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giovedì 10 gennaio 2008

Lo scrittore: Una Questione di Identità

Quando sono stato presentato agli ospiti come “uno scrittore che vive in Italia”, sono rimasto un po' interdetto. Ero a casa di Om Thanvi, un amico e il responsabile di Jansatta, uno dei maggiori quotidiani nazionali in India. Tra gli ospiti c'erano diversi scrittori, artisti, e musicisti. Qualcuno lo conoscevo già. Altri li conoscevo solo di nome, perché avevo letto di loro nelle riviste e nei giornali. Ogni volta che lui mi presentava a qualcuno sentivo una strana sensazione di piacere e disagio, mescolato ad un piccolo senso di colpa.

Om Thanvi, giornaista e scrittore indiano

Non volevo diventare uno scrittore. L’avevo deciso quando ero piccolo.

Forse avevo cinque anni quando scrissi un piccolo racconto per Parag, una rivista indiana per bambini. Il racconto parlava di un grande topo che amava mangiare i dolci laddu. L’avevo fatto vedere a una delle mie zie. Mi aveva detto: “Sei proprio bravo, diventerai uno scrittore come il tuo papà”. Allora forse non sapevo cosa volesse dire “essere uno scrittore”, ma mi erano piaciute le sue parole perché aveva detto “come il tuo papà”, che aveva scritto tre romanzi, tradotto una ventina di libri dall'inglese ed era un giornalista conosciuto.

Da bambini, io e le mie sorelle, eravamo circondati da scrittori e artisti indiani in famiglia, a partire dalla mia nonna, dalle mie zie e dai miei cugini. Ricordo la delusione della nonna paterna quando, una delle riviste locali, le aveva rimandato indietro il suo racconto dicendo che non era adatto per la pubblicazione.

C’era anche un libro scritto dal nonno materno sul gioco dell'hockey, che lui non era riuscito a far pubblicare. Avevo con me, tutti questi loro manoscritti mai pubblicati. Purtroppo, ho perso quei manoscritti in qualche trasloco, prima dell'invenzione di internet.

Di tutte le persone che vivevano in quella casa, perché il nonno aveva dato il suo manoscritto a me?

***
Avevamo un armadio pieno di libri nella casa, erano libri arrivati per le recensioni, perché il mio papà era anche un critico. Non mi ricordo quando ho iniziato a leggerli, forse quando avevo 6-7 anni. Libri di autori indiani, oggi considerati autori classici, come Nanak Singh, Rangey Raghav, Krishen Chander, Mohan Rakesh e tanti altri. Non c’era un libro in quell'armadio che non avevo letto. Qualcuno di quei libri, letti quando ero un bambino, li ho ancora con me. (Nota: Qualche anno dopo aver scritto questo post, li avevo regalati tutti alla biblioteca multi-etnica di Bologna).

Quando ero un bambino, qualche volta, alla sera, andavo al coffee house di Connaught Place con i miei genitori. Quel Caffè era famoso come il ritrovi degli scrittori e artisti. Oggi in quel luogo c’è la stazione della metropolitana di Delhi. Ci incontravamo con gli amici di papà. Quanto fumo di sigarette e quante tazze di caffè nero che si bevevano!

Assistevo affascinato alle loro discussioni appassionate e infinite sulla lotta di classe, sulla difesa delle lingue indiane, sui poveri e sugli oppressi. La loro passione era coinvolgente, ma vedevo anche che erano quasi tutti poveri, proprio come noi. Penso che sia stato li, in quel coffee house, che iniziai a chiedermi se valeva la pena di fare lo scrittore. Fare lo scrittore e guadagnare abbastanza soldi, era un mestiere difficile.

Papà lavorava come responsabile di Jan, il mensile del partito socialista indiano. Scriveva anche per altre riviste. Ma questo non era lavoro per lui, era la sua passione, era la sua idealità. Scriveva sempre, ma, non guadagnava mai abbastanza. Neanche la mamma guadagnava molto come insegnante della scuola elementare. Per cui, in casa i soldi non erano mai sufficienti. Non sono mai andato a letto affamato, ma ero molto consapevole che bisognava stare attenti ad ogni centesimo.

Per esempio, c'è stato un periodo quando avevo due pantaloncini. In biblioteca, la signora mi aveva chiesto di non portare quelli pantaloncini, “Ti sono troppo stretti. Poi, non sei più un bambino, dovresti portare i pantaloni lunghi fino ai piedi.” Ma non ne avevo detto niente in casa perché sapevo che era un momento difficile e non c’erano soldi per comprare i nuovi vestiti. E poi, un giorno mentre cercavo di recuperare la mia palla dal muretto della chiesa davanti alla nostra casa, che aveva il filo spinato per scoraggiare i ladri, i miei pantaloncini, di color bianco con l'orlo blu, si erano strappati. Correva giù sangue dalla coscia dove il filo spinato mi aveva punto, ma il mio primo pensiero fu per mia mamma, come farà adesso? Dove troverà i soldi per comprare i pantaloncini nuovi?

Penso che era in quelli giorni che ho deciso che non avrei fatto mai lo scrittore. Non fu una decisione chiara e netta ma qualcosa che si era maturato dentro di me, poco alla volta. Quando arrivò il momento delle iscrizioni alla scuola superiore, informai papà che mi ero iscritto ai corsi di scienza e biologia, perché avevo deciso di fare il medico.

Infatti, ho studiato medicina, e ho lavorato come medico, nei programmi di cooperazione internazionale, sopratutto con i malati di lebbra e con le persone con disabilità.

Le parole non mi hanno mai lasciato, ho continuato a scrivere, ma non mi definirei uno scrittore. Qualche articolo per un libro o una rivista, qualche racconto - poco alla volta, lo spazio occupato dalle parole nella mia vita si è allargato, e continua ad allargarsi sempre di più. Scrivo sopratutto in hindi e in inglese, ma qualche anche in italiano. Da diversi anni cerco di scrivere un libro, ma penso che la confusione delle lingue mi fa da ostacolo. Ma la mia identità, come mi vedo dentro di me, non mi riconosce come scrittore. E si che ora sono grande, dovrei avere la capacità di superare paure infantili!

E’ per questo che quando il mio amico Om mi aveva presentato come lo “scrittore che vive in Italia”, mi ero sentito strano.

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Fra dieci giorni, il 18-19 gennaio 2008, vi sarà una manifestazione letteraria a Torino, organizzata da Fondazione Grinzane Cavour. Sono stati invitati circa 15 autori indiani. Alcuni di loro come M.J. Akbar, Shashi Tharoor, Tarun Tejpal, Anita Nair, Thrity Umrigar, sono nomi famosi. Altri come Lavanya Shanker, Altaf Tyrewala, sono nomi meno conosciuti, forse sono i nomi del futuro. Vi sono anche persone che scrivono in lingue indiane come Uday Prakash, Bhagwan Dass e Gayathri Murthy. Tra di loro, c’è anche il mio nome.

E di nuovo, ho questa sensazione strana. Sento un miscuglio di piacere, disagio e senso di colpa, quando penso al mio nome messo li, in quella lista tra gli “scrittori”.

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mercoledì 17 gennaio 2007

Il Coraggio di Taslima

Taslima Nasrin è una scrittrice originaria del Bangladesh. A seguito del suo libro "Vergogna", alcuni Mullah (preti musulmani) del Bangladesh avevano decretato il fatwa per la sua morte perché il suo libro criticava alcuni aspetti dell'islam. Lei era fuggita prima in India e poi per qualche anno in Scandinavia. Oggi lei vive a Calcutta in India.

Taslima Nasreen, la scrittrice originaria del Bangladesh

Questa settimana è apparso un suo nuovo scritto sull'uso del chaddor (velo integrale o Burqa) nelle donne musulmane, nel settimanale indiano Outlook.

Qualche tempo fa, la famosa attrice e attivista indiana, Shabana Azmi, insieme ad un gruppo di donne musulmane, avevano lanciato un appello alle donne musulmane di non portare il velo perché secondo loro, il Corano non chiede alle donne di coprirsi il corpo. Anzi, secondo loro, i principi dell'Islam sono basati sulla parità tra uomini e donne.

Il nuovo scritto di Taslima è in risposta a questo invito di Shabana Azmi. "Non è vero che il Corano non chiede alle donne di coprirsi il proprio corpo dalla testa fino ai piedi", dice Taslima in questo scritto, e cita diversi versi del Corano e analizza diversi episodi nella vita del profeta Maometto per spiegare come il Corano e l'Islam chiedono esplicitamente alle donne di coprire il proprio corpo.

Taslima pone la sua domanda a Shabana e altri suoi sostenitori, che vorrebbero maggiore libertà per le donne musulmane all'interno della loro religione: "Se il Corano dice che le donne devono coprire il proprio corpo, è giusto che noi ci copriamo? La mia risposta è no. Non importa quale libro, quale persona, quale autorità chiede alle donne di coprirsi, noi dobbiamo rifiutare. Nessun velo, nessun chaddor, nessun hijab, nessuna burqa, nessuna sciarpa per coprire la testa. Le donne non devono portare niente di tutto ciò perché sono segni di dispetto. Sono i simboli dell'oppressione delle donne. Questi simboli dicono alle donne che sono le proprietà degli uomini, sono oggetti per il loro uso. Questi copri-corpi sono usati per tenere le donne passive a sottomesse. Chiedono alle donne di portarle così le donne non possono vivere con auto rispetto, onore, fiducia, identità, opinioni e ideali. ..."

Quali reazioni vi saranno a questo scritto? Per la "colpa" di aver detto o scritto molto meno, gli islamici fondamentalisti hanno torturato e ucciso molte altre persone. Ma forse Taslima non ha paura della morte. O forse pensa che avevano già decretato la sua morte, cosa possono farle di più?

Sicuramente ci saranno molte persone che non concorderanno con quanto scrive Taslima. Molte donne musulmane, che ricoprono ruoli importanti e che vivono nella società più libere in Europa e America, parlano di velo come una questione di scelta personale, mentre Taslima, la vede come una questione di condizionamento e pressione sociale.

Ma nessuno potrà negare che lei ha coraggio.

***
Nota: Taslima Nasreen. Vergogna (titolo originale. Lajja - Shame, 1995). Oscar Mondadori, Milano 1996, pp. 250, € 7,40. ISBN 8804394277

 

venerdì 1 dicembre 2006

Creatività, Censura, Romanticismo...

Questo scritto parla di Roma, poeti, scrittori, libri, creatività, religioni e censura. Forse, i suoi argomenti non hanno un chiaro filo conduttore. Ogni tanto, uso blog come un diario, scrivo brevi appunti su diversi temi, invece di approfondire un tema solo. 
 
Roma - Altare della Patria

Amore Lesbico da Censurare

Già che pensavo alla ragazza lesbica della mia storia, è uscito il film con Lino Banfi, con la figlia che si sposa con la sua compagna spagnola. Non ho guardato questo film ancora, ho letto soltanto le polemiche sui giornali. Devo dire che mi hanno sorpreso queste polemiche.

Qualche anno fa Deepa Mehta, regista di origine indiana che vive in Canada, aveva girato il film Fire (Fuoco), nel quale si accennava ad un rapporto amoroso tra le due donne protagoniste. Il film aveva suscitato molte polemiche in India. Già, l'India ha un sistema di censura antiquato. Inoltre, ogni volta che un gruppo di persone si manifestano contro qualche lavoro di arte o qualche libro o qualche film, subito il governo vieta la sua uscita. In India, parlandone con gli amici, avevo dato esempi del sistema liberale che esiste in Italia, basato sulla convivenza pacifica e rispetto della libertà di espressione.

Anche il recente film basato sul romanzo di Dan Brown, "Il Codice Da Vinci" era stato vietato in India e di nuovo avevo parlato dell'assurdità di queste censure per "accontentare" i cattolici indiani quando si poteva vedere il film a Roma.

Ma le polemiche sul film di Banfi mi hanno sorpreso, perché non li aspettavo. La TV italiana fa vedere delle cose di rapporti sessuali, nudità e parolacce in prima serata senza nessuna protesta. A me danno fastidio i programmi dove vi sono queste giovani donne formose che fanno le veline con vestiti ridottissimi, presentate come persone con intelligenza subnormale. Semmai, forse mi sarebbe piaciuto sentire qualche protesta contro queste trasmissioni.

Comunque, c'è un lato positivo di questa storia. La prossima volta che succederà qualche stupida protesta in India, non mi agiterò per spiegare che "In Italia questo non succederebbe mai"!

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Il Mio Romanzo

Ho questo sogno di scrivere un romanzo un giorno. Volevo scrivere la storia di un ragazzo che torna dal suo padre morente e viene a sapere di un segreto di famiglia. Il libro dovrebbe essere un viaggio alla scoperta di se stesso di questo ragazzo, un viaggio di riconciliazione con il suo passato.

Avevo iniziato a scriverlo. Per giorni vivevo quel libro. I suoi personaggi erano diventati come persone vero che conoscevo, che mi giravo intorno e che mi parlavano nei momenti più inaspettati. Poi, alla fine ho quasi finito di scrivere questo libro - è in inglese, ha circa 250 pagine, e l'ho scritto in meno di un mese. E' venuto fuori come un torrente in piena.

L'ho fatto vedere ad una mia cugina scrittrice, anche perché ci tenevo molto al suo giudizio. Si vede che potrebbe venire fuori un libro molto bello, mi ha detto, "Ma ora devi lavorarci sopra, riscrivere il tutto e sistemarlo meglio". Mi sentivo in settimo cielo. Alla fine ero arrivato vicino al mio sogno di scrivere il mio primo romanzo, avevo pensato.

Questo era successo più di un anno fa e da allora, non sono più stato capace di scrivere niente. All'inizio mi bloccava l'idea di dover scrivere questo libro in inglese. L'inglese non è la mia lingua, dovrei scrivere in hindi o in italiano, perché devo scrivere in inglese, mi chiedevo, ma il fatto che riesco a esprimermi molto meglio in inglese. 

Alla fine, stanco della mia incapacità di riprendere in mano il libro, avevo deciso che questa volta lo scriverò in hindi. Invece, di nuovo, ogni volta che mi mettevo davanti al computer, non trovavo mai le parole per dire quello che avrei voluto dire.

Adesso ho pensato che devo scriverlo nella lingua che mi viene più naturale, ciò è, in inglese e dopo, lo tradurrò in hindi o in italiano. Nel frattempo, avevo iniziato a pensare ad un'altra storia. Questa storia ha un padre immigrato e la sua figlia lesbica. I personaggi hanno iniziato a diventare persone vere, nei momenti più strani, penso a loro e sento le loro voci. Forse, un giorno riuscirò a metterlo giù sul computer, questa storia! Spero.

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La Tomba di Keats a Roma

Durante la mia ultima visita a Roma, ero andato al cimitero protestante dietro il Piramide di Caio Cestio. Nel 1822, qui fu sepolto il giovane poeta romantico inglese Keats. Quando morì, aveva solo 25 anni, ma ha lasciato un eredità di poesie romantiche indimenticabile. Ogni giorno, c'è una fila di turisti inglesi per visitare la sua tomba.

L'epigrafe sulla sua tomba recita: "Qui giace colui, il cui nome fu scritto sull'acqua." Vicino alla sua tomba, i suoi ammiratori hanno fatto montare una tavola di marmo con le seguenti parole, "Keats, se il tuo amato nome fu "scritto sull'acqua", ogni goccia è una lacrima versata da qualcuno che piangeva per te."

Roma - Tomba di Keats

Corrado Augias nel suo libro, “Segreti di Roma”, ha spiegato la storia di questo cimitero per i non cattolici costruito su un terreno non consacrato, le fatiche per costruire un muro intorno a questo cimitero, i divieti per seppellire i morti di giorno e il divieto di scrivere frasi che potevano significare la benevolenza di dio per le anime di questi morti. Questa situazione di 150 anni fa, oggi appare incomprensibile, anche se le discriminazioni in forma molto più sottile continuano anche oggi.

Ieri Lucia Cuocci della rubrica Protestantesimo di Rai2 era venuta ad intervistarmi riguardo la situazione della lebbra nel mondo. Alla fine dell’intervista le ho chiesto riguardo la trasmissione del programma e mi ha spiegato che di solito il programma è trasmesso dopo la mezza notte, ma delle volte, vi sono dei ritardi e la trasmissione avviene dopo l’una di notte. Comunque, se ci tenete a guardarmi in questa intervista, sarà trasmessa anche alla mattina alle 09,00 del 25 dicembre 2006.

Penso che il giornalismo e la TV italiana hanno superato molte barriere che prima ci esistevano, ma per alcune questioni legate al Vaticano, esiste ancora certa discriminazione. Penso ai scandali legati alla pedofilia di qualche prete in Stati Uniti. I notiziari sulla CNN e sulla BBC erano pieni di queste notizie ma la tv in Italia, non ne parlava quasi mai, fino al giorno che il Vaticano ha voluto parlarne.

Sui telegiornali, le immagini della visita del Papa alla moschea di Istanbul mi hanno commosso. Le sue parole nella moschea dette insieme all’Imam di Istanbul, “Chi uccide civili innocenti nel nome di dio, offende il dio”, sono forti ed era ora che qualcuno così importante e visibile li diceva con la voce alta dentro una moschea. Penso che per uscire da questo vortice di violenza e terrorismo, ci vogliono gesti coraggiosi come questo.

Anche quando si parla di un dialogo costruttivo tra le religioni, sento una discriminazione tra le religioni del Libro, le religioni monoteiste nate in medio oriente e tutte le altre religioni del mondo (come induismo, buddismo, gianismo, i bahai, i confuciani, i taoisti, i parsi, i sikh, ecc.). Forse perché le altre religioni hanno già trovato certo dialogo tra di loro? O forse le lotte tra le tre religioni monoteiste sono state cosi violente che bisogna fare uno sforzo speciale per avviare questo dialogo tra di loro, prima di intraprendere il cammino con le altre religioni?

Per tornare al cimitero protestante di Roma, oltre a Keats, un altro famoso poeta inglese è sepolto qui, il grande Shelly

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lunedì 5 giugno 2006

Il Mondo è Piatto?

Sto leggendo il libro del giornalista americano, Thomas Friedman, The Flat World (Il mondo è piatto). La teoria di Friedman in questo libro è che dopo la rivoluzione copernicana, oggi di nuovo la terra sta diventando piatta per una serie di sviluppi legati alla globalizzazione, allo sviluppo di alcuni paesi come Cina e India, e ai progressi dell'informatica. Secondo Friedman, questo mondo piatto richiede nuovi ragionamenti e nuovi comportamenti, altrimenti i popoli che non sapranno adeguarsi, resteranno in dietro. Lui si rivolge sopratutto all'America ma forse il suo discorso è altrettanto valido, anche per l'Europa.

In questo libro lui racconta le sue discussioni con una miriade di persone di diversi continenti per spiegare il proprio pensiero:"Vi sono due cose che mi preoccupano in questo momento", disse Richard A. Rashid, il direttore per la ricerca alla Microsoft. "La prima, il fatto che abbiamo chiuso il passaggio di arrivo in America delle persone intelligenti. Se tu pensi che abbiamo le più grandi università e istituti di ricerca, questi hanno bisogno di q.i. (quoziente di intelligenza, ndr). Nel tentativo di creare un processo che blocchi l'arrivo di emigrati indesiderabili, il governo ha effettivamente bloccato l'arrivo delle persone desiderabili. Una significativa parte dei laureati più bravi di nostri migliori istituti e università sono state persone, non nate in America ma sono persone che dopo la laurea, sono rimaste qui, hanno creato nuove imprese, sono diventati professori, ed erano i motori del nostro sviluppo economico.Vogliamo queste persone. In un mondo dove la Q.I. è il più importante prodotto sul mercato, devi cercare di avere il maggior numero di persone brave che puoi avere."

Mentre leggevo queste parole, pensavo alle discussioni con Mishra, un ricercatore indiano che si trova in un centro di ricerca in Italia. Mishra è stato qui a Bologna alcuni giorni fa. Lui mi ha detto, "Devo finire questa ricerca, poi penso di andare in Stati Uniti, qui in Italia non c'è spazio per la ricerca. Questo non è soltanto perché sono straniero. Due ragazze italiane al nostro centro, entrambe hanno concluso il dottorato. Una di loro ha cominciato a lavorare in una farmacia e l'altra si è iscritta ad un corso per diventare maestra. Se un paese non sa prendere cura dei suoi migliori cervelli, quali opportunità può dare a noi stranieri?"

Ultimamente sento diversi indiani che vengono in Italia per lavorare presso i centri di ricerca. Pratika, figlia del mio amico d'infanzia Rahul, era a Brighton dove studiava astrofisica e doveva decidere se venire a Trieste o andare in Germania per il suo dottorato. Alla fine lei ha deciso per la Germania. Invece, Sidharth che studiava in Germania, ha deciso di proseguire le sue ricerche a Trieste. Forse le università italiane hanno iniziato a cercare i cervelli migliori da altri paesi - o forse sono costretti perché non vi sono studenti italiani interessati in seguire carriere che non portano da nessuna parte?

E le teorie di Friedman, cosa significano per l'Italia? Forse anche in un mondo piatto, avranno sempre bisogno di bel paese per conoscere la storia, per ammirare le sue bellezze naturali! Non c'è bisogno che tutti i paesi abbiano ricerca e imprese di avanguardia per il proprio sviluppo! Speriamo.

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martedì 20 dicembre 2005

Cambiamento Climatico e l'Effetto serra Secondo Crichton

Avevo iniziato a leggere il nuovo libro di Michael Crichton, dove lui affronta il tema del eco-terrorismo. Mi piace Crichton, non tanto come scrittore, ma come l'immagine della sua persona, perché so che si era laureato in medicina e poi ha deciso di fare l'autore. Mi fa sentire certa comunanza con lui, forse avrei voluto farlo anch'io.

Libro di Michael Crichton - Stato di Paura
Una volta avevo letto in uno di suoi libri riguardo una sua esperienza personale di essere stato in un deserto per diversi giorni, seduto davanti ad un cactus cercando di comunicare con la pianta. Mi era piaciuta questa sua immagina di meditazione davanti ad un cactus e mi era piaciuto questo suo libro. Anche a me piace parlare con gli alberi. Nel parco vicino alla nostra casa, c'è un grosso albero di acero, che mi fa simpatia. Quando gli passo vicino, gli parlo.

Invece la maggior parte dei suoi libri, devo ammettere che purtroppo, non mi piacciono, ne anche come passatempo. Ho provato a leggere diversi suoi libri, ma proprio non riesco a leggerli fino alla fine.

Nel suo nuovo libro, che si intitola “Stato di Paura”, lui parla di organizzazioni non governative e alcune "agenzie internazionali" con degli interessi particolari che "vogliono creare la psicosi sul tema del cambiamento climatico". Per esempio, secondo lui, i ghiacciai nel mondo (a parte i ghiacciai in Europa) non si stanno ritirando, anzi stanno crescendo. Così secondo lui, non stiamo andando verso il riscaldamento terrestre dovuto all’effetto serra ma andiamo verso un’era glaciale. Lui sostiene che questo cambiamento non dipende dall’aumento dell’inquinamento nel mondo. Secondo lui, Bush e i suoi amici, i NeoCons, hanno ragione a non firmare il protocollo di Kyoto, che secondo lui è solo un palliativo, sbagliato e inefficace.

Come si può immaginare, è stato detto che Crichton è un repubblicano, sostenitore di Bush e sostenitore della guerra in Iraq. Ma le critiche di Crichton, fatte in maniera così veemente, mi hanno incuriosito. Vorrei leggere qualcuno che fa un ragionamento sereno, chiaro e obiettivo su quanto lui ha scritto. Non mi piace quando si cercano di screditare le idee delle persone attraverso attacchi personali.

Mi dispiace per Crichton, se lui davvero ammira Bush e concorda con la guerra in Iraq, e spero che presto riceverà un messaggio di buon senso, magari anche da un cactus del deserto.

Invece il suo libro è pieno di note e riferimenti alle riviste scientifiche e agli studi, ecc., e dà l'impressione di essere frutto di accurate ricerche. L'avevo preso in prestito dalla nostra biblioteca, ma mi ha annoiato. Alla fine, invece di finire di leggere il libro, ho letto qualche sua recensione e l'ho restituito.

Vorrei sentire qualcuno che rispondesse alle sue accuse in maniera chiara e puntuale, che ci sono questi enti che cercano di manipolare l'opinione pubblica per creare panico e lucrare sul tema del cambiamento climatico. Per esempio, mi piacerebbe sapere se è vero che i ghiacciai stanno crescendo e non ritirando, a parte quelli in Europa? La mia esperienza quotidiana suggerisce che le temperature nelle nostre città sono in aumento, ma forse, come dice lui, questo è solo una fase di variazione normale?

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Sono contento di aver iniziato a scrivere questo blog quest'anno. Lo vedo come un mio diario personale. Forse fra 15-20 anni, tornerò qui per rileggere quello che scrivo. So che non ho molti lettori, comunque, vi sono grato lo stesso.

giovedì 15 dicembre 2005

Harold Pinter e Luigi Pintor

Fu la mia amica Mariangela a introdurmi al mondo di Luigi Pintor.

Quando ho sentito che Harold Pinter ha vinto il premio nobel 2005 per la letteratura, il mio cervello ha ignorato ignorato il suo nome "Harold" e ha convertito il suo cognome "Pinter" in "Pintor".

Harold Pinter e Luigi Pintor

Wow! Lo scrittore preferito di Mariangela aveva vinto il premio nobel! Ero proprio contento e volevo dirlo a lei. Alla sera, a casa, ne parlavo con mia moglie che era strano che non se ne parlava di più in Italia, non è ogni giorno che uno scrittore italiano riceve il premio nobel. Per quanto ne so, l'unico altro vincitore italiano di questo premio (per la letteratura) è Dario Fo.

Comunque andai al sito del premi nobel per leggere il suo intervento di accettazione e fu soltanto allora che capì che il vincitore del premio è Harold Pinter, scrittore per il teatro, sceneggiatore e attivista politico. Già un anno fa in un'intervista sulla BBC, lui fu molto duro nella sua denuncia di Bush e Blair per aver cercato e creato la guerra in Iraq e chiedeva che entrambi fossi trattati per i crimini di guerra. Potete leggere questa intervista .

Il suo intervento di accettazione del premio nobel, è stato altrettanto duro. Da una parte lui ha parlato del proprio processo creativo e come i personaggio di suoi scritti assumono la propria vita e non "obbediscono" sempre all'autore. Dall'altra lui ha esposto i propri pensieri politici. Secondo lui, le storie di repressione, crudeltà e morte in Unione Sovietica e sotto i regimi comunisti, sono stati ampiamente studiati e commentati, ma dall'altra parte, è stato ignorato dagli studiosi, il ruolo giocato dall'America contro i governi che volevano promuovere educazione e salute per i propri cittadini. Ha detto che essi si sono trovati marchiati "comunisti" e l'America ha fatto di tutto per distruggere questi governi, spesso sostituendoli con i dittatori disposti ad ammettere multinazionali americane.

E' stato un intervento molto duro e chiaro, non basato sulle emozioni, ma con degli esempi ragionati e razionali. Sicuramente, qualcuno l'avrà già tradotto in italiano, ma in tanto potete leggerlo anche in inglese al sito dei premi nobel.

Secondo me, comunque, c'è spesso una differenza i regimi Russi e Cinesi da una parte, e gli Stati Uniti dall'altra, che in America, si può sentire molte voci dei dissidenti, mentre in Russia e Cina, queste voci sono rare o assenti. 

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sabato 10 settembre 2005

John Grisham e le Piste Ciclabili

Sono riuscito ad avere un permesso dal lavoro per andare a sentire lo scrittore americano, John Grisham. L'aula grande di Santa Lucia con tutto il suo splendore era piena. C'era anche il sindaco Sergio Cofferati, il quale ha consegnato una targa della città allo scrittore.

Sergio Cofferati e John Grisham, Bologna

Grisham ha parlato della sua prima visita a Bologna nel luglio 2004, quando lui cercava una piccola città italiana dove poteva nascondersi l'eroe del suo nuovo libro ed si era  commosso davanti al muro della sala Borsa tappezzato dalle foto dei ragazzi morti per la resistenza negli anni della seconda guerra mondiale.

La domanda che gli avrei voluto fare relativa all'opinione dei critici riguardo le sue capacità letterarie, gli ha fatta qualcun altro, in maniera indiretta. Era l'unico momento che Grisham ha perso la calma, "I critici possono andare in inferno. Cosa ne sanno della scrittura popolare? Prima mi criticavano che tutti i miei libri hanno la stessa formula, ora criticano che non seguo la formula..."

Mi ha colpito che lui ha caratterizzato i propri lavori di scrittura come "scrittura popolare" - penso che questo voleva dire che aveva interiorizzato le definizioni dei critici che decidono cosa è la scrittura popolare e cosa è la letteratura.

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In tanto si era messo a piovere con i lampi e tuoni e quando sono uscito fuori dall'aula, pioveva forte. Ho camminato fino alla via Saragozza e pensavo che continuano a parlare del peggioramento dell'ambiente e il bisogno di usare i mezzi pubblici o le biciclette, ma secondo me, oggi a Bologna ci sono meno biciclette di 15 anni fa. Perché non costruiscono più le nuove piste ciclabili e perché aumentano, invece di diminuire, le macchine?

Anche quando costruiscono le nuove strade, non c'è nessuna attenzione a creare nuove piste ciclabili. E' vero che molti parchi hanno le piste ciclabili ma per non usare la macchina, anche le altre strade devono avere le piste, altrimenti le macchine che sfrecciano così veloci e tutte le nuove giratorie che stanno sostituendo i semafori, rendono la vita dei ciclisti impossibile.

E poi pensavo che quanti marciapiedi ci sono in giro nel centro di Bologna, senza le piccole rampe per salire o scendere con le sedie a rotelle! Posso soltanto immaginare come devono sentirsi le persone sulle sedie a rotelle, in mezzo a tutti questi figli di Schumacher nelle macchine, che non esitano a esprimere la propria impazienza se devono rallentare per una bicicletta o una sedia a rotelle.

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giovedì 8 settembre 2005

John Grisham: Scrittura o letteratura?

Domani ci sarà lo scrittore americano, John Grisham, all'università di Bologna. Riceverà un premio dal sindaco Cofferati perché il suo nuovo libro è ambientato a Bologna. Per scriverlo, Grisham ha vissuto a Bologna per un po' di tempo. Si spera che questo suo libro, porterà più turisti a Bologna. Non so se per i suoi propri meriti, il sindaco avrebbe scelto Grisham per un premio!

John Grisham a Bologna

Grisham è stato criticato perché scrive pulp fiction, libri spazzatura, libri per passare il tempo ma non letteratura seria. Anche se ha venduto milioni di libri e forse guadagnato milioni di dollari, è rimasto un po' male da questa critica. Alla fine, ha deciso di cambiare stile e di scrivere "letteratura".

Mi sembra che questi suoi libri più "seri", non hanno avuto altrettanto successo, di quelli precedenti. Ma forse quando hai già tanti soldi, non ti interessa più vendere altri libri, vuoi l'apprezzamento della critica!

Personalmente, all'inizio, avevo letto alcuni dei suoi libri con molto piacere ma da qualche anno, li trovo noiosi - prendo i suoi nuovi libri dalla biblioteca ma poi, li restituisco senza finire di leggerli. Speriamo per il sindaco di Bologna che il suo nuovo romanzo ambientato a Bologna, sarà un libro popolare e avrà più successo.

A questo proposito, mi chiedo chi o cosa è che fa diventare un libro "letteratura"? Il modo di scrivere o il linguaggio o il tema o il trattamento del tema? Forse una delle regole per decidere è se la gente riesce a capire quello che hai scritto. Se la risposta è si, allora non è letteratura.

Un altro criterio potrebbe essere, se lo scrittore è vivo o morto? Scrittori morti hanno maggiori possibilità di essere considerati meglio di quelli vivi. La stragrande maggioranza di scrittori nelle lingue indiane fanno fatica a sopravvivere soltanto con le entrate dovute ai loro libri. Spesso devono cercare un altro lavoro per mantenere le famiglie. Penso che per molti di loro, e ancora di più per le loro famiglie, diventare scrittori spazzatura ricchi e famosi sarà considerato meglio di essere scrittori seri ma poveri? Cosa ne pensate?

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Alla fine ho ricevuto un primo commento per questo blog. Ormai era sicuro che tranne per la mia amica Mariangela (e me), nessuno lo leggerà. Grazie anonimo commentatore per esserti fermato alla mia porta e per aver lasciato un segno del tuo passaggio!

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giovedì 30 giugno 2005

Il viaggio delle parole

Sto leggendo il libro Quarantine di Jim Grace. Il libro era in lista per il premio Booker nel 1997. Grace ha un modo di scrivere meraviglioso. Mi sembra di sentire il suono dei sassolini piatti lanciati da un ragazzo, che saltano sulla superficie dell'acqua, leggeri come piume, senza fare uno splash.

Leggo le parole del libro a voce alta, aprendo bene la mia bocca in una 'o' esagerata, articolando ogni sillaba. Posso quasi vedere le parole che si alzano dalla superficie dei miei polmoni, acquistando velocità quando giungono alle mie corde vocali e poi si lanciano all'improvviso come i bambini birichini, facendo vibrare le corde vocali come una diapason.

Escono dalla mia bocca e si dispiegano le ali come gabbiani per galleggiare sulla superficie delle correnti, scontrando con le altre parole che partono da tante altre bocche - da quella copia che litiga, da quel ragazzo che fischia, da quella ragazza che tossisce ... e poi, pian piano si fermano vicino ad un filo d'erba, facendolo vibrare come una diapason.

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venerdì 20 maggio 2005

Perdere la lingua materna

Ho letto la recensione del nuovo libro, L'Analfabeta, racconto autobiografico (Casagrande, 2005)  di Agota Kristof, l'autrice ungherese residente in Svizzera, scritto da Matteo Sacchi, sul sito della bella rivista Giudizio Universale. Non mi ricordo in quale lingue avevo letto la trilogia della Città di K di Kristof mentre ero a Ginevra. Forse era il francese. Ero rimasto affascinato dal suo modo di scrivere. Lei scrive con poche parole, sembrano scelte dopo lunghe meditazioni, ruvide e taglienti, e intrise di dolore:


"La smania di scrittura nasce “nei giorni cattivi”, negli anni “non amati”, e si radica come un bisogno contro la sofferenza per le cose perdute. Finché dopo l’insurrezione del ‘56, la repressione dei carri armati sovietici, la fuga in Austria e infine in Svizzera, si compie la perdita più grave, quella della lingua materna, la lingua primaria delle cose, dei sentimenti, dei colori, delle lettere, dei libri, dei giornali. L’unica lingua. Persa la quale, si dissolve la lettura, la scrittura, si ridiventa analfabeti, bisogna tornare a imparare."

La Kristof aveva scelto di scrivere in francese. Le sue parole vibrano dentro di me.

Mi chiedo, che cosa ho perso con la scelta di esprimermi in inglese prima e poi in italiano? O forse è diverso per me, perché non ho "perso" la mia lingua, ma ho acquisito altre e "scelto" di esprimermi in più lingue? Forse perché nessuno può esprimersi bene e scrivere bene in più lingue?

E cosa succede alle persone con crescono in famiglie dove i genitori vengono da due paesi diversi e parlano due lingue diverse? E quei bambini che studiano in una lingua diversa da quella parlata a casa?

E se "perdi" la tua lingua, non perché stai cercando di scappare da un regime, ma lo perdi perché scegli di andare a vivere altrove, è diverso? Perché è così importante fermarci su quello che perdiamo e non quello che acquisiamo?

Sono idee e domande che mi frullano nella testa senza una risposta chiara.

Forse siamo parlando della nostalgia dei tempi passati? Suoni, odori, sensazioni, memorie? Perché è così bello tornare a pensare alle cose perdute con il senso malinconico? Magari la domanda da approfondire non è quello che si perde ma è, cosa cambia quando guardi il mondo con un'altra lingua?

Insomma, il mondo visto dall'italiano è diverso quello visto dall'hindi o quello visto dall'inglese, quando a parlare queste diverse lingue è la stessa persona?

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Mi piace il blog di Beppe Grillo e mi piace Beppe Grillo. Tuttavia, mi fa sentire un po' strano questo suo tentativo di creare un partito dei seguaci, la folla dei credenti al Beppe-pensiero .. forse perché sono scettico in generale ai profeti venuti per salvare il mondo. Mi fa pensare a Nanni Moretti, un regista che ammirò molto. Forse l'adulazione fa che cominciamo a prenderci troppo sul serio?

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