Ero uscito nel parco con il mio cane per la solita passeggiata serale. Ho visto loro, 4 uomini, seduti sulle panche vicino al ponticello, nell’ombra degli alberi. Quando mi sono avvicinato a loro ho sentito un confuso mormorio delle loro voci. Parlavano la lingua punjabi. Il loro modo di parlare era diverso da come si parla questa lingua tra gli indiani di Delhi, usavano alcune parole della lingua Urdu. E la cadenza delle loro parole era quella del Pakistan.
Uno di loro mi ha visto. Quando vedi qualcuno che può essere un immigrato dal tuo stesso paese, l’espressione degli occhi cambia. C’è una domanda silenziosa che vuole sapere se sei del loro paese?
Ci somigliamo tra di noi, indiani, pakistani e bangladeshi. Qualche volta, i segni esterni legati alla religione aiutano a capire la nostra nazionalità. Come la linea vermiglione tra i capelli o il puntino rosso sulla fronte delle donne, vuol dire che la donna è indù, molto probabilmente dall’India. Uomini vestiti con una camicia lunga fino alle ginocchia e pantaloni larghi della stessa stoffa, sono spesso dalle zone rurali del Pakistan orientale. I bengalesi e gli indiani del sud hanno spesso la pelle più scura. Il piccolo cappellino bianco aderente sulla testa, un piccolo scialle a quadrati sulle spalle o il taglio particolare della barba indicano i musulmani, sopratutto quelli del Pakistan, anche se sempre più spesso anche alcuni uomini del Bangladesh li portano. Il turbante, lunga barba e il braccialetto di acciaio sul polso destro servono per identificare i Sikh.
Ma spesso, non riesco a individuare la nazionalità soltanto dall'apparenza esterna, devo sentire come parlano per capire.
Di solito, quando vedo questa domanda silenziosa negli occhi di qualcuno, mi fermo per sorridere e scambiare le solite domanda “Di dove sei?”, anche quando so già che sono del Pakistan o del Bangladesh. Invece, questa volta guardai dall’altra parte, facendo finta di niente. Sentivo i loro sguardi sulla mia schiena, mentre mi allontanavo da loro.
Gli ultimi attacchi terroristici di Glasgow in Inghilterra mi hanno scosso. Ormai sono anni che si parla dei legami della religione musulmana con il terrorismo, anche se si cerca di separare la vasta maggioranza della comunità musulmana da piccoli gruppi radicali di terroristi. A livello razionale capisco che non si può, e non si dovrebbe, generalizzare e criminalizzare un intero gruppo di popolazione come terroristi, anche perché sarebbe la via più facile per emarginare tutta la comunità e per alimentare ulteriormente la radicalizzazione e la creazione di nuovi fanatici che si vedono sotto assedio da tutte le parti, senza vie di uscita.
Ma il coinvolgimento di giovani medici musulmani provenienti dall’India negli attacchi di Glasgow, mi hanno scosso. Un medico può diventare terrorista e uccidere persone quando ha giurato per salvaguardare la vita, mi sembra inconcepibile. Mi fanno venire brividi quelle persone che cercano di trovare scuse per queste scelte: gli inglesi sono coinvolti in Iraq, stanno uccidendo i talibani in Afghanistan, hanno insultato l’Islam conferendo il titolo di Knight a Salman Rushdie... Penso che le persone che accettano queste scuse sono malate mentali.
Mi sento schizofrenico. A livello logico, mi vergogno e mi disprezzo per questi pensieri di sfiducia verso tutti i musulmani ma dall’altra parte non riesco a controllare la mia paura. Finché i terroristi erano del Pakistan o erano arabi o palestinesi, avevo un po’ di paura di quelle persone che sembrano ortodosse e tradizionali, ma nelle facce di giovani ragazzi indiani presi in Inghilterra, vedo le facce di amici e colleghi, e questo mi fa paura.
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Aggiunta
Qualche giorno fa avevo scritto della mia paura per il coinvolgimento di
alcuni medici musulmani dall’India negli attacchi terroristici in
Inghilterra. Oggi i giornali raccontano che uno di questi ragazzi è
stato scarcerato dopo 4 settimane in una prigione australiana. La sua
colpa era soltanto quella di aver dato la sua carta SIM del suo
cellulare al suo cugino 2 anni fa, quando aveva lasciato Inghilterra per
trasferirsi in Australia. Suo cugino era coinvolte negli attacchi.
Forse gli investigatori australiani erano così convinti della sua
colpevolezza che hanno “inventato” prove per giustificare la sua
carcerazione.
Una persona innocente che è stata etichettata come
terrorista, soffrirà le conseguenze di questa ingiustizia per tutta la
sua vita.
E’ per questo è controproducente etichettare persone sulla base delle loro religioni. Si rischia di creare ingiustizie.
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