Quello delle tradizioni e quello del nuovo. Il primo che si aggrappa al passato, alla storia, all’identità e il secondo che gode nel cambiamento, che si muta e trasforma continuamente. L’ho pensato, quando ho visto i due libri sulla cucina indiana.
Il linguaggio è una strada con grossi buchi, dove rischi di cadere e restare intrappolato se non stai attento, sopratutto, quando parli in generalizzazioni. Una di queste generalizzazioni è la “cucina indiana”. Forse ogni famiglia indiana ha una sua cucina indiana, che si somiglia alle cucine degli altri, ma ha qualche tocco personale, che lo rende unico. Vi sono poi differenze regionali e statali, ulteriormente differenziate per le estrazioni culturali e religiose delle famiglie indiane, molto di più delle differenze tra le cucine delle diverse regioni italiane.
I due libri sono – “Le ricette della tradizione vegetariana indù” di Jaya Murthy e Angela Fiorentini (2° edizione, edizioni ETS, 2008, 13,00 Euro); e “Bollywood in cucina” di Bulbul Mankani (edizioni Logos, 2008, 15,95 Euro, titolo originale The Bollywood Cookbook, 2006).
Jaya è una cara amica che abita a Pisa, è di origine Kannadiga, ciò è della regione di Bangalore nello stato di Karnataka nel sud dell’India, ed è una delle autrici del libro “Le ricette della tradizione vegetariana indù”.
Il suo libro rappresenta la visione tradizionale induista del rapporto tra l’uomo e la natura, dove l’alimentazione non è soltanto il piacere dei sensi e il gusto della vita, ma è anche il simbolo dell’unità essenziale tra tutti gli esseri viventi.
Vandana Shiva, l’attivista e la sostenitrice indiana del rispetto della natura e della biodiversità, dice che i 33 milioni di devata (dei) della tradizione indù, ciascun devata rappresenta un elemento della natura e questa coniugazione tra sacralità e natura, costruisce le basi della convivenza tra gli esseri umani e tutti gli esseri viventi in uno spirito di rispetto e sostenibilità. In questa visione, la natura non è stata creata per essere sfruttata dall’uomo, ma è tutt’una con gli esseri viventi e non, dove la sopravvivenza di uno garantisce quella di tutti gli altri, e la scomparsa di ogni specie è una minaccia per tutti gli esseri.
Spesso la “tradizione” è intesa come qualcosa di immutabile, un richiamo per il ritorno alle origini, ad uno stato di mitica purezza del passato. Personalmente non concordo con questa visione della tradizione, anche perché la storia ci insegna che il passato è tutt'altro che statico, immutabile e fisso. Alcuni degli ingredienti “tradizionali” delle cucine indiane, sono arrivati in India soltanto alcuni secoli fa, a partire dal peperoncino, patate, melanzane e pomodori.
Ma se la tradizione è dinamica e mutevole, la globalizzazione ha definitivamente cambiato il suo tasso di cambio. Per tornare a Vandana Shiva, lei parla del rischio della “monocultura del pensiero”, dove gli infiniti aspetti della vita umana costruiti ed accumulati dall’uomo nel corso dei millenni che costituiscono le basi della biodiversità, è sotto pressione dalle avanzate delle multinazionali – quelle dei ristoranti a partire da Mcdonald e KFC, quelle delle grosse catene dei centri commerciali come i Walmart e quelle dei produttori di semi come il Monsanto.
In questo senso, il libro di Jaya Murthy è importante perché parla di quelle tradizioni che non si trovano nei ristoranti indiani in giro per il mondo, che raccontano un mondo che poco alla volta cambia e scompare.
Purtroppo, il libro ha poche immagini, per cui, per la maggior parte delle ricette dovrete immaginare il prodotto finale. Invece il libro ha una bella parte introduttiva dove si spiega la filosofia delle spezie, l’uso degli utensili, e un’introduzione alle cucine regionali dell’India.
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Cresciuto in una famiglia “mista” dove si incrociavano le tradizioni delle diverse regioni indiane, sono un ammiratore del meticciato. Penso che le nuove tradizioni che nascono, quando le culture si incontrano tra loro sono l’aspetto più bello della vita umana e in questo senso, mi piacciono alcuni aspetti della globalizzazione perché, possano dare la possibilità alle diverse culture di incontrare anche con pari dignità, rispetto reciproco e gioia, senza sentirsi minacciati o sopraffatti dagli altri.
In questo senso, mi piace l’idea del libro di ricette di Bollywood. Il libro si presenta molto bene con le belle immagini ed i vivaci colori del mondo di Bollywood.
Questa volta le ricette provengono da diverse regioni dell’India e ogni gruppo di ricette è accompagnato da un’introduzione ad un attore o un’attrice di Bollywood, i suoi film più importanti e le sue ricette preferite.
L’idea sembra bella, ma alla fine, il libro mi ha deluso un po’. E’ una bella confezione ma non ha grande sostanza.
Le foto sono bellissime, la presentazione degli attori è bella, il libro è bello da sfogliare, ma manca un po’ di anima. Le ricette sono spesso raccontate dai chef degli hotel dove questi attori vanno a mangiare, e tra queste dominano le ricette della cucina mughlai, la cucina dei ristoranti. Diverse ricette sono complicatissime da preparare, adatte sopratutto per i ristoranti a cinque stelle per giustificare prezzi alti.
Per cui penso che “Bollywood in cucina” sia un bel libro da guardare, magari anche interessante per i fans di Bollywood, ma forse non è un libro per cercare le ricette.
1 commento:
caor Sunil, grazie per avermi fatto scoprire l'esistenza di un libro di ricette bollywoodiane. Per uno come me - che da tanto ama l'India, il suo food e il suo cinema - questo librò sarà sicuramente fonte di ispirazione!
So che ora sei in viaggio, ma quando hai tempo vieni a trovarmi su Milleorienti. E spero di conoscerti prima o poi!
ciao
Marco
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