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Al nuovo mondo con le catene del passato

Nota: Questo articolo parla dell'impatto delle caste tra le vecchie diaspore indiane sparse nel mondo, soprattutto tra 19° e 20° secolo. E' un estratto di uno scritto più ampio sul tema delle caste che avevo preparato per una lezione per un corso di sociologia presso il dipartimento delle lingue orientali dell'università di Bologna.

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"Diasporea", dal greco "diaspore", letteralmente significa dispersione, e si usa questa parola per parlare della "dispersione dei popoli" da un territorio al altro. La parola diaspora, mi fa pensare ai semi con le ali che il vento porta via lontano verso un terreno nuovo, dove potrà nascere e crescere uguale al vecchio albero dove era nato.

In questa immagine poetica del seme con le ali, forse non si percepisce la minaccia dell'incertezza e dei pericoli che avvolgono questo viaggio, perché quando si inizia questo viaggio spesso non si sa dove e se mai finirà questo viaggio.

Oggi le persone possono decidere di cambiare paese e prendere un volo per trasferirsi alla loro nuova terra per creare nuove diaspore, ma sono una piccola minoranza. Per la maggior parte delle diaspore, le loro radici si affondano in ricordi dolorosi, separazioni e morte.

Antiche diaspore indiane

Il viaggio dei gruppi partiti dalla casta orientale dell'India per popolare le isole orientali, da Bali fino al Pacifico e in una fase successiva, il viaggio del buddismo e dell'induismo dall'India verso l'estremo oriente, fino alle colonie di Champa in Vietnam nel 300 a.c., possono essere considerate esempi delle prime diaspore indiane. A parte le rovine archeologiche, come i templi di Angkor Wat in Cambogia, sappiamo poco o niente di queste antiche diaspore indiane.

Nei secoli successivi, India è diventato invece la metà delle diaspore che sfuggivano persecuzioni in diverse parti del mondo. Per esempio, i gruppi come gli ebrei di Kochi, i parsi di Mumbai, gli armeni e i cinesi di Calcutta sono arrivati India per cercare rifugio dalle persecuzioni, e per molti secoli India è diventata la terra che accoglieva le diaspore venute da altri paesi.

Diaspore indiane durante il colonialismo

Tra il diciottesimo e i primi decenni del ventesimo secolo, il mondo ha visto la creazione di nuove diaspore indiane legate al colonialismo.

Diaspore commerciali: Da una parte, gli indiani che lavoravano con i padroni inglesi, viaggiavano verso gli altri paesi delle colonie inglesi per accompagnare i padroni perché ritenuti "fedeli e bravi servitori", dall'altra, le altre colonie rappresentavano nuovi mercati per i commercianti indiani. La maggior parte di queste persone erano del varna dei Vaishya (commercianti). I figli di queste diaspore sono ancora presenti in molti paesi delle ex-colonie inglesi, da Kenya alle isole Fiji.

Queste comunità indiane avevano un sistema di supporto commerciale e sociale per far venire nei loro nuovi paesi, altre persone delle proprie famiglie estese e dei propri villaggi di origine. Per cui queste comunità erano molto chiuse verso l'esterno e avevano un sistema molto rigido di controllare che nessun membro della comunità violi le regole tradizionali delle caste.

In diversi paesi dell'Africa orientale, molte di queste comunità continuano a vivere in comunità molto chiuse, e sono circondate spesso da forte risentimento locale. Qualche volta questo risentimento scoppia in episodi violenti, come in Uganda negli anni settanta. Tra questi vi sono anche persone di altre religioni, soprattuto musulmani, i quali delle volte sono caratterizzate da famiglie molto ortodosse e conservatrici.

Minal Hajratwala, nata e cresciuta in America, quarta generazione di una famiglia di commercianti partiti da un villaggio di Gujarat nel nord ovest dell'India alla fine dell'ottocento per fondare un impero commerciale in Fiji, racconta la storia di questa emigrazione e la sua esperienza di essere una persona diversa (omosessuale) nel contesto di una diaspora indiana nel suo libro "Leaving India":
Durante l'epoca dell'imperialismo, quando la definizione dell'essere umano era "uomo" e la definizione dell'uomo era "bianco", niente di tutto questo [uguaglianza degli esseri] era ovvio. .. l'idea dell'uguaglianza era altrettanto impossibile anche per molti indiani. Sicuramente i miei avi, i quali erano arrivati con il loro orgoglio legato alla loro caste, l'hanno trapiantato nelle gerarchie sociali nella loro terre d'adozione. Kaffirs (non credenti) e "colorati", goriyas (Bianchi) e kariyas (neri), chinaas (cinesi) e jewktaas (ebrei) erano subito catalogati dalle menti già abituate all'ordine sociale. .. senza guardare le reali occupazioni delle persone, il sistema delle caste offriva un senso di sicurezza dell'identità, ai rapporti con gli altri, e che coincideva comodamente con il sistema razziale sud africano.

Leaving India by Minal Hazratwala

Diaspore frutto delle emigrazioni forzate: Le migrazioni indiane più consistenti erano nella seconda metà del diciannovesimo secolo, quelle del "lavoratori legati" (indentured labourers), incentivate con la promessa di sfuggire dalla miseria per avere mano d'opera più docile, maneggevole, ed a basso costo per sostituire gli schiavi africani, per lavorare nelle piantagioni coloniali in paesi come le isole Mauritius e i paesi del Caraibi. Lo scrittore Amitav Ghosh nel suo libro "Mare dei Papaveri" racconta la storia di queste diaspore.

Un libretto scritto nel 1840, dalla Società Inglese Contro la Schiavitù, spiegava le richieste dei padroni delle piantagioni di Demerara (Guyana inglese) e di Giamaica per attirare e convincere i manovali indiani nel 1936 perché "la situazione degli schivi africani era molto difficile e rischiavano di restare senza personale".

I primi lavoratori sono partiti dall'India nel 1938 (stesso anno in cui la schiavitù fu formalmente abolita) con i "girmitiya" (contratti) di 5 anni. Soltanto dopo la partenza loro scoprivano che dovevano affrontare un viaggio che durava mesi, durante la quale molti dei loro avrebbero perso la vita e una volta arrivati nei loro nuovi paesi, avrebbero dovuto vivere come schiavi perché dovevano pagare le "spese di viaggio", e alla fine dei 5 anni, se volevano tornare a casa, dovevano avere abbastanza soldi per "pagare il viaggio di ritorno". Era l'inizio di una nuova schiavitù anche se erano persone "libere" di tornare quando volevano!

Nei decenni successivi, centinaia di miglia di indiani hanno lasciato India in questo modo per costruire nuove diaspore in diverse parti del mondo. Per esempio, fino al 1920, erano arrivate 240.000 persone in Guyana inglese, 36.000 in Giamaica e 144.000 in Trinidad e Tobago. Nessuno sa quante erano partite dall'India e mai arrivate alla loro nuova terrà.

Queste persone provenienti soprattutto dal nord-est dell'India, dove si parlava Bhojpuri e altri dialetti, erano caratterizzate dalla povertà, per cui molte delle loro erano persone che appartenevano alle caste più basse.

Maggior parte di queste persone vivevano nei ghetti isolati nelle nuove terre, senza la possibilità di mescolare con i bianchi europei, padroni delle piantagioni e isolate anche dalle persone di origine africana (ex-schiavi), perché "erano ribelli e poco rispettosi verso le autorità degli bianchi". I loro nuovi paesi spesso avevano delle legge che delimitavano le zone geografiche dove potevano vivere. Per esempio, in Sud Africa, gli indiani dovevano vivere a Durban.

La politica di "dividere e regnare" che dava alcuni privilegi agli indiani nei confronti degli schiavi africani, serviva per creare divisioni tra le persone sfruttate e evitare che fanno il fronte comune contro i padroni coloniali. Per esempio, la prigione di Robben Island nei pressi di Città del Capo dove era prigioniero Nelson Mandela, aveva tre tipi di diete - una dieta più povera per i neri, una dieta un po' migliore per i "colorati" indiani e una migliore per i bianchi (nell'immagine, il cartello con le diete per colorati/asiatici e bantu/neri, nella prigione di Robben island).

Board showing diets for asians and blacks in Robben island prison

Comunicazioni con il paese di origine e le possibilità di tornare in dietro erano quasi non esistenti. Nei primi anni, la maggior parte dei "girmitiya" erano soli uomini perché dovevano lavorare nelle piantagioni. Solo dopo alcuni anni quando cominciarono a scoppiare i disordini, i responsabili del trasporto della mano d'opera erano stati costretti a trasportare le donne.

Questa convivenza forzata in spazi stretti e miseri, aveva indebolito le divisioni delle caste tra gli emigrati, e rinforzato le caratteristiche comuni legati alla lingua, religione e tradizioni. Dall'altra parte l'isolamento fisico e culturale, aveva creato comunità fortemente chiuse dove le tradizioni dovevano osservate rigidamente. Così mentre le loro comunità d'origine in India, potevano continuare a crescere e cambiare con i tempi, queste diaspore hanno continuato a preservare una versione dell'indianità di 100 anni fa fino a qualche decennio fa, quando i paesi sono diventati indipendenti e i cambiamenti legati alla globalizzazione hanno mutato la loro condizione di isolamento.

V. S. Naipaul, lo scrittore originario del Trinidad e Tobago e vincitore del premio nobel per la letteratura, ha scritto più volte dei suoi viaggi nella terra di suoi avi. Per esempio nel suo libro "India - un milione di rivolte", lui ha scritto della comunità indiana:
Era al Trinidad che i miei avi sono andati, intorno al 1880 .. i gruppi di emigrati indiani erano misti. Erano India in miniatura, indù e musulmani, persone di diverse caste. Erano emarginati, senza rappresentanti, e senza una tradizione politica. Erano isolati per la loro lingua e la loro cultura dalle altre persone con i quali convivevano. Erano isolati anche dall'India (il viaggio con le navi a vapore richiedeva diverse settimane). In queste circostanze particolari, essi svilupparono qualcosa che non avevano mai sperimentato in India: un senso di appartenenza ad una comunità indiana. Questo senso di comunità avrà sopravvento sulle loro religioni e sulle loro caste.
Nuove diaspore della globalizzazione

Dopo l'independenza dell'India nel 1947, i giovani hanno iniziato a cercare sbocchi all'estero per migliorare la qualità della propria vita, soprattuto in America, Inghilterra e Australia. Fino agli anni novanta, per queste nuove diaspore, spesso persone del ceto medio alto, non era facile mantenere i contatti con la madrepatria a parte un viaggio a casa ogni 2-3 anni. Per cui spesso si creavano due identità - un'identità più cosmopolita per gli amici e i colleghi di lavoro o di studio, e un'identità più indiana per la comunità locale degli indiani.

Dopo gli anni novanta, con la graduale allargamento della rivoluzione dell'internet, con gli strumenti di email, forum, blog, facebook, twitter, ecc., queste due identità si estendono oltre le frontiere locali, ma spesso rimangono due mondi più o meno separati.

In questo nuovo mondo per le amicizie, le frontiere delle caste sembrano più flessibili per quanto riguarda il dialogo e l'interazione sociale con gli altri indiani. Tuttavia per i matrimoni, sopratutto nelle prime generazioni degli emigrati, la questione delle caste e la provenienza geografica (legata agli altri fattori come lingua, cultura, abitudini alimentari, ecc.) continuano ad essere determinanti per la scelta dei partner.

Le seconde e ulteriori generazioni invece erano già dei punti critici ancora prima dell'era informatica, perché avevano dei conflitti con i genitori e con i nonni, i quali vivevano con rimpianti la "perdita della indianità intesa come lingua, modo di vestire e modo di comportare" nei figli, ma sopratutto per la scelta dei partner per il matrimonio. Negli ultimi due decenni, questo processo è diventato ancora più marcato anche se ancora oggi, molti giovani nati e cresciuti in occidente, continuano ad accettare che sia la loro famiglia a scegliere lo sposo o la sposa per loro, o quando cercano i propri partner tramite i siti indiani matrimoniali, lo fanno sulla base delle caste e provenienze geografiche delle loro famiglie di origine.

I blog sono tra i mezzi privilegiati dove discussioni intorno al tema dei matrimoni combinati dei giovani nati e cresciuti in occidente sono più vivaci. In un articolo apparso sul New York Times, Anita Jain, una ragazza americana d'origine indiana, aveva raccontato la storia della ricerca dello sposo adatto per lei:
Recentemente ho ricevuto in coppia un messaggio indirizzato al mio padre. Diceva, "Ci piace il profilo della ragazza. Il ragazzo ha un buon lavoro in servizio pubblico nello stato di Missisipi e non potrà trasferirsi a New York. La ragazza dovrà trasferirsi a Missisipi." Il messaggio era firmato da sig. Ramesh Gupta, "Il padre del ragazzo". Questo non era brutto come l'altro messaggio che ho visto quando ho accesso il computer a casa a Fort Greene e ho trovato questo messaggio che chiedeva, senza tanti giri di parole, la data, il tempo e il luogo della mia nascita. Presumibilmente avevano mandato questo messaggio per verificare se dal punto di vista astrologico, potevo essere una sposa armoniosa per il loro figlio ...

Le seconde generazioni, nate e cresciute all'estero, spesso guardano con disgusto le tradizioni sociali legate alle caste e spesso costringono le persone delle prime generazioni, soprattutto le persone più vecchie, ad adeguarsi al nuovo contesto e lasciar perdere le considerazioni di caste.

Le caste spesso accompagnano le diaspore indiane nel mondo e soltanto con il passare delle generazioni il loro impatto diventa meno importante. Nella mia esperienza personale tra gli immigrati indiani in Italia, le caste perdono la loro importanza per le discriminazioni sociali, ma qualche volta esse continuano ad essere importanti per i matrimoni dei loro figli.

Commenti

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