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giovedì 28 giugno 2007

Le Radici del Cuore

Ho visto “Il destino nel nome” (titolo originale, “The Namesake”), il nuovo film di Mira Nair, uscito al cinema da qualche giorno. Avevo letto il libro “The Namesake” di Jhumpa Lahiri alcuni mesi fa e mi era piaciuto molto. Spesso succede che se ti piace un libro, resti deluso dal film basato su quel libro. Ciò è vero parzialmente anche per “Il destino nel nome”.



Il libro non è molto lungo, anzi, considerando che racconta la storia di oltre 25 anni nella vita di suoi protagonisti, è un libro piuttosto breve. La storia dei due emigrati indiani in America, Ashok e Ashima, era raccontata con grandi pennellate che mi lasciavano la libertà di riempire i dettagli dalla mia fantasia, dai particolari delle persone che avevo conosciuto e delle volte, immaginare me stesso e la mia famiglia come i protagonisti del romanzo.

Se il libro affrontava la storia con grandi pennellate, il film la affronta con brevi scene un po’ staccate per far capire il passaggio degli anni. In questo senso, la vita dei protagonisti del film non è un fiume che corre, ma piuttosto, una serie di fotografie che delle volte danno il senso di episodi distaccati.



Mi piacciono molto i due attori indiani, i principali protagonisti del film, Tabu come Ashima e Irrfan come Ashok. Anche in questo film, i due sono meravigliosi. Tabu come Ashima mi sembrava diversa da come l’avevo immaginata leggendo il libro, ma lei è molto brava. Invece Irrfan incarna molto meglio, il personaggio descritto nel libro. Ovviamente questi sono giudizi molto soggettivi.

La scena del film dove Ashok racconta la storia dietro il nome Gogol al figlio, era una delle mie parti favorite del libro. Nel film, Irrfan Khan riesce a dare un’intensità a questa scena che la rende memorabile.

Il giovane attore americano di origine indiana, Kal Penn, nel ruolo di Gogol/Nikhil mi è piaciuto. Non mi ricordavo tutta la parte relativa alla sua decisione di rasarsi la testa alla morte del padre nel libro, forse non c'era nel libro, invece nel film, questa scena l’ho trovato toccante e significativa.



Verso la fine del film, durante la sua festa di addio, Ashima dice, “Anche se le sue ceneri sono state versate nel fiume Gange in India, ogni volta che penserò a Ashok, lo penserò qui in America, tra di voi, in questa casa.”

Le Radici di un Cuore Emigrato

E pensavo alle radici del cuore che crescono dove tu non li aspettavi, e che stanno in fondo all’esperienza dell’emigrato. Quando lasci il tuo paese d’origine, ti manca tutto – la famiglia, gli amici, la lingua, la musica… e nel tuo nuovo paese, ogni volta che pensi alla parola “casa” pensi anche alla casa lasciata nella tua terra lontana. Poi, non ti accorgi quando l’immagine della tua nuova casa nel tuo nuovo paese sostituisce la vecchia “casa” nel tuo cuore. Le radici che soffrivano dello sradicamento, si trovano accanto delle nuove radici che affondano nella tua nuova terrà.

Prima o poi, ti accorgi che parte di te vive in una terra di mezzo, qualcosa che sta soltanto nel tuo immaginario. Per le persone che avevi lasciato in dietro, diventi uno straniero. Ogni volta che torni nel “tuo” paese, lo trovi sempre meno "tuo". Allo stesso momento, non ti senti mai del tutto accettato dalla tua nuova terrà. Ogni volta che incontri qualcuno di nuovo, questo quasi sempre inizia con la domanda, "Di dove sei?" Sei condannato ad essere un forestiero per sempre. La tua terrà ideale sta dentro il tuo cuore, un po’ di qua, nella tua nuova terra, un po’ di là, nella terra che hai lasciato in dietro.

I Figli

Ashima dice ai figli, “Non riesco a credere che siete usciti dal mio grembo, siete così diversi che ne anche vi capisco.” Come emigrato impari che i tuoi figli cresciuti nella tua nuova terra hanno le loro radici qui, che anche loro delle volte non ti capiscono, un po’ come tutti gli altri che ti vedono come “extra” dalla loro comunità. Nonostante questo, penso che i figli dentro i loro cuori portano anche un pezzo di tuoi radici, consapevoli o inconsapevoli.

Mi è piaciuto molto il film”, mi aveva detto mio figlio, “quel signore, il papà di Gogol, mi faceva pensare al nonno.” Restai senza parole per un secondo. Lui aveva visto suo nonno, mio papà, nella figura di Ashok? Era forse vero che Ashok aveva qualcosa di mio papà, ho pensato. Suo modo di vestire, l’intensità negli occhi, la sua idealità di fondo. Ma come ha fatto mio figlio a riconoscere tutto questo, ha visto soltanto qualche vecchia foto del nonno?

Mio papà era morto più di 30 anni fa, quando avevo più o meno l’età di mio figlio oggi. Delle volte non riesco a ricordare la sua faccia, la sua voce. Delle volte devo guardare la sua foto per sentirlo vicino.

Come ha fatto mio figlio riconoscerlo nel protagonista del film? Mi sono sentito commosso. Forse un po’ delle mie radici, quelle che mi sembrano scomparse, li porta dentro il suo cuore anche lui?

Quelle radici che non sanguinano più, non fanno più male, sono soltanto come un arto fantasma, qualcosa che ti avevano amputato ma che ogni tanto sogni di avere ancora.

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mercoledì 20 settembre 2006

Black Italians - Jaques Riparelli

E' uscito un libro, "Black Italians", (italiani neri), storie degli atleti neri nelle squadre italiane. Una delle storie di questo libro riguarda Jacque Riparelli il velocista italiano. Mi ricordo Jacque quando veniva in ufficio con il suo papà, Franco.


Franco aveva trovato la sua moglie in Cameroun e per un po' di anni aveva lavorato in AIFO, poi era partito per un progetto in Mali. Franco mi aveva insegnato a lavorare con il computer, era appassionato di informatica.

Ultima volta che avevo incontrato Franco era quando aspettavamo lo sblocco di un progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano, per la quale doveva ripartire anche Franco. Lui non poteva aspettare, doveva mantenere la famiglia, anche perché nel frattempo era arrivata anche la Katia, la sorellina di Jacque. Per cui Franco aveva deciso di partire per il Mali con una ditta di costruzioni. "Appena il progetto si sblocca tornerò in Italia", ci aveva detto. Invece, dopo qualche mese, era morto in un incidente stradale a Bamako.

Oggi Jaque è un'atleta velocista centometrista e racconta la sua storia in questo libro, "Ho iniziato a fare sport quando è morto mio papà. All'epoca non me ne sono reso conto, ma per me lo sport è stato una valvola di sfogo… quando ho indossato la mia prima maglia azzurra, è stata una cosa indescrivibile, perché in quel momento hai l'onore di rappresentare l'Italia."

Parlando del razzismo, lui dice, "..anche a me capita di andare in un ufficio e la prima cosa che mi chiedono è se ho il permesso di soggiorno. Alla gente non viene in mente da subito che io possa essere italiano… Bisogna cambiare la gente e fargli capire che esiste anche l'italiano di colore."

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E' arrivato un altro invito dal comune di Bologna. E' per una serata sulla società multiculturale. L'ospite d'onore è una persona che viene dalla Canada e poi, c'è una lista lunghissima di altri relatori, ma non c'è nessun nome straniero tra questi.

Già qualche mese era arrivata la comunicazione sulla creazione di un comitato per le attività a favore delle associazioni di emigrati e anche in quel comitato, non vi era nessun nome straniero.

Penso che sicuramente sarà bello ascoltare gli illustri relatori ma in questa grande Bologna multiculturale, com'è possibile che non riescono a trovare uno straniero come relatore o membro di un comitato, magari soltanto come un simbolo?


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Di nuovo c'è la bufera nel mondo musulmano. Questa volta per le cose dette dal Papa in Germania. Posso capire che possiamo non concordare con qualcosa che dice il Papa ma ogni volta che non concordiamo con qualcosa bisogna arrivare a ammazzare persone, bruciare negozi, minacciare ….? Non è possibile esprimere il proprio dissenso in maniera pacifica con le parole e dichiarazioni?

Tutto questo non fa che aumentare il senso della paura verso l'islam. Ogni volta che qualcuno osa a dire qualcosa contro l'islam, il messaggio arriva chiaro e forte: Non osate a parlare di noi altrimenti saranno guai per voi!

Comunque, mi rendo conto che spesso creiamo un'immagine monolitica del mondo musulmano che non esiste nel mondo reale. Un recente articolo nella rivista indiana Outlook spiegava i litigi tra i musulmani Barelwis e i musulmani Deobandis. Sembra che un gruppo di persone Barelwis aveva partecipato in un preghiera dei Deobandis, e per questo avevan perso il diritto di essere musulmani ed erano stati automaticamente divorziati dalle loro moglie. Hanno dovuto seguire i riti di purificazione per essere riammessi tra i Barelwis e di risposare le loro moglie.

Si parla da anni della persecuzione di musulmani Shia e Ahmadiya da gruppi Sunniti in Pakistan, e in Sudan, i musulmani arabi stanno ammazzando i musulmani neri!

Ma sembra che tutte queste fazioni si uniscono solo quando si tratta della minaccia esterna, tipo quella dell'occidente!

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