venerdì 20 maggio 2005

Agota Kristof - Perdere la Propria Lingua

Ho letto la recensione del nuovo libro, L'Analfabeta, racconto autobiografico (Casagrande, 2005)  di Agota Kristof, l'autrice ungherese residente in Svizzera, scritto da Matteo Sacchi, sul sito della bella rivista Giudizio Universale. Non mi ricordo in quale lingua avevo letto la trilogia della Città di K di Kristof mentre ero a Ginevra. Forse era in francese. Ero rimasto affascinato dal suo modo di scrivere. Lei scrive con poche parole, sembrano scelte dopo lunghe meditazioni, sono ruvide e taglienti, e intrise di dolore. Per esempio, guardate il seguente testo:

Copertina libro di Agota Kristof
"La smania di scrittura nasce “nei giorni cattivi”, negli anni “non amati”, e si radica come un bisogno contro la sofferenza per le cose perdute. Finché dopo l’insurrezione del ‘56, la repressione dei carri armati sovietici, la fuga in Austria e infine in Svizzera, si compie la perdita più grave, quella della lingua materna, la lingua primaria delle cose, dei sentimenti, dei colori, delle lettere, dei libri, dei giornali. L’unica lingua. Persa la quale, si dissolve la lettura, la scrittura, si ridiventa analfabeti, bisogna tornare a imparare."

La Kristof aveva scelto di scrivere in francese. Le sue parole vibrano dentro di me.

Mi chiedo, che cosa ho perso con la scelta di esprimermi in inglese prima e poi in italiano? O forse è diverso per me, perché non ho "perso" la mia lingua, ma ho acquisito altre e ho "scelto" di esprimermi in più lingue? Forse perché nessuno può esprimersi bene e scrivere bene in più lingue?

E cosa succede alle persone con crescono in famiglie dove i genitori vengono da due paesi diversi e parlano due lingue diverse? E quei bambini che studiano in una lingua diversa da quella parlata a casa?

E se "perdi" la tua lingua, non perché stai cercando di scappare da un regime, ma lo perdi perché scegli di andare a vivere altrove, è diverso? Perché è così importante fermarci su quello che perdiamo e non su quello che acquisiamo? Forse perché la nostalgia del passato è sempre più forte dalla banalità del presente?

Sono idee e domande che mi frullano nella testa senza una risposta chiara.

Forse siamo parlando della nostalgia dei tempi passati? Suoni, odori, sensazioni, memorie? Perché è così bello tornare a pensare alle cose perdute con il senso malinconico? Magari la domanda da approfondire non è su quello che si perde ma dovrebbe essere, cosa cambia quando guardi il mondo con un'altra lingua?

Insomma, il mondo visto dall'italiano è diverso quello visto dall'hindi o quello visto dall'inglese, anche se a parlare tutte queste lingue è sempre la stessa persona?

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