giovedì 21 febbraio 2008

La violenza nelle parole

Mi sembra chiaro che l’articolo di Efraim Medina Reyes “Il sesso forte” (Internazionale 726) sia stato scritto per scandalizzare. Usa termini come fica, gang bang, stupro e non cerca in nessun modo di misurare le parole. Perché stupirsi? Non diciamo parolacce in altri contesti? A disturbarmi è soprattutto la corrente di violenza sottintesa. Tanto più che il suo articolo parla della violenza nel mondo e, in particolare, di quella contro le donne. Ho avuto perciò la sensazione che il suo discorso avesse un senso, ma che il modo in cui era stato scritto significasse l’opposto. Rispetto al passato siamo più tolleranti verso le parolacce, anche quando le troviamo nei libri e nelle riviste. In Italia vengono usate nel linguaggio di tutti i giorni e non sono più considerate un tabù. I genitori le usano con i figli e i figli le dicono davanti ai genitori. In un certo senso ne capisco il bisogno: per molto tempo abbiamo nascosto i nostri corpi e la sessualità dietro ad imbarazzi e silenzi. Mi sembra giusto far crollare quelle barriere che ci impediscono di parlare più apertamente di questa parte delle nostre vite. Non credo, però, che sia giusto farlo con il linguaggio di Medina Reyes perché ci porta a pensare ad alcune parti del nostro corpo come a degli oggetti. O alla sessualità come a una meccanica di penetrazioni e movimenti.

Nota: Lettera uscita sul numero 731 di Internazionale

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