venerdì 22 febbraio 2008

India: Pagine del diario di viaggio (1)

31 gennaio 2008, Hyderabad

Siamo alloggiati in un hotel di Hitech city, la nuova parte della città. Anche se la chiamano Hi Tech (alta tecnologia), tutto sembra uguale al resto della città – negozi, folle infinite, rumore, odori, betel, clacson, traffico caotico, ecc. Sparsi in questa torrente della vita vi sono isole di alta tecnologia, sedi delle multinazionali come i Cybertowers, fortezze moderne sorvegliate da guardie armate ai cancelli, dove le strade sono larghe, pulite e deserte, l’erba verde e tagliata, e poi tanto vetro e acciaio.

Secondo Laltu, il mio amico scrittore e poeta che insegna all’università di Hyderabad, vi è un’altra differenza importante tra l’Hitech city e il resto della città di Hyderabad, ciò è, tutto costa cinque volte di più. Laltu è intenso e idealista. Il pomeriggio passato con lui è stato un concentrato denso di piacere. Ho registrato alcune sue poesie nella sua voce. Lui mi ha dato il suo libro dei racconti e una raccolta delle sue poesie.

E’ molto particolare la sensazione di essere in India, che non so come descrivere. Riguarda le persone. Ti accolgono. E’ come essere circondati da una massa infinita di accoglienza. E’ una sensazione molto piacevole che colora tutte le altre esperienze. E’ qualcosa alla quale ti abitui dopo un po’, e dopo non te ne accorgi più. Mi piace uscire fuori sulla strada per sentire questa sensazione.

Cerco un ristorante del sud India intorno all’hotel. Voglio mangiare una dosa, foglia croccante di pasta di riso, con delle patate speziate. A Bologna sono stati aperti tanti ristoranti indiani, ma la maggior parte di loro non sono gestiti da indiani o non hanno cuochi indiani, e in ogni caso, non conosco nessun posto dove si può mangiare una dosa in Italia. I nostri tentativi di preparare queste dosa a casa a Bologna, fin’ora non sono andati a buon fine.

Il congresso sulla lebbra si tiene al nuovo centro internazionale dei congressi, una delle fortezze della alta tecnologia costruite da poco, difficile da arrivarci. Poi, non lasciano che le umili autorisciò entrino dentro ai loro cancelli. Si può entrare solo con la macchina. E’ una rottura di palle da non credere arrivarci tutti i giorni con i mezzi pubblici. Per aiutarci, hanno organizzato dei bus charter che ci prelevano dagli hotel e ci riaccompagnano in dietro la sera. Per fortuna, le discussioni sono molto interessanti. Passo delle ore a andare in giro, ascoltare relazioni, discutere animatamente con le vecchie e le nuove conoscenze. Ogni tanto quando qualcuno è noioso, sonnecchio.

Infatti, mi sembra di avere sempre sonno. Tutto il giorno penso al letto e poi, la sera, appena mi ci infilo dentro, il sonno scompare. Sono costretto a guardare cazzate alla televisione che sembra impazzito. Ormai, la liberalizzazione della televisione indiana è completa e vi sono almeno 10 canali che trasmettono notizie 24 ore su 24, ognuno di loro disperato per accaparrare l’audience e per cui ogni notizia è annunciata come fosse l’attacco alle torri gemelle e vanno avanti con delle cretinate incredibili per delle ore. Verso la mattina, quando inizio a dormire bene, è ora di alzarsi per non perdere il bus che ci porta al centro congressi.

A volte penso che se tu viaggi sempre dentro le macchine con l’aria condizionata, esci dal tuo appartamento che si trova dentro un centro residenziale circondato dalle mura e con la guardia al cancello, poi entri dentro il tuo centro di alta tecnologia o l’ufficio di una multinazionale, anche questa dentro un centro circondato dalle mura e con delle guardie al cancello, sei veramente in India o sei dentro un altro paese? Vedi diversamente la situazione dei poveri e degli esclusi? In qualche modo sei un indiano meno autentico, un po’ meno indiano? Ci penso a queste domande, quando G viene a prendermi all’hotel. Lui è figlio di mia zia, lavora per una grossa multinazionale, viaggia spesso all’estero, vive in un centro residenziale dei ricchi. Il suo mondo sembra troppo perfetto e isolato dal mondo caotico che ci circonda. So che è un’illusione, questa sua distanza dall’altra India. Lontano dal mondo delle multinazionali conosco la casa a Delhi, da dove lui è uscito e dove torna ogni tanto a trovare sua madre che vive in quell’altra India. Può sembrare isolato dall’India dei poveri, ma invece se guardi dietro la facciata, lui conosce bene quell’India, troppo bene. Ma tutti gli altri come lui, loro conoscono quell'altra India?

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2 febbraio 2008, Hyderabad

Le mie prime memorie di questa città sono un po’ sfuocate. Penso che ero venuto qui per la prima volta nel 1959 o nel 1960. Mi ricordo vagamente il viaggio in treno, di aver passato la stazione di Bhopal, e di aver dormito nella cuccetta di sopra. Eravamo in tre, io, Pinky e mia mamma. Andavamo a trovare papà che a quell’epoca lavorava a Hyderabad. Mi ricordo vagamente la casa nella vecchia città vicino a Char Minar, dove giocavamo nel cortile, cantavo “Madhuban mein radhika nacchi re” e Pinky ballava. Quella casa dove fuori c’era una piccola fontana con dei pesci. Una volta ero caduto dentro la fontana e avevo avuto molta paura di essere mangiato vivo dai pesci. Vicino c’erano le fabbriche che producevano i braccialetti di vetro, per i quali Hyderabad era famosa. Le passeggiate lungo l’Hussein Sagar, il lago di Hyderabad. Ho il ricordo di una sera, era il mio compleanno e pioveva, ma ero contento del gioco che mi avevano comprato, un giocattolo con la chiavetta che poteva aprire un piccolo ombrello che girava con la musica.

Avevo nostalgia di quei giorni. E speravo di poter cercare quella casa. Così sono uscito dal congresso per andare alla vecchia città. L’antico ospedale Unani, la moschea Mecca, il monumento di Char Minar con le sue quattro torri, le piccole strade dove si vendono i braccialetti colorati di vetro, per ore ho girato in quella zona. Non sono riuscito a identificare la strada dove ero stato da bambino.

Ho parlato con una signora che chiedeva monete ai passanti. Si chiama Salma e proviene da Sholapur. Porta il velo nero delle donne musulmane. “Cosa devo fare? Non riesco a lasciarmi morire dalla fame. Sono vecchia e vedova. I figli sono sposati e sistemati, non voglio essere un peso per loro”, il misto di vergogna e impotenza nei suoi occhi, mi ha fatto vergognare della mia invadenza.

Comunque, non riesco a farne meno di parlare con le persone, attacco bottone con tutti. Con i due ragazzi che vendono fazzoletti all’angolo della strada. Quello grande si chiama Abdul, è un musulmano e vuole essere fotografato, sta diritto orgoglioso, quando gli scatto la foto. Il ragazzino piccolo si chiama Dev Raj, è un indù e sta seduto con un sorriso imbarazzato. “Come è che non vai a scuola?” gli chiedo e lui non mi risponde, soltanto nega con la testa.

Chiacchiero anche con l’anziano custode del piccolo santuario del Pir all’interno di Char Minar. Si chiama Abdel Siddiq e fa custode da 41 anni. Prima di lui, il suo zio, fratello di sua mamma, era il custode. Parla un urdu letterario con i fiocchi, sembra un imperatore Mugul uscito da un film, ed è un gusto sentirgli parlare. “E’ originario di Delhi? Grande città la Delhi. Benvenuto alla nostra umile dimora. Quale impegno porta il nobile Signore a visitare questa polverosa Hyderabad?”

Alla sera ho preso un autorisciò per tornare all’hotel. Il mio guidatore era Gurpreet Singh, un giovane ragazzo sikh e durante il viaggio di ritorno, ho chiacchierato con lui. I suoi bis nonni erano arrivati a Hyderabad più di cent anni fa e lui si sente parte di questa città. Ha 29 anni, è laureato in scienze politiche, da 6 anni è sposato, ha due figli e per tre anni ha lavorato in una banca. “Non si guadagna molto con la banca, meglio avere questo autorisciò. Ho avuto un prestito dalla banca per comprarlo e l’ho già ripagato tutto.” Parliamo dei suoi genitori, dei suoi figli e della sua moglie. “No, lei non lavora. Gli uomini di Hyderabad non possono mandare le mogli a lavorare, sarebbe contro la nostra cultura. Lei deve prendere cura della casa e di miei genitori. Lo so che le donne di oggi vogliono lavorare, ma io sono all’antica ..”




















giovedì 21 febbraio 2008

La violenza nelle parole

Mi sembra chiaro che l’articolo di Efraim Medina Reyes “Il sesso forte” (Internazionale 726) sia stato scritto per scandalizzare. Usa termini come fica, gang bang, stupro e non cerca in nessun modo di misurare le parole. Perché stupirsi? Non diciamo parolacce in altri contesti? A disturbarmi è soprattutto la corrente di violenza sottintesa. Tanto più che il suo articolo parla della violenza nel mondo e, in particolare, di quella contro le donne. Ho avuto perciò la sensazione che il suo discorso avesse un senso, ma che il modo in cui era stato scritto significasse l’opposto. Rispetto al passato siamo più tolleranti verso le parolacce, anche quando le troviamo nei libri e nelle riviste. In Italia vengono usate nel linguaggio di tutti i giorni e non sono più considerate un tabù. I genitori le usano con i figli e i figli le dicono davanti ai genitori. In un certo senso ne capisco il bisogno: per molto tempo abbiamo nascosto i nostri corpi e la sessualità dietro ad imbarazzi e silenzi. Mi sembra giusto far crollare quelle barriere che ci impediscono di parlare più apertamente di questa parte delle nostre vite. Non credo, però, che sia giusto farlo con il linguaggio di Medina Reyes perché ci porta a pensare ad alcune parti del nostro corpo come a degli oggetti. O alla sessualità come a una meccanica di penetrazioni e movimenti.

Nota: Lettera uscita sul numero 731 di Internazionale

sabato 26 gennaio 2008

Bilancio finale

Domani partirò per l’India. Penso che sia il momento giusto per fare un bilancio dell’esperienza di Torino. Ero tornato da Torino con una testa in subbuglio, e avevo bisogno di un po’ di tempo per calmarmi e per lasciar sedimentare i pensieri. Ora penso di aver digerito le esperienze e posso tentare di farne un bilancio finale.

Alessandro del Premio Grinzane mi aveva contattato verso il 20 novembre 2007. Zahoor gli aveva dato il mio nome. Zahoor è originario del Kashmir. Lui insieme alla sua moglie, Renata, ha scritto il libro Storie dell’India, pubblicato da Edizioni Progetto Cultura di Roma. E’ un libro molto particolare. Quando l’avevo letto, mi aveva fatto pensare alla mia vita da bambino negli anni sessanta. I racconti di questo libro sono un po’ retro, ciò è scritti in uno stile che somiglia alle storie dei libri popolari di quelli anni, quelli che allora erano trattati come libri “pulp fiction”. Rispecchiavano la semplicità di quei giorni, quando le scelte erano limitate, non c’era corrente elettrica in casa e la luce delle lanterne scandiva le ore serali.

Penso che Alessandro aveva contattato Zahoor per parlargli degli scrittori indiani e Zahoor gli aveva dato il mio indirizzo di email. Dalla prima volta che avevo parlato con Alessandro, subito avevo cercato di promuovere l’idea che la letteratura indiana va molto oltre i pochi scrittori conosciuti in occidente, quelli che scrivono in inglese. Non solo, ma che vi sono dei dibattiti importanti tra gli scrittori indiani riguardo la rappresentanza dei gruppi emarginati, come gli scrittori dalit, e le domande che scaturiscono da questi dibattiti, per esempio sulla definizione della letteratura.

Dall’India, i libri sulla religione, sulla spiritualità e sui temi esotici come il kamasutra, la meditazione e lo yoga sono stati tradotti e hanno trovato larga diffusione in occidente. I testi considerati i capolavori della scrittura antica indiana come gli scritti di Kalidasa nel 4° secolo d.c. sono completamente sconosciuti in Italia e in Europa, se non tra pochi studiosi nelle università. Gli innumerevoli scrittori indiani del ventesimo secolo, i quali hanno scelto di esprimersi in lingua indiana sono ugualmente sconosciuti in occidente. Scrittori prolifici e popolari come Bimal Mitra, Asha Purna Devi, Acharya Chatur Sen, Rangey Raghav, Munshi Prem Chand, ognuno dei quali ha scritto decine di libri importanti non sono mai stati tradotti in nessuna lingua europea. Poeti più importanti della letteratura hindi come Mahadevi Varma, Nirala, Muktibodh, Raghuvir Sahay, hanno subito lo stesso destino. Tagore, l’unico premio nobel indiano per la letteratura, riuscì ad avere il riconoscimento grazie alla traduzione in inglese della sua opera Gitanjali, infatti, la citazione alla consegna del premio recitava, “.. per i suoi versi profondamente sensibili, freschi e belli che con consumata abilità lui ha scritto il suo pensiero poetico, esprimendosi in inglese, per diventare parte della letteratura occidentale …”

Il più importante premio letterario nazionale dell’India, Rashtriya Sahitya Accademy Awards, è un riconoscimento dato agli scrittori più importanti del paese. Dei vincitori del premio negli ultimi cinquant’anni, soltanto uno di questi autori, ha avuto i suoi libri tradotti in italiano.

Vi sono altri spazi all’interno della società indiana che non sono rappresentati nella letteratura indiana. E’ indubbio che negli ultimi cento anni della letteratura indiana le voci dominanti sono quelle delle persone appartenenti alle caste più alte, delle persone che rappresentano le classi più alte e fino a un certo punto, le classi medio borghesi. Questo è vero anche per gli scrittori nelle lingue indiane. C’è invece l’India delle caste basse, i dalit (letteralmente i calpestati), l’India delle minoranze religiose, etniche e sociali, l’India dei gruppi poveri e emarginati che non avevano e per molti versi continuano a non avere una voce nel mondo letterario indiano. All’interno di questi gruppi le voci delle donne rimangono ancora più nascoste. Soltanto negli ultimi decenni le voci dei dalit hanno assunto un valore importante nel mondo della letteratura. Tra i gruppi emarginati vorrei sottolineare i gruppi omosessuali, gay e lesbiche, che sono completamente assenti dallo scenario letterario per i forti tabù sociali e culturali.

Alessandro aveva accolto quasi subito questa mia tesi e ha dato la possibilità a due scrittori che scrivono in Hindi, Uday Prakash e Bhagwan Dass Morwal, di partecipare al convegno. Non è molto ma è un inizio. Dopo il convegno, ho già avuto qualche contatto con le case editrici interessati alla pubblicazione di scrittori indiani ancora sconosciuti in Italia.

La mia partecipazione al convegno di Torino ha dato molta visibilità anche a me. Qualcuno mi ha chiesto di scrivere per qualche rivista. Qualcuno si è mostrato interessato alla traduzione in italiano di alcuni miei racconti scritti in Hindi. Molte persone mi hanno scritto per dire che avevano apprezzato il mio intervento. Tutto questo è molto gratificante ed vorrei impegnarmi per fare uno sforzo in più per scrivere non soltanto in hindi ma anche in italiano.

Dall’altra parte, il convegno di Torino mi ha aiutato a capire me stesso meglio e che cosa voglio dalla mia vita. Anzitutto mi ha fatto capire che la mia prima passione resterà il mio lavoro con AIFO, il lavoro di medico della lebbra e che la scrittura sarà in seconda fila, sempre una passione per il mio tempo libero.

Avevo sentito che qualcuno ha scritto un commento critico su il Manifesto riguardo la riunione di Torino e subito avevo immaginato che avranno criticato la scelta di avere quasi tutti gli scrittori come rappresentanti dell’India ricca e anglofona e pochi rappresentanti delle altre letterature indiane. Ieri finalmente sono riuscito a leggere questo articolo. E’ scritto da una persona che si firma, m.t.c. e l’articolo mi ha sorpreso un po’. m.t.c. ha ragione quando scrive che sono stato invitato a Torino soltanto perché ero di Bologna. Ma per il resto non ho capito la sua critica. Si lamenta che non vi erano nomi famosi, i personaggi importanti della scrittura indiana! Sono contento che al premio Grinzane le persone la pensavano diversamente da m.t.c.

Penso che era bello il miscuglio di nomi affermati come Shashi Tharoor, M. J. Akbar e Tarun Tejpal; i giovani talenti come Nirpal Singh, Lavanya Shanker e Altaf Tyrewala e che vi erano 3 rappresentanti della scrittura nelle lingue indiane, Gayathri Murthy, Uday Prakash e Bhagwan Dass!

L’unica critica che posso fare è che erano troppe le persone provenienti dalle grandi metropoli, scrittori che appartengono alla classe medio alta, che hanno beneficiato dalla crescita economica dell’India degli ultimi anni. Mentre gli scrittori rappresentanti dell’altra India, quella che è sempre povera e emarginata, erano pochi. Ma devo riconoscere che almeno c’erano, perché quasi sempre non ci sono, perché sono molto spesso dimenticati. Grazie Alessandro.

domenica 20 gennaio 2008

Il Mahatma e il Mercato

Sono tornato da Torino, dopo 3 giorni intensi. Penso di aver fatto un'indigestione degli scrittori. Era così bello incontrare diversi scrittori. Quando leggi un autore, ne crei un'immagine interna e poi, quando hai occasione di incontrare la persona, scopri le differenze tra il personaggio della tua creazione e la persona. Comunque, per il momento, ho una tempesta di pensieri nella testa e bisogna che aspetti che si calmi per capire il significato di queste esperienze e eventualmente, di parlarne. Vorrei dire soltanto che oltre agli scrittori indiani, il viaggio a Torino è stato bello anche per incontrare autori come Tahar Ben Jalloun e Luis Sepulveda.

E, vi presento qui un articolo, pubblicato in parte sul quotidiano, La Stampa del 18 gennaio 2008, "Il Mahatma e il Mercato".
Le foto sbiadite del passato

Ero piccolo. Forse avevo cinque anni. Era la prima volta che visitavo il museo memoriale di Mahatma Gandhi, vicino a Rajghat dove lui fu cremato nel 1948, e dove sorge il suo samadhi, il luogo dove è divenuto tutt’uno con il creatore.

In quegli anni, lui era ancora una persona. Qualcuno che aveva vissuto come le persone normali. La storia dell’India indipendente non era ancora diventata la storia. Diversi personaggi di quella storia erano ancora delle persone in carne e ossa. Avevo visto Pandit Nehru, il primo ministro dell’India alla scuola, al quale avevo consegnato una rosa di benvenuto.

La mamma parlava di loro qualche volta. Raccontava del suo lavoro come segretaria di Maulana Abdul Kalam Azaad, uno dei leader musulmani moderati, membri del partito del congresso, i quali avevano deciso di restare in India, rifiutando l’idea di una patria basata sulla religione. Lui era diventato il ministro dell’educazione dell’India indipendente.

Lei parlava anche di quella casa dove abitavamo, che apparteneva ad un ricco musulmano haji, commerciante di rifornimenti ospedalieri, il quale aveva scelto di sfuggire in Pakistan con la sua famiglia. Quella casa dove le finestre della zenana, la parte della casa riservata alle donne, con schermi di legno finemente scolpiti permettevano alle donne della casa di guardare fuori senza essere viste. Parlava dei giorni sanguinosi della divisione dell’India e la pazzia omicida che regnava nel cuore degli uomini. Di come un giorno lei era entrata in una casa abbandonata per salvare una donna musulmana da un gruppo di uomini indù che la volevano violentare e del certificato di apprezzamento che aveva ricevuto dal Pandit Nehru per questo atto di coraggio.

Lei parlava anche di Bapu. Era così che chiamava il Mahatma. Bapu, papà. Parlava delle sedute a Birla Bhavan dove andava a ascoltare Gandhi e a cantare insieme a tutti gli altri le bhajan, le preghiere favorite del suo Bapu. Parlava di quel giorno quando Nathuram Godse aveva sparato e ucciso il suo Bapu. Parlava della sua preghiera favorita, Vaishnav jan to tane kahiyeji pir parayi janni re, "E’ lui l’uomo di Dio, soltanto colui che cerca di capire il dolore altrui".

Il museo del memoriale di Mahatma Gandhi era una struttura semplice e spoglia dove erano esposte tutte le cose personali di Bapu. Il suo bastone per camminare. I suoi occhiali con la montatura rotonda. Quelli che erano caduti per terrà quando gli avevano sparato e che si vedono un po’ storti sull’erba, nella foto di quando li avevano trovati. I suoi libri, la sua carta e la sua penna, un foglio di carta dove sono scritte alcune righe. Non aveva una calligrafia molto bella, avevo pensato, il mio maestro di calligrafia alla scuola gli avrebbe fatto riscrivere tutto da capo!

Ma l’oggetto che aveva catturato la mia immaginazione era il suo dhoti, il panno di khaadi bianco, tessuto a mano, che lui portava quel giorno, con le macchie del suo sangue. Guardavo quelle macchie marroni con macabra curiosità. Per me, erano quelle macchie che lo rendevano una persona vera più di qualunque altra cosa.

Il 30 gennaio di ogni anno alle 11,00 suonavano le sirene per ricordare il padre della nazione, Mahatma Gandhi, per ricordare quel momento tremendo del suo assasinio. Dovevamo tutti alzarsi in piedi e stare in silenzio per due minuti finché suonavano le sirene un’altra volta. Per molti anni dopo quella visita al museo di Gandhi, in quei momenti di silenzio, pensavo a quelle macchie marroni di sangue.

Fra qualche giorno saranno passati sessanta anni da quel lontano 1948. Chissà se suoneranno le sirene alle 11,00 per ricordare l’uccisione di Bapu?

Oramai il mondo è cambiato. Non ci sono più quelle lezioni dell’antica arte di calligrafia di hindi. Ognuno di noi aveva la sua takhti, una tavola di legno per la scrittura. Si applicava uno strato di gesso bianco bagnato sul legno ogni mattina per avere la superficie bianca sulla quale scrivere con il pennarello di bambù che dovevi bagnare nell’inchiostro nero. Mercato, competizione, progresso, sviluppo, crescita e pragmatismo, sono queste le parole in voga oggi.

Il ritorno del Mahatma
Non si può dire che l’India abbia dimenticato il Mahatma. Le sue foto continuano a adornare le aule giudiziarie e gli uffici governativi. E’ sua la faccia sulle banconote da 500 rupie, quelle si usano spesso per le bustarelle e per i pagamenti in nero. Sono più facili da nascondere. Se qualcuno vi parla di Gandhi mentre cercate di sbrigare qualche servizio, è possibile che lo faccia per ricordarvi che aspetta la mancia.

Per le elezioni non servono più le foto di Mahatma Gandhi, bastano quelle di Indira Gandhi. Ormai esistono delle generazioni cresciute dopo la morte di Indira Gandhi che non conoscono chi era lei, è inutile parlare a loro di Mahatma. Si parla di Mahatma Gandhi il 2 ottobre, il giorno della sua nascita, e il 30 gennaio, il giorno del suo martirio. Poi quando serve, si può tirare fuori la sua bandiera per parlare della forza della verità, o della non violenza, per subito ripiegarla e metterla nel dimenticatoio.

In questo contesto generale, nel 2006-07 all’improvviso il Bollywood, il cinema di Bombay, ha ripescato il Bapu dal dimenticatoio, con due nuovi film che parlavano di lui e l’hanno presentato alle generazioni che non lo conoscevano.

Lage raho Munna Bhai (Continua fratello Munna), il primo film uscito nella seconda metà del 2006 è la storia di Munna, un malavitoso di Bombay, il quale incontra un giorno il fantasma di Gandhi in una biblioteca. Munna è disperato, ama una ragazza, ma non sa come vincere il suo cuore. Il fantasma di Gandhi promette di aiutarlo a patto che Munna segue ogni suo consiglio. Il film ha ottenuto grande successo della critica e del pubblico, e ha fatto capire ai giovani, in maniera semplicistica, i messaggi di Gandhi sulla non violenza, sul dialogo e sulla verità.

Gandhi My Father (Gandhi, mio padre), il secondo film uscito nel 2007 è la storia vera dei tormentati rapporti tra Gandhi padre e il suo primogenito Harilal. Il film basato sull’autobiografia di Harilal Gandhi, affronta temi poco conosciuti anche alle persone che pensano di conoscere la figura del Mahatma. Il film ha avuto l’approvazione della critica ma è stato ignorato dal pubblico.

Grazie a questi due film la figura di Gandhi è tornata all’attenzione pubblica. Il museo memoriale di Gandhi ha dichiarato che il numero dei visitatori giornalieri è cresciuto a 2000 persone al giorno. I giornali hanno iniziato nuovi fumetti che parlano di Gandhi. Una radio ha lanciato un quiz sulla sua vita e un’altra ha organizzato una serie di laboratori sul significato pratico del suo messaggio nel mondo di oggi. Un’associazione ha proposto un programma per visitare i villaggi per aiutare le persone bisognose, ottenendo adesione di molti giovani volontari. La vendita dei libri sulla sua vita ha avuto un’impennata.

Gandhi e il mercato

E’ stato riconosciuto il valore del marchio Gandhi per il mercato.

Nell’India che tocca vertiginosi livelli di crescita economica, il mercato è sempre più importante, e il mercato dice che Gandhi ha alto valore commerciale. Serve per vendere l’immagine della nuova India emergente. Questa nuova immagine dell’India non parla di povertà, di carestie, di bidonville. Invece ripesca i valori antichi, come quelli di spiritualità, di yoga, guru e meditazione, e li mette insieme alla tecnologia informatica, ai call centre, all’economia in forte espansione. Quante macchine, quanti cellulari, quanti schermi ultrapiatti, quante lavatrici, tutto da vendere, numeri che mandano in fibrillazione le multinazionali che annusano l’odore dei guadagni.

E dove è Mahatma Gandhi in questa nuova India? Come dice Salman Rushdie, “E’ diventato astratto, fuori dalla storia, postmoderno, non più un uomo del suo tempo ma un concetto libero, uno dei tanti simboli culturali, un’immagine che puoi prendere in prestito, usare, deformare, reinventare secondo il caso e il momento …”.

La sua immagine è ora protetta e venduta da agenzia americana CMG Worldwide, la stessa che detiene i diritti sulle immagini di altre icone come Einstein, James Dean e Marilyn Monroe. Il messaggero della semplicità, austerità e autosufficienza sta incatenato nella piazza pubblica e si chiamano gli acquirenti al mercato degli schiavi. Lui può essere usato da qualunque per vendere di tutto. Ditte come Telecom Italia e Apple americana l’hanno già fatto. Il suo torso nudo, il suo dhoti di ruvido khaadi bianco tessuto a mano, i suoi occhiali con la montatura rotonda, il suo sorriso sdentato, la sua voce con l’erre moscia, sono tutte in vendita.

Dal suo messaggio si sceglie quello che va bene per il mondo di oggi. Quello che non va, si può semplicemente scartare. “Il mondo ha sufficienti risorse per soddisfare i bisogni di tutti, ma non può soddisfare l’ingordigia ne anche di uno”, lui aveva detto ed è diventato un simbolo da usare per la cultura del consumismo, quella di sfruttare, usare e buttare. Ha perso lui la battaglia contro le forze del mercato.

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15 gennaio 2008

giovedì 10 gennaio 2008

Lo scrittore: Una Questione di Identità

Quando sono stato presentato agli ospiti come “uno scrittore che vive in Italia”, sono rimasto un po' interdetto. Ero a casa di Om Thanvi, un amico e il responsabile di Jansatta, uno dei maggiori quotidiani nazionali in India. Tra gli ospiti c'erano diversi scrittori, artisti, e musicisti. Qualcuno lo conoscevo già. Altri li conoscevo solo di nome, perché avevo letto di loro nelle riviste e nei giornali. Ogni volta che lui mi presentava a qualcuno sentivo una strana sensazione di piacere e disagio, mescolato ad un piccolo senso di colpa.

Om Thanvi, giornaista e scrittore indiano

Non volevo diventare uno scrittore. L’avevo deciso quando ero piccolo.

Forse avevo cinque anni quando scrissi un piccolo racconto per Parag, una rivista indiana per bambini. Il racconto parlava di un grande topo che amava mangiare i dolci laddu. L’avevo fatto vedere a una delle mie zie. Mi aveva detto: “Sei proprio bravo, diventerai uno scrittore come il tuo papà”. Allora forse non sapevo cosa volesse dire “essere uno scrittore”, ma mi erano piaciute le sue parole perché aveva detto “come il tuo papà”, che aveva scritto tre romanzi, tradotto una ventina di libri dall'inglese ed era un giornalista conosciuto.

Da bambini, io e le mie sorelle, eravamo circondati da scrittori e artisti indiani in famiglia, a partire dalla mia nonna, dalle mie zie e dai miei cugini. Ricordo la delusione della nonna paterna quando, una delle riviste locali, le aveva rimandato indietro il suo racconto dicendo che non era adatto per la pubblicazione.

C’era anche un libro scritto dal nonno materno sul gioco dell'hockey, che lui non era riuscito a far pubblicare. Avevo con me, tutti questi loro manoscritti mai pubblicati. Purtroppo, ho perso quei manoscritti in qualche trasloco, prima dell'invenzione di internet.

Di tutte le persone che vivevano in quella casa, perché il nonno aveva dato il suo manoscritto a me?

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Avevamo un armadio pieno di libri nella casa, erano libri arrivati per le recensioni, perché il mio papà era anche un critico. Non mi ricordo quando ho iniziato a leggerli, forse quando avevo 6-7 anni. Libri di autori indiani, oggi considerati autori classici, come Nanak Singh, Rangey Raghav, Krishen Chander, Mohan Rakesh e tanti altri. Non c’era un libro in quell'armadio che non avevo letto. Qualcuno di quei libri, letti quando ero un bambino, li ho ancora con me. (Nota: Qualche anno dopo aver scritto questo post, li avevo regalati tutti alla biblioteca multi-etnica di Bologna).

Quando ero un bambino, qualche volta, alla sera, andavo al coffee house di Connaught Place con i miei genitori. Quel Caffè era famoso come il ritrovi degli scrittori e artisti. Oggi in quel luogo c’è la stazione della metropolitana di Delhi. Ci incontravamo con gli amici di papà. Quanto fumo di sigarette e quante tazze di caffè nero che si bevevano!

Assistevo affascinato alle loro discussioni appassionate e infinite sulla lotta di classe, sulla difesa delle lingue indiane, sui poveri e sugli oppressi. La loro passione era coinvolgente, ma vedevo anche che erano quasi tutti poveri, proprio come noi. Penso che sia stato li, in quel coffee house, che iniziai a chiedermi se valeva la pena di fare lo scrittore. Fare lo scrittore e guadagnare abbastanza soldi, era un mestiere difficile.

Papà lavorava come responsabile di Jan, il mensile del partito socialista indiano. Scriveva anche per altre riviste. Ma questo non era lavoro per lui, era la sua passione, era la sua idealità. Scriveva sempre, ma, non guadagnava mai abbastanza. Neanche la mamma guadagnava molto come insegnante della scuola elementare. Per cui, in casa i soldi non erano mai sufficienti. Non sono mai andato a letto affamato, ma ero molto consapevole che bisognava stare attenti ad ogni centesimo.

Per esempio, c'è stato un periodo quando avevo due pantaloncini. In biblioteca, la signora mi aveva chiesto di non portare quelli pantaloncini, “Ti sono troppo stretti. Poi, non sei più un bambino, dovresti portare i pantaloni lunghi fino ai piedi.” Ma non ne avevo detto niente in casa perché sapevo che era un momento difficile e non c’erano soldi per comprare i nuovi vestiti. E poi, un giorno mentre cercavo di recuperare la mia palla dal muretto della chiesa davanti alla nostra casa, che aveva il filo spinato per scoraggiare i ladri, i miei pantaloncini, di color bianco con l'orlo blu, si erano strappati. Correva giù sangue dalla coscia dove il filo spinato mi aveva punto, ma il mio primo pensiero fu per mia mamma, come farà adesso? Dove troverà i soldi per comprare i pantaloncini nuovi?

Penso che era in quelli giorni che ho deciso che non avrei fatto mai lo scrittore. Non fu una decisione chiara e netta ma qualcosa che si era maturato dentro di me, poco alla volta. Quando arrivò il momento delle iscrizioni alla scuola superiore, informai papà che mi ero iscritto ai corsi di scienza e biologia, perché avevo deciso di fare il medico.

Infatti, ho studiato medicina, e ho lavorato come medico, nei programmi di cooperazione internazionale, sopratutto con i malati di lebbra e con le persone con disabilità.

Le parole non mi hanno mai lasciato, ho continuato a scrivere, ma non mi definirei uno scrittore. Qualche articolo per un libro o una rivista, qualche racconto - poco alla volta, lo spazio occupato dalle parole nella mia vita si è allargato, e continua ad allargarsi sempre di più. Scrivo sopratutto in hindi e in inglese, ma qualche anche in italiano. Da diversi anni cerco di scrivere un libro, ma penso che la confusione delle lingue mi fa da ostacolo. Ma la mia identità, come mi vedo dentro di me, non mi riconosce come scrittore. E si che ora sono grande, dovrei avere la capacità di superare paure infantili!

E’ per questo che quando il mio amico Om mi aveva presentato come lo “scrittore che vive in Italia”, mi ero sentito strano.

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Fra dieci giorni, il 18-19 gennaio 2008, vi sarà una manifestazione letteraria a Torino, organizzata da Fondazione Grinzane Cavour. Sono stati invitati circa 15 autori indiani. Alcuni di loro come M.J. Akbar, Shashi Tharoor, Tarun Tejpal, Anita Nair, Thrity Umrigar, sono nomi famosi. Altri come Lavanya Shanker, Altaf Tyrewala, sono nomi meno conosciuti, forse sono i nomi del futuro. Vi sono anche persone che scrivono in lingue indiane come Uday Prakash, Bhagwan Dass e Gayathri Murthy. Tra di loro, c’è anche il mio nome.

E di nuovo, ho questa sensazione strana. Sento un miscuglio di piacere, disagio e senso di colpa, quando penso al mio nome messo li, in quella lista tra gli “scrittori”.

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giovedì 3 gennaio 2008

Bollywood 2007: I film più significativi

Alla fine dell’anno, forse vale la pena di parlare dei film indiani del Bollywood più significativi del 2007.

Guru del regista Mani Ratnam, uscito nel gennaio 2007 è ispirato dalla vita del famoso industriale indiano Dhirubhai Ambani, scomparso alcuni anni fa. Un elogio alla libera impresa e al capitalismo, il film segue la lotta di Gurubhai (Abhishekh Bacchan) per uscire dalla povertà, la sua amicizia con un giornalista (Mithun Chakraborty) e il suo rapporto con la moglie (Aishwarya Rai) e con la figlia disabile del giornalista (Vidya Balan), durante la sua ascesa come l'industriale più importante dell’India neo indipendente. Il film biografico merita di essere visto.



Salaam-e-ishqe (Saluti all’amore) del regista Nikhil Advani, uscito subito dopo in gennaio 2007, era un film collage con diverse storie legate al tema dell’amore, pieno di stelle di Bollywood, a partire da Salman Khan e Priyanka Chopra. Il film fu un grande flop della critica e del pubblico nonostante le performance appassionate di Vidya Balan e di John Abraham. Il film segnò anche il ritorno del attore Govinda sul grande schermo, dopo un esilio di alcuni anni. E' un film nella tradizione di Bollywood, non molto riuscito.



Febbraio fu segnato da Honeymoon Travels del neo regista, Reema Kagti. Un altro film collage con diverse storie sul tema della luna di miele, questo film aveva attori meno famosi, ma era più innovativo e ha avuto più successo. Il film raccontava le avventure di alcune copie di neo sposati, i quali partono per un viaggio organizzato per la loro luna di miele. Shabana Azmi e Boman Irani come la coppia di mezza età e una danza scatenata di KK (che potete guardare su YouTube) erano i punti forti di questo film.



Altri due film importanti di febbraio 2007 erano Nishabd (Senza Parola) di Ram Gopal Varma e Eklavya (Il guardiano reale) di Vidhu Vinod Chopra.

Nishabd con Amitabh Bacchan nel ruolo di un fotoreporter sessantenne e il suo amore incontrollabile per una ragazza giovane (Jia Khan), amica di sua figlia era ispirato dal romanzo "Lolita" di Nabokov. Il film non era male, ma fu rifiutato dal pubblico, forse per il suo tema.

Eklavya, storia di un leale guardiano (Amitabh Bacchan) in un palazzo del Rajasthan, dove c’è una lotta di potere tra il principe (Saif Ali Khan) e il fratello del defunto re, e poi, il guardiano nasconde un segreto terribile nel suo cuore, era un film sofisticato con ottima fotografia e bravi attori. Anche questo film fu rifiutato dal pubblico.



In aprile 2007 uscì Provoked (Provocata) del regista inglese di origine indiana Jag Mohan Mundra. Il film basato su una storia vera, racconta la storia di una donna del Punjab, Kiranjit (Aishwarya Rai) e il suo matrimonio (Navin Andrews) con un uomo violento. Dopo dieci anni di violenze, una notte Kiran da fuoco al suo marito mentre lui dorme e viene condannata all’ergastolo. Un’associazione di donne asiatiche che opera per la donne vittime di violenze domestiche decide di aiutarla. Il film non era male ma sembrava un documentario, e non trovò il successo del pubblico.

Tara Rum Pum con due delle più importanti stelle di Bollywood, Rani Mukherjee e Saif Ali Khan, era stato prodotto da Yashraj Films. Ambientato in America nel mondo delle corse delle macchine, il film è stato un flop del pubblico e della critica.

Life in a ..Metro del regista Anurag Basu, fu il terzo film collage del 2007, uscito in aprile. Questa volta il filo conduttore del film era la vita nella grande metropoli di Bombay. Il film aveva bella musica diventata molto popolare e aveva ottimi attori (Shilpa Shetty, Shiny Ahuja, KK, Sharman Joshi, Minissha Lamba). Il film ha trovato consensi sia del pubblico che della critica.



Maggio aveva due film interessanti – Shoot Out at Lokhandwala (Sparatoria di Lokhandwala) di Apoorva Lakhia e Cheeni Kum (Poco zucchero) di R. Balki.

Shoot out parlava di una sparatoria in un condominio ed era un film basato su un fatto realmente accaduto a Mumbai qualche anno fa. Crudo e violento il film ha avuto successo commerciale.

Invece Cheeni Kum era una storia di amore tra un chef inglese sessantenne di origine indiana (di nuovo, Amitabh Bacchan) e una donna indiana trentaquattrenne venuta a Londra per lavoro. Il tema dell’amore tra un uomo vecchio e una donna più giovane era simile a quello di Nishabd, ma questo film era più spumeggiante e leggero. Questo film ha avuto il consenso della critica e del pubblico.



Jhoom Barabar Jhoom (Ballate, divertite) era il terzo film del regista Shaad Ali, era stato prodotto da Yashraj Films e aveva 4 attori bravi e famosi di Bollywood (Abhishek Bacchan, Preity Zinta, Bobby Deol e Lara Dutta). Il film fu rifiutato da critici e dal pubblico, anche se personalmente mi è piaciuto molto. Con ottima musica e bravi attori (soprattutto Lara Dutta), il tonfo commerciale di questo film fu un grande shock per Bollywood. Il film racconta la storia di alcuni amori improbabili tra due giovani coppie, una coppia indiano-pakistana e l’altra storia d'amore tra un ragazzo Sikh timido e una prostituta.

Agosto ha visto l’uscita di tre film importanti – Cash (Contanti) di Anubhav Sinha, Gandhi My Father (Gandhi, mio padre) di Firoz Abbas Khan e Chak de India (Brava India) del neo regista Shimit Amin.

Cash era un film azione senza senso anche se aveva bella musica e diverse stelle di Bollywood. Il film fu subito dimenticato sia dai critici che dal pubblico.

Gandhi My Father del neo regista Firoz, prodotto dal attore Anil Kapoor era la storia di conflitto tra Mahatma Gandhi (Darshan Zaveri) e suo primogenito Hari Ram (Akshay Khanna), basato sulla biografia di Hari Ram. Il film inizia quando Mahatma Gandi si trovava in sud Africa e il suo figlio maggiore arriva dall’India con la sua moglie Gulab (Bhumika Chawla), e segue il conflitto tra il famoso padre e il figlio che si sente mediocre e che non riesce a misurarsi mai con la grandezza del padre, ne ad uscire dalla sua ombra, mentre l’India cerca l’indipendenza dal regime inglese. Il film, serio e intenso, ha perfette ambientazioni e diversi attori che meritano applausi per le loro performance. Lodato dalla critica, il film fu largamente ignorato dal pubblico.



Chak De India è il film su uno sport quasi dimenticato, l’hockey femminile e aveva l’attore più famoso del cinema di Bollywood, Shahrukh Khan. Oltre al famoso Khan, il film aveva 12 attrici nuove. In questo film, per la prima volta Shahrukh era un personaggio musulmano e non aveva nessun sottofondo romantico. La sceneggiatura del film era quella classica seguita da tutti i film sportivi, una squadra di quelli ignorati e dimenticati, l’allenatore che vuole riscattarsi da un passato da dimenticare e la partita finale che non si sa fino all’ultimo minuto se i nostri eroi riusciranno a vincere. Il film era ispirato da una storia vera, dalla vincita della squadra di hockey femminile ai campionati del commonwealth. Tutti i pronostici concordavano che il film sarebbe stato un grande insuccesso, invece il film diventò uno dei grandi successi del 2007. La canzone del film, Chak de India (Brava India, fa lì vedere) divento quasi l’inno nazionale. Per una volta Shahrukh Khan ha ricevuto complimenti per la bravura come attore e non come stella del Bollywood.



Tra il settembre e l’ottobre 2007, usciranno due film noir, un genere quasi dimenticato nel cinema di Bollywood – Manorama six feet under (Manorama, sei piedi sotto) e Johnny Gaddaar (Johnny il traditore). Panorama con Abhay Deol e Johnny con Neil Mukesh, avevano due performance bravura ma nessuno dei due film trovò il consenso del pubblico.

In ottrobe, vi erano anche due film “grandi” con le grandi stelle di Bollywood: Bhool Bhulaiyya (Il Labirinto) e Laga Chunari Mein Daag (La mia sciarpa si è macchiata).

Bhool Bhulaiyya aveva Shiney Ahuja, Vidya Balan, Paresi Rawal, Amisha Patel, Rajpal Yadav e Akshay Kumar. Il film era la storia di un palazzo con un fantasma. Vidya Balan nel ruolo di una persona nella quale vive lo spirito vendicativo, era credibile e il film, ignorato dalla critica, ottenne il successo commerciale.

Laga Chunari Mein Daag con una lunga lista di grandi stelle di Bollywood (Rani Mukherjee, Abhishekh Bacchan, Jaya Bhaduri, Konkana Sen Sharma, Karan Kapur, Anupam Kher) fu subito deriso dalla critica perché ritenuta poco credibile la sua storia di una ragazza costretta a prostituirsi per aiutare la propria famiglia. Con tutte le opportunità di lavoro e sviluppo nell’India di oggi, pensare che prostituzione sia l’unico modo di trovare lavoro per una ragazza è difficile. Il film giudicato retrogrado fu anche ignorato dal pubblico ed era tra i più clamorosi insuccessi del 2007, anche se le performance delle due attrici, Rani Mukherjee e Konkana Sen Sharma, furono apprezzate.

Alla fine di ottobre, un altro film Jab We Met (Quando ci incontrammo) trovò il grande successo. I due attori del film romantico (Kareena Kapoor e Shahid Kapoor) furono apprezzati e allo stesso momento, la storia e la musica del film hanno trovato grande consenso sia della critica che del pubblico. Il film raccontava la storia di un viaggio di una ragazza sikh spumeggiante che chiacchiera in continuazione e un ragazzo che si trova in guai e pensa di suicidarsi. Si pensa che l’attrice Kareena Kapoor riceverà il premio per la migliore attrice del 2007 per questo film.



A metà novembre, era la volta di due film grandi – Om Shanti Om e Saawariya (Amore).

Om Shanti Om del regista Farah Khan era la storia di reincarnazione, probabilmente “inspirata” da alcuni altri film di Bollywood e aveva Shahrukh Khan, Shreyas Talpade, Arjun Rampal e Deepika Padukone. Nel film Om (Shahrukh) una comparsa nel mondo di Bollywood è innamorata di un’attrice famosa, Shanti (Deepika), ma entrambi sono assassinati. Entrambi rinascono e si vendicano del loro assassino. Era un film masala di Bollywood, senza grandi pretese per la credibilità, piena di danze e musica. Il film fu un grande successo commerciale.



Saawariya (Amore) con due attori nuovi (Ranbir Kapoor e Sonam Kapoor) era del regista Sanjay Leela Bhansali, riconosciuto tra i registi più importanti dell’India di oggi. Basato sul racconto “Notti bianche”di Dostoevsky, ambientato in una città immaginaria, un po’ Venezia, un po’ RK Films a Bombay, un po’ Parigi, il film fu deriso sia dalla pubblica e dalla critica.

Alla fine del 2007, il 21 dicembre è uscito è primo film del regista Aamir Khan, uno degli attori più famosi di Bollywood, conosciuto in Italia per Lagaan: C’era una volta in India. Storia di un ragazzo dislessico e del suo insegnate, il film Taare Zameen Par (Le stelle sulla terra) è stato definito dai critici il migliore film di Bollywood del 2007.


martedì 1 gennaio 2008

Auguri di Buon Anno dall'India

Forse l’India è l’unico paese del mondo dove il 1 giorno dell’anno non è un giorno festivo.


Ciò dipende dal fatto che gli indiani pensano che quello che succede durante il primo gennaio traccia le linee di andamento per tutto l'anno. Per questo motivo, gli indiani consigliano di fare tutte le cose che vorresti fare durante l’anno in questa giornata. Se non guadagni, non lavori, non ti diverti, non vai fuori con gli amici, non mangi bene, il primo giorno del nuovo anno, rischi di non riuscire nella vita per il resto dell'anno.

Personalmente, io per il mio primo gennaio voglio il seguente - svegliare presto, farmi un bel massaggio rilassante seguito da un bel bagno, mettere su qualcosa di nuovo che mi piace, fare tante coccole e possibilmente anche un po’ di sesso, dare e ricevere tanti baci, cucinare una ricetta nuova insieme alla persona che amo, leggere un buon libro, guardare un bel film nuovo, ascoltare un po’ di musica, ridere molto, litigare un po’, dormire in pomeriggio, mangiare un dolce, fare una passeggiata o magari una nuotata, scrivere sul mio blog, fare un po’ di lavoro che mi piace, un po’ di meditazione, una preghiera o magari un buon libro spirituale, …

Datevi da fare subito anche voi. Tutto quello che volete da questo 2008, cercate di farlo oggi!

Auguri.

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