domenica 12 luglio 2009

L’amore arriva con il treno


Il prossimo film del ciclo Amori Con-Turbanti programmato per il 18 luglio è “L’amore arriva con il treno” (India, titolo originale “Jab we met” che significa “quando ci siamo incontrati”, regista Imtiaz Ali, 2007). (Nella foto, un momento durante le riprese del film)



Il film è tra i più grandi successi commerciali di Bollywood in India degli ultimi anni, che ha reso Kareena Kapoor, la protagonista femminile principale del film, tra le attrici più pagate di Bollywood.

Trama: Giovane e senza esperienza, Aditya Kashyap (Shahid Kapur) diventa il titolare di un grande business a Bombay dopo il suicidio del padre, mentre sua madre si è messa con il miglior amico di suo papà. Al lavoro sembra che niente va per il verso giusto e gli investitori ed i dipendenti non hanno fiducia in lui. Le azioni del suo business valgono poco. La sua ragazza decide di lasciarlo.

Sfiduciato e depresso, con una vaga idea di suicidarsi, Aditya sale su un treno e incontra Geet Dhillon (Kareena Kapoor). Geet (pronunciato Ghiit) è una giovane ragazza sikh, ficcanaso e chiacchierona. Aditya cerca di dirle che non ha voglia di parlare ma non è facile far chiudere la bocca a Geet. Così iniziano le avventure di Aditya e Geet, che quella notte perdono il treno e Geet obbliga a Aditya di accompagnarla a casa in Pangiab (Punjab).

Geet deve tornare a casa a Bhatinda nello stato di Pangiab per sposarsi con un ragazzo scelto dalla famiglia, ma non ha nessuna intenzione di accettare la scelta della famiglia perché è innamorata di Anshuman (Tarun Arora), un ragazzo indù che abita a Shimla in montagna. Durante il viaggio, Geet capisce che Aditya si sta innamorando di lei.

“E’ vero che ti amo, ma non devi preoccuparti per questo. E’ solo un mio problema e mi arrangerò”, Aditya le risponde.

A casa di Geet, Aditya viene presentato come “un amico che mi ha aiutato durante il viaggio e senza di lui sarei stata in un grosso pasticcio”. Geet usa Aditya per creare un malinteso con il ragazzo scelto per lei dalla sua famiglia e poi, di notte costringe Aditya di scappare da casa sua ed accompagnarla fino a Shimla.

“Anshuman è indù e la mia famiglia vuole un ragazzo sikh per me. Voglio scappare e sposare Anshuman e dopo tornerò per chiedere la benedizione alla mia famiglia. Una volta sposati, nessuno potrà farci niente”, Geet spiega a Aditya, il quale si lascia convincere.

A Shilma, Aditya lascia Geet davanti all’hotel di Anshuman e torna a Bombay. Ha imparato la filosofia della vita da Geet e ha trovato il coraggio di affrontare i problemi del suo business. Lui continua a pensare a Geet e in tanto passano mesi.

Poi un giorno all’improvviso trova il padre e lo zio di Geet nel suo ufficio. “Vigliacco, alla fine ti abbiamo rintracciato. Dove è nostra figlia, era scappata con te? Vogliamo vederla”, loro dicono.



Aditya resta sorpreso. Cosa può essere successo a Geet? Geet gli aveva promesso che avrebbe sposato Anshuman e poi insieme al suo marito si sarebbe tornata dalla famiglia per chiedere la loro benedizione.

“Geet non è con me in questo momento, ma datemi 5 giorni e la porterò a casa vostra”, alla fine Aditya promette. E’ così, di nuovo Aditya parte per un nuovo viaggio alla ricerca di Geet.

Altre notizie relative agli attori del film: Quando è stato girato questo film, Shahid Kapur e Kareena Kapoor erano una coppia anche nella vita reale e si sono separati quando il film è arrivato nelle sale, per l'enorme delusione dei loro fans.

Shahid Kapur è figlio del attore Pankaj Kapur e dell’attrice del teatro, Nilima Kazim, lui indù e lei musulmana, ed è per questo che Shahid ha il nome musulmano e il cognome indù. I genitori di Shahid si sono separati quando lui era un adolescente poi, suo padre ha sposato l’attrice Supriya Pathak. Mentre Pankaj Kapur, Nilima Kazim e Supriya Pathak sono tutti famosi come bravi attori, Shahid ha ottenuto più successo popolare sopratutto come un “chocolate face hero” (ragazzo con la faccia da cioccolatino), ben amato dalle adolescenti.

Kareena Kapoor invece appartiene alla famosa famiglia di Raj Kapoor, un attore e regista degli anni cinquanta e sessanta. Suo padre, Randhir Kapoor e sua madre, Babita, hanno recitato insieme in molti film negli anni settanta e ottanta e anche sua sorella maggiore, Karishma Kapoor, è stata una delle attrici più pagate degli anni novanta.

Attualmente, Kareena convive con l’attore Saif Ali Khan, figlio dell’attrice Sharmila Tagore e fratello dell’attrice Soha Ali Khan. L'attore Rishi Kapoor, nel ruolo di Manmohan Singh, padre della protagonista Jazz nel film "Sposerò mia moglie", primo film del ciclo Amori Con-Turbanti, è lo zio di Kareena, fratello di suo padre.

Comunque, le radici della famiglia di Kareena arrivano molto lontane nel mondo di Bollywood, con parenti, zii, cugini da tutte le parti e ci vorrebbe troppo tempo per spiegarle tutte.


Amori Con Turbanti 2009 (2)

Alla fine è iniziato il ciclo di film indiani su Rai 1, Amori con-turbanti. Il film di ieri sera era “Sposerò mia moglie” (Namastey London). Il film originale durava 2 ore e 17 minuti mentre il film presentato alla TV è durato 1 ora e 49 minuti, percui circa il 30 minuti del film erano stati tagliati – sopratutto le danze e le canzoni, ed è un peccato.
Per quanto riguarda il doppiaggio, mi è sembrato molto meglio da quello eseguito nel 2008, tranne che per Akshay Kumar, che non è stato doppiato bene.
Alcune frasi brevi e una parte dei dialoghi erano stati lasciati in Hindi o in Pangiabi (Punjabi), ma i doppiatori che li recitavano non avevano idea di come pronunciarli, per cui erano quasi incomprensibili. Non so dove viene eseguito il doppiaggio, ma diverse città italiane, tra le quali Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, ecc. hanno corsi universitari di lingua Hindi e forse possono coinvolgere loro per avere un aiuto sulla pronuncia (o magari coninvolgere qualcuno della comunità indiana locale).
Il film aveva qualche canzone di sottofondo (tutte cantate dal cantante pakistano, Rahat Fateh Ali Khan), forse sarebbe stato meglio avere dei sottotitoli per capire il senso delle parole.
Il prossimo film del ciclo è L’Amore arriva con il treno (Jab we met). E’ un film da non perdere. Il film ha diverse canzoni e danze carine, ma immagino che saranno tutte tagliate. 

PS: Alla fine un consiglio per tutte le persone che cercano la musica dei film indiani - non li troverete digitando "sposerò mia moglie" o "L'amore arriva con il treno". Usate il nome originale del film (Namastey London o Jab we met) e troverete le canzoni subito. Molti video delle canzoni sono disponibili su Youtube.

sabato 11 luglio 2009

Il G8 e Berlusconi nella stampa inglese


Forse Berlusconi non ha mai avuto degli ammiratori nella stampa inglese. Anzi, la maggior parte degli articoli sul tema che ho letto nei giornali inglesi anche negli anni passati, erano sempre critici verso la sua figura.

Non sono mai stato un ammiratore di Berlusconi, ma comunque, la ferocia degli attacchi contro di lui in questi giorni, mi ha sorpreso un po’. La critica di Berlusconi nella stampa inglese contiene una critica sottointesa di tutti gli italiani per dire come “che tipo di persone sono questi italiani che nonostante tutti gli scandali scelgono un tipo come Berlusconi?” Qualche volta, anch’io mi chiedo la stessa cosa, ma penso che l’attuale critica è diventata un po’ isterica e ipocrita.

L’ultimo numero di Internazionale (n. 803) riporta un editoriale di The Guardian, dove è scritto:

“La cosa più difficile da capire è se l’Italia, dopo un decennio di difficoltà economiche, abbia oggi i requisiti per sedere a un qualsiasi tavolo internazionale. Nel suo indice di libertà economica, che misura la libertà di lavorare, consumare e investire senza limitazioni imposte dallo stato, la Heritage Foundation mette l’Italia al 76° posto, dietro Kirghizistan, Mongolia e Madagascar. .. I politici italiani, insomma, sono considerati meno affidabili di quelli del Pakistan, della Bielorussia, dell’Azerbaigian, del Senegal e della Sierra Leone.”

Non so cosa sia l’Heritage Foundation ma questa fondazione forse misura la facilità con cui le multinazionali possono entrare e agire in un paese in un esempio di liberalismo sfrenato, e in questo caso, forse è meglio così che il governo italiano non ha completamente dimenticato le proprie responsabilità. Comunque, secondo me fare questo tipo di paragoni, non è da una persona normale. Probabilmente, l’autore non è mai stato fuori dall’Europa, e sicuramente non è stato in Pakistan or Sierra Leone o in altri paesi che nomina.

L’altro giorno ero a Londra e sul giornale serale, The Evening Standard di 9 luglio, ho trovato un articolo di Rachel Johnson, “Shame on the no shows for the Silvio’s big day” (Vergogna a tutti quelli che hanno deciso di abandonare il grande momento di Silvio). In questo articolo, pieno di sprezzante sarcasmo, la signora Johnson parla di Mara Carfagna come “un ex modella che posava in nudo e era stata una delle concorrenti al concorso di Miss Italia”. Non so molto della signora Carfagna, e se la conoscessi forse non mi piacerà né anche lei, ma parlare di una persona in questi termini mi sembra tanto sessista e bigota. Le ragazze che posano in nudo o le concorrenti di Miss Italia sono tutte ragazze senza cervello da disprezzare, secondo lei. Dato che la signora Carfagna, già fa la ministra da molti mesi, sarebbe stato meglio parlare del suo lavoro come ministra e criticare suo operato invece di lanciare attacchi contro la sua persona.

Concordo pienamente che il cosidetto “pacchetto sicurezza” varato dal governo italiano contiene misure populiste vergognose, ma il comportamento del governo inglese riguardo le misure contro gli emigrati non mi sembrano poi così tanto diverse.

Mi ricordo ancora gli orrori dei test di verginità ai quali venivano sottoposte le ragazze asiatiche che venivano in Regno Unito per sposare un inglese-asiatico. Non so se queste misure sono ancora vigenti. Mi ricordo anche i racconti di violenze anti-"paki" e anti-neri in Regno Unito, che mi facevano tanto paura qualche decennio fa, quando ancora l’Italia non conosceva il fenomeno dell’emigrazione.

Penso che il Regno Unito ha avuto più tempo per fare i conti con l’emigrazione e forse ha trovato un suo equilibrio oggi, mentre gli italiani stanno ancora cercando di abituarsi al fatto che anche le persone di pelle nera o con gli occhi a mandorla possono essere italiani. In questo senso forse la violenza contro gli stranieri in Italia può essere paragonata alla violenza contro gli stranieri in Regno Unito degli anni settanta e ottanta, e che forse anche Italia troverà un suo equilibrio, sopratutto se avrà i governi capaci che non vorrano cavalcare l’onda populista e avrà le nuove generazioni cresciute in classi miste di oggi.

E’ vero che in The Evening Standard, quando parlano di persone di origine straniera, non parlano delle origini delle persone, usano soltanto il nome e cognome, e basta. Per esempio, nello stesso giornale del 9 luglio, c’è la notizia del suicidio del giovane manager Anjool Malde e la notizia del racket per i DVD pirati gestiti da famiglia Khalid Sheikh, due nomi chiaramente “non inglesi”, ma le notizie parlano di loro come qualsiasi persona inglese senza parlare dei loro origini. Dal articolo essi sembrano cittadini inglesi e basta, il loro origine non è importante.

In confronto, in Italia ogni volta che succede qualcosa, i giornalisti insistono a nominare le origini delle persone, parlano di romeni, marrochini, pakistani, ecc. in toni che suscitano diffidenza e rabia contro gli stranieri. Anche quando la persona ha la cittadinanza italiana, i giornalisti italiani né parlano in termini che sottolinea le loro origini straniere (per esempio, “egiziano con passaporto italiano”, quasi per dire che la persona non è veramente italiana), per non riconoscere il loro diritto di considerare l’Italia come il proprio paese. La parola “extra-comunitario” che piace così tanto ai giornali italiani, avrà tutte le sue gistificazioni burocratiche ma penso che sia una parola molto violenta, perché esclude le persone di considerarsi parte di una comunità dove vive.

Ma forse questo atteggiamento dipende dal fatto che come molti italiani, molti giornalisti non si sono ancora abituati a questa Italia multietnica e multiculturale, e spero, con tempo le nuove generazioni di giornalisti sapranno essere più realiste e meno razziste.

Non voglio dire che dobbiamo smettere di lottare contro le leggi ingiuste e la società ingiusta, ma allo stesso tempo, non si può disprezzare e denigrare tutto il paese solo perché Berlusconi non ci piace.

venerdì 10 luglio 2009

“Potere morbido”: La telenovela Indo-Brasiliana “Caminho das Indias”


E’ da un po’ che ho sentito parlare di questa nuova telenovela brasiliana “Caminho das India” (Cammino dell’India) sul canale Globo che è tra i programmi più popolari in Brasile. Gli amici brasiliani all’improvviso si dimostravano molto consapevoli delle questioni più svariate legate all’India - dalla moda indiana alle caste, e poi usavano qualche frase in Hindi come “Theek hai” (va bene). Un amico indiano che era andato in Brasile ha raccontato che un benzinaio, quando ha saputo che era indiano, gli ha chiesto se era un bramino o era un dalit! Poi mi hanno raccontato di un nuovo locale di Salvador, tutto ambientato sul tema India.



Così ho guardato qualche episodio della telenovela sul Youtube. La storia riguarda un ragazzo dalit (ragazzo delle cosidette “caste basse”), che si chiama Bahuan, fa l’ingeniere informatico ed è innamorato di una ragazza Maya che appartiene ad una famiglia di alta casta, e la storia passa da Jaipur a Dubai fino al Brasile. Tutti gli attori sono brasiliani e come molte telenovelas indiane, è piena di colpi di scena, complicate storie di amori, impossibili, intrighi e tradimenti.

Quando ho visto questi episodi della telenovela, ho pensato che da una parte questa riprende tutte le questioni cliché del mondo di Bollywood, ma li tratta in maniera più libera e fantasiosa. Per esempio, il ragazzo dalit non è presentato come un povero oppresso ma è un ingeniere informatico ed è interpretato da un attore di carnagione chiara.

Il mondo di Bollywood, tocca più spesso la questione delle diversità religiose e di solito ignora la questione delle caste. I film più realistici che affrontano la questione delle caste, parlano di ingiustizie, povertà e emarginazione, ma questi sono i film per i festival del cinema e non hanno i colori sgargianti di Bollywood.

Penso che dal punto di vista sociologico e antropologico, vi sarebbe molto da analizzare e riflettere su come l’India viene rappresentata all’estero a partire da Salgari fino alle telenovele brasiliane, per costruire la rappresentazione di quello che Edward Said chiamava “l’Orientalismo”.

Comunque, la cultura è una parte integrante della globalizzazione ed è strettamente legata all’immagine e al commercio. Se gli Stati Uniti hanno costruito questo suo “potere morbido” (“soft power” – per contrappore il termine al Hard Power, ciò è, il potere delle armi) sulla base di McDonald, KFC, Hollywood e Michael Jackson, Italia l’ha fatto sulla base dei vini, dei prodotti alimentari come gli spaghetti e la pizza, della moda e della creatività. Con la crescita economica degli ultimi anni, anche i paesi come Brasile, Messico, Nigeria, India e Cina, cercano di sostituire le loro immagini passate con le nuove immagini più vendibili. Così India cerca di sostituire la sua immagine della povertà e della fame con quello degli ingenieri informatici e del mondo colorato e felice di Bollywood.

Per quanto riguarda l’immagine italiana in India, oggi Sonia Gandhi è lo strumento più potente che costruisce un’immagine di Italia come un paese delle persone buone, oneste e sincere. Lei aveva già l’immagine di una persona riservata e semplice, pronta a sostenere la suocera (Indira Gandhi) e il marito (Rajeev Gandhi). Durante le elezioni del 2004, quando lei è riuscita a superare tutti gli attacchi contro il suo “essere straniera” e poteva scegliere di diventare il primo ministro dell’India, la sua rinnuncia volontaria, ha costruito una sua immagine ancora più forte. Ormai, lei non ha bisogno di nessun ruolo politico in India, si è già assicurata il posto della “madre saggia e buona” nell’immaginario popolare indiano.

Il mese scorso quando ero in India, più di una volta, vi erano delle vignette legate agli scandali di Berlusconi sulle prime pagine dei giornali indiani, ma quando parlavo con le persone e dicevo che vivo in Italia, nessuno ha mai nominato Berlusconi, invece quasi tutti subito parlavano di Sonia Gandhi.

In Italia, la costruzione dell’immagine dell’India nel ultimo secolo è stata fortemente legata ai libri di Emilio Salgari e ai film basati sulle sue storie. Questa immagine è più vicina al stereotipo dell’oriente misterioso ed esotico con gli elementi come i serpenti, i thugs, i pirati, la giungla, ecc. Mahatma Gandhi, yoga, ayurveda, religioni orientali erano altri elementi dell’immagine storica dell’India in Italia. Ultimamente, il Bollywood, lo sviluppo dell’informatica e la crescita economica dell’India hanno allargato questa immagine introducendo nuovi elementi.

Così quando la TV presenta film di Bollywood come il ciclo “Amori con turbanti” si rinforza questa creazione dell’immagine. Ancora l’MTV italiana non presenta la classifica dei top ten della musica indiana ma forse un giorno arriverà anche quella? Non perché i responsabili di MTV avranno capito il valore di arricchire e diversificare la proposta culturale, ma solo perché avrà consumatori e potrà migliorare l’audience.

mercoledì 8 luglio 2009

Estate 2009: Bollywood torna su Rai 1


Dopo la felice esperienza del 2008, anche quest anno, torna il ciclo dei film di Bollywood “Amori Con Turbanti” su Rai 1 da sabato 11 luglio 2009.

Il primo film del ciclo è “Sposerò mia moglie”. Cercare di indovinare il titolo originale di un film dal titolo italiano non è facile, comunque dopo un po’ indagini ho scoperto che si tratta di “Namastey London” del regista Vipul Shah, uscito nel 2007.



Il film è la storia di Jasmeet, una ragazza di origine indiana (Katrina Kaif) cresciuta in Gran Bretagna, che preferisce chiamarsi Jazz ed è innamorata di un ragazzo inglese, Charley Brown. Il suo padre Manmohan Singh (Rishi Kapoor) non vuole che lei si sposi con un ragazzo inglese ma fa finta di accettare l’idea di questo matrimonio, e poi con un inganno porta la figlia in India e la fa sposare con Arjun Singh, un ragazzo indiano (Akshay Kumar), figlio di suo amico.

Jazz e Arjun arrivano in Gran Bretagna e Jazz chiarisce a Arjun che per lei questo matrimonio è solo una finzione, l’aveva accettato solo perché non vi era altra scelta, ma lei intende sposare il suo ragazzo.

Arjun, anche se innamorato della moglie, capisce che Jazz ha ragione e la promette di non ostacolare i suoi piani, ma dentro di se spera che la ragazza capirà il suo amore e dimenticherà il ragazzo inglese ...

C’è una seconda storia parallela di un signore pakistano, Parvez Khan (Javed Sheikh, un attore pakistano) e suo figlio Imran (Upen Patel). Come Jazz anche Imran non vuole sentir parlare della propria cultura d’origine, si considera inglese a tutti gli effetti e vuole sposare una ragazza inglese.

Il film era il primo grande successo commerciale della coppia, Akshay Kumar e Katrina Kaif. I due attori, Akshay e Katrina, non erano male nel film, e il film aveva della bella musica. Per quanto riguarda la musica, mi piaceva molto una canzone del film, “Main zahan rahoon, main kahin bhi rahoon, teri yaad saath hai” (Non importa dove sarò, il tuo ricordo sarà con me) cantato dal cantante pakistano Rahat Fateh Ali Khan.

Nonostante tutto questo, nell’insieme non mi era piaciuto questo film forse perché non concordavo con il suo messaggio di fondo, ciò è, che la cultura indiana/asiatica è buona e genuina, mentre in occidente i rapporti sono superficiali e frivoli, e che gli emigrati devono cercare di salvaguardare la propria cultura e per questo, dovrebbero sposarsi all’interno del proprio gruppo etnico e religioso. Penso che ogni cultura ha degli aspetti positivi e altri meno positivi, e non concordo assolutamente che emigrati devono sposarsi solo nella propria etnia per “conservare la propria cultura”.

Ma forse per guardare la maggior parte dei film di Bollywood, non bisogna prenderli troppo sul serio!

Il secondo film del ciclo, programmato per il sabato 18 luglio è “L’amore arriva con il treno”. Per il momento non sono riuscito a scoprire nient altro di questo film, per cui non so il suo titolo originale.

Uno dei recenti film di Bollywood dove un viaggio in treno giocava un ruolo importante nella storia era Jab We Met (Quando ci siamo incontrati, 2007) con Kareena Kapoor e Shahid Kapoor. La storia d’amore tra un top manager depresso che vuole suicidarsi e una ragazza sikh chiacchierona che si incontrano durante un viaggio in treno, era uno dei grandi successi del 2007, sia del pubblico che della critica.

Non so se "L’amore arriva con il treno" sia proprio “Jab we met” o è un altro film. Lo sapremmo la prossima settimana.

Purtroppo, il sito della Rai non ha nessun comunicato riguardo questo ciclo di film e trovare informazioni relativi ai film sul sito di Rai 1 non ha portato dei risultati.

Invece, speriamo che questa volta i film non saranno completamente senza le canzoni e le danze, il tratto che caratterizza il mondo di Bollywood. E’ vero che i film indiani sono spesso troppo lunghi per la programmazione serale e tagliare le canzoni e le danze è il modo più facile di ridurre la durata dei film. Tuttavia, penso che sarebbe meglio tenere almeno 1-2 canzoni e danze in ogni film!


martedì 7 luglio 2009

I due fratelli - Gil Rossellini e Raja Dasgupta



Alcune persone nascono nel segno del destino, che le prende e poi disegna per loro delle vite improbabili che sembrano inventate dalla fantasia di qualche scrittore. Anche la storia dei fratelli Raja e Gil sembra scritta da uno scrittore.

Circa 9 mesi fa, il 3 ottobre 2008, Gil è morto a Roma. Non aveva ancora compiuto 52 anni. Con la notizia della sua morte, i giornali italiani hanno parlato di lui come il “figlio adottivo di Roberto Rossellini, che fu compagno della donna indiana Sonali Dasgupta”. Insieme, vi erano poche righe sulla sua malattia a causa della rara patologia che l’aveva costretto su una sedia a rotelle negli ultimi anni e sull’ultimo episodio del suo documentario riguardo alla sua malattia, “Kill Gil volume 2 e ½”.

Non ho mai avuto l’occasione di conoscere Gil Rossellini, ma conosco suo fratello maggiore, Raja Dasgupta, che fa il regista e vive a Calcutta in India con sua moglie, l’attrice Chaitali e con suo figlio e giovane regista, Birsa Dasgupta.



Inizio della storia: Vorrei iniziare questa storia dagli eventi alla fine del 1956 e all’inizio del 1957 che avevano coinvolto i loro genitori, quando Raja aveva 4 anni e Gil aveva pochi mesi e ancora si chiamava Arjun, come l’eroe guerriero del poema epico indiano Mahabharata.

Raja e Arjun, erano figli di Harisadhan e Sonali Dasgupta.Quando nacque a Bombay il suo secondogenito Arjun, il 23 ottobre 1956, Harisadhan aveva 34 anni, era un regista benglaese molto stimato, compagno, collaboratore e amico di registi come Satyajit Ray. Il primo figlio, Raja, era nato nel 1952.

Nel frattempo, il famoso regista italiano, Roberto Rossellini, che allora stava con l’attrice svedese Ingrid Bergman, fu invitato in India dal primo ministro indiano, Pandit Jawahar Lal Nehru con l’idea di girare un film sull’India.

In dicembre 1956, quando Roberto arrivò in India, aveva 51 anni. Sonali fu assunta come una sua collaboratrice per le riprese del film. La storia d’amore tra il regista italiano e la donna sposata e madre di 2 figli, aveva suscitato grande scandalo e i giornali chiedevano l’allontanamento di Rossellini dall’India.

Nel settembre 1957, circa 9 mesi dopo l’arrivo di Roberto in India, una notte Sonali arrivò con il piccolo Arjun in braccio all’hotel di Roberto a Bombay. Avevano deciso di sfuggire a Delhi e poi in Europa. Sonali viaggiò in treno a Nuova Delhi accompagnata da Husein, travestita come una signora musulmana.

Nonostante le proteste popolari contro questa storia d’amore proibito, il primo ministro indiano Pandit Nehru e la sua figlia, Indira Nehru Gandhi, aiutarono Roberto e Sonali a lasciare l’India, insieme al piccolo Arjun. Due mesi dopo, a Parigi, Sonali partorì una bambina, Raffaella.

La trasformazione di Arjun in Gil: In Italia, Arjun Dasgupta fu legalmente adottato da Roberto e diventò Gil Rossellini.

Suo fratello maggiore, Raja, non si ricorda il trauma di quei giorni, dice che era circondato dai nonni, zii, zie e cugini della famiglia allargata e non aveva sentito la mancanza della mamma.

In Italia, anche Gil si trovò subito circondato da una grande famiglia, composta dai figli che Roberto aveva avuti dalle sue precedenti unioni con Marcellina e Ingrid. Gil aveva un buon rapporto con il padre adottivo Roberto e si identificava con lui, come si può intuire dalla sua passione per le macchine da corsa, dichiarata in un’intervista al festival del cinema di Venezia nel 2005, “Quella per la Formula 1 è sempre stata una mia passione. E' una cosa che ho nel sangue. La zia di mio padre, la baronessa Maria Antonietta Avanzo, correva per la Ferrari alla fine degli anni Venti e mio padre corse anche la Mille Miglia".

Dall’altra parte, la stampa italiana parlava di lui quasi sempre come “il figlio adottivo”, forse questo urtava la sua sensibilità? Gil aveva ereditato anche il colore della pelle più scura da suo padre naturale, e forse anche questo creava qualche difficoltà per lui, sopratutto quando era giovane?

Per esempio, Palmira Rami, moglie del giardiniere di Villa Bergman a Santa Marcellina (RM) si ricorda così l’infanzia di Gil, “Roberto era andato in India ed aspettava lì l'arrivo di Ingrid ma Ingrid non vi andò, stava girando un film con Lars e così Roberto tornò dall'India con una nuova fiamma, la bellissima Sonali. Avevo grande simpatia per il figlio Jill, un simpaticissimo negretto che Sonali aveva avuto dal suo precedente marito. Ricordo che mio figlio Sergio non voleva giocare con Jill, perché aveva paura e i grandi sforzi di Giovanna Ralli per cercare di convincere Sergio a giocare con Jill. Jill era un bambino molto buono e faceva di tutto per guadagnarsi l'amicizia di mio figlio. Jill era un bambino molto sensibile e soffriva molto quando nella villa veniva tanta gente e lui essendo scuro di pelle si sentiva molto osservato, allora correva da me e da Iva la cuoca e si metteva a piangere dicendo che voleva essere un bianco.”

Gil studiò a Roma e poi, nel 1971 si trasferì in America, dove frequentò l’Università di Rice e l’università di Houston. Dopo gli studi universitari, lui lavorò come musicista a Houston per sei anni fino al 1980.

Nel 1984 quando oramai aveva 28 anni, Gil aveva incontrato suo padre naturale, Harisadhan Dasgupta, per la prima volta dopo la fuga dall’India nel 1957. Non tornò per incontrare Harisadhan altre volte, ma era rimasto in regolare contatto con il fratello Raja. Harisadhan si ritirò dal mondo dal cinema nel 1986 e morì a Santiniketan nel 1996.

Raja sceglie il mondo del cinema: Raja aveva frequentato la scuola Calcutta Boy’s school e poi si era laureato presso l’università di Nuova Delhi nel 1974, l’anno in cui incontrò anche sua madre per la prima volta dopo un intervallo di 17 anni.

Tra il 1976 e il 1982, Raja ha assistito il padre nella realizzazione di diversi documentari. Ha realizzato il suo primo documentario nel 1979, “Una canzone per Birsa”, vincitore del premio dei giornalisti per il migliore documentario. Quello stesso anno era nato suo figlio Birsa.

Negli ultimi 30 anni, Raja ha girato un centinaio di film, tra i quali telefilm, documentari, pubblicità e fiction. (Completa filmografia di Raja Dasgupta)

Raja si presenta come una persona molto tranquilla e calma. Quando gli chiedo di parlare di quegli anni, quando sua madre era andata via con suo fratello, lui risponde senza grande enfasi, “Per molti anni non lo sapevo, ero circondato da parenti e dalla famiglia!” Dice anche che non sente nessun rancore per quello che era successo tra i suoi genitori e che ha un rapporto tranquillo con la madre.

Gli anni di lavoro di Gil: Nel 1981 Gil iniziò a lavorare nell’ ambito della produzione cinematografica a New York, e continuò in questo campo fino al 1984. In questo periodo, lui aveva partecipato nell’ equipé di diversi film compreso “Il re della commedia” di Martin Scorsese e “C’era una volta in America” di Sergio Leone.

Nel 1984 Gil iniziò la sua carriera di regista, scrittore, produttore di film, cortometraggi, documentari, reportage, video musicali e eventi multi-mediali, dando avvio al “Rossellini & Associates” che aveva uffici in New York (USA), Roma (Italia) e Nuova Delhi (India).

I suoi più importanti lavori (film e documentari) sono stati realizzati tra il 1985 e il 2004.

Lui si era sposato con Eddy Fortini e poi la coppia aveva divorziato. Sembra che non avessero figli. Eddy è venuta al festival del cinema di Roma in ottobre 2008, per presenziare la proiezione di “Kill Gil 2 e ½”, dopo la scomparsa di Gil.

La tragedia improvvisa: La tragedia arrivò con passi felpati nell’autunno del 2004, quando un giorno Gil scivolò nella vasca da bagno a Roma e batte le testa contro un vecchio specchio. Fu portato al pronto soccorso e gli fu riscontrata una ferita e una contusione. Tornò a casa incerottato e con un collarino. Il 19 novembre 2004, era al festival del cinema di Stoccolma in Svezia per presenziare la proiezione di “La Principessa di Ledang”, quando avvertì un malore e all’improvviso entrò in coma. I medici del Karolinska institute di Stoccolma gli diagnosticarono una rara infezione da stafilococco, dovuta al trauma nel bagno a Roma.

Dopo 3 settimane di coma e dopo diversi interventi, Gil aveva ripreso coscienza, ma oramai aveva paraplegia ed è stato trasferito in una clinica specialista in Svizzera, dove è rimasto fino al 2005, ed è uscito su una sedia a rotelle.

Negli ultimi anni, oltre alla sua passione per il cinema, Gil era diventato anche un sostenitore dei diritti delle persone con disabilità. In un’intervista rilasciata nel 2006, Gil aveva detto, “Vi siete mai chiesti perché mai si vedono così pochi disabili in Italia? Molti si vantano dicendo che siamo un popolo di persone sane. Ma non è vero: sono tre milioni gli italiani disabili. Tre milioni di persone che non escono di casa.”

Così con il “Kill Gil 2”, Gil si era deciso "ad affrontare non con mano pesante e, senza fare comizi, l'impossibilità di abitare a Roma per chi vive questa condizione. E parlo di Roma solo perché è la città in cui vivo, non solo per i problemi oggettivi di questa città piena di saliscendi, ma per il fatto che anche quando l'amministrazione ha lavorato bene si incontra l'indifferenza della gente. Negli scivoli per i portatori di handicap trovi parcheggiati dei motorini e anche nei posti auto riservati sono occupati da chi non ha il permesso".

Conclusioni: Raja e Gil, due fratelli, cresciuti migliaia di chilometri lontani uno dall’altro, avevano trovato la stessa passione del cinema, quello che riuniva anche i loro padri, Harisadhan e Roberto. Il destino aveva preso per mano Gil e gli avevo dato la possibilità di crescere circondato dal mondo del cinema internazionale, mentre Raja è rimasto più ancorato al cinema bengalese.

Forse dentro di sé Gil portava le ferite dal suo passato, ma sembra che alla fine avesse trovato un suo equilibrio. Quando tutto sembrava procedere per il meglio per lui, all’improvviso, il destino era intervenuto di nuovo, portando Gil in una direzione inaspettata, fino alla sua scomparsa.

Con l'aiuto di Gil, Raja pensava di realizzare un film sulla vita di Mir Zafar, un personaggio della storia indiana ai tempi del colonialismo inglese. Dice, “Questo film ha bisogno di sostegno internazionale. Gil era entusiasto all’idea del film. Ma dopo la sua scomparsa, penso che il mio sogno resterà solo un sogno.”

Raja spera che la sua eredità artistica troverà una nuova direzione tramite suo figlio Birsa. In questi giorni, Birsa ha finito il primo film “033” che dovrebbe uscire nelle sale cinematografiche indiane fra 1-2 mesi. Il lavoro di Birsa ha ottenuto importanti riconoscimenti ed è considerato tra i più importanti registi emergenti del cinema bengalese indiano.

Lo scandalo per la storia d’amore tra Roberto e Sonali ormai è una pagina sbiadita della storia.


mercoledì 24 giugno 2009

Festival di Film indiani a Milano

L'Ambasciata indiana e il municipio di Liano, organizzeranno un festival di film indiani a Milano presso il cinema Gnomo (Via Lanzone 30 a) dal 25 al 28 giugno 2009. Tutti i film di questo festival sono nuovi (2007-2008) di sono film pluripremiati, e sono sottotitolati sia in inglese che in italiano. Non perdete quest'occasione. L'entrata e' gratuita fino all'esaurimento dei posti. Il programma del festival e' il seguente:


25 giugno 2009 2100 A WEDNESDAY (Hindi, 102 min.Dir.: N. Pandey) - un thriller mozzafiato sulla rivolta di un uomo comune contro il terrorismo, ambientato nella citta' di Bombay.
26 giugno 2009 ore 1900 SRIRANGAM (Tamil, 117 min.Dir.: S. Ramanathan) e ore 2100 DOSAR (Bengali, 127 min, Dir. Rituparno Ghosh)
27 giugno 2009 ore 1700 TAAREY ZAMEEN PAR (Hindi, 163 min, Dir.: Aamir Khan) - e' un film da non perdere, la storia di un bambino dislessico, candidato indiano ai premi oscar come miglior film straniero del 2007. E alle 2100 ORA PENNUM RANDANUM (Malayalam,115 min,Dir Adoor Gopalakrishnan)
28 giugno 2009 ore 1700 JODHAA AKBAR (Hindi, 205 min, Dir. A. Gowarikar) - un film dal regista di Lagaan c'era una volta in India, una storia d'amore tra un principe Mughal e una pricipessa Rajput del quindicesimo secolo, con bellissime scenografie e danze.

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