domenica 28 marzo 2010

Difficile resistere al consumismo!

Per molti anni ho resistito ai cellulari. Per qualche anno, non l'ho voluto comprare. Poi, l'ho preso ma più delle volte lo dimenticavo a casa o quando era scarico, non lo ricaricavo per dei giorni. Mentre guardavo tutti gli altri intorno a me, tutti presi dai loro cellulari, sentivo un senso di superiorità per il mio vecchio Nokia, comprato durante qualche svendita per 39 Euro.

Comunque, alla fine ero arrivato ad avere due cellulari, uno per il lavoro e l'altro personale. Così invece di dimenticare un telefono a casa, cercavo di dimenticarli tutti e due. In ogni caso, quasi nessuno sapeva il numero del mio cellulare personale (ne anche io me lo ricordo). Dall'altra parte, quelli che conoscevano il numero del mio cellulare di lavoro, avevano imparato da tempo che più delle volte non riuscivano a trovarmi con quello.

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Invece alla fine ho ceduto al fascino dei cellulari. Ero in Vietnam, tornavamo alla città di Hue da una visita nei villaggi, quando il medico che ci accompagnava, ha tirato fuori il suo cellulare e me l'ha mostrato. Aveva due carte sim, email, mms, mp3, registratore, fotocamera, ecc. e in più si potevano vedere tutti i canali di TV vietnamita. "Vorrei anch'io un cellulare con due carte sim, così non dovrò girare con due cellulari, ma chissà quanto costerà una cosa così", ho sentito una piccola scintilla di invidia dentro di me.

Si è messo a ridere lui. "E' un cellulare cinese, costa poco."

"Quanto poco?"

Infatti restai sorpreso quando lui mi ha detto che costava intorno a 50 Euro. Tornati a Hanoi, sono andato in un grande negozio di telefoni in un moderno centro commerciale. La varietà di telefoni cellulari "made in china"  era sbalorditiva. Alla fine ho scelto il modello V320 di K Touch e l'ho pagato, meno di 50 Euro. Ha tutte le cose che aveva il cellulare del medico di Hue.

Tornato in Italia, ho inserite le mie due sim card, funzionano benissimo. Va bene anche come piccolo TV portatile con i diversi canali analogici. Mi sento come un neo papà orgoglioso del suo pargoletto. L'ho già fatto vedere a tutti gli amici, i quali mi raccomandano di portare uno uguale anche per loro, la prossima volta che tornerò da quelle parti.

Fra qualche mese, sono sicuro che passerà questo amore per il nuovo cellulare e tornerò a dimenticarlo a casa, come succedeva spesso in passato. Ma se io fosse Nokia, Samsung o Motorola, comincerei a preoccuparmi seriamente. Sarà difficile competere con questo tipo di prodotti cinesi!

lunedì 22 marzo 2010

Un nuovo racconto

Il mio nuovo racconto, “Mammolo e la Regina dei Cuori Sanguinanti” scritto durante il corso di scrittura creativa che avevo frequentato recentemente, è disponibile sul sito web dell’Associazione Eks&Tra.

Il racconto ha due protagonisti principali, entrambi ultra sessantenni, Puran un cuoco di origine indiana e Fernanda una ex-impiegata di una libreria. E’ da tempo che Puran e Fernanda mi giravano nella testa come parte di una storia complicata di ricordi, dolori e segreti, che un giorno spero di scrivere (tutti i libri che vorrei scrivere, hanno queste caratteristiche – storie complicate segnate da tragedie, ricordi, dolori e segreti).

In questo senso, avevo in mente già due “persone” con i loro modi particolari e specifici di essere persone. Mi succede spesso che nella mia testa i personaggi dei libri e dei racconti che vorrei scrivere diventano come persone vere, con le quali continuo a parlare nella mia testa, a scoprire nuove storie e fatti della loro vita. Delle volte, anche quando ho finito di scrivere, a distanza di mesi quei personaggi continuano a tornarci nella mia testa a parlarmi, sono come amici o parenti.

Al corso di scrittura creativa, si parlava spesso di emigrati, ma quasi sempre collegato a parole con connotazioni negative come problemi, dolori, ferite, offese, povertà, esclusione, ecc. Per questo motivo, quando ho iniziato a pensare al racconto che avrei voluto scrivere, ho deciso che vorrei un racconto ottimista, una storia di speranza e d’amore. Poi ho pensato a Puran e Fernanda, e ho deciso di prendere in prestito i due personaggi, cambiarli un po’ e creare una nuova storia per loro. Penso che gli esercizi di immaginazione che avevamo seguito durante il corso mi hanno spinto verso questo tipo di sperimentazione.

All'inizio non era facile. Il racconto che volevo scrivere non era adatto alle personalità di Puran e Fernanda, i quali, nella mia fantasia, erano delle persone completamente diverse che non si comportavano come voleva il racconto. Così mentre scrivevo, non mi sentivo giusto verso loro, mi sembrava di manipolarli. Questa sensazione di disagio era particolarmente forte durante la prima scrittura. Ora che il racconto è fatto (è stato riscritto 4 volte, e la versione finale è risultato anche di diversi suggerimenti di Daniele Barbieri) penso che questi Puran e Fernanda, sono due persone molto diverse da quelli altri Puran e Fernanda che avevo in testa all’inizio.

Non so se tutta questa riflessione vi è comprensibile. Forse non è ne anche importante? Invece, se leggerete il mio racconto, mi piacerebbe sentire i vostri commenti.

sabato 30 gennaio 2010

Corso di Scrittura Creativa

Nota: Questo scritto è stato aggiornato in agosto 2022
 
Avevo scritto la prima bozza di un romanzo nel 2007, di 300 pagine circa. L'avevo fatto vedere ad una cugina che lavora per una casa editrice indiana. Quando è pronto, devi farmelo vedere prima di parlare con qualcun altro, mi aveva detto. Tutte le persone che l'avevano letto avevano dato pareri positivi. Dovevo solo metterlo a posto e forse avrei trovato qualcuno disposto a pubblicarlo.

Invece dopo 3 anni, non riesco ancora a tornare a riscrivere quel romanzo. L'ultima volta che sono andato in India due mesi fa, mia cugina mi ha fatto una lunga predica e mi ha dato l'ordine che vuole vedere la seconda bozza del mio scritto entro sei mesi.

Non so in quale lingua devo scrivere, l'avevo spiegato alla mia cugina. Era Hindi la mia lingua madre e dovevo scrivere in Hindi invece devo riconoscere che la mia conoscenza della lingua si è ridotta notevolmente negli ultimi 25 anni. Da alcuni anni, ho ripreso a scrivere in Hindi ma troppo spesso devo consultare il dizionario perché non mi ricordo le parole giuste.

Potrei scrivere in italiano, ma non sono mai sicuro della grammatica. Mi dispiace per non aver frequentato un corso e ad aver imparato la lingua in maniera sistematica. Così scrivo spesso in inglese, la lingua che conosco meglio di tutte le altre, ma dentro di me lo sento come un tradimento. Un tradimento agli ideali di papà e un tradimento alle mie idee da giovane.

Non mi interessa in quale lingua vuoi scrivere, mi aveva detto mia cugina, voglio vedere il romanzo.

Due mesi dopo il rientro quando avevo visto l'annuncio di un corso di scrittura creativa organizzato dalla Regione, avevo deciso all'improvviso di iscrivermi, e subito avevo compilato e mandato la domanda, per non avere i ripensamenti.

Veramente non pensavo di imparare qualcosa. Ho già pubblicato diversi racconti, non mi serve imparare niente, avevo pensato - ma sarebbe bello stare insieme alle persone che vogliono scrivere, scambiare idee con loro. Amo mio lavoro e amo viaggiare in diversi paesi del mondo, ma devo riconoscere che ciò non aiuta a creare legami stabili con gli altri. Invece in questo periodo non avevo nessun viaggio in programma e potevo finalmente parlare con gli altri della scrittura.

Il corso è stato utile. Per esempio, dover prendere una parte di un racconto scritto da qualcuno e inventare il suo inizio e la sua fine, se dipendeva solo da me, non l'avrei mai fatto. Invece dover lo fare significava scegliere un tema che altrimenti non avrei mai scelto. Ascoltare 30 altri modi di iniziare e finire quello stesso racconto, mi faceva sentire quasi allucinato. Per cui, il corso mi ha aiutato a rompere gli schemi ed a sviluppare la fantasia.

Tanti anni fa mi piaceva scrivere con delle frasi particolari, con delle parole ricercate, volevo che le persone quando lo leggevano dovevano restare meravigliati del mio modo di scrivere. Invece ora preferisco scrivere con delle parole semplici, vorrei che sia la storia a parlare e non le parole o il modo di raccontare. Durante il corso, Christiana e Daniele, i docenti del corso, hanno insistito molto sull'originalità di espressione, per cui anch'io ho cercato di immaginare delle frasi un po' particolari e delle parole meno comuni, ma non lo sentivo come mio stile, era solo un modo di fare contenti i docenti.

Dall'altra parte, ho capito che il mio desiderio di scrivere con le parole comuni e semplici, poteva anche nascondere un po' di pigrizia. Ho imparato che devo sviluppare la capacità di guardare quello che scrivo con maggiore senso critico. Daniele e Christiana sono due persone molto diverse e sicuramente affrontano la scrittura in maniera diversa. Questo era molto stimolante.

Ma la cosa più bella del corso è stata l'opportunità di interagire con tante persone diverse, venute da tanti mondi diversi e intravvedere i loro processi creativi, trovare somiglianze e differenze. Mi dispiace che non ne avrò più la possibilità.

Oggi durante il corso, dovevamo ragionare in piccoli gruppi sulla domanda "Perché ho paura di scrivere". Ero con Moira che viene dall'Argentina e con Sanaa che viene dal Marocco. Non so perché ma pensavo che Moira si chiamasse Monica e quando l'ho chiamato Monica, lei ci ha raccontato che spesso le persone sbagliano il suo nome e la chiamano Monica (forse si può scrivere un racconto "La ragazza che non si chiamava Monica"?). Ma invece di ragionare sulla domanda "Perché ho paura di scrivere", abbiamo cominciato a parlare del nostro essere immigrati, dei pezzi del nostro essere sparsi tra diversi paesi.

Parlare di che cosa significa essere un immigrato è uno dei  miei temi preferiti e ci torno su continuamente. Moira ha detto che bisogna prendere i propri ricordi e le esperienze più belle e portarle con sé, allora non si soffre. Anch'io penso un po' come Moira. Penso che il mio paese ideale è dentro di me. Salman Rushdie parla delle nostre "patrie immaginarie". In "Maximum city", Suketu Mehta si definisce "di essere un cittadino del paese del desiderio". Mi sarebbe piaciuto continuare a parlare di questo tema.

Invece dopo il corso, mentre tornavo a casa, ho pensato che durante il corso non abbiamo mai parlato di informatica, blog, internet e come tutto questo nuovo mondo sta cambiando il nostro modo di esprimerci e di essere scrittori. Sull'ultimo numero di Internazionale, c'è l'inchiesta della rivista Edge su questo tema. Forse dovevamo ragionare anche su questo? Per esempio, se scrivere il blog ci aiuta a superare le nostre paure o se è un nuovo ostacolo per affrontare la scrittura in modo serio?

Comunque, per me il corso è finito oggi. Lunedì devo partire per per lavoro per la Cina, e non potrò partecipare agli ultimi due incontri del corso. Non potrò ascoltare i racconti degli altri. Li potrò leggere, ma non sarà la stessa cosa.

Non ho ancora risolto come fare a riprendere il mio romanzo, ma forse mi verrà un'idea. Spero.

Aggiornamento del 23 agosto 2022


Non ho mai finito quel romanzo che avevo iniziato a scrivere nel 2007. Intorno al 2012-14, avevo iniziato a scrivere un altro, anche questa volta in inglese e anche questo, non sono riuscito a finire.

Poi, circa un anno fa, mentre ero chiuso a casa per le paure legate alla pandemia di Covid, ho ripreso l'idea di quello che avevo iniziato nel 2007, e questa volta l'ho cominciato a scriverlo in hindi, la mia lingua materna. Ho finito la prima bozza e sono a buon punto con la seconda scrittura. Una piccola parte del libro è ambientata in Italia, ma la maggior parte della storia si svolge in India.

E' una storia complessa che copre un lungo periodo, dai primi anni 1960 fino ad oggi, e con molti personaggi. Mi piace come è venuta ma ho ancora alcuni punti interrogativi in testa. Sicuramente, devo fare la terza stesura prima di farlo leggere da qualcuno. Comunque, sono contento che alla fine dopo più di 20 anni di prove, sono almeno riuscito a completarlo. Ho tutte le mie dita incrociate!

venerdì 8 gennaio 2010

Diritto alla salute

Tramite amici ho ricevuto l'appello di Eleonora Artesio, Assessora alla sanità della regione Piemonte. Questo appello parla di "A difesa dell’equità e dell’universalità del sistema sanitario". Penso che questo appello solleva questioni molto importanti per il sistema sanitario in Italia. Qui sotto ho riportato una parte di questo appello:
Non stupiva né sembrava impossibile allora un percorso collettivo per ricercare equità nell’accesso alle opportunità e per condividere la selezione delle priorità: del resto le richieste di prevenzione dai rischi sul lavoro nascevano esattamente da una coscienza “comune” dei lavoratori indisponibili a scambiare ancora salute con salario; del resto la riforma sanitaria del 1978, che sancì il governo pubblico e la copertura universalistica dei servizi delle prestazioni sanitarie, scaturiva dalla cultura dei diritti fondamentali della persona definita dalla Carta Costituzionale e praticata nelle lotte delle organizzazioni sociali, dai sindacati ai comitati di quartiere. A 30 anni di distanza il PSSR della Regione Piemonte torna a parlare della salute come “bene comune”. Per i detrattori si tratta di retorica nostalgica. E’ invece una urgenza culturale e politica. Il diritto inalienabile della persona si è trasformato nel diritto dei cittadini che rivendicano la esigibilità delle cure in nome del prelievo fiscale col quale sostengono il servizio sanitario; la soddisfazione dei bisogni di salute è diventata equivalente al consumo di farmaci e di prestazioni; si confonde l’obbligo etico e sociale di curare con l’obbligo di guarire riducendo così a un costo le condizioni umane inguaribili, ma doverosamente curabili, come le malattie croniche. Così accade che i cittadini non incontrino più le persone e si può legittimare la follia secondo la quale i non contribuenti, specie se stranieri o diversi, non abbiano titolo a condividere risorse di protezione sociale: a questo abbiamo assistito quando legislazioni xenofobe hanno tentato di imporre al personale sanitario l’obbligo di denuncia degli immigrati irregolari; a questo assistiamo quando – colpevolizzando le persone per le loro patologie si contestano i costi dei servizi che, accettando le fragilità e le cadute, accompagnano il disagio mentale e le diverse dipendenze; a questo ci adattiamo quando si legge o si ascolta l’invettiva scagliata contro il tempo per l’attesa nell’incuranza di codici più urgenti. Queste tendenze non preoccupano solo per l’assenza di una etica pubblica, ma per la loro pericolosa saccenza. Sarebbe solo banale riconoscere che la condizione di ciascuno influenza il contesto comune ed è quindi, conveniente garantire il grado di salute di ciascuno per aumentare la qualità di salute dell’ambiente condiviso. Sarebbe salutare operare politicamente perché lo spazio pubblico si riappropri del tema della tutela della salute ora, non per essere chiamato a pronunciarsi come una tifoseria sull’autodeterminazione e sul fine vita – come accade ora – ma per riscrivere l’incontro più giusto tra il diritto individuale e il bene comune.
Potete leggere tutto appello e sostenere Eleonora Artesio, tramite il suo gruppo di sostegno su Facebook.

domenica 3 gennaio 2010

Bollywood 2009: I film più interessanti (Parte 3)

Nella prima parte di questo articolo, avevo spiegato la mancanza di grandi film di successo nel primo quadrimestre del 2009. La seconda parte di questo articolo aveva parlato dello sciopero dei film di Bollywood e di alcuni nuovi film usciti tra luglio e agosto 2009.

Questa terza e ultima parte del articolo, presenta i film del periodo più importante del 2009, l’ultimo quadrimestre, quando sono usciti molti film nuovi e diversi di loro hanno trovato apprezzamento critico e commerciale.

Dil bole hadippa (Cuore dice ‘viva’): Era il primo film di Rani Mukherjee dopo circa 2 anni di assenza dagli schermi. Rani era nel ruolo di una ragazza che lavora in una compagnia di balletti itinerante e che è appassionata del gioco di cricket. Shahid Kapoor era il giocatore di cricket venuto da Gran Bretagna per aiutare suo padre e per allenare una squadra di cricket locale che deve giocare una partita con una squadra pakistana. La squadra di cricket non ammette ragazze per cui Rani decide di travestirsi da un ragazzo sikh per poter giocare.

Il film aveva scene “ispirate” da diversi film di successo. Tutti hanno apprezzato Rani Mukherjee, soprattutto nelle parti dove si traveste da ragazzo, ma il film non ha trovato successo commerciale. Dopo questo risultato, probabilmente, non avremmo altri film di Rani per altri due anni!

What’s your rashi (Di che segno sei): Il film del famoso regista Ashutosh Gowarikar aveva molte aspettative, anche se Harman Baweja, il suo protagonista principale, non aveva avuto nessun successo commerciale. La protagonista femminile del film era Priyanka Chopra. Gowarikar è un regista incapace di fare i film brevi – ogni suo film dura almeno 3 ore (C’era una volta in India – Lagaan, Jodha Akbar, Swadesh), e purtroppo, anche “What’s your rashi” segue la stessa tradizione.

Yogesh Patel (Harman) è un ragazzo d’origine indiana che studia in America. Suo padre lo fa tornare in India e lo costringe ad un matrimonio combinato. Hanno identificato una lista delle possibili spose e lui deve soltanto sceglierne una e sposarsi entro 2 settimane. All’inizio lui cerca di resistere ma quando vede che non vi sono alternative, chiarisce la propria strategia – vuole incontrare 12 ragazze, ciascuna ragazza di un segno zodiacale diversa, e sceglierà la ragazza che gli piacerà di più.

Tutte le 12 ragazze sono interpretate da Priyanka Chopra. Ogni incontro con una ragazza diversa è collegata ad una storiella.

In parte il film è divertente e sia Priyanka che Herman sono abbastanza simpatici, ma il film è troppo lungo. Dopo le prime 4-5 storielle, inizia a sembrare un po’ ripetitivo. Forse bisogna guardare il film in 3 puntate, allora sarà più divertente? Inoltre, il film ha 13 canzoni. Alcune delle canzoni e le danze non sono male, ma nell’insieme, sono troppe da vedere in un solo film!

Il film non ha trovato successo commerciale.

Wake up sid (Sveglia ti Sid): Siddharth o Sid (Ranbir Kapoor) è un ragazzo giovane che studia all’università, è figlio di padre ricco e vuole soltanto a divertirsi con gli amici. Quando qualcuno gli parla del futuro, lui non sa cosa rispondere. Ayesha (Konkana sen) è una ragazza determinata e ambiziosa, venuta a Mumbai da Calcutta con il sogno di diventare una giornalista. Sid e Ayesha si incontrano e diventano amici anche se sono molto diversi tra di loro, e Ayesha ha qualche anno più di lui. Sid le dà una mano per sistemarsi a Mumbai.

All’ultimo anno dell’università, Sid è bocciato, ma non vuole lavorare con il padre (Anupam Kher). Sua madre (Supriya Pathak) cerca di mediare ma ormai c’è un conflitto tra padre e figlio e alla fine Sid lascia la casa. Non sa dove andare e chiede a Ayesha se può stare con lei. Lei accetta ma fa fatica a convivere con un ragazzo che non è abituato a fare niente.

Con tempo, Sid impara a gestirsi meglio e diventa più responsabile. Ayesha si sente attirata da suo capo (Rahul Khanna) ma scopre che sono molto diversi. Si sente attirata anche da Sid ma non sa cosa ne pensa lui.

E’ un piccolo film, semplice e tenero, ed ha trovato apprezzamento del pubblico e della critica.

London dreams (Sogni londinesi): Arjun (Ajay Devgan), un ragazzo di origine indiana a Londra, crea un suo gruppo musicale e sogna di diventare famoso. Lui chiama anche suo amico Manu (Salman Khan) dall’India per far parte del suo gruppo. Manu subito diventa più popolare, il volto del gruppo. Arjun è innamorato di Priya (Asin), una delle coriste del gruppo, e anche Priya si innamora di Manu. Arjun è pieno di gelosia e di rabbia per il suo amico e complotta la sua vendetta.

Mi è piaciuta la musica di questo film, ma la direzione del film era di vecchio stile e il film era noioso e troppo lungo. Il personaggio di Arjun era ispirato dalla persona di Bono degli U2, ma i due attori (Ajay Devgan e Salman Khan) sono troppo vecchi per interpretare due musicisti giovani.

Il film è stato rifiutato dalla critica e dal pubblico.

Kurbaan (Sacrificio): Avantika (Kareena Kapoor) una professoressa universitaria lavora in America e torna in India per uno studio, dove incontra Ehsaan Khan (Saif Ali Khan). I due decidono di sposarsi e dopo tornano in America. Anche Ehsaan trova un posto all’università come insegnante. Avantika si insospettisce di una famiglia (Om Puri e Kirron Kher) di musulmani conservatori d’origine afgano-pakistana che abita vicino a loro. Poi scopre che stanno preparando un piano terroristico per far esplodere un aeroplano e poi bombardare la metropolitana di New York e che suo marito, Ehsaan è parte di questo complotto. Lui l’ha sposata per venire in America.

Riyaaz (Vivek Oberoi), un giornalista americano di origine pakistana perde la fidanzata (Diya Mirza) in un attacco terroristico, e segue le tracce di Avantika, tenuta prigioniera.

Kareena kapoor nel ruolo della donna che trova in prigioniera dei terroristi e Saif Ali Khan nel ruolo del terrorista che ama la moglie incinta, sono molto bravi. Penso che Kareena vincerà maggior parte dei premi per la migliore attrice del 2009 per questo film.

Ma ho trovato questo film un po’ problematico per la sua presentazione del terrorismo islamico. Di fatto, il film non ha nessun personaggio musulmano che parli chiaramente contro il terrorismo. Penso che oggi la maggior parte di terroristi possono essere islamici ma allo stesso momento, maggior parte di musulmani non lo sono. In questo momento storico, ritengo che dobbiamo rinforzare tutti i musulmani moderati e ciò si fa anche presentando nei film famiglie musulmane normali, e non soltanto quelle dei fondamentalisti e dei conservatori.

Ajab Prem ki gazab kahani (Meravigliosa storia di uno strano amore): Questa commedia romantica aveva Ranbir Kapoor e Katrina Kaif come protagonisti principali. E’ la solita storia d’amore tra un ragazzo indù, Prem (Ranbir Kapoor) e una ragazza cristiana, Jenny (Katrina Kaif), con le solite fasi di una storia d’amore – incontro, innamoramento da parte del ragazzo e amicizia da parte della ragazza, incomprensioni, e risoluzione finale, con generose dosi di umorismo. Il film ha trovato successo commerciale e ha consacrato Ranbir Kapoor come il nuovo beniamino del pubblico giovane.

Paa (Papà): è stato tra i migliori film del 2009, diretto dal regista R. Balakrishnan, regista di film come Cheeni Kam (Poco zucchero). E’ la storia di Auro (Amitabh Bacchan) un ragazzo di 12 anni, affetto da una rara malattia genetica, Progeria, che fa invecchiare il suo corpo. Auro vive con sua madre Vidya (Vidya Balan), una ginecologa, e con la nonna (Arundhati Nag). Lui sa che lui è figlio illegittimo, nato da una relazione di sua madre quando era uno studente in Gran Bretagna.


Durante una funzione in scuola, Aura incontra Amol (Abhishekh Bacchan), un giovane politico e nasce un rapporto di amicizia tra di loro. Quando Vidya viene a sapere dell’amicizia tra suo figlio e il politico, lei rivela al figlio che è proprio Amol, il suo padre, che non voleva il figlio e che aveva chiesto alla sua ragazza di abortire, invece Vidya aveva preferito troncare la relazione.

Quando Amol scopre che Auro è figlio di Vidya, capisce subito che è anche suo figlio. E’ pentito, vorrebbe essere perdonato da Vidya, ma oramai è tardi, Auro sta per morire.

Il film ha una storia semplice e senza grandi scene di melodramma. La particolarità del film è il figlio in vita reale (Abhishekh) che fa parte di padre del proprio padre reale (Amitabh).

Tutti gli attori del film sono bravi, ma è Amitabh Bacchan, nella parte di Auro, l’attore migliore di Bollywood per il 2009. Dopo i primi 5 minuti del film, è difficile ricordare che Auro è Amitabh Bacchan, una persona di quasi settanta anni perché lui si trasforma completamente in Auro, il bambino di 12 anni.

Se guarderete questo film, sarà difficile dimenticare Auro. Non perdetelo.

3 Idiots (3 idioti): Basato sul romanzo “Five point someone” di Chetan Bhagat ( ) (Un misero 18, ed. EO, 2008), uno degli autori più famosi odierni in India in lingua inglese, il film ha quattro protagonisti principali – Ranchod (Aamir Khan), Farhan (R. Madhavan), Raju (Sharman Joshi) e Pia (Kareena Kapoor). Il film inizia con Farhan e Raju che partono alla ricerca del loro vecchio compagno di università di ingegneria, Rancho, sparito dopo la laurea e che non si fatto vivo per 5 anni. Durante il viaggio in macchina, il film racconta la storia di quelli anni universitari, quando Ranchod li parlava dell’importanza di migliorare la propria conoscenza e non pensare alla laurea come un mezzo per arrivare ad un buon lavoro.

Ranchod aveva una storia d’amore con Pia, la figlia del preside della scuola di ingegneria e una studentessa al corso di medicina.

In India, il sistema educativo è molto competitivo e entrare in una famosa scuola di ingegneria, può essere un’impresa veramente difficile. Il film approfondisce questo mondo e la pressione sui giovani, i quali devono impegnarsi al massimo se vogliono il successo.

Il regista del film è Rajkumar Hirani, famoso per i suoi due film di “Munna Bhai”, il buono mafioso combina pasticci. Questo film è stato il grande successo commerciale di Bollywood nel 2009 ed è stato amato soprattutto dai giovani.

Altri film: In questa lista non ho parlato di alcuni film importanti come Jail (“La prigione”) del regista Madhur Bhandarkar e con l’attore Neel Nitin Mukesh, Blue (Azzurro) con l’attore Akshay Kumar, Rocket Singh Salesman of the year (Signor Rocket singh, il venditore dell’anno) del regista Shimit Amin con l’attore Ranbir Kapoor, All the best (Tutto il meglio) con gli attori Ajay Devgan, Fardeen Khan e Bipasha Basu, ecc., ma penso di aver parlato di tutti i film interessanti.

Se vi devo consigliare 4 film di Bollywood tra tutti quelli usciti nel 2009, la mia scelta andrà a (1) Paa, (2) 3 idiots (3) Kurbaan (4) Wake up sid.

sabato 2 gennaio 2010

Immigrato o espatriato?

Mi piace leggere le riflessioni delle persone riguardo alla loro esperienza di essere immigrati. Leggendo le loro parole, qualche volta mi sembra di capirmi meglio, di dare un nome e una descrizione alle mie sensazioni.

Bharati Mukherjee ha lasciato India negli anni 1960 e si è trasferita prima in Canada e poi in America, dove insegna all’università. Ha iniziato a scrivere molto prima che gli scrittori d’origine indiana come Salman Rushdie, Vikram Seth, Jhumpa Lahiri, ecc. fosse di moda.


Recentemente ho letto il libro di racconti, “Episodi isolati” di Bharati Mukherjee, pubblicato in America per la prima volta nel 1985 (versione italiana 1992, Feltrinelli). Nella sua introduzione lei ha scritto riguardo alla propria esperienza di essere una scrittrice immigrata:
“L’ironia sembrava assicurare al tempo stesso distacco e superiorità rispetto a quei figli beneducati dell’era post-coloniale così simili a me, alla deriva nel nuovo mondo, incerti se ne avrebbero mai fatto veramente parte.
Se si è costretti a vivere nell’incertezza, se si è alla continua ricerca di segni, se si attende – rinunciando anno dopo anno, a pezzetti riluttanti di sé, aggrappandosi ai ricordi di un passato sempre più lontano – non si apparterrà mai ad alcun mondo.
… Per dirla in termini più brutali, in Canada ero spesso scambiata per una prostituta o una taccheggiatrice, non di rado pensavano che facessi la domestica e mi elogiavano con un certo stupore perché non avevo un accento cantilenante. La società nel suo complesso, o settori importanti di quella società, erano soliti considerare me, e a quelli come me, in maniera riduttiva e mutilante. Negli Stati Uniti, invece, vedo me stessa in quei reietti; mi riconosco in un articolo su una prostituta indiana di Trinidad; nel dirigente di successo che sente cassette di musica da film hindi mentre guida in direzione di Manhattan; nell’oscuro contabile che cerca di trovar marito alla figlia sbandata; nei professori universitari, nei domestici, negli studenti di scuola superiore, negli inservienti clandestini dei ristoranti che fanno cucina esotica. E’ possibile – aguzzando le orecchie e con la giusta attrezzatura – udire l’America che canta anche fra le pieghe della cultura dominante. Anzi potrebbe essere quello il miglior punto d’ascolto per i Whitman della prossima generazione. Per me, tutto ciò ha significato il passaggio dall’orgoglioso isolamento dell’espatrio all’esuberanza dell’immigrazione.”
In queste parole, Mukherjee espone il suo punto di vista sulla differenza tra un'espatriato e un’immigrato. Finché si sente un espatriato, ciò è, una persona venuta in un altro paese per un po’ di tempo che pensa di tornare al proprio paese, lei si sente calpestata e discriminata, ma quando decide di sentirsi un’immigrata, una che ha scelto di vivere in un altro paese, lei non si sente più isolata, riesce a identificarsi con gli altri immigrati, felice di aver fatto il salto, e si impegna con una certa gioia nella lotta per costruirsi una propria vita nella nuova patria.

Non capisco bene la differenza tra l’espatriato e l’immigrato che Mukherjee esprime in queste sue parole. Voglio dire, la capisco dal punto di vista della sua logica, ma non la sento come una spiegazione emotiva. Ma forse non è né anche importante questo? In fin dei conti, ciascuno di noi che cerca significati del proprio essere, ha bisogno di trovare una propria spiegazione!

***
Le storie che scrive Mukherjee, sono un modo insolito di vedere e descrivere la realtà. Per esempio, nella storia intitolata “La signora di Lucknow”, lei racconta di una signora musulmana, nata in India e cresciuta in Pakistan che vive in America e ha una storia con James, un signore americano. Ad un certo punto nella storia, la moglie di James torna a casa in anticipo e scopre la signora musulmana nuda nel suo letto:
Lei sedette sul letto, dalla mia parte. Mi fissò. Se quello sguardo mi avesse fatta sentire clandestina e odiosa, forse non avrei pianto, più tardi. Sollevò il piumino dai miei seni come farebbe un internista, e sbuffò di nuovo. “Si”, disse, “non nego che possa aver trovato in lei un certo interesse,” ma il suo sguardo attraversò il mio volto fino al cuscino sottostante. Poi si alzò, lasciando ricadere il piumino. Ero un’ombra senza spessore né colore, un’ombra tentatrice che si sarebbe dileguata verso una città brulicante di milioni di ombre simili quando la relazione con James fosse terminata."
Alla fine, quello che ferisce la signora nata a Lucknow è la sensazione che è troppo insignificante per essere presa seriamente dalla moglie del suo amante, “Lei ha riso di me. Si è presa gioco della mia passione.”

Come potete capire, Mukherjee ha capacità di entrare nella psiche umana e vedere cose in maniera insolita. E’ questo suo modo di far vedere lati meno esplorati che mi è piaciuto nei suoi racconti.

giovedì 31 dicembre 2009

Coro di Babele

Avevo letto alcuni estratti del nuovo libro di Amitabh Ghosh, “The Sea of Poppies” (L’Oceano dei Pappaveri, Neri Pozza editore, 2008) nella rivista indiana Outlook, nel 2007. Si trattava del capitolo 5, nel quale Deeti, la protagonista principale del libro e la moglie di Hukum Singh, il drogato di oppio, va a recuperare il suo marito alla fabbrica di oppio di Ghazipur.


Ogni libro di Amitabh Ghosh porta con sé la scoperta di un nuovo mondo. Per esempio, “Il Palazzo degli Specchi” era la scoperta di una Birmania alla fine del dicianovesimo secolo. “Il Paese delle Maree” era la scoperta di Sunderbans e di delfini del fiume Gange nella baia del Bengala. Quando ho letto l’anteprima del quinto capitolo di “L’Oceano dei Pappaveri”, sapevo che sarebbe stata la scoperta di un’India nuova, della quale non avevo mai sentito parlare prima, l'India dei campi e fabbriche di oppio. Per quanto ne sapevo, la guerra dell’oppio era una storia soltanto tra gli inglesi e i cinesi.

Alla fine ho letto il libro nella versione inglese, mentre ero in India nel 2008. Come faranno a tradurrlo in altre lingue, avevo pensato, mentre lo leggevo? Un giorno lo leggerò anche in italiano, mi ero promesso, per verificare di persona come avevano affrontato la traduzione del libro, i traduttori italiani!

Il linguaggio del libro

L’Oceano dei Pappaveri è un coro di voci in diverse lingue, un insieme di personaggi improbabili, provenienti da diverse parti del mondo, ciascun personaggio con la propria lingua. Il libro originale è stato scritto in inglese e affronta la diversità linguistica dei suoi personaggi principali in modo diversificato.

Deeti, suo marito Hukum Singh e sua figlia Kabutari, e altri personaggi del loro villaggio, tutti parlano la lingua Bhojpuri. Questa parte del libro è stata scritta in maniera normale – la maggior parte è in inglese e soltanto alcune frasi sono lasciate in lingua originale. Dove il contesto non chiarisce il probabibile significato di queste frasi in Bhojpuri, l’autore spiega il loro significato in inglese.

Zachary Reid, il ragazzo mezzosangue americano, figlio di una schiava nera, parla inglese americano, mentre Paulette Lambert, la figlia di un francese, cresciuta a Calcutta da una balia bengalese, sa cambiare il proprio modo di parlare secondo il contesto. Raja Neel Rattan, il nobiluomo bengalese, parla il bengalese raffinato e l’inglese degli inglesi. Tutti questi personaggi, ognuno con le sue variazioni specifiche, parlano una lingua comprensibile e tutto sommato, sono traducibili in altre lingue.

Ma vi sono due gruppi specifici di persone, per i quali, Ghosh ha inventato due modi molto particolari di parlare l’inglese. Il primo è il gruppo dei Lascari, i marinai provenienti da diversi paesi dell’Africa, dal medio-oriente, dell’oceano indiano, dal sud Asia e dall’estremo oriente. La loro lingua mescola insieme parole da diverse lingue con l’aggiunta di parole nautiche inglesi. Per esempio, Serang Ali, un Rohangiya della Birmania e capo del gruppo dei lascari, parla così:
Lambert missy scappata a sposare altro pezzo d’uomo. Molto meglio Malum Zikri dimentica lei. Ognimodo lei troppo magra. Lato-Cina lui prende bel pezzo moglie. Bella bella, davanti e dietro. Fa malum Zikri troppo troppo felice dentro.”
Il secondo gruppo è invece quello degli inglesi che vivono in India da molti anni, inseriti dentro un sistema di gerarchie e di rapporti con il loro ambiente, con il quale comunicano in un linguaggio tutto nuovo, mescolando più lingue. Per esempio, leggete queste parole del signor Doughty quando parla del vecchio re di Rashkalli:
Se mai c’è stato un gentiluomo negro, quello era lui! Il miglior indigeno che si possa immaginare, tutto preso dai suoi liquori, le sue ballerine, i suoi tumasher. Non c’era uomo in città capace più di lui di mettere su un burra-khana. Saloni luccicanti di specchi e candele. Paltan di domestici e khidmutgar. Damigiane di rosso francese e barili di simkin ghiacciato. E squisiti karibat! Ai vecchi tempi la cambusa del Rascally era la migliore in città. Niente brodaglie e pesce secco alla tavola di Rascally. I dumbpoke e i pulao non erano male, ma noi gente di mare aspettavamo il curry di pesce e il chitchky di spinaci...”
Volete fare un conto delle parole che non avete capito in questo paragrafo? Gli indiani sono vantaggiati perché se sanno Hindi, Bhojpuri o Urdu, possono indovinare il significato di maggior parte delle parole strane, ma forse alla fine, non è così importante capire il significato di ogni parola che si legge? Penso che delle volte, può essere sufficiente avere un’idea generale di quello che parlano, e il suono delle parole non capite, comunque dona una comprensione istintiva dell’ambiente e di quello che viene detto, meglio di qualunque descrizione.

Comunque, penso che i traduttori del libro, Anna Nadotti e Norman Gobetti, hanno fatto un lavoro che merita un premio per la traduzione di questo libro. Sono riusciti a trasmettere il senso delle diverse lingue e dei diversi personaggi. Nella loro nota in fondo al libro, loro parlano della difficoltà di tradurre il testo di questo romanzo e di una lettera di Ghosh che diceva: “Credo che un romanzo dovrebbe sempre avere una certa dose di rumore di fondo, che può non essere immediatamente comprensibile ma serve ad altri scopi.”

Il mondo del libro

Ghosh ha immaginato tutto un mondo per il libro. Ha creato tanti personaggi ricchi di dettagli e di ideosincrasie, come pezzi di una ragnatela, ciascun con la propria storia. Subito all’inizio del libro, il sogno di Deeti fa intuire che i vari personaggi finiranno dentro quella nave che lei ha sognato. Resta la curiosità di vedere come i diversi pezzi del puzzle troveranno il loro incastro nella storia.

Ghosh ha evidente simpatia per i personaggi messi ai margini nei vari gruppi – Kalua l’intoccabile, Zachary che non deve dimenticare il sangue nero nelle sue vene, Paulette che non ha le maniere degli europei, Jodu il ragazzo musulmano cresciuto insieme alla Paulette, Serang Ali e altri suoi compagni, i personaggi “girmitya” che si trovano insieme nella nave, e Ah Fatt, il prigionero cinese, tutti sono tracciati con simpatia e amore. Le loro parole e le loro vite hanno una dignità che normalmente i romanzi coloniali non donano a questo tipo di personaggi.

Dall’altra parte, Ghosh non lascia nessuna giustificazione nobile o romantica ai suoi personaggi inglesi. Non li fornisce nessuna scusa "civilizzatrice" spesso usata nei romanzi coloniali scritti da autori inglesi. Sono persone normali, mosse anche da egoismo, pronte a dimenticare il fairplay o la giustizia se fa comodo agli obiettivi del loro dominio. In questo senso questi personaggi sono più credibili.

In qualche sua intervista riguardo il libro, Ghosh ha parlato della brutalità dell’impero brittanico costruito sul commercio dell’oppio.

Uno dei personaggi più innovativi creati da Ghosh in questo libro è quello di Baboo Nob Kissin, il gumusta che pensa di essere l’incarnazione di una madre mitica, innamorata di dio Krishna. Il suo amore per Zachary, che lui vede come dio Krishna, è tenero anche se è ai limiti della pazzia. E’ un esempio delle complessità delle tematiche transgender sull’identità sessuale in India, diverso da come lo si affronta e teorizza in occidente.

Conclusioni

E’ stato un piacere rileggere questo libro, ma devo confessare che nell’insieme questo libro mi ha deluso un po’. Singolarmente ogni personaggio è stato creato con cura e maestria, ma il libro mi ha dato l’idea di essere costruito a tavolo. Il comune destino dei personaggi che trovano sulla nave, non mi ha dato la sensazione dell’inevitabilità delle loro vite. Non voglio dire che il libro non è bello, anzi è molto bello, ma penso che alla fine, resta un coro di babele, un coro molto bello e interessante, ma non diventa una sinfonia che ti lascia con un senso di esaltazione. Forse ciò dipende dal fatto che è la prima parte di una trilogia e percui la storia non è compiuta?

A voi invece è piaciuto questo libro? Cosa pensate dei diversi linguaggi usati in questo libro?

Note:
Cliccate qui, se volete leggere il blog di Amitav Ghosh in inglese

Potete anche scaricare il testo scritto da Ghosh “The Ibis chrestomathy” (in inglese, formato PDF), che spiega le origine e i significati di alcune delle parole “strane” che trovate in L’Oceano dei Pappaveri ( )

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