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Parlare dell'Africa

Recentemente sull'Internazionale c'era un articolo dello scrittore Keniotta, Binyavanga Wainaina intitolato "La nuova carta dell'Africa". Se avete avuto occasione di leggere altri articoli di Wainaina, penso che saprete già che ha un modo di esprimersi ironico e allo stesso momento, secco e tagliente.

In questo articolo, lui parlava della concezione e dell'immagine dell'Africa in Europa e in America dopo la caduta del muro di Berlino, e sosteneva che oramai conosciamo l'Africa soltanto da quello che ne dicono i rappresentanti delle grandi organizzazioni umanitarie, e spesso le voci sono degli espatriati europei o americani:
"... ti serve memorizzare nel telefono i numeri dei rappresentanti di tutte le organizzazioni umanitarie europee - Oxfam, Save the children, eccetera - in ogni paese africano. .. In questa era il veicolo di tutto il sapere locale sono le organizzazioni umanitarie, che parlano la lingua dei diritti umani e sono buone. Quindi se un corrispondente straniero ha bisogno di sapere cosa sta succedendo in Sudan, si chiarirà i punti più urgenti grazie alla sua colazione settimanale con il rappresentante di Oxfam ..."
Wainaina parla anche delle organizzazioni che cercano di promuovere "lo sviluppo delle comunità" in questo articolo:
"Questa parte dell'Africa è gestita da anonimi signori della guerra. Quando vengono sconfitti, questi posti sono gestiti da organizzazioni di base finanziati dall'Unione Europea che creano un buon posto per mandare i bimbi nati negli anni bisestili a dare una mano e a vedere anche le giraffe. La base esiste per stare seduta ad aspettare che arrivino gli agenti della sostenibilità (europei) e le diano un po' di potere."
Penso che con questa descrizione, Wainaina esagera un po', ma c'è più di un pizzico di verità nella sua affermazione. Negli anni di crisi come quelli attuali, spesso l'unico modo di lavorare per le organizzazioni di volontariato è quello con i progetti cofinanziati dall'Unione Europea, con i loro finanziamenti di 1-3 anni e con le compulsioni di costruire le sembianze di uno sviluppo comunitario con le tecniche dirigenziali delle grandi corporazioni. Per cui, prevale lo sviluppo calato da sopra che costruisce scenografie da fotografare e filmare, ma che cambia niente.

Wainaina chiude il suo articolo con un avvertimento: l'Europa sta perdendo l'Africa e che l'Africa ha scelto altri interlocutori per il suo dialogo - interlocutori orientali e medio orientali, perché non riesce più a farsi sentire dall'Europa.

Si può discutere molto su diversi punti che solleva Wainaina in questo articolo, ma non si può negare che in Europa nei giornali "normali" è quasi impossibile sentire le voci africane su qualunque tema che riguarda l'Africa. Dove sono le voci di pensatori, filosofi, economisti, attivisti, scrittori africani quando succede qualcosa in Africa?

Anche le voci autorevoli come quelle di Wole Soyinka o Samir Amin, sono quasi sconosciute in occidente. Perché l'Africa non ha le voci proprie per raccontare la sua storia? Forse questa assenza ha le sue radici nel passato, nella storia dello schiavismo?

Europa aveva colonizzato anche l'Asia e il sud America, ma forse nella recente storia, nessun altro popolo è stato trattato come gli africani - come esseri "non umani", esseri da raccogliere durante le spedizioni di caccia, incatenati e trasportati in giro per il mondo. In confronto, per portare i "girmitiya" indiani come lavoratori nelle colonie, gli inglesi dovevano attirare le persone con inganno, con le esche del sogno di una vita migliore, come onesti lavoratori. Alla fine anche gli indiani si trovavano in situazioni terribili e erano trattati poco meglio degli africani, ma avevano dei contratti, ciò è un riconoscimento che erano delle persone, anche se avevano poco potere.

Forse sotto sotto, in Europa resta quell'idea dell'Africa come la terra di nessuno, una terra senza civiltà. Per questo che ancora oggi le voci africane restano non ascoltate?

Comunque, come Wainaina, vi sono molte altre voci africane che raccontano quello che succede nei loro mondi. Penso che sia importante ascoltare anche loro, se vogliamo capire meglio quello che succede in quei mondi.

Graphic African Voices - S. Deepak, 2012

Per esempio, potete iscrivetevi ad un newsletter settimanale di Pambazuka.org, una lista di email gratuita, in inglese, portoghese e francese, che racconta i problemi dell'Africa visti e raccontati dagli africani. Vi garantisco che resterete stupiti da quanto spesso loro descrivono il loro mondo e i suoi problemi così diversamente da come lo fanno i giornali europei (quelle rare volte che lo fanno) o le organizzazioni umanitarie!

Sul sito di Pambazuka troverete tutte le informazioni per l'iscrizione (il link porta alla pagina in inglese - in alto sulla sinistra troverete i link alle pagine in francese e in portoghese).

***

Commenti

Silvia Merialdo ha detto…
Ciao Sunil, grazie per il post, molto interessante.
In effetti dell'Africa si hanno sempre voci indirette, con una visione un po' terzomondista...
Grazie per il sito, mi sono iscritta alla newsletter anche io!
Sunil Deepak ha detto…
Grazie a te Silvia.

Mi piace molto la loro newsletter, al quale sono iscritto da 5-6 anni. Penso che Firoze Manji, il suo fondatore, è il fratello di Irshad Manji, la scrittrice che parla del femminismo e islam. La prossima settimana sarò a Cape Town e spero di andare a visitare la redazione di Pambazuka. :)
Silvia Merialdo ha detto…
Che bello! Poi raccontaci!

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