"Dovunque mi trovo mi sento straniera. In Cina sono moso o americana; in America sono cinese. L'odore del fuoco e del tè al burro di yak mi manca da morire, ma appena torno nel mio villaggio ho subito voglia di andare via. Nulla è come nei miei ricordi, sono arrivate le tv e l'internet, la gente è cambiata. Forse se fossi rimasta non soffrirei così tanto. Non mi sentirei così sola e vulnerabile. Se potessi tornare in dietro non lascerei il lago Lugu." Dice Yang Erche Namu, la diva cinese, originaria dell'etnia moso, che vive nella zona tra lo Yunnan e il Siachen nel sud-ovest della Cina, nel articolo uscito sull'Internazionale di 11/17 marzo 2005.
Le parole di Yang Erche dicono quello che mi sento quando torno in India. Salman Rushdie nel suo libro Patrie Immaginarie, diceva la stessa cosa.
Ti dispiace essere dove sei adesso? Torneresti in dietro? Mi chiedo. Anch'io delle volte mi sento come Namu, vorrei tornare in dietro, ma poi quando sono li, quello che trovo non è il passato che mi ricordo. Allora capisco che non si può tornare in dietro.
Ieri c'era il concerto del Boss a Bologna. Bruce Springsteen. Ha cantato degli invisibili, di guerra, pace e emigrati. Silenzio, ha chiesto. Solo silenzio per ascoltare il silenzio.
In fondo, in fondo, in fondo, dentro di me, forse c'è un posto dove c'è sempre silenzio. Devo cercare quello.
Penso alle parole di una poesia di Gulzaar, il poeta indiano, "Ho visto il profumo di quegli occhi. Non toccatelo con le mani, non ha bisogno di un nome... E' solo una sensazione, è sufficiente sentirla con l'anima, non ha bisogno di darle un nome."
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