, anche se le sue forme possono cambiare e gli "oppressi" di oggi diventeranno gli "oppressori" di domani. La sola rivoluzione che cercavo, avevo capito, era quella interna... soltanto se mi riformavo veramente, se mi guarivo psicologicamente dal di dentro, per diventare intero, gentile e amorevole, ho capito, solo allora potrò veramente aiutare gli altri...
"So che non voglio più cambiare il mondo, dolorosamente consapevole che non importa quanto posso provare, i problemi del mondo resteranno e forse peggioreranno. Perché devo sprecare quello che resta della mia vita inseguendo il miraggio di un mondo senza problemi? ... Lasciamo stare il mondo intero o il "sistema", non ho potuto cambiare ne anche la mia famiglia e gli amici intimi, affinché loro pensassero e comportassero come volevo io .. il meglio che posso fare è di cercare di diventare una persona migliore, più gentile, con più compassione e amore, e di liberarmi di tutta questa negatività che si è entrata dentro di me. Veramente è l'unica e la migliore cosa che posso fare. E se anche gli altri penseranno in questo modo, non ci sarà più bisogno di sognare le rivoluzioni o di cambiare gli altri per avere un mondo migliore."

In qualche modo queste ultime parole di Sikand, mi fanno pensare a Mahatma Gandhi, per il quale la soluzione di ogni problema era dentro di se e per ogni crisi, lui proponeva digiuni o giornate di silenzio per la riflessione e per la purificazione.

Personalmente non ho mai avuto grande amore per le ideologie di qualunque colore. Mi trovo più vicino al pensiero di sinistra, ma non ci sto quando si cerca di giustificare tutto partendo da pensieri ideologici. Proprio per questo motivo, non concordavo quando Arundhati Roy, in qualche modo giustificava la violenza dei maoisti come "unica soluzione possibile dei gruppi emarginati e poveri, perché cosa altro possono fare?"

Ma la lettera di Sikand, vuol dire che non dobbiamo affrontare le ingiustizie? Non credo. Più che altro penso che sia importante liberarsi dagli spazi stretti che ci costruiamo intorno a noi, gli spazi delle ideologie, delle ideologie di sinistra che ripetono i mantra delle lotte contro imperialismo, e delle ideologie di destra che vedono tutte le soluzioni nei mercati.

Nietzsche diceva, "Le convinzioni sono le nemici più pericolose della verità, più delle bugie." Penso che le ideologie fanno proprio questo, ti spiegano il problema e le soluzioni prima di ascoltare e capire qualcosa. Ti chiudono gli occhi e le orecchie e non puoi più sentire la voce delle persone.

Concordo con Sikand che se non siamo aperti alle riflessioni e all'auto-cambiamento, non possiamo cambiare gli altri. Anche Raoul Follereau diceva, "cambiare noi per cambiare il mondo". Penso che le parole di Sikand hanno valore non solo per i "progressisti" indiani ma per tutti quelli che si nascondono dietro alle ideologie.

Se volete leggere l'intera lettera di Sikand (in inglese) la troverete cliccando al sito di Counter-currents.

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martedì 20 marzo 2012

Immigrati e tradizioni culinarie degli altri

"Ho comprato il polvere di curry", mi aveva detto l'amica.

Veramente non avevo idea di cosa parlava, ma non le avevo detto niente.

In Europa tante persone pensano che il polvere di curry sia una spezia speciale che si usa per cucinare i piatti indiani, ma spesso gli indiani non sanno che c'è qualche spezia che si chiama il polvere di curry. La storia del polvere di curry somiglia alla storia della salsa per fare "spaghetti alla bolognese" che tutto il mondo sembra conoscere, a parte i bolognesi.

Infatti in India, la parola "curry" ha diversi significati.

Il significato più comune di curry è quello di una pianta aromatica che molte famiglie fanno crescere nel cortile di casa e ogni giorno, prendono alcune foglie fresche da aggiungere al piatto delle verdure verso la fine della cottura. Il nome scientifiche di questa pianta è Murraya koenigii. Le foglie di curry hanno un profumo molto particolare. Sono usate sempre intere, ciò è, non sono macinate per creare il polvere di curry. E non sono piccanti. Non è facile trovare le foglie di curry in Italia anche se rare volte ho visto sacchetti di plastica con foglie secche nei negozi gestiti dalle persone dello Sri Lanka (attenti a non confonderli con il Bay leaf o le foglie di alloro che in India si chiamano i "Tez patta").

Le foglie di curry sono considerate utili per curare diabete, infezioni batteriche, infiammazioni e problemi del fegato secondo il sistema tradizionale di medicina, Ayurveda.

Nel nord-ovest dell'India, la parola "curry" viene utilizzata anche per parlare di piatti a base di carne o di verdure con del liquido, ciò è i piatti "non asciutti", un po' simile all'uso della parola "minestra" nel nord Italia per parlare di primi piatti con un po' di liquido per differenziarli da "pasta asciutta" senza il liquido.

Invece il polvere di colore giallo che la mia amica chiamava "polvere di curry" è una miscela di spezie fatta con curcuma, coriandolo, sedano, aglio, ecc. In India non vendono il polvere di curry, che invece si trova in molti supermercati europei e americani.

Non sapevo come mai in Europa avevano deciso di vendere questa miscela con il nome di curry, finché non ho letto l'articolo di Uma Narayan nel suo libro "Dislocating cultures - identities, traditions and third world feminism" (Dislocando culture - identità, tradizioni e femminismo nel terzo mondo, Edit. Routledge, Londra, 1997)). In questo articolo Narayan parla di immigrazione e le culture culinarie nei contesti coloniali e post coloniali.

"La ricerca delle spezie orientali era una parte importante delle avventure coloniali iniziali", dice Narayan e racconta di una ricerca fatta da Susan Zlotnick sull'incorporazione della "curry" nelle ricette inglesi nell'epoca vittoriana, "Il desiderio per l'Altro e la paura della mescolanza che ciò crea, può essere disattivata tramite le metafore della domesticazione. Le donne della media borghesia possono prendere in casa un prodotto ibrido come curry, il prodotto bastardo dell'unione tra Inghilterra e India, e tramite effetto ideologico di domesticazione,  cancellare le sue origini straniere e rappresentarla come qualcosa di puro inglese."

Cucina indiana
I vari piatti indiani cucinati con diverse spezie sono stati tradotti nella "miscela del polvere di curry" per il palato inglese durante l'epoca coloniale. "Questa India immaginaria e esotica era necessaria per stimolare l'interesse imperiale per incorporare questo gioiello nella corona inglese". Allo stesso momento, India era anche "il paese dei poveri, dei barbari e degli ignoranti", per giustificare perché gli inglesi dovevano colonizzare l'India "per il suo bene, per civilizzarla, per renderla meno barbara e meno ignorante".

Uma Narayan tocca diversi argomenti legati alle tradizioni culinarie, religioni e culture nel suo articolo, nella sua famiglia d'origine in India e come immigrata in Gran Bretagna e in America. Per esempio, parlando delle contraddizioni dei ragionamenti tradizionali sui vari tabù alimentari della sua famiglia, lei ha scritto:

"La sua ripugnanza viscerale verso quelli che mangiano la carne bovina andava oltre agli inglesi fino agli indiani intoccabili, ai musulmani e ai cristiani...(ma) nel suo spazio di preghiera aveva anche la statua di vergine Maria, di Buddha e dei santi sikh. Sono sicura che mia madre avrebbe aggiunto volentieri anche qualche icona musulmana solo se l'Islam non l'avesse intralciata con la proibizione verso qualunque tipo di rappresentazione di Dio in forma di idoli .. il suo disprezzo per i mangiatori di carne bovina poteva convivere con le raccomandazioni generali di rispettare i dei degli altri e di mandare a studiare i suoi tre figli alla scuola cattolica .."

Mi ha fatto riflettere molto questo articolo di Uma Narayan. I primi viaggi degli esploratori e le conquiste imperiali, l'epoca coloniale e i movimenti migratori, tutti hanno influenzato le nostre culture culinarie. Queste stesse influenze esterne, con tempo possono diventare parte integrante delle nostre identità al punto che pensiamo che esse sono caratteristiche nostre e ci differenziano dagli altri. Bisogna saper guardarsi con un senso critico e storico per capire le costruzioni di queste nostre identità.

Oggi molte persone vogliono assaggiare le "culture culinarie esotiche", ma non tutte le culture culinarie straniere sono considerate ugualmente esotiche. Per esempio, penso che le cucine dei paesi africani generalmente non sono considerate esotiche e a parte le persone che hanno vissuto in un paese dell'Africa e conoscono i piatti specifici, la maggior parte delle persone non li conosce. Penso che meno di 1% di persone in Italia sapranno dirvi che cosa è la berberé o lo zighinì, che si preparono in Etiopia e Eritrea, anche se parliamo di piatti delle ex-colonie italiane.

Se la cucina giapponese è considerata raffinata e molto esotica, quella cinese è considerata un po' meno esotica. I ristoranti pakistani o Bangladeshi non avranno molti clienti, per cui preferiscono chiamarsi indiani, perché l'immagine della cultura culinaria dell'India ha più valore. Invece se vi fosse un ristorante nepalese o bhutanese, penso che non dovranno chiamarsi "ristorante indiano" perché i due paesi hanno un'immagine esotica per proprio conto?

Perché vi sono tutte queste differenze tra le diverse culture culinarie straniere?

L'immagine della cultura culinaria di un paese dipende dalla conoscenza e dai rapporti con quel paese. Così in Olanda potete trovare i ristoranti indonesiani e in Francia quelli vietnamiti, perché Indonesia era una colonia olandese e Vietnam era una colonia francese. Invece in Italia, non ho mai visto un ristorante indonesiano o vietnamita. Ma Italia aveva le colonie in Eritrea e Somalia, perché non si vedono i ristoranti eritrei o somali in Italia?

Un'altra domanda che mi pongo è - quello che viene servito in questi ristoranti etnici, perché è così diverso da quello che le persone mangiano in quel paese? Veramente non so se questo è vero per tutti i ristoranti etnici ma è sicuramente vero per i ristoranti indiani. Le tradizioni culinarie di vari stati dell'India, da Rajasthan, Gujarat e Kashmir fino a Kerala, tutte le tradizioni culinarie sono così diverse uno dall'altro, ma non le ho mai viste in un ristorante indiano in Italia. Invece se la vostra conoscenza della cucina indiana è basata sulle visite presso i ristoranti indiani, potete anche immaginare che Tandoori chicken e naan sono i piatti nazionali dell'India.

Ma vale lo stesso per i ristoranti italiani all'estero? Pizza e spaghetti alla bolognese sono i piatti italiani più conosciuti!

Forse è questo il senso di conoscere le culture culinarie degli altri - identificare alcuni piatti, adattarli ai nostri gusti e pensare che siamo sofisticati, siamo persone del mondo, siamo persone che conoscono chi sono gli altri, cosa pensano, cosa mangiano, come ragionano!

Cucina cinese

Cucina brasiliana
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venerdì 20 gennaio 2012

Migliori film di Bollywood nel 2011

Da diversi giorni pensavo ai film di Bollywood visti durante il 2011 per decidere quali film mi erano piaciuti di più e perché.

Alcuni dei grandi successi di Bollywood nel 2011 avevano anche alcuni dei nomi più famosi come Ajay Devgan, Shahrukh Khan e Salman Khan, ma erano noiosi con delle trame vecchie e prevedibili. Tra questo tipo di film c’erano - Ready, Bodyguard e Singham. Alcuni altri film come Ra.one e Don 2, avevano le premesse per essere dei film divertenti ma alla fine mi hanno deluso.

L’attore Salman Khan aveva perso un po’ del suo lustro negli ultimi anni. Poi, nel 2009 è arrivato il suo "Wanted" (Ricercato), un film masala, ciò è un film senza grosse pretese con un trama nel stile tipico di Bollywood. Ma era un film divertente e il suo grande successo aveva sorpreso un po’ tutti. Nel 2010, lui è tornato con "Dabang" (Senza paura), un altro film masala senza grosse pretese, ma divertente e di nuovo era tra i più grandi successi commerciali dell’anno. Così nel 2011, lui è tornato con due film nella stessa tradizione – "Ready" (Pronto) e "Bodyguard" (Guardia del corpo), nelle parti di eroe macho con le spalle larghe e pugni serrati, e anche questa volta i due film sono stati tra i più grandi successi commerciali dell’anno in India.

Personalmente mi erano piaciuti "Wanted" e "Dabang", ma ho fatto fatica a finire di guardare "Ready" e "Bodyguard". Comunque, altri film di Salman Khan nella stessa tradizione sono in programma per il 2012, e bisognerà aspettare per vedere se possono recuperare quella miscela magica di ingredienti illogici che stranamente riesce a trasportarti o saranno le solite storie difficili da guardare!

Shahrukh Khan è uscito con due film nel 2011 – "Ra.one", un film di fantascienza con Kareena Kapoor, e "Don-2", un film di azione con Priyanka Chopra. "Ra.one", nonostante i belli effetti speciali e una Kareena Kapoor in grande forma, era un film insipido e noioso. "Don-2" era leggermente meglio, ma non aveva il brio e l'energia del Don-1. Comunque entrambi i film hanno avuto un discreto successo commerciale per cui, per il momento SRK continua ad essere tra gli attori più importanti di Bollywood. (Qui sotto, una scena di Ra.one)

Migliori film di Bollywood nel 2011

Altri due attori, Akshay Kumar e Abhishekh Bacchan, hanno continuato ad avere difficoltà e i loro film non hanno trovato gli spettatori.

Invece il 2011 è stato l'anno dei piccoli film senza grandi nomi, ma che mi hanno colpito di più.Prima di tutto penso ai 3 film per i bambini che mi sono piaciuti quest anno. Nessuno di questi film ha avuto grande successo commerciale, ma tutti avevano belle storie raccontate in maniera simpatica.


I am Kalam (Io sono Kalam) raccontava l'amicizia tra un ragazzino costretto a lavorare in un ristorantino e un principe. Ambientato nei belli colori del deserto di Rajasthan, il film affronta diverse questioni serie legate ai bambii poveri in India, ma in maniera leggera e piacevole. Il film sembra una fiaba.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Il secondo film sui bambini che mi è piaciuto era "Chillar Party"  (Gli spiccioli) che aveva un ragazzo venuto in città per lavorare, che trova posto in una vecchia macchina abbandonata nel cortile di un condominio. Il ragazzo è molto affezionato ad un cane che vive con lui.All'inizio vi sono problemi tra il ragazzo e gli altri bambini del condominio e per vendicarsi i bambini chiudono il cane del ragazzo in una macchina. La disperazione del ragazzo per non riuscire a liberare il suo cane cambia i loro rapporti. Poi un giorno arriva la polizia municipale per raccogliere i cani randagi per abbatterli e porta via il cane del ragazzo. I bambini del condominio decidono di fare "la marcia delle mutande" per attirare l'attenzione pubblica e per librare il cane. E' un film divertente che non parla direttamente del problema dei bambini poveri, ma lo fa indirettamente.

Il terzo film sui bambini, "Stanley ka dibba" (Il pranzo di Stanley) parla della solidarietà tra i bambini contro gli adulti più meschini. L'insegnante ingordo ruba il pranzo portato da casa dei bambini e prende di mira il povero Stanley che non porta mai il pranzo. I bambini fanno un piano per aiutare Stanley e per liberarsi dell'insegnante ingordo. Era un altro film semplice e simpatico.

Tra gli altri film del 2011 che mi sono piaciuti, vorrei nominare "I am" (Io sono) di Onir, uscito in anteprima al festival River to River di Firenze in dicembre 2010. Il film racconta 4 storie particolari - una donna divorziata che vorrebbe avere un figlio tramite inseminazione artificiale; una ragazza indù scappata con la famiglia dalla valle del Kashmir per paura dei fondamentalisti islamici, torna nella valle dopo 20 anni e incontra la sua amica d'infanzia; dopo la morte del patrigno, l'uomo ha il coraggio di raccontare alla madre che il patrigno aveva abusato di lui da bambino; e, un poliziotto con  la complicità di un ragazzo, intrappola gli uomini omosessuali per ricattarli e molestarli approfittando delle leggi contro la omosessualità in India. Il film raccontava storie che non si vedono nel cinema indiano, ma allo stesso momento, era un bel film con delle brave interpretazioni.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Un altro film, piccolo ma bello, era "Soundtrack" (Colonna sonora), la storia di un musicista dj che diventa sordo e cade in depressione, e poi nonostante la sordità riscopre il suo gusto per la musica con l'aiuto di una ragazza sorda, la sua insegnante del linguaggio dei segni.

Ho sentito parlare molto di 2 film - Once upon a time in Mumbai (C'era una volta a Mumbai) e Shor in the city (Rumore nella città), molto apprezzati dalla critica e dal pubblico, ma non ho avuto l'opportunità di vederli.

Parliamo adesso dei 5 film che secondo me erano i migliori film di Bollywood nel 2011.


No one killed Jessica (Nessuno ha ucciso Jessica): Questo film è al quinto posto nella mia lista. Il film era basato su una storia realmente accaduta, quando in un bar della periferia di Delhi, il figlio ubriaco di un ministro, avevo ucciso con un colpo di pistola la giovane cameriera che si chiamava Jessica, quando essa aveva rifiutato di servirgli altro alcol perché era ora di chiusura. Anche se era successo davanti a tante persone, il potente personaggio si era assicurato l’immunità giudiziaria perché nessun testimone era disposto a testimoniare contro di lui. Dopo alcuni anni di processo, il ragazzo era stato dichiarato innocente "per mancanza di prove". Soltanto la campagna lanciata da alcuni giornalisti e il crescente indigno e proteste popolare avevano costretto il tribunale di riaprire il caso e alla fine il ragazzo era stato giudicato colpevole.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Il film si gira intorno a due personaggi – Sabrina (Vidya Balan), la sorella maggiore di Jessica che cerca giustizia e Mira (Rani Mukherjee), una giornalista televisiva con le palle che vuole andare fino in fondo per scoprire la verità. Vidya Balan nel ruolo di Sabrina e Rani Mukherjee nel ruolo di Mira erano brave e credibili e il film ha trovato anche il consenso popolare. Si diceva che in India i film con soli personaggi femminili non hanno successo. Il successo commerciale di questo film ha sorpreso un po’ tutti. Anche l’attrice Rani Mukherjee che aveva smesso di ricevere offerte di lavoro da qualche anno, è tornata ad essere importante di nuovo.


Rockstar (Stella della musica rock): Il film del regista Imtiaz Ali è stato criticato dal pubblico e dai critici, ma secondo me non era così male. Il film inizia a Roma con il concerto del famoso rockstar di Bollywood (Randhir Kapoor). India non ha rockstar così famosi e avere migliaia di fans della musica di Bollywood a Roma è pura fantasia.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Comunque se riusciamo a dimenticare questi dettagli, il film racconta la storia d'amore tra il giovane Jordan e Hir (Nargis Fakhri). Jordan vuole un'esperienza d'amore tragica perché pensa che per diventare bravo musicista è importante avere dei "dolori d'amore". Hir è innamorata di lui ma capisce che lui è ancora troppo immaturo e decide di sposare il ragazzo scelto dalla sua famiglia.

Si incontrano dopo tanti anni a Praga, ora lui è un cantante famoso e lei è in cura per depressione. La scintilla si riaccende e questa volta lui sa che è lei il suo vero amore, ma non potrà averla. Hir scopre di avere un tumore e le resta soltanto qualche mese di vita. Jordan è disperato, finalmente ha avuto il suo dolore d'amore.

Il film è raccontato come l'ago di un sismografo che si muove su e giù durante un terremoto, passando dal passato al presente, con degli sbalzi, che delle volte disorientano e distraggono. La caratterizzazione di Jordan non è molto lineare e la storia d'amore non è proprio avvincente. Ma nonostante tutto questo, il film ha un Randhir Kapoor in grande forma e una colonna sonora incredibile di A. R. Rahman che rende alcuni tratti del film veramente struggenti.


Zindagi na milegi dobara (Non avrai la vita un’altra volta): Era il secondo film del regista Zoya Akhtar, dopo il Luck by Chance (Fortuna per caso) uscito qualche anno fa, e che mi era piaciuto tanto. Il film racconta la storia di 3 amici che arrivano in Spagna per un periodo di vacanze da scapoli, prima che uno di loro si sposi. Il viaggio diventa l’opportunità per ciascuno di loro di guardare criticamente la propria vita per rendersi conto di quello che volevano diventare e quello che erano diventati.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Girato in collaborazione con l’autorità turistica della Spagna, molti critici hanno scritto che il film era solo una promozione turistica di Spagna. Effettivamente sembra che dopo questo film, il numero di turisti indiani in Spagna ha avuto un’impennata. E’ vero anche che il film presenta una Spagna luminosa e bella, ma oltre alla bellezza dei locali, il film con una storia romantica e sull'amicizia tra ragazzi, è anche molto piacevole.

Con bella musica e danze, e attori come Hrithik Roshan, Abhay Deol, Farhan Akhtar e Katrina Kaif, il film è adatto per il ciclo estivo “Amori Conturbanti” su Rai 1.


The dirty Picture (Il film sporco): Questo era un altro film basato sui fatti realmente accaduti nel mondo del cinema indiano negli anni ottanta. Alcune attrici erano diventate famose nel mondo del cinema tamil per le loro danze suggestive  e le scene erotiche. Poi con successo popolare, dal cinema tamil, alcune di loro erano arrivate fino a Bollywood. La più famosa di queste attrici si chiamava Silk Smita, la quale era morta suicida a 36 anni.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Il film racconta la storia di quelli anni, il mondo del cinema indiano dominato da alcuni attori di mezza età che sfruttano le giovani ragazze che desiderano diventare attrici e l’arrivo di una ragazza campagnola ma piena di sprint che poi diventerà Silk. Il film ha avuto un grande successo nel 2011, sia del pubblico che dei critici. Vidya Balan nel ruolo di Silk è il punto di forza del film - è disinibita, è provocatoria e domina ogni scena dove appare.

Il film è pieno di scene erotiche e di dialoghi a doppio senso, ma ciò nonostante Vidya Balan riesce a dare una strana dignità al personaggio di Silk, una donna piena di coraggio e orgoglio, che sa di essere sfruttata ma usa il proprio corpo per scioccare per il proprio vantaggio, per diventare più potente e popolare. La seconda metà del film, quando Silk perde il suo potere e la sua popolarità, fino al suo suicidio è meno bella, ma è difficile togliere gli occhi da Vidya Balan anche in questa parte.

Mi è piaciuto molto questo film e per questo è al secondo posto nella mia lista dei migliori film di Bollywood del 2011.


Delhi Belly (La diarrea di delhi): La frase “delhi belly” è usato soprattutto da stranieri che finiscono spesso con diarrea quando arrivano in India. E’ un film adolescenziale e molto maschile nel suo modo di vedere il mondo. I ragazzi usano le parolacce senza sosta e parlano continuamente di cacca e di scoraggine.

Migliori film di Bollywood nel 2011

Allo stesso momento è un film incredibilmente complesso con una ventina di personaggi, ciascuno molto particolare e diverso dagli altri. Tanti personaggi, ognuno inizia con la propria storia, e poi queste storie si collegano tra di loro con delle connessioni imprevedibili per creare un mosaico esilarante che somiglia un viaggio sulle montagne russe.

Il film è la storia di una partita di diamanti nascosti dentro una bambola russa che per caso viene scambiato con un campione di feci da portare ad un laboratorio di analisi. Mentre i malviventi seguono i diamanti, uno dei ragazzi che ha preso in prestito la macchina del papà di sua fidanzata, trova il suo amore della vita in un’altra ragazza seguita dal suo ex-fidanzato violento.

Le parolacce e le canzoni irreverenti del film avevano fatto scoppiare molte polemiche in India, ma è stato amato dai giovani. Penso che sia un film incredibile e giustamente si pensa che lo scrittore del film, Akshat Varma, vincerà tutti i premi per la migliore scrittura di Bollywood per il 2011.

Bisogna vedere il film 3-4 volte per capire la sua complessa trama. Penso che questo film sarà ricordato nella storia del cinema di Bollywood, come un film di culto dai giovani.

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Voi avete visto qualcuna di questi film? Vi è piaciuto? Quali sono i migliori film di Bollywood del 2011 secondo voi?


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domenica 15 gennaio 2012

Sole in Capricorno

Ieri era il giorno di Makkar Sankranti in India, la festa per celebrare l'arrivo di sole nel segno di Makkar (capricorno).

Nelle comunità contadine in India, ciò significa che il raccolto invernale è pronto, che tre giorni dopo, gli otto venti della terra cambieranno direzione, che il ciclo della terra e della natura continuerà. E' il momento di grande festa per i contadini.

Qualcuno preferisce andare ad un fiume sacro come ganga (Gange) o kaveri, per le preghiere e il bagno annuale di purificazione. Altri vanno al mare durante la notte per aspettare il sorgere del sole per porgergli le loro preghiere.

Prayers to rising sun, Orissa India - S. Deepak, 2008


I ragazzi venuti dalle campagne tornano a casa e le famiglie si riuniscono per i quattro giorni di festività. Ogni giorno avrà i suoi riti da rispettare, le case da pulire e da imbiancare, i piatti tipici da preparare, i primi chicchi di grano da offrire ai dei.

Invece nelle grandi città le festività sono più limitate. A Delhi, dove sono cresciuto, si celebra sopratutto il rito di Lohri, con il grande fuoco alla sera prima di Makkar Sankranti, in uno spazio aperto, dove i vicini si riuniscono, abbrustoliscono il choliya (ceci verdi) e le makke (chicchi di granoturco), entrambi comprati al mercato, e li mangiano insieme ai revari (dolci fatti con i semi di sesamo).

I ragazzi delle grandi città non capiscono cosa c'è di speciale se il sole è entrato in capricorno. Che differenza fa, chiedono, ma nessuno sa risponderli. E poi, chi se ne frega! Abbiamo un giorno festivo, godiamocelo con cinema o videogame, e possiamo andare a mangiare al Macdonalds.

E' la macchina commerciale si mette in moto per vendere le confezioni speciali da regalare per Makkar Sankranti, le confezioni dei ceci verdi e dei chicchi di granoturco già abbrustoliti da distribuire alla festa, le confezioni pronte per offrire le preghiere ai dei e i biglietti di auguri da mandare agli amici. Il mercato è pieno di bellissime statuine di dei, fatte in Cina, e che costano poco.

C'erano feste contadine simili anche in Italia? Celebravano quando si raccoglieva il raccolto? Sono le sagre che si celebrano nei paesetti ogni tanto? C'era qualcosa di simile al Makkar Sankranti anche in Italia?

Il mondo sta cambiando. E' già cambiato molto. Quel senso di attaccamento alla terra, al cambiamento delle stagioni, il contatto quotidiano con la natura, è già cambiato per tutti quelli che si sono allontanati dal mondo dei contadini.

Forse un giorno cambierà anche in India, è solo una questione di tempo!

Prayers to rising sun, Orissa India - S. Deepak, 2008

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domenica 20 novembre 2011

Il grido di Dayamani

Come la festa annuale di Internazionale che si tiene a Ferrara, la rivista indiana Tehelka aveva organizzato la sua festa a Goa. Questa festa si chiama “Think-fest” o “il festival del penisero”. Alcuni amici che erano andati al festival mi avevano detto che è stata un’esperienza indimenticabile.

Qualche anno fa durante un festival letterario a Torino, avevo conosciuto Tarun Tejpal, il fondatore e l’editore iconico di Tehleka. La sua rivista è riconosciuta per i suoi reportage coraggiosi e contro correnti. Oltre a dirigere la rivista, Tarun Tejpal è anche uno scrittore. Tra i suoi libri vorrei segnalare, “La storia dei miei assassini”. Tehleka è stato attaccato più volte dai governi indiani, sia quelli del congresso che quelli del BJP, e dalle grandi industrie, ma nonostante tutto riesce a andare avanti.

Gli interventi del Think-fest di Tahelka si possono guardare al sito della rivista. Se non avete problemi con l’inglese, vi consiglio di vedere questi video. Per esempio, guardate il video di Maajid Nawaz, l’ex-estremista islamico diventato l’anti-estremista. Lui è inglese di origine pakistana. Ho trovato il suo intervento molto interessante.

Invece vi voglio parlare di un altro intervento di questo festival, quello di Dayamani Barla. Dayamani, conosciuta anche come “Dayamani didi” (sorella maggiore Dayamani) è un giornalista di origine indigena e appartiene alla tribù di Munda.

Dayamani Barla, rights of indigenous people in India


Dayamani è cresciuta in mezzo all’emarginazione che i poveri e gli indigeni spesso subiscono in nome del progresso in tutto il mondo. Ha dovuto dormire per terra nella stazione di Ranchi quando era bambina, e ha lavorato come domestica mentre era uno studente, ma nonostante tutto è riuscita a completare il corso di giornalista e ora lavora presso il quotidiano in hindi, Prabhat Khabar, nello stato di Jharkhand in India.

Dayamani sta lottando da diversi anni per i diritti dei gruppi indigeni contro le grandi industrie e contro i politici di Jharkhand. Aveva vinto la causa contro la multi nazionale di acciaio Areclor, proprietà del magnate Mittal, la quale voleva costruire un’impianto per la produzione di acciaio nello stato di Jharkhand. Questa lotta, collegata alle immagini del film Avatar, aveva ricevuto anche molta attenzione internazionale.

Al Think-fest di Tehelka, Dayamani ha parlato in hindi. Penso che l’intervento di Dayamani merita di essere conosciuto molto di più. Per questo motivo ho pensato di tradurre alcuni tratti di questo intervento dall’hindi all’italiano. Invece se potete capire hindi, vi consiglio di non perdere questo suo intervento al sito di Tehelka, perché ascoltare la voce di Dayamani è un’esperienza forte.
"Prima di tutto da parte dei popoli indigeni dello stato di Jharkhand, dell’India e del mondo, vi porto il mio saluto. La società indigena cosa pensa dell’acqua, delle foreste, dei fiumi, delle montagne e dell’ambiente, penso che non solo in India ma in tutto il mondo vi è un grande bisogno di capirlo.
Se voi guardate la storia del mondo, i popoli indigeni hanno sempre scelto di vivere dove vi sono le foreste, i fiumi e le montagne. Per la società indigena, l’acqua che scorre nel fiume, gli uccellini che cantano nel cielo, i raggi del sole, il verde della foresta, tutta l’erba della terra insieme ai fiori e ai frutti, sono tutt’uno con la sua lingua, con la sua cultura, con i suoi valori culturali e sociali, e con la sua storia. La storia del mondo lo dimostra...
Amici miei, la relazione tra il popolo indigeno e la foresta è quella di un figlio con sua madre. L’anno ha 12 mesi e 4 stagioni. In ogni stagione la foresta ci offre frutti, radici, verdure. Nostra lingua, nostra cultura e nostra storia sono intrecciate con la foresta. Per gli altri la foresta è solo un insieme di alberi, la terra è solo un pezzo di terra, l’acqua è qualcosa che si compra in bottiglie, tutto è da vendere e da comprare. Ma non per noi. Per noi l’acqua e la foresta sono i nostri diritti comunitari, sono la nostra eredità e non sono la nostra proprietà. Non li possiamo vendere..
Dayamani Barla, rights of indigenous people in India
Ci dicono che ci ricompenseranno, ci daranno soldi per il fiume, soldi per la terra. Ma chi di voi ha mai venduto la sua madre per i soldi? Noi popoli indigeni diciamo che non esiste un ricompenso che può pagarci il valore della nostra lingua, della nostra cultura, e della nostra storia. Quanto ricompenso mi potrete dare? Potrete pagare il valore dell’acqua pulita? Potrete pagare il valore della storia? Non si può pagare il valore di queste cose.
Ci dicono che senza l’industrializzazione non vi sarà lo sviluppo. Noi chiediamo soltanto lo sviluppo sostenibile, uno sviluppo equilibrato. Da una parte l’agricultura deve sviluppare, dall’altra parte il fiume deve sviluppare, e dall’altra ancora, i valori umani devono sviluppare. Solo se i valori sociali e la nostra storia possono sviluppare allora avremmo lo sviluppo sostenibile. Senza lo sviluppo dell’agricultura e dell’ambiente, non è possibile nessun sviluppo...
India è diventata indipendente 65 anni fa. Subito dopo hanno cominciato a costruire grandi industrie nello nostro stato. Le industrie di SCC, Tata, Bokaro, ecc. Hanno sradicato 10 milioni di persone dalle loro terre per queste industrie, delle quali 80% erano persone indigene. Dove sono andate a finire quelle persone che hanno perso le loro terre? Il governo, la stampa, e gli assistenti sociali, non ti sanno dire, quanti sono e dove sono. Io ve lo posso dire dove sono andate a finire quelle persone e come vivono. Muoiono di stenti. I bambini di quelli che hanno perso le case per costruire gli impianti di Bokaro, SCC, Tata e Birla, muoiono di stenti. Per l’impianto di Bokaro hanno preso la terra di 65 villaggi e quella zona industriale riceve tutta l’acqua, ma quelli che sono stati cacciati via dalle loro terre, muoiono senza acqua, muoiono senza medicine. Non hanno lavoro, non hanno un tetto sulla testa, non hanno da mangiare, i loro figli non vanno a scuola. E’ questo lo sviluppo? Non vi daremmo le nostre terre. Mai più. Vogliamo la giustizia.
Ci chiedete come avremmo lo sviluppo? Venite a vedere le terre dove sono state create le grandi industrie, dove hanno scavato le miniere. Il distretto di Hazaribad, la zona di Bokaro. Centinaia di migliaia di ettari di terra sono diventati sterili. Tutti i nostri fiumi sono inquinati. Il fiume Damodar di Bokaro, una volta la chiamavano Jeevanrekha, la linea della vita, è tutta inquinata. Animali non possono bere la sua acqua, non puoi usare quell’acqua per agricoltura. Così sono morti tutti i nostri fiumi. Ci parlate dello sviluppo. Avete la scienza e la tecnologia, perché non fatte che le nostre terre tornano ad essere fertili? Perché non risuscitate i nostri fiumi. Quello si che sarebbe sviluppo. Quelli che hanno perso le loro terre e che girano nei villaggi come i manovali, quelli che vivono come schiavi per tutte le loro vite, riabilitate loro. Date a loro un tetto per ripararsi, date la scuola ai loro figli affinché possono diventare ingegneri, quello si che sarebbe sviluppo.
Non voglio parlare soltanto di Arcelor e di Mittal. Negli ultimi 10 anni, il governo dello stato di Jharkhand ha firmato 104 accordi con le grandi industrie. Di queste 98 industrie vogliono scavare le miniere e costruire gli impianti di acciaio. Hanno bisogno di scavare ferro dalla terra, hanno bisogno di acqua e di elettricità per funzionare. Soltanto Arcelor vuole 12.000 ettari per l’impianto di acciaio e ha bisogno di altre terre per le sue miniere. Se le 104 industrie si costruiranno nello nostro stato, a nessun agricoltore e a nessun indigeno di Jharkhand resterà un centimetro di terrà da coltivare o di foresta. Non avremmo acqua da bere. Siamo contrari a questo sviluppo.
Questa lotta, non lo facciamo per noi, ma pensiamo alle nostre generazioni future. Dicono che Jharkhand è ricca di risorse minerali. Per questo devono distruggere il tutto il prima possibile? Le generazioni future non avranno bisogno di terra, di foresta e d’acqua? Perché non parlano mai di sviluppo umano?
Tutte le grandi industrie vogliono portare via la terra degli indigeni e non smetterò di lottare contro questo. Mi hanno minacciato che se non smetterò di fare le riunioni nei villaggi per parlare contro le industrie, mi spareranno tanti di quei colpi che nessuno saprà riconoscere il mio corpo. Vi sfido a farlo. Se la morte di una donna può salvare Jharkhand, sono pronta a prendere centomila pallottole nel mio corpo. Resisterò fino al mio ultimo respiro."
Le minacce dei padroni delle miniere non sono vuote. Solo alcuni giorni fa, avevo letto la notizia che hanno ucciso suor Valsa John, una suora che aveva deciso di andare a vivere in mezzo ai gruppi indigeni per lottare contro la costruzione di nuove miniere. La chiesa ufficiale non si è sbilanciata molto per condannare l’uccisione di Sr Valsa perché era vista come una suora contro corrente e scomoda.

Questi stessi meccanismi sono dietro all’espansione del maoismo nelle zone tribali, definiti dal primo ministro indiano come la più grave minaccia alla sicurezza dell’India. Ma se non daranno le risposte alle domande di Dayamani come pensanno di sconfiggere il maoismo?

(Nota: Le immagini di Dayamani sono dal suo blog)

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lunedì 31 ottobre 2011

La collina delle tigri

Mi è piaciuto il libro di Sarita Mandanna, "La collina delle tigri" (editrice Piemme, 2010, titolo originale Tiger Hills, traduzione di Stefano Bortolussi).

Mentre leggevo questo libro, più volte avevo pensato che il libro poteva avere un altro titolo - "Il volo degli aironi", perché in tutti i momenti cruciali del romanzo, vi sono gli aironi nelle vicinanze. Il libro è un susseguirsi di momenti drammatici e di coincidenze struggenti. Con il suo modo di raccontare la storia, il libro mi faceva pensare ad una foresta tropicale e le emozioni forti del mondo di Bollywood.

Tiger hills by Sarita Mandanna

A proposito degli aironi, la scena iniziale del libro dove Muthavva, la mamma della protagonista, sta in una risaia e intorno a lei arrivano gli aironi, mi aveva fatto pensare alla storia del guru Ramakrishna Paramhans e alla sua estasi mistica quando aveva visto una coppia di aironi contro le nuvole grigie in cielo. In diversi momenti del libro, avevo queste sensazioni, di pensare che quella parte della storia poteva essere ispirata da questo o da quello ...

Il libro racconta la storia di un triangolo d'amore tra Devi, Machu e Devanna. Devi somiglia un po' a Scarlett O'Hara - è testarda, egoista e bella, desiderata da tutti, e pensa soltanto a quello che vuole lei. Devanna cresce nella sua casa e l'ama da quando è un bambino ma Devi ama soltanto Machu, un cugino molto più vecchio di Devanna, che è famoso perché aveva ucciso una tigre e che ha giurato di non guardare a nessuna ragazza per 12 anni.

Il libro è scritto in un linguaggio poetico. Per esempio, la scena iniziale degli aironi quando Devi sta per nascere è raccontata così:
Muthuvva non riusciva più a sentire nel vento la voce del cognato che gridava le sue istruzioni ai braccianti assoldati per la semina; le sue parole erano soffocate dal battito regolare delle ali. Gli aironi volteggiarono lenti, sempre più bassi, e alla fine effettuarono un'ultima, decisa virata e atterrarono ai suoi piedi. Circondata da un silenzioso mare bianco, Muthavva continuò a massaggiarsi distrattamente le reni. E a un tratto, senza alcun preavviso, gli aironi si rimisero in volo. Si levarono come a un segnale segreto, tutt'intorno a lei, riversandole adosso una cascata di scintillanti gocce d'acqua cadute dalle punte delle ali e dalle zampe. In quel preciso momento, non un attimo prima né dopo, Muthavva avvertì un fiotto di liquido tiepido sulle cosce. Sua figlia era arrivata.
Il romanzo è ambientato a Coorg, tra la comunità bramina che vive nelle montagne nel sud-ovest del Karnataka, alla fine del '800. Era anche la zona dove si erano stabiliti i coloni inglesi.  Questa società bramina di Coorg è una società feudale patriarcale ed è spiegata realisticamente, mentre gli indigeni Puleya "scuri come il carbone" che vivono a Coorg si intravvedono soltanto tramite il personaggio di Tukra che lavora come domestico nella casa di Devi.

Devi è costretta a sposare Devanna e ma lo odia per averla fatta perdere il suo amore Machu. Devanna consapevole della propria colpa, accetta il suo amore per Machu e accoglie il suo figlio in casa. Vi è una storia parallela dell'amore di Devanna per la botanica e il suo rapporto con il missionario tedesco che vede in lui l'ombra del suo amore perduto in Germania.

Come un altro libro, "La sposa bambina" di Padma Vishwanathan, che avevo letto qualche settimana fa, anche "La collina delle tigri" è una saga, una storia che segue la vita degli suoi protagonisti dalla nascita fino alla vecchiaia. "La sposa bambina" era ambientata nello stato di Tamilnadu, ad est di Coorg, non molto lontano e il mondo dei bramini dei due libri si somigliano.

In qualche modo Devi, la protagonista di "La Collina delle tigri" mi ricordava Thangam, la protagonista di "La sposa bambina". Comunque, a parte una vaga somiglianza per alcuni versi, "La collina delle tigri" è un libro scritto molto meglio, con la costruzione di personaggi più approfondita.

Anche in "La sposa bambina" vi erano molti personaggi ma erano tutti un po' superficiali, e questi personaggi entravano e uscivano dalla storia in continuazione. Invece in "La collina delle tigri" la scrittrice è molto focalizzata per cui i tre personaggi principali, Devi, Devanna e Machu, e alcuni famigliari di Devi sono delineati bene e il romanzo non perde tempo con gli altri personaggi meno importanti.

L'ultima parte del libro del rapporto tra Nanju, il figlio di Devi e Devanna, odiato dalla madre perché le ricorda il suo matrimonio, e Appu, il figlio di Machu, mi ricordavano i due protagonisti maschili del film "Main tulsi tere aangan ki" (Sono la pianta del tuo cortile) di Bollywood, dove una donna decide di crescere il figlio del amante di suo marito in casa sua.

"La collina delle tigri" è un libro piacevole e poetico, anche se è un po' troppo tragico-melodrammatico, un po' come le telenovelle indiane.

martedì 4 ottobre 2011

Gioia e Perplessità : Arundhati a Ferrara

Quando è iniziata la sessione con Arundhati Roy e John Berger, mi sentivo un po' in colpa. Avevo sperato di andare a Ferrara al festival di Internazionale, invece non ero riuscito. Alla fine, avevo dovuto accontentarmi di guardare qualche sessione sull'internet, ma ero rimasto deluso dal fatto che il link per la trasmissione in lingua originale non funzionava.

Volevo vedere l'incontro con Arundhati, ma volevo sentire la sua voce e non la sua traduzione italiana.

Arundhati Roy, Festival of Internazionale, Ferrara, Italy - S. Deepak, 2007

Arundhati costruisce le sue frasi con le parole che sono pure poesie, piene di emozioni e di immagini struggenti. Quando lei parla, sembra che riesce a parlare in questo linguaggio poetico senza sforzo, e sembra incapace di parlare come fa la gente normale.

Poi quando è iniziata la sessione, per fortuna c'era qualche problema con l'audio della traduzione e alla fine hanno deciso di portare due traduttrici sul palco per tradurre Arundhati e John Berger dal vivo. Così ho potuto sentire la voce di Arundhati e poi la sua traduzione.

Per questo mi sentivo un po' in colpa - forse il mio intenso desiderio di sentire la voce di Arundhati aveva fatto guastare l'impianto di traduzione a Ferrara?

Comunque, mentre guardavo questo incontro con Arundhati Roy, sentivo un senso di frustrazione perché avevano mutilato la normale eloquenza di Arundhati. Lei costruisce i suoi discorsi in maniera molto complessa e articolata, un muretto qui, una colonna là, affinché vi è un grande palazzo che presenta diverse sffaccettature del suo argomento. Invece il formato della sessione con le domande e le risposte, e le esigenze di traduzione, richiedevano frequenti interruzioni. Così lei era costretta a presentare i suoi argomenti in piccole dosi, non sempre ben collegati tra di loro e senza mai arrivare alla costruzione del argomento completo.

Ho sperimentato personalmente tante volte le difficoltà di tradurre dal vivo senza poter prendere gli appunti e non in simultanea, per cui posso capire le fatica della persona che traduceva Arundhati. Allo stesso momento mi dispiaceva che non sempre la traduzione rispecchiava quello che Arundhati aveva detto.

In particolare mi aveva irritato la battuta di Marino Sinibaldi sul 2 ottobre e sulla celebrazione dell'anniversario di Mahatma Gandhi in India. Non so cosa aveva risposto Arundhati alla domanda di Sinibaldi, "se il giorno si faceva festa in India?" e in quali termini la traduttrice l'aveva posta a Arundhati, ma Sinibaldi aveva concluso che oramai gli indiani avevano dimenticato Gandhi mentre Sinibaldi continuava a celebrare la giornata per ricordarlo. Sicuramente in India odierna, l'anniversario di Gandhi è un'occasione rituale per i politici per farsi vedere alla sua tomba e per la solita retorica verso "padre della nazione", ma per questo dire che India ha dimenticato Mahatma, è assurdo.

Le mie perplessità

Mentre c'era il piacere di ascoltare Arundhati, non sempre riuscivo a capire come lei poteva sembrare così convinta e così "senza dubbi" nelle sue tesi! Ma davvero lei non ha dubbi dentro di sè, non riesco a crederlo.

Per esempio il suo discorso sul "lightness of the ecological footprint of Kamala, the maoist fighter" (la leggerezza delle orme ecologiche di Kamala, la rivoluzionaria maoista) e la sua ironia sullo stile di vita "gandhiano dei maoisti", non nel senso della non violenza ma nel senso di vivere con poco senza distruggere l'ambiente, mi ha creato perplessità.

Se penso alle persone povere nei villaggi indiani, sono quasi sempre tutte con "le orme ecologiche leggere" come Kamala. Vivere con mezzi semplici e basilari, riciclare tutto, salvaguardare la natura, questo è normale per le persone povere  che crescono negli ambienti rurali in stretto contatto con la natura. E' naturale in vaste parti dell'Asia, come ci ricorda Federico Rampin nel suo libro "Slow Economy" quando parla del "consumo frugale". Cosa c'è di sorprendente se i ribelli maoisti vivono con poco? Penso che se andiamo a guardare come vivono i poliziotti che lottano contro i maoisti, troveremo anche loro "vivono con poco", magari non così ridotto all'osso come i contadini dei villaggi ma con poco più.

Concordo con Arundhati riguardo le enormi lotte che i gruppi indigeni e i poveri contadini devono affrontare contro quelli che vogliono sfruttare le risorse naturali dell'India, nell'indifferenza della sua classe media, sopratutto delle persone che vivono nelle città. La maggior parte della classe media indiana, vede la resistenza contro questi cambiamenti come un "ostacolo allo sviluppo e alla modernizzazione del paese", un po' come molti italiani pensano alle proteste di chi si oppone alla costruzione del tunnel per l'alta velocità.

Ma non concordo quando lei giustifica la violenza dei maoisti "perché non hanno un audience". La lotta armata per cambiare il sistema di governo del paese ispirata dalla rivoluzione culturale di Mao in Cina, è iniziata verso la fine degli anni settanta dello scorso secolo. Ma l'India di oggi, nei distretti e nei villaggi, ha scoperto i telefonini e i blog, e anche quando non vi sono le telecamere, i filmati arrivano su Youtube. I maoisti che controllano migliaia di kilometri di territorio tra gli stati di Madhya Pradesh, Chattisgarh, Jharkhand e Orissa, e lottano contro la polizia con bombe e armi di guerra, non hanno i mezzi come telefonini e i blog, non sembra credibile. E' più probabile che disdegnano i mezzi tecnologici "capitalisti" come strumenti del diavolo che possono corrompere i loro soldati. La polizia è violenta, ma anche i maoisti lo sono e presentarne un'immagine del romantico rivoluzionario, non lo trovo giusto.

Arundhati Roy, Festival of Internazionale, Ferrara, Italy - S. Deepak, 2007

Oltre ai maoisti, vi sono molti altri gruppi che alzano la voce contro quello che succede nelle foreste indiane. Qualche volta hanno successo e altre volte no. Personalmente, io non concordo con la lotta violenta. India continua ad essere una società con fortissime disugaglianze, ma che la via per appianare le disugaglianze passi per violenza mi sembra sbagliato perché penso che alla fine violenza creerà altre società altrettanto ingiuste.

Arundhati aveva criticato quelli che si esprimono contro la violenza dei maosti perché "sono spettatori e parlano dalle comodità della loro casa". Penso che dire "se uno non partecipa alla lotta, sei solo uno spettatore e non hai diritto di esprimere il tuo parere" è altrettanto fascista quanto i fascismi che elencava Arundhati.

Ho trovato strano anche il suo paragone tra i poliziotti indiani e i soldati americani in Iraq. Ho visitato un campo della polizia una volta e posso concordare con Arundhati che hanno un enorme potere nei confronti dei poveri dei villaggi, che stuprano le donne, che sono dei tiranni e sicuramente loro non soffrono di fame e di miseria. Ma penso che nonostante questo sono altri poveri disgraziati. Vivono in condizioni disumane anche loro - tende affollate e misere, vecchie attrezzature, un salario da miseria, senza servizi igienici e senza acqua potabile. Se alcuni giovani scelgono i maoisti, altri scelgono la polizia, entrambi per sopravvivere. Non penso che un soldato americano accetterà di vivere in quelle condizioni.

Non ho dubbi che la presenza militare con delle leggi bavaglio sia non accettabile da nessuna parte, ma ho molte perplessità sulle persone che "lottano per indipendenza" anche dal altro lato. Se alcuni gruppi, quasi esclusivamente maschili, che credono nelle ortodossie religiose, che controllano la popolazione con ferocia e paura, che chiedono l'indipendenza nel nome di instaurare regimi "in regola con quanto dice la nostra religione" - quando queste persone chiedono  la "libertà", come dobbiamo comportarci? Arundhati non sembra avere dei dubbi, ma io li ho.

Il governo di congresso sotto la guida di Sonia Gandhi ha sicuramente molti difetti ma presentarla come un governo monolitico che vuole strangolare la democrazia in India mi è sembrata un'esagerazione. Il governo, bersagliato da continui scandali sulla corruzione, sembra barcollare da una crisi all'altra. Il digiuno di Anna Hazare e di altri suoi colleghi di qualche settimana fa, il ruolo giocato da partiti dell'opposizione e  dai media, si concilia poco con il quadro che dipingeva Arundhati del governo repressivo.

Ho trovato problematico, anche il discorso di Arundhati su quante volte le forze armate indiane sono intervenute dopo l'indipendenza del paese, e gli esempi di Manipur e Hyderabad. Lei parlava dei diversi regni autonomi e la loro integrazione nell'India dopo l'indipendenza dagli inglesi. Ovviamente se guardiamo la costruzione di un paese sotto la lente dei nazionalismi, la possiamo trovare sbagliato. Ma costringere i vari regni a entrare nella repubblica era quello che aveva fatto Garibaldi per l'unità d'Italia, era sbagliato? La lotta dei bolognesi contro il regime pontificio era sbagliato? Possiamo giustificare la libertà della padania perché il partito di Bossi lo chiede?

Come si può vedere, il discorso di Arundhati mi ha lasciato con qualche perplessità. In parte, penso che queste perplessità sono dovute al formato del programma - se lei aveva più tempo per spiegarsi, forse si sarebbe espressa diversamente.

In parte, penso che le mie perplessità sono perché pensiamo diversamente. L'ammiro, mi piace ascoltarla parlare, e mi piace leggerla, ma qualche volta non condivido a pieno i suoi ragionamenti.

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Le foto di Arundhati usate in questo articolo, le avevo scattate al festival di Internazionale a Ferrara nel 2007.

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domenica 2 ottobre 2011

Mondo islamico indiano nella letteratura

Può un racconto o un romanzo raccontare le caratteristiche di tutto un popolo? Forse questa idea somiglia di più agli oroscopi dove si pretende che un paragrafo può spiegare quello che succederà a milioni di persone durante un giorno, una settimana, un mese o in un anno.

Invece noi esseri umani, anche se condividiamo una religione, siamo molto diversi tra di noi e l'idea di rappresentare un gruppo di persone soltanto sulla base della loro religione è sbagliata. Un romanzo è più di un paragrafo, ma è sempre qualcosa di infinitamente piccolo e limitato in confronto a milioni o miliardi di vite umane. Per cui come può un romanzo avere la pretesa di rappresentare tutti i musulmani dell'India o, la maggioranza dei musulmani dell'India?

Non penso che gli scrittori vogliono rappresentare un gruppo o tutto un popolo quando scrivono una storia. Lo scrittore racconta la storia di suoi personaggi. Invece forse siamo noi, i lettori, che cerchiamo di dare altri significati a questi scritti.

Invece penso che i romanzi possono far intuire alcune caratteristiche generali delle popolazioni senza la pretesa di voler raccontare o rappresentare le diversità e le specificità di tutte le persone di un gruppo. Per esempio, penso che i romanzi possono far intuire il modo di essere un musulmano in India (e fino ad un certo punto, non soltanto in India ma in tutto il sub continente indiano) che è forse diverso da come si vive la stessa religione in altre parti del mondo.

Per secoli, la convivenza tra le molte religioni dell'India, e la forte influenza dell'induismo, ha creato dei buchi nelle frontiere tra le diverse religioni. Per cui c'è un'osmosi delle idee e dei modi di essere tra i diversi gruppi su entrambi i lati delle frontiere tra le religioni. Qualche volta queste osmosi aiutano o determinano la nascita di nuovi gruppi religiosi con una cultura religiosa mista. Ritengo che questa convivenza e mescolanza con le altre religioni si vede nei mondi islamici indiani.

Bhagwan Das Morewal, lo scrittore dalit che scrive in lingua indiana (hindi), una volta mi aveva parlato della cultura della regione di Mewat, che non si trova su nessuna mappa ma è una zona linguistica e culturale, intorno a Delhi che copre parti degli stati di Rajasthan e Madhya Pradesh, dove vivono alcuni gruppi musulmani con nomi e alcuni costumi indù. Il suo libro "Kala Pahad" ("Montagna nera", editrice Radhakrishna Prakashan, Delhi, 1999) era ambientato in questo mondo di Mewat.

Forse racconti e romanzi sono il mezzo migliore per parlare di questi mondi linguistici, culturali e religiosi meticci, molto meglio di censimenti o anche studi sociologici e antropologici.

Quali scrittori indiani possono essere i rappresentanti di questi mondi? I primi nomi che mi vengono in mente sono di alcuni scrittori della generazione che scriveva negli anni di divisione tra India e Pakistan. Scrittori come Ismat Chugtai, Manto, e Bhishm Sahni. Loro scrivevano in Hindi o in urdu e non penso che sono stati tradotti in inglese o in altre lingue europee.

Tra gli scrittori apparsi tra 1970-1990, i primi nomi che vengono in mente sono Salman Rushdie e Farrukh Dhondy, anche se entrambi sono formalmente scrittori British. Khushwant Singh è un altro scrittore che ha scritto di questi mondi, guardandoli dal punto di vista dei sikh e degli indù. L'unico nome recente che viene in mente è di Altaf Tyrewala, un giovane scrittore di Mumbai, ha scritto di questi mondi (anche se so che lui non gradisce essere descritto come scrittore dei mondi islamici). Questi autori sono tutti abbastanza conosciuti o addirittura famosi in Europa.

Tuttavia penso che la rappresentazione più "autentica" del mondo delle frontiere tra musulmani e altri gruppi religiosi in India è negli scritti di alcune scrittrici, le quali scrivono in lingue indiane - scrittrici come Amrita Pritam, Mehrunnisa Parvez e Nasira Sharma. La maggior parte di loro non è stato tradotto in inglese o in altre lingue europee e, non è conosciuta fuori dall'India.

Invece scrittori meno bravi sono più conosciuti in occidente forse perché vivono in occidente, scrivono in inglese e sono più facilmente traducibili. O forse perché scrivono secondo gli stereotipi occidentali per cui sono vendibili in Europa.

Per esempio, recentemente ho letto il libro "Tanaya toglie il velo" di Kavita Daswani (Titolo originale "Salaam Paris", Mondadori, 2006). Il libro racconta di una ragazza musulmana di Mumbai che viene a Parigi per incontrare il suo futuro sposo e invece diventa "la prima super modella musulmana del mondo".

Cover Kavita Daswani - Tanaya - Salaam Paris


Si tratta di libro molto superficiale, dove oltre l'incipit costruito per scioccare, "una ragazza musulmana che aveva vissuto con il velo, si presenta quasi nuda sulla passarella", manca una storia autentica. E' la solita storia del mondo della moda, dove la fama e i soldi hanno un prezzo, già raccontata molte volte.

L'ambientazione della storia iniziale di Tanaya in un chaal di Mumbai è piena di buchi a partire dal personaggio di suo nonno, un ex pilota di Air India, che vive in un apartamentino con 2 stanze, che non ha i soldi per telefonare la nipotina in Europa ma che ha un domestico in casa. Ne anche il nome della ragazza, Tanaya, coincide con il mondo musulmano tradizionale di Mumbai. I personaggi sono superficiali e unidimensionali, e leggere il libro dà l'idea che forse la scrittrice ha conosciuto il mondo musulmano in India molto tempo fa e se ne è dimenticata, per inventare qualcosa che appare nelle telenovelle. I nomi dei personaggi, i loro modi di essere e di fare, sembrano strani, non adatti al mondo che vuole costruire.

Può darsi che il libro è riuscito a colpire le persone che non conoscono bene il mondo tradizionale musulmano di Bombay e l'hanno trovato interessante? Mi piacerebbe saperlo.

Una delle mie scrittrici preferite che scrive del mondo musulmano in India odierna e delle frontiere bucate tra le religioni in India, è Nasira Sharma, la quale scrive in hindi. "Zinda Muhavare" (Proverbi viventi) è uno dei libri di Nasira Sharma che mi è piaciuto di più (Editrice Arunodaya, Shahadara, Delhi, 1996). In questo libro, complesso e articolato su diversi livelli, Nasira racconta la storia di una famiglia musulmana dal cuore di India, dallo stato di Uttar Pradesh. E' la storia della famiglia di Rahamatullah.

Il libro inizia dalla divisione dell'India e dalla decisione di Nizam, il figlio più giovane di Rahamatullah di lasciare l'India per andare a costruirsi una nuova vita nel nuovo paese, Pakistan.Invece rimangono in India, gli altri due figli di Rahamatullah, il figlio Imam e la figlia Rajjo. Rimane in India anche la ragazza che doveva essere la sposa di Nizam.

Il libro segue le vite delle due famiglie - la famiglia di Imam che è rimasta in India e la famiglia di Nizam in Pakistan. Il fatto che alcuni musulmani del villaggio hanno scelto di andare via in Pakistan viene visto come un tradimento dagli altri gruppi religiosi e i musulmani rimasti in India devono pagare le conseguenze di questa percezione.

Dopo alcuni anni di fatica in Pakistan, Nizam diventa ricco, mentre nella nuova India indipendente, la famiglia di Imam perde un po' del suo potere che aveva come grande proprietario delle terre. Le ombre dei sospetti verso i musulmani visti come terroristi e simpatizzanti del Pakistan arrivano anche nel villaggio dove vive Imam con vecchio Rahamtullah quando Nizam chiede il visto indiano per visitare la sua famiglia. Alla fine, Nizam non riesce a venire, e gli abitanti indù del villaggio fanno il quadrato intorno alla famiglia musulmana, ma Rahamattulah paga i sospetti della polizia indiana con la propria vita.

In Pakistan, Nizam è un ricco commerciante, ma la situazione generale del paese comincia a peggiorare. I radicali e gli ortodossi islamici hanno sempre più potere e il terrorismo arriva nelle città pakistane. Il figlio più giovane di Nizam sparisce un giorno e nessun sa dove è finito.

Dopo 50 anni, Nizam torna al suo villaggio in India e trova un'India sostanzialmente diversa da quello che immaginava. Lui spera di trovare una moglie musulmana del suo villaggio per il suo figlio maggiore Akhtar, ma Akhtar sa che le ragazze cresciute in India non potranno vivere in Pakistan:
"Come ti è sembrata Nuri, figlio", Sabiha ha chiesto.
"Si va bene, sembra una ragazza seria", Akhtar ha risposto casualmente.
"Allora le mandiamo il messaggio del matrimonio?" Nizam disse.
"No papà, lei non potrà respirare nel nostro paese", Akhtar disse in fretta.
"Cosa vuoi dire?" Nizam era sorpreso.
"Ho paura di tutta questa apertura, tutta questa libertà, questi strati e sotto strati di discussioni. Qui c'è molto che non conosciamo, che non abbiamo mai sperimentato, e faccio fatica a respirare qui!" Akhtar disse con po' di frustrazione."
Queste parole di Akhtar riassumono la differenza tra India e Pakistan. Lui pensa che le donne musulmane cresciute in India sono diverse, sono troppo libere e non rispettano i dettami dell'islam tradizionale.

Alla fine del libro Nizam conosce Gyassudin, il figlio di Imam, il commissario di un distretto con i suo amici indù e si rende conto della diversità tra i due paesi.

Un'altra autrice indiana che ha scritto del mondo musulmano in India è Mehrunissa Parvez. Il suo mondo letterario è quello delle famiglie tradizionali musulmane e le famiglie aadivasi (indigene) nello stato di Madhya Pradesh. Lei focalizza sul ruolo della donna e sui rapporti umani. Mi piace molto il suo libro Akela Palash (Palash solitario - Palash è un albero delle colline rocciose con i fiori rossi).

La tradizione letteraria di scrittori come Nasira Sharma e Mehrunissa Parvez si allaccia con la tradizione medievale indiana di "poeti santi" con personaggi come Mira Bai, Tukaram, Gyaneshwar, Kabir e Rahim. Questi ultimi, Kabir e Rahim, entrambi hanno scritto molte poesie che vanno oltre le religioni, e raccontano un modo di essere tipicamente indiano, dove la religione è soltanto un dettaglio non molto importante della vita comune delle persone.

Molte volte quando si parla di India e Pakistan, si pensa all'India indù e il Pakistan musulmano, ma si dimentica che molti musulmani non avevano scelto il Pakistan, avevano deciso di restare in India, e ancora oggi, vi sono più musulmani in India che in Pakistan.

Conclusioni: Forse in nessun altro paese del mondo, i musulmani hanno convissuto con altre religioni per così tanti secoli come in India e ciò ha creato diverse forme di sincretismo religioso e si sono influenzati reciprocamente. Le storie di questo gruppo di persone, il loro modo di essere sono stati raccontati da diversi scrittori indiani, sconosciuti in occidente.

Per qualche motivo, nei notiziari in Europa, le uniche voci alternative che si sentono sono quelle degli uomini radicali, ortodossi e tradizionalisti che pretendono di essere unici rappresentanti autorevoli delle loro comunità.

Invece penso che queste storie indiane possono essere interessanti perché fanno capire molto meglio la futilità di vedere il mondo suddiviso tra "noi" e "gli altri". Penso inoltre che oggi c'è molto bisogno di capire i le convivenze sinergiche tra le popolazioni, come raccontati nei libri di questi scrittori.

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domenica 25 settembre 2011

Stregato dalle donne di Villa Spada

Oggi ho visitato la Villa Spada per la prima volta e sono rimasto stregato dalla fila delle statue delle donne di terracotta ai bordi del suo giardino all'italiana. Le loro espressioni, i loro vestiti, le loro diverse età e pose, sono meravigliose.

Avevo già visto le famose Marie di Nicolò dell'Arca in centro di Bologna e sono molto belle, ma mi sono piaciute ancora di più le statue di Villa Spada, perché sono all'aperto e sono rimaste esposte agli elementi per circa due secoli, per cui hanno cambiato i colori, alcune sono scrostate, su alcune statue piccole piante crescono sulle loro teste, e tutto questo le rende ancora più belle.

Tornato a casa dalla visita, ho subito cercato informazioni su queste statue sull'internet, ma sembra che non esistono. Che nessun altro le abbia trovato belle, mi sembra impossibile.

Diversi siti parlano dei belli giardini all'italiana che fanno da cornice a queste statue. Qualche sito parla della statua di Ercole che si trova in centro del giardino. Invece nessuno parla di queste statue di terracotta.

E' vero che se guardiamo dal giardino all'italiana, vediamo solo le loro schiene e non ci rendiamo conto che sono così belle. Se andiamo sul terrazzo del tempietto, le statue si vedono ma non si vedono le espressioni sui loro visi. Per vederle bisogna passare sul terrazzo che passa sotto le statue.

Sono rimasto a guardarle per molto tempo, una ad una, e mi sento stregato.

Ecco per voi, alcune immagini di queste statue.


Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

E alla fine, la mia favorita, la donna in cinta. L'espressione sulla sua faccia è bellissima.

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Secondo voi queste statue non sono meravigliose? Magari qualcuno di voi conosce queste statue e il nome dell'artista che le ha fatte?

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Invece per quanto riguarda il museo della Tappezzeria che si trova in Villa Spada, penso che dovrebbero abolire il biglietto di entrata per questo museo. Non penso che riceve molte visite.

Invece forse si può far pagare il biglietto per vedere queste statue?

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domenica 11 settembre 2011

Il mondo dei Tam-Brahms

I Tam-Brahms sono i bramini Tamil, un gruppo considerato chiuso e conservatore. Negli ultimi decenni, è anche uno dei gruppi che si sono affermati come "gli intelligenti indiani" che dominano gli istituti di alta formazione in tutto il mondo, soprattutto in campi tecnologici e le scienze. Il loro incontro e scontro con il resto dell'India e con le altre culture è stato oggetto di diversi film e libri - per esempio il film "Knock knock I am looking to marry" (2004) e il libro Two States (Due stati) di Chetan Bhagat.

I Tam Brahms (diminutivo di Tamil Brahmans ovvero i bramini tamil) è uno dei temi caldi anche sulla blogosfera. Per esempio, se non avete difficoltà con l'inglese, potete leggere - i matrimoni Tam Brahms, come discutere con i tam brahms,  di cosa parlano i tam brahms tra di loro, intervista con un tam brahm, perché le persone odiano i tam brahm, come riconoscere un tam brahm, ecc.

La sposa Bambina di Padma Vishwanathan
"La Sposa Bambina" di Padma Vishwanathan (Garzanti, 2009, traduzione di Giuseppe Maugeri, titolo originale "The toss of a Lemon") è la storia di tre generazioni di una famiglia di bramini tamil che inizia all'inizio del 1900 e segue i mutamenti di questo gruppo sullo sfondo dell'indipendenza dell'India e la lotta delle caste emarginate per la dignità.

La scrittrice Padma Vishwanathan è una Tam-Brahm, anche se nata e cresciuta in Canada e ora vive in America.

Il libro racconta la storia della famiglia di Hanumarathnam e la sua giovanissima sposa, Sivakasi. E' ambientato a Cholapatti nello stato indiano di Tamilnadu, a qualche ora di viaggio dalla capitale statale Chennai.

Verso la fine del libro, Thangajyothi, la nipotina di Sivakasi rivela che è lei la scrittrice del libro e ha voluto così raccontare la storia della sua famiglia. Invece, nelle note finali, Vishwanathan chiarisce che il racconto non è una autobiografia, è una storia inventata anche se è basata sulle storie che lei aveva sentito dalla sua nonna, Dhanam Kochoi.

Hanumarathnam è un giovane prete bramino, conoscitore dei movimenti delle stelle e dei pianeti, e bravo a tracciare gli oroscopi. Quando lui sposa Sivakasi, sa già che non avrà una vita lunga perché il suo destino scritto sulle stelle ha deciso così. Thangam, la loro figlia, ha ereditato il dono del padre di guarire le persone mentre Vairum, il figlio che con le stelle della sua nascita accorcia la vita al padre, è un bambino strano e irrequieto.

Hanumarathnam prepara la moglie ad essere indipendente dopo la sua morte e cerca un giovane uomo che potrà fare da serve fedele alla sua famiglia, e così aiutare la vedova Sivakasi. Alla fine Hanumanrathnam sceglie il giovane Muchami come servo, perché è preciso e ordinato, ma anche perché sembra non essere interessato alle ragazze.

Come predetto dall'oroscopo di suo marito, Sivakasi resta vedova a 20 anni. Deve rasarsi la testa al buio ogni mese e osservare un rigido protocollo di comportamento adatto alle vedove, compreso, evitare ogni contatto con i figli durante il giorno. Viverà tutta la sua vita così chiusa dentro il protocollo della casta con l'aiuto di Muchami.

I due figli di Sivakasi crescono con Muchami e con gli zii che abitano vicino. Come era successo per Sivakasi, a 9 anni i fratelli di Sivakasi cercano lo sposo per Thangam e identificano Goli, un bel ragazzo della loro casta. Vairum, il suo fratello invece sviluppa delle macchie bianche sulla pelle, e cresce come un ragazzo emarginato dalla propria comunità.

Il marito di Thangam si rivela un furfante buono a nulla e Thangam inizia a sfornare i figli, che poi crescono vicino alla nonna Sivakasi. Vairum, non crede agli oroscopi e insiste a sposare una ragazza che pensa di amare. Gli anni passano e le distanze tra Sivakasi e il figlio crescono. I figli di Thangam, nascono, crescono, sposano e muoiono.

Commenti: In circa 700 pagine il libro racconta una storia lunga e dettagliata con una descrizione delle antiche tradizioni dei bramini tamil e come queste tradizioni si scontrano con i mutamenti del tempo, con l'indipendenza dell'India e con la rivolta dei gruppi dravidici contro le tradizioni braminiche. I bramini tamil sembra che non possono continuare a vivere come vivevano in passato, devono cambiare ma non sanno come farlo. Molti di loro perdono le loro ricchezze e sono costretti a vivere da poveri, anche se continuano a sentirsi orgogliosi delle loro antiche tradizioni.

Una volta che ho iniziato a leggere il libro, non riuscivo più a metterlo giù finché non l'ho finito. Avevo un lungo viaggio in treno e il tempo è voltato via. Mi sembrava di essere dentro un soap-opera. Forse ciò dipende dal fatto che il libro è pieno di azione e movimento - a parte Sivakasi e Muchami, tutti gli altri personaggi entrano e escono continuamente.

Dall'altra parte il libro i personaggi del libro rimangono molto superficiali, perché il libro racconta quello che succede e quello che fanno le persone ma non descrive cosa pensano, come ragionano, e quali erano le loro motivazioni. Cosi alla fine del libro, quasi tutti i personaggi del libro restano un mistero. Molti personaggi appaiono per poche pagine e poi spariscono, come tutti i figli di Thangam (tranne Janaki, la madre di Thangajyothi che racconta la storia).

Sembra anche che la scrittrice vuole dare il messaggio che l'astrologia è una scienza esatta. Tutti i personaggi del libro obbediscono quanto scritto nelle loro carte natali. Vairum, il razionale che vuole liberarsi dalle catene delle caste e dalle tradizioni, decide di non accettare la tirannia degli oroscopi ma alla fine viene sconfitto dal suo destino che comunque segue quanto era stato predetto dal suo oroscopo.

Il titolo italiano del libro sembra richiamare lo stereotipo dell'India esotica e non ha le sfumature del titolo originale, "A toss of lemon" (un salto del limone), che fa riferimento all'ansia di Hanumanrathnam di conoscere l'ora esatta della nascita di suoi figli per poter tracciare le loro carte natali - infatti, l'ostetrica tradizionale che assiste Sivakasi ha l'ordine di buttare un limone dalla finestra appena esce fuori la testa del bambino.

Alla fine del libro, restano in mente le antiche tradizioni di una società patriarcale che fino ad un certo punto, ancora oggi governano la vita dei bramini tamil e degli altri gruppi che devono convivere con loro, come una gabbia di ferro dalla quale le vie di uscita sono poche e sbarrate. Resta anche un po' di frustrazione per non aver potuto capire fino in fondo i personaggi del libro.

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sabato 10 settembre 2011

L'inglese e la sua elefantessa

Per circa un anno non riuscivo a leggere i libri. Cominciavo a leggerli, ma difficilmente li finivo. Spesso, leggevo qualche pagina e poi mi addormentavo. Prendevo i libri dalla biblioteca e poi li riportavo in dietro senza averli letti. Dopo un po', per diversi mesi, avevo smesso di andare in biblioteca. Poi, circa un mese fa la voglia di leggere è tornata all'improvviso. E sono tornato in biblioteca per cercare i libri nuovi.


Mark Shand - viaggio in India
"Viaggio in India in groppa al mio elefante" (di Mark Shand, editore Neri Pozza, 2005, traduttore Daniele Morante) racconta la storia di Mark, un inglese, che decide di comprare una elefante e di viaggiare sul suo dorso per circa 1.300 km, dal tempio di Konark in Orissa fino alla fiera annuale degli animali di Sonepur, vicino alla capitale Patna dello stato di Bihar.

Non ci avevo mai pensato a che cosa poteva significare comprarsi un elefante. Non pensavo che si può affezionarsi ad un elefante come si può affezionarsi ad un cane o ad un gatto. Invece Mark racconta il suo amore a prima vista quando vede Toofan Champa, una giovane elefantessa, un po' malata e malnutrita che appartiene ad un gruppo di medicanti che la portano in giro per raccogliere soldi dalle persone che venerano il dio Ganesh. Lui non ha dubbi, subito decide di comprarla e di chiamarla Tara (Stella).

A parte le stranezze legate alla cura di un animale così grande che richiede tonnellate di alimenti ogni giorno, che ha bisogno di fiumi per lavarsi, e le difficoltà di fissare un baldacchino sul dorso del elefante per i passeggeri, le parti più belle del libro sono proprio il rapporto tra l'animale e il suo nuovo proprietario:
"Mi sentivo beato, euforico e tremendamente compiaciuto. Sporgendomi verso il basso, la baciai sulla grande e morbida orecchia e le sussurrai che la amavo. Via via che procedevamo caracollando lungo la strada mi sentivo sempre più sicuro di me. Mi voltai, e con un gesto che mi parve il più spavaldo del mondo, mi tolsi il panama gridando ad Aditya, che mi seguiva a piedi: <<Che te ne pare, amico?>>
<<Ridicolo>>, rispose."
La magia di un viaggio sono le coincidenze strane che possono succedere, cose piccole ma meravigliose che sembrano improbabili ma che accadono. Tra i tanti eventi che racconta Shand nel suo libro, il mio favorito è quel dell'incontro con il postino che ha perso la sua bicicletta nel fiume:
"Sulla riva stava seduto sconsolato un uomo intento ad asciugare un pacco di lettere grondanti d'acqua. Ci raccontò che mentre tentava di guadare era stato travolto dalla corrente e che la sua bicicletta era rimasta impigliata in un groviglio di rami in mezzo alle acque vorticose. Bhim e Tara si inoltrarono a guado nel fiume. Guidata dai bruschi comandi di uutha, uutha!, Tara immerse la proboscide e districò la bicicletta dall'intrico di rami tirandola su come se fosse una piuma e depositandola delicatamente di fronte all'incredulo portalettere."
Mentre lo leggevo, mi immaginavo nei panni del povero postino di campagna, spaventato dalla furia del fiume, felice per non essersi annegato ma oramai senza speranza di riuscire ad avere la sua bicicletta, e il racconto aveva qualcosa di magico. Non tutti i giorni puoi imbatterti in un inglese con il suo elefante in giro per le sperdute pianure dell'entroterra indiano, che può tirare fuori la tua bicicletta dal fiume.

Se cercate una lettura di viaggio piacevole senza grosse pretese, questo libro è per voi.

Mentre lo leggevo pensavo al mio sogno, quello di vestirmi da un sadhu con i vestiti arancioni della rinuncia, e partire per un viaggio senza soldi, vestiti, occhiali, cellulare o altro, di camminare scalzo da un villaggio ad altro chiedendo carità. Riuscirò a sopravvivere per un mese così? Sono decenni che covo questo sogno, ma forse oramai è troppo tardi per realizzarlo. Anche se posso mettermi il dhoti arancione di un sadhu, non avrò i capelli lunghi e fusi e la gente se ne accorgerà che non sono vero sadhu. Poi con la mia pancia, penso che farò un sadhu troppo ben nutrito e poco credibile come uno che vive sulla carità. Alla fine, non so i miei piedi reggeranno a camminare scalzi, forse in giro di 2 giorni, sarò costretto a rinunciare al mio viaggio.

Ma mi piace sognare questo viaggio, di voler sperimentare la sensazione di non avere niente se non me stesso, di dormire per terra, di mangiare solo se qualcuno avrà pietà di me, di incontrare persone semplici! Ogni volta che leggo un libro di viaggio, ripenso al mio sogno.

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venerdì 9 settembre 2011

Dieci anni dopo

Quel giorno dovevo partire per Libano, ma pensavo a mia mamma. Quella mattina anche lei era in viaggio. Stava andando a Washington e durante la notte doveva aver cambiato il volo a Londra. Avevo pensato di farla venire a Bologna per qualche giorno, ma  l'ambasciata italiana a Delhi non l'aveva rilasciato il visto. Era uscita una nuova legge e bisognava fare una fidejussione presso una banca per farla avere il visto e le procedure per fare la fidejussione erano un po' complicate.

Quando avevo capito che lei non poteva venire, avevo accettato la proposta di partecipare alla riunione in Libano. Avevo il volo della linea austriaca per Vienna e poi da Vienna dovevo andare a Beirut. Ma quella mattina, l'aereo per Vienna aveva dei problemi e alla fine avevano cancellato il volo. La linea aerea mi aveva proposto un altro giro - andare a Milano Malpensa e poi prendere il volo per Beirut quella stessa sera.

Ero a Malpensa quando erano arrivate le notizie degli attacchi terroristici a New York. Ero ipnotizzato davanti agli teleschermi dell'aeroporto. Poco dopo avevano annunciato che il volo per Beirut era stato cancellato e quella sera, dopo tutto il giorno passato negli aeroporti, ero tornato a Bologna. Soltanto allora avevo saputo che vi erano state degli attacchi anche a Washington e che il volo sul quale viaggiava mia mamma non aveva potuto atterrare e non sapevamo dove era finito.

Dieci anni dopo, quando penso a quelle tremende immagini delle due torri, penso anche alla ansia di quelli giorni per cercare di capire cosa era successo a mia mamma e dove era finita. Parlava poco l'inglese e non aveva molti soldi con se. Dopo avevamo scoperto che aveva passato qualche giorno in un campo in Canada allestito dalla croce rossa e poi, era stata rimandata a Londra, dove era rimasta in aeroporto di Heathrow per alcuni giorni, prima di riprendere il suo viaggio per l'America.

Non parlava di quei giorni, diceva che era confusa e che non si ricordava molto. Proprio in quei giorni avevamo cominciato a sospettare che lei aveva alzheimer. Forse lo stress di quei giorni aveva fatto precipitare la sua situazione.

Oramai lei non c'è più, è morta nel 2010. Nonostante le paure di quel viaggio del settembre 2001, aveva continuato a viaggiare. Era tornata in America altre due volte per stare con mia sorella. Invece aveva rifiutato di venire a trovarmi a Bologna.

"Mi trattano male nella tua ambasciata, mi fanno sentire come una persona non gradita, e non voglio tornare da loro", mi aveva detto.

Si avvicina l'anniversario dell'11 settembre. In un racconto uscito sul giornale inglese Guardian, la scrittrice di origine pakistana, Kamila Shamsie, racconta del anniversario dell'11 settembre vissuto nella redazione di una rivisita di Karachi, dove lavora Ayla, tornata dall'America in Pakistan:
What would they say if she told them, Ayla wondered? She looked across the office at the bumper sticker pasted on the wall under Saba's print out: America had 9/11; England had 7/7; India had 26/11; Pakistan has 24/7. They were all to-the-marrow Karachiwallas, steeped in a bitter "survivor humour" which had been refined through decades of violence. The men who strapped bombs to their chests in the name of God were just the newest form of attackers, not even the deadliest. Would she be able to puncture her colleagues' grotesque oneupmanship?
Le memorie sono così. I nostri piccoli e grandi ricordi personali mescolati agli eventi che segnano la storia.

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giovedì 25 agosto 2011

Zachar Prilepin - poesia e desolazione della guerra

E' bello scoprire ogni tanto qualche nuovo scrittore che mi piace. Era successo così con Yiyun Li, anche se poi il suo secondo libro "I girovaghi", non mi aveva convinto (dopo 6 mesi devo ancora finire di leggerlo).

Comunque, ho trovato un altro scrittore che non conoscevo e che mi è piaciuto - si tratta di Zachar Prilepin, un giovane scrittore russo. Ho letto il suo libro Patologie (2011, Voland Roma, titolo originale "Patologii").

Zachar Prilepin

All'inizio quando ho preso il libro in mano, non ero sicuro se lo volevo leggere. Zachar è un veterano della guerra in Cecenia e il libro parla di un gruppo di giovani militari russi che vanno in Grosnyj (Cecenia) per una missione di 45 giorni.

Avevo subito pensato che leggere un libro scritto da un ex-soldato russo sulla guerra in Cecenia, sarebbe come leggere un libro scritto da un soldato israeliano sui bombardamenti di Gaza, e non ero sicuro se ero interessato a scoprire cosa pensano i soldati di una forza di occupazione. Dall'altra parte, penso di sapere qualcosa sulla storia del conflitto israeliano-palestinese, ma non ho una chiara idea dei motivi del conflitto tra i russi e i ceceni.

Le storie dei soldati sono storie di un mondo a parte - quello degli uomini senza le donne costretti a vivere in situazioni di intimità, con l'angoscia della de-umanizzazione della guerra. Non ero sicuro se volevo entrare in questo mondo.

Poi, nonostante un vago senso di disagio, o forse, proprio per questo senso di disagio, ho deciso di leggere il libro.

Zachar Prilepin è bravo a costruire il mondo del suo romanzo. Ergo, il suo eroe viene da una piccola cittadina russa, Svajatoj Spas, dove ha la sua ragazza, Dasa, della quale è molto geloso.

Il romanzo parla di guerra e di morte, per cui ha un linguaggio brutale e crudo, ma ogni tanto, vi sono brevi scene piene di poesia quando Ergo pensa alla sua tormentata storia d'amore. Per esempio, guardate questo passaggio:
Umido e iridescente, come disegnato nell'aria ad acquerello, compariva l'odore dell'estate, di fantomatiche betulle notturne, di piogge brevi come la riparazione istantanea di un calzolaio, di dolcezza. Poi, denso e pigro, affiorava l'odore dell'autunno, come disegnato con colori a olio, odore di alberi di navi di pino e tremolo incatramati, di mestizia. Bianco, gelido, smorto, disegnato come a pastello, l'odore dell'autunno era rimpiazzato dal sapore dell'inverno. I sogni si avveravano. Ci svegliava la sensazione di fame che si inerpicava come un ragno freddo sulla sommità di tutti i sogni, mettendo in fuga quel calore insopportabilmente dolce, spariva senza traccia quel beato torpore e quella tanto felice e fiduciosa cecità. ...
Dasa chiudeva svelta gli occhi, ma le pupille non riuscivano più a vivere dell'indifferente vita notturna e si animavano di nuovo. A quel modo balzerebbero da una macchia di lappole e ortiche due caprette, capendo che è arrivato il padrone.

Mi piace molto l'immagine delle caprette evocato da Zachar quando parla degli occhi della ragazza.

Il romanzo racconta la crudeltà della guerra, e in questo senso, alla fine non si discosta da altri romanzi del genere - i militari russi che ammazzano i ragazzi ceceni per non lasciare vivi i testimoni scomodi, i ragazzi cercano di anestetizzarsi con alcol, le mine anti uomo che scoppiano e all'improvviso uccidono i compagni, i ceceni che quando possono, sono altrettanto feroci nella loro violenza, ecc.

Alla fine del libro i pochi superstiti tornano in Russia alla fine dei 45 giorni, ma sono cambiati per sempre e porteranno le cicatrici dell'esperienza dentro di sé.

Comunque, è il linguaggio dell'autore che alla fine del libro, è rimasto con me:
La pallottola lo centra in mezzo agli occhi. Sul ceffo di Infame che era lì accanto, è come se avessero scrollato un pennello da imbianchino umido: il viso è coperto da schizzi di cavità oculare frantumata.
-Pffu che cazzo! - impreca Infame e si pulisce con la manica. Si guarda la manica con schifo e si mette a strofinarla con l'altra manica.
Sanja Stornello si gira e vomita le alici non ancora digerite.
Andiamo via.
Infame si dà da fare attorno alla vettura. Mi volto e lo vedo innaffiare di benzina i ceceni uccisi con una tanica trovata nel camion.

Alla fine del libro, non non ho capito niente su perché i russi ammazzano i ceceni, ma spiegare il perché del conflitto non era obiettivo dell'autore.

Alla fine del libro, è molto interessante la spiegazione di Enzo Striano, il traduttore del romanzo, riguardo le difficoltà di tradurre il gergo dei militari russi e le parole dei diversi dialetti russi.

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